Candy Candy

"Incontro nel vortice" di Alys Avalos, Traduzione della più famosa fanfiction di Candy in lingua spagnola

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candy76
view post Posted on 30/7/2012, 09:55     +1   -1




Wow finalmente la guerra è finita||||
 
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view post Posted on 30/7/2012, 15:20     +1   -1
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grazie kialr@!!
 
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view post Posted on 31/7/2012, 12:02     +1   +1   -1
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Grazie 1000 Kiar@. Sei impagabile
 
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pecorellarosa
view post Posted on 2/8/2012, 14:53     +1   -1




wowowoowow che capitolo entusiasmante :auri:
GRAZIE Kiara!!!
Sei insuperabile :tesoro:
 
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view post Posted on 4/8/2012, 22:12     +1   -1
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Carissima, è impagabile il tuo lavoro di traduzione!!

Grazie di cuore cara Kiara :mizia: :mizia: :mizia:
 
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view post Posted on 5/8/2012, 08:50     +1   -1
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GRAZIE kIAR@
 
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view post Posted on 25/8/2012, 08:49     +1   -1
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grazie kiar@, volo subito!! :***
 
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*Kiar@*
view post Posted on 31/8/2012, 18:36     +1   -1




CAPITOLO XV
ADDII E SVOLTE

Parte 1.2




La signora O'Brien teneva la mano della figlia, ammirando deliziata il magnifico anello al dito.
- Fidanzata! Ah, cara, sono così felice per te! – esclamò felice la donna – Chi è lui?
- Si, è proprio la domanda che volevo fare anch’io – commentò il signor O’Brien dalla poltrona di cuoio stile francese, mentre sorbiva il suo cognac favorito in un bicchiere raffinato – Voglio credere che sia un giovane di buona famiglia. Quando potremo conoscerlo, tesoro?
Patty emise un sospiro profondo, sapendo che il momento tanto temuto era finalmente arrivato. Nella mente rivide il volto sorridente di Tom e subito dopo una voce che non sentiva da tanto tempo risuonò dal fondo del suo cuore.
“Forza Patty, non avere paura!” diceva Candy nell’orecchio della giovane amica.
La ragazza sollevò lo sguardo verso il padre.
- Si chiama Thomas Stevenson, è uno dei migliori amici di Candy – spiegò.
- Se è un amico di Miss Andrew farà sicuramente parte di una famiglia ricca e prestigiosa - commentò la signora O'Brien, soddisfatta della spiegazione che si era data da sola.
- Dunque, mamma – cominciò Patty – ti posso dire che Tom è un bravo giovane che ha ereditato una fortuna che suo padre ha accumulato lavorando onestamente, e che lui stesso ha saputo amministrare con saggezza da quando il signor Stevenson è morto.
- Ecco quello che volevo sentire – rispose il signor O’Brien felice, appoggiando il bicchiere sul tavolino accanto a lui – Vorrei conoscere questo signor Stevenson il più presto possibile. Ci sono molte cose di cui voglio parlare con lui - aggiunse.
- È già qui in città, papà – rispose Patty stringendo con dita nervose le pieghe della gonna nera – Desidera parlare con voi due per definire i dettagli del matrimonio con il vostro consenso.
- Oh, è meraviglioso, tesoro – disse la signora O’Brien con un gridolino di gioia – Però devi darci un po’ di tempo per organizzare tutto e decidere se fare la cerimonia qui o in Inghilterra.
- Ma … - obiettò Patty timidamente – c’è qualcos'altro che devo dirvi di Tom.
Il signor O’Brien rivolse uno sguardo interrogativo alla figlia. Il tono di voce delle ultime parole non gli era piaciuto, era lo stesso che Patty aveva usato il giorno in cui aveva osato protestare alla decisione di essere mandata alla Royal St Paul School. All’epoca la bambina era molto legata alla nonna e il signor O’Brien temeva che la singolare personalità di sua madre potesse avere un'influenza poco desiderabile nella sua educazione. Fortunatamente quella volta aveva saputo maneggiare a suo favore la situazione ed era pronto a fare lo stesso se questo signor Stevenson non si fosse rivelato degno di una O'Brien.
- Si, Patty, continua – la incoraggiò.
- Il padre di Tom era un fattore. Ha fatto fortuna con il bestiame, e Tom sta portando avanti la sua impresa – spiegò Patty spiando l’espressione del volto dei genitori – Inoltre Tom non è figlio biologico del signor Stevenson , è stato adottato. È cresciuto nello stesso orfanatrofio di Candy ed Annie fino all’età di otto anni.
- Un fattore! Un fattore adottato di chissà quali oscure origini! – ansimò la signora O’Brien, sconvolta dalle parole della figlia.
- Come hai potuto immischiarti con un uomo di quella risma, Patricia? Ti ha forse dato di volta il cervello? - l'apostrofò il padre, profondamente irritato dalle notizie che aveva appena sentito, ben peggiori di quello che immaginava.
- Padre, Tom non è un criminale! Non mi vergognerò mai di amarlo! – esclamò Patty, stupendosi della sua propria veemenza – Non hai mai avuto niente da ridire sulla mia amicizia con Patty ed Annie, sapendo bene che anche loro sono state adottate.
- È completamente diverso! – gridò il signor O’Brien, ancora più incollerito dalla reazione della figlia – Le tue amiche non dovranno far parte della nostra famiglia. E poi sei stata fidanzata con Alistear Cornwell, un autentico Andrew! È atroce che tu vada a disonorare la sua memoria andandoti a innamorare del primo disgraziato che ti si presenta davanti!

rovpat15a


Le ultime parole del signor O’Brien ebbero l’effetto di far crollare l’ultimo fragilissimo argine che tratteneva il risentimento di Patty verso i genitori. In modo del tutto inconsapevole, in pochi attimi, suo padre aveva costruito un muro tra sé e la figlia. La giovane comprese che la separazione definitiva era inevitabile. Bisognava non avere la minima idea di chi era realmente Patty e di che cosa provava per dire cose talmente dure e ingiuste di tutte e due le persone che lei aveva amato.
- Padre, non sai quel che dici – rispose Patty con gli occhi fiammeggianti - Amo e onoro la memoria di Stear più di quanto tu non possa immaginare, ma se credi che si sentirebbe offeso dal mio amore per Tom, ti sbagli. Stear valeva molto di più di come tu lo conoscevi. Era un uomo buono e sensibile che non ha mai permesso ai pregiudizi di soffocare il suo cuore. Conosceva Tom ed era orgoglioso di essere suo amico. So che Stear sarebbe felice per me e, se mi amassi come lui, saresti felice anche tu.
- Non riconosco mia figlia nella donna che sta parlando – borbottò O’Brien.
- Certo che no, nessuno di voi due – disse Patty scoppiando in lacrime – Non avete mai tentato di conoscermi, di conoscere la vera Patty che c’è in questo cuore! Mi avete allontanata dalla nonna, l’unica persona che mi è stata vicina mentre voi eravate occupati negli affari e negli impegni sociali. Mi avete mandata in quella scuola dove sarei morta di tristezza e solitudine se non fosse stato per una ragazza, la stessa persona che ora guardate con disprezzo perché è orfana, ma che mi ha sempre dimostrato più amore e comprensione di voi due messi assieme.
- Patty, cara! Ma che stai dicendo? - gridò la signora O’Brien, incapace di comprendere le parole della figlia.
- Sto dicendo la verità, madre! La triste verità che dobbiamo affrontare - disse Patty tra i singhiozzi.
- Patricia, non sei in te, non sei lucida - rispose il signor O’Brien con uno sforzo immenso per mantenere la calma – Parlerò domani con questo signor Stevenson e gli dirò che il fidanzamento tra te e lui non esiste più. Poi ci organizzeremo per ritornare in Inghilterra subito dopo l’inverno e troveremo là il marito adatto a te.
Patty capì che il momento cruciale era arrivato. Doveva decidere seduta stante se obbedire a suo padre e voltare le spalle a Tom, o rompere per sempre i rapporti con i genitori.
Nella mente di Patty risuonavano le parole di Tom “Siamo stati soli per così tanto tempo, Patty. Ma ti prometto che non sarà più così. Il nostro amore farà sparire tutti i ricordi tristi, insieme riscriveremo la nostra vita”.
Fece un respiro profondo e una nuova forza prese possesso del suo cuore. Aveva deciso.
- Non tornerò in Inghilterra, padre – replicò Patty asciugando le lacrime con un fazzolettino ricamato – Io … io sposerò Tom a gennaio. Sarete i benvenuti alla cerimonia, se vorrete assistervi – disse agli attoniti genitori.
- Come osi sfidare i miei ordini? – esclamò O'Brien indignato – Tu farai quello che dico io!
- Padre, madre – disse solennemente Patty alzandosi in piedi – vorrei scusarmi per esser stata eccessiva.
- Bene, cara. Mi fa piacere sentirti dire qualcosa di ragionevole finalmente – rispose la signora O’Brien sollevata.
- No, madre. Non è come credi – rispose la giovane – Mi spiace aver perso il controllo in questo modo, ma non mi pento di quel che ho detto, perché è la verità. Ormai sono una persona che voi non potete capire. Pensiamo in modo così diverso che un rapporto è quasi impossibile. Vi rispetto come miei genitori, ma non posso obbedire ai vostri desideri. Vi ricordo che non sono più una bambina. Sono maggiorenne adesso e sono legalmente libera di prendere le mie decisioni.
- Se non mi obbedisci, Patricia, puoi dimenticarti di essere una O’Brien – la minacciò il padre, in un ultimo tentativo di contrastare l’inattesa opposizione della figlia.
- Mi addolora molto che tu dica questo, padre, ma un po’ me l’aspettavo – rispose Patty abbassando la testa – Io non cambierò opinione.
- Allora vattene in questo preciso istante! – sibilò suo padre perdendo tutto il suo tono flemmatico.
- Per favore, mio caro! – lo pregò la signora O’Brien, indecisa se appoggiare la figlia o il marito – Non puoi mettere tua figlia sulla strada!
- Non preoccuparti, madre – disse Patty, guardandola con occhi compassionevoli - Non sarò sola, la nonna mi ospiterà finché non mi sposerò con Tom. Sapevamo già che le cose sarebbero finite così.
- Grandioso! Mia figlia e mia madre che tramano contro di me! Vattene, Patricia, vattene da questa casa. Non voglio più vederti finché campo – disse l’uomo con voce dura.
- Non preoccuparti, padre - rispose Patty con freddezza - Non mi ci vorrà molto per rifare i bagagli.
Con queste ultime parole la giovane lasciò la stanza e si diresse verso la sua camera. Richiuse le valigie che aveva appena cominciato a disfare. Ripiegando i vestiti, pensava che i genitori stavano ancora discutendo animatamente nella sala principale. Nonostante il peso nel cuore, Patty sapeva che lasciarli era la decisione migliore che potesse prendere. Aveva appena ritrovato la felicità perduta. Non se la sarebbe lasciata scappare.

:rosy heart:



Passato il giorno del Ringraziamento, la zia Elroy aveva ordinato al suo esercito di servitori di dare inizio all’importante compito di decorare la signorile dimora degli Andrew per le festività natalizie. Così, vere e proprie orde di ornamenti rossi, verdi e dorati, festoni, stelle di Natale, angeli e altre decorazioni emersero dalle cassepanche che la signora conservava nell'immenso attico della casa, e in ogni stanza e sala le domestiche salivano su scale a pioli per pulire e decorare fino all'ultimo angolo.
Fuori, i giardinieri e qualche decina di altri servitori lavoravano alacremente per sistemare migliaia di lucine bianche sulla facciata della casa. George Johnson stava osservando quel lavoro titanico attraverso la finestra del suo ufficio personale, quando intravide a distanza una grande limousine che imboccava il viale principale che conduceva all'entrata di casa. Quando l’automobile fu sufficientemente vicina, George poté riconoscere lo stemma dei Brighton sul cofano. Un momento dopo l'auto si fermò davanti all'ingresso e una giovane donna dai capelli scuri e setosi uscì dalla portiera.
“Annie Brighton” pensò Johnson “che ci farà qui?”
La giovane fu ricevuta dal maggiordomo che la scortò fino al salone principale, dove rimase sola. In piedi in mezzo all’enorme sala, Annie tormentava nervosamente i merletti dei suoi guanti. Sollevò gli occhi verso l’imponente camino di marmo e il suo guardo fu attratto da uno splendido ritratto dei tre principali eredi del patrimonio degli Andrew: William Albert, Archibald e Candice White. Nonostante l’accesa opposizione della zia Elroy, la decisione di Albert di includere Candy nel ritratto era stata irremovibile, peraltro appoggiata da Archie, sicché l’anziana signora aveva dovuto accettare quel grande ritratto a olio come parte della decorazione ufficiale.

alberarchieycandy1


Annie ammirò una volta di più i brillanti occhi verdi che dal dipinto la fissavano con benevolenza, pensando che l’artista aveva saputo ben catturare sulla tela la dolcezza di Candy. Ma dietro il sorriso splendente che la sua amica trasmetteva dal ritratto, Annie fu colpita da qualcosa che prima non aveva mai notato: una sorta di aria assente, forse malinconica.
“Devi aver sofferto tanto, mia cara Candy. Ma ti prometto che non mi sbaglierò più. Non permetterò a niente e nessuno di turbare la felicità che meriti” pensò.
- Signorina Brighton – la chiamò il maggiordomo, distogliendola dai suoi pensieri – il signor Cornwell è lieto di riceverla. Vuole seguirmi, per favore? – disse in tono affettato.
La giovane seguì il maggiordomo per un lungo tratto attraverso gli eleganti corridoi, fino a una porta bianca che l’uomo aprì per farla entrare nella stanza che Archie usava come ufficio personale. Il giovane era in piedi dietro uno scrittoio di mogano e, quando la ragazza entrò, si fece avanti di alcuni passi per salutarla con un cenno della testa bionda. Stava chinando il viso per baciarle la mano ma Annie, con un rapido gesto che faceva capire che una simile galanteria era fuori luogo tra loro due, si limitò a stringere la mano di Archie.
- Ti starai probabilmente chiedendo come mai sono qui – esordì Annie.
- Beh, a essere sincero si – rispose Archie in tono neutro – ma tu starai sicuramente pensando che sono diventato un cafone. Ti prego, accomodati, Annie – le disse indicando una poltrona di fronte allo scrittoio.
- Non ti porterò via molto tempo, Archie … Archibald – affermò Annie nel modo più freddo che poteva – Ti vengo a parlare a proposito di Candy – aggiunse venendo direttamente al punto.
Archie si sentiva un po’ a disagio nel constatare il cambiamento nell’atteggiamento di Annie che all’improvviso si mostrava tesa e distante, come se la presenza del giovane la infastidisse. Si sentì colpevole di quella trasformazione nella ragazza, solitamente affabile.
- A proposito di Candy? - chiese Archie incuriosito, chiedendosi se Annie fosse consapevole che la loro rottura era avvenuta proprio a causa della sua migliore amica, e fosse lì per rinfacciarglielo.
- Si. Immagino che tu abbia saputo del suo matrimonio in Francia – disse Annie, senza poter evitare di cogliere un’ombra di inquietudine immediatamente apparsa sul volto di Archie e che le fece capire che l’argomento non era gradito al giovane. Eppure non poteva evitarlo.
- È così – si limitò a rispondere lui.
- Allora capirai anche che, poiché la guerra è finita, Candy e Terence torneranno presto in America – continuò la giovane, mentre il suo interlocutore non capiva dove voleva arrivare.
- È probabile – ammise freddamente Archie, tamburellando leggermente la superficie liscia dello scrittoio.
- Bene – continuò Annie soffocando un sospiro che Archie poté appena percepire – Voglio che tutto sia perfetto per Candy quando tornerà. Lei e Terry non hanno nemmeno avuto una luna di miele e quando arriveranno non vorrei vedere Candy ricominciare a preoccuparsi per noi invece di godersi la nuova vita con suo marito. Lei si è sempre occupata di noi e quindi ha diritto di avere del tempo per se stessa.
- E cosa suggerisci per fare in modo che Candy e suo … il suo famoso marito siano felici per sempre? – insinuò Archie, non senza un filo d’ironia nella voce. Annie se ne accorse e dovette fare un grande sforzo per rispondere.
- Beh, stavo pensando … - si decise a dire dopo qualche istante - … che dovremmo evitare a Candy di farle sapere della nostra separazione. Almeno per un po’ di tempo.
- E cosa otterremo a nascondere la verità? – chiese Archie, infastidito da quella richiesta. - Vedo che l’idea di mentire non ti piace – rispose la giovane trattenendo a stento le lacrime – ma non è per me che ti chiedo di far questo, ma per Candy. Lo sai che ci vuole bene e che sperava con tutto il suo cuore che …
- Ci sposassimo – Archie finì la frase per lei.
- Si - continuò la brunetta raccogliendo tutte le sue forze per portare a termine quello che si era prefissa - e proprio perché tiene molto a noi si rattristerà moltissimo per questa situazione. Vorrei che fingessimo che tutto vada bene ...
- E quanto dovrebbe durare questa commedia? – chiese seccamente Archie.
- Non molto. Dammi solo un mese perché Candy e Terry possano cominciare la nuova vita e perché io sistemi tutto per il mio viaggio in Italia.
- Non credo che un viaggio di piacere in Italia sia la cosa migliore, adesso che la guerra è appena terminata. Quel paese è in mezzo al caos, ci hai pensato? – indagò Archie, incuriosito dalle ultime parole di Annie al punto da distogliere per la prima volta i pensieri dal suo rancore verso Terry.
- Non sarà un viaggio di piacere – disse Annie sollevando il capo mentre una trepida fiamma ardeva dentro di lei – Vado in Italia per studiare. Probabilmente ci resterò molto tempo.
- Capisco – disse solamente Archie, piuttosto sorpreso.
Quando Candy saprà della nostra rottura voglio che veda che entrambi stiamo bene e che abbiamo i nostri progetti. Tu sarai preso dagli affari e io sarò molto occupata in Europa – Annie esitò un attimo, poi riunì ancora le sue forze – Per favore, Archibald, pensa che non è per me ... né per Terry … fallo per Candy.
Il giovane guardò Annie stupito. In quel momento era chiaro che la ragazza vedeva nel suo cuore come se fosse stato di cristallo. Sapeva tutto. Sospirò con gli occhi rivolti verso il basso e finalmente le rispose.
- D’accordo, Annie – acconsentì – Faremo come vuoi tu ... per amore di Candy.
- Allora accetti? … Bene – rispose la giovane, incredula per averlo convinto tanto facilmente - Questo è un accordo -aggiunse alzandosi in piedi e porgendogli la mano con un gesto deciso.
- Un accordo … si, direi che abbiamo un accordo … sta bene – rispose Archie stringendo la mano della ragazza, sempre più disorientato dal suo atteggiamento.
- Ci sono ancora dei dettagli che dobbiamo definire – aggiunse Annie andando verso la porta, seguita dal giovane – però , se non ti dispiace, te li farò sapere attraverso Albert, a tempo debito.
- Così hai coinvolto anche Albert in questa storia!
- È sempre stato un grande appoggio per Candy – rispose Annie con uno sguardo penetrante – come io e te non abbiamo mai saputo esserlo. Non vedo perché avrebbe dovuto rifiutarmi il suo aiuto, se è per il bene di Candy. Infatti ha accettato immediatamente. Buona sera, Archibald, e grazie ancora per la tua collaborazione – finì con voce decisa.
- Permetti che chieda al maggiordomo di accompagnarti – fece Archie, incerto su come reagire alle ultime parole di Annie.
- No grazie, conosco già la strada – disse finalmente la giovane dandogli le spalle e allontanandosi nel corridoio. Lasciò dietro di sé un uomo che a stento riconosceva la ragazzina timida che aveva incontrato nei suoi anni di pubertà.
“Sei cambiata, Annie … Siamo cambiati tutti, credo che tra non molto non saremo in grado di riconoscerci gli uni e gli altri …” pensò Archie sospirando profondamente.
Annie Brighton salì sulla limousine. Mentre l’auto si allontanava volse lo sguardo indietro per guardare a distanza l’immensa proprietà.
“Allora non mi sbagliavo” pensò con tristezza, dando finalmente libero sfogo alle lacrime, “non hai mai dimenticato Candy e adesso, mio caro Archie, stai soffrendo. Non devi provare risentimento verso Terry, non possiamo incolpare nessuno dei nostri sentimenti frustrati e dei nostri amori non corrisposti. Nessuno di noi aveva stabilito che le cose andassero in questo modo”.

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Continuò a piangere in silenzio lungo la strada verso casa, chiedendosi quando il fiume di lacrime che versava per Archibald Cornwell si sarebbe finalmente arrestato.

:heart of rose:



Era una mattina fredda e tranquilla sul finire di novembre. Lo spirito natalizio era già nell’aria e la gente era molto presa dalla decorazione delle case per le festività. Il giovane osservò i giardini ancora verdi e ben curati, i portici decorati di festoni, le luci nei cornicioni, nei davanzali e nei tetti. Lo scenario era la raffigurazione perfetta del tradizionale Natale americano. Era un sogno sentirsi di nuovo a casa respirando la nota fragranza di Long Island. L’auto proseguì lungo una tranquilla area residenziale finché, a distanza, distinse la casa verso la quale era diretto.
Si fermarono di fronte a un’elegante residenza vittoriana che con le sue linee sobrie dominava il quartiere. Il giovane uscì dall’auto e, pagato il conducente del taxi, andò a passi decisi verso l'ingresso.
Felicity Parker stava controllando la spesa che un fattorino aveva appena consegnato. In tutti gli anni in cui aveva lavorato come governante, la donna non aveva mai perso un centesimo o venuta meno a una sola delle sue responsabilità. In casa c’erano cinque persone di servizio, oltre a un giardiniere e a un autista, e tutti, sotto la sua guida cortese ma efficiente, facevano un ottimo lavoro. Felicity ne era orgogliosa.
Mentre saggiava la qualità delle mele con mani esperte, il campanello della porta principale squillò. Guardò l’orologio della cucina e si chiese chi poteva presentarsi a un’ora tanto sconveniente. Erano le undici del mattino e la padrona di casa non riceveva mai prima di pranzo.
- Vado a vedere chi è – disse la cameriera che stava aiutando Felicity con la spesa.
- No, mia cara – rispose la donna più anziana – lascia fare a me. Dev’essere un giornalista principiante che crede di poter ottenere un’intervista su due piedi. Ci penso io a rimetterlo al suo posto - e così dicendo Felicity lasciò il grembiule sulla sedia e, sistemandosi i capelli, si diresse verso l'ingresso attraverso la sala da pranzo e il soggiorno.
La donna si trovò di fronte un giovane che non era esattamente quello che si aspettava. Era vestito dell'uniforme verde della Fanteria degli Stati Uniti, dimostrava poco più di una ventina d'anni, aveva i capelli castani e gli occhi blu che la squadravano con un’espressione impertinente. Felicity non poté trattenere un grido di sorpresa e poco ci mancò che perdesse i sensi.
- Santo Cielo! – gridò – Sto sognando! Figliolo! Non posso credere che sei qui! – e quasi piangendo gli gettò le braccia al collo – Sono così felice di vederti sano e salvo!
- Anche a me fa molto piacere rivederti, Felicity – rispose il giovane abbracciando la sua bambinaia di un tempo.
- Oh mio Dio, oh mio Dio! – ansimava la donna senza fiato - Quando sei arrivato? Stai bene? Abbiamo saputo che sei stato ferito! Avresti dovuto avvertirci per tempo del tuo arrivo! A tua madre prenderà un colpo per la sorpresa! – disse Felicity facendosi vento con una mano.
- È quel che vedremo – rispose il giovane sorridendo al parlare convulso della donna – Ma non pensi che sarebbe meglio invitarmi a entrare? È un po’ freddo qua fuori, non ti pare? – aggiunse strizzando l'occhio alla donna che immediatamente lo fece entrare.
- Che succede Felicity? Cos’hai da gridare così? – chiese una voce femminile proveniente dallo studio. Un secondo dopo apparve una donna in vestaglia nera, con un libro in mano.
Eleanor Baker lasciò cadere il libro a terra e portò la mano alla bocca, incapace di proferire alcun suono. Gli occhi iridescenti si riempirono di lacrime, mentre contemplavano in silenzio la figura di Terence in piedi di fronte a lei, in mezzo alla sala, nello stesso punto in cui lo aveva visto l’ultima volta due anni prima.
- Madre – disse Terry con voce tremante – Sono tornato! – fu tutto quello che riuscì a dire, mentre sua madre gli tendeva le braccia.
- Figlio mio! Figlio mio! Terry, bambino mio! – gridò Eleanor abbracciandolo e ringraziando Dio per averle ricondotto a casa il figlio. Le sue notti insonni erano terminate.
- Mi perdoni per averti causato tanto dolore? – chiese il giovane mentre sua madre piangeva ancora tra le sue braccia.
- La gioia di questo giorno mi ripaga di tutte le lacrime che ho versato, Terry – rispose l’attrice, consapevole di pronunciare le migliori battute della sua vita.
Fu un giorno di festa in casa Baker e Felicity Parker, per la prima volta nella sua carriera di governante, non si preoccupò delle provviste che rimasero dimenticate in cucina. La brava donna era talmente emozionata per gli avvenimenti che decise di lasciare le incombenze nelle mani della cuoca, mentre lei prendeva delle pillole per calmare la tachicardia accelerata. Dopotutto, non era più giovane come un tempo.

:rosy heart:



Una brezza leggera spirava sulla città quando Candice White fece ritorno a Parigi. Per puro caso la carrozza in cui viaggiava la portò lungo Boulevard Saint Michel, facendole rivivere il pomeriggio che aveva passato con Terry. Ancora una volta contò i giorni che mancavano al viaggio verso l'Inghilterra e di seguito a New York. Se fosse riuscita a prendere la nave a Liverpool, come aveva programmato, sarebbe stata a casa per il sette dicembre! L'attesa di quel giorno era estenuante.
Appena la guerra era finita aveva fatto richiesta di congedo dall’esercito, ma la risposta tardava molto ad arrivare. Quando aveva ormai perso le speranze e cominciava a rassegnarsi a passare le festività in Francia, ricevette l'autorizzazione a tornare a casa. Tra le lacrime che le inondavano il viso, la giovane aveva letto decine di volte quelle brevi righe con cui il governo del suo paese la ringraziava per l’ottimo servizio, senza riuscire a capire niente ad eccezione che presto avrebbe festeggiato il Natale accanto alle persone che amava, come aveva loro promesso l’anno precedente.
Candy tentò di memorizzare ogni punto della città lungo il percorso verso l’ospedale Saint Jacques. Il Quartiere Latino, la Senna, Montmartre, i ponti di pietra, i Campi Elisei, la Piazza della Concordia, il Giardino di Lussemburgo, ogni luogo le sarebbe rimasto per sempre indelebile nella memoria. L’anno e mezzo che aveva passato in Francia non era stato per niente facile, ma non poteva lamentarsi. Dio l’aveva benedetta in molti modi in quel periodo.
Qualche momento dopo la carrozza giunse al parco vicino all'ospedale e Candy capì di essere ormai arrivata. Non le era mai piaciuto dire addio agli amici, ma sapeva di non avere scelta. La giovane si trattenne di fronte al vecchio edificio, chiamò a raccolta tutte le forze di cui aveva bisogno ed entrò.
Per la gioia di rivedere l’amica, Flanny e Julienne sul principio erano quasi incapaci di proferire parola, ma non ne ebbero bisogno perché Candy era talmente eccitata da non permetter loro di dire niente per un bel po', parlando concitatamente e ridendo come un’allodola a primavera. Raccontò dei suoi ultimi giorni al Fronte, le esperienze che aveva vissuto e quanto le erano mancati tutti i colleghi dell’ospedale e, poiché l’entusiasmo della bionda sembrava non esaurirsi mai, le due giovani brune finirono col sedersi, sopraffatte da quell’implacabile valanga di sorrisi ed energie.
Nonostante tutto Julienne riuscì a informare Candy che suo marito Gérard era stato congedato a causa di una ferita dalla quale si stava curando in un ospedale in Lorena: stava appunto aspettando di ricevere le sue dimissioni definitive per poterlo raggiungere in quella regione. Candy non poté fare a meno di notare che il viso dell’amica si era fatto ancor più giovane e raggiante. Il velo di tristezza che le copriva il viso nel tempo in cui l'aveva frequentata era scomparso per rivelare la vera Julienne, quella che non doveva temere ogni minuto per la vita dell'uomo che amava. Candy l’ammirava ancora di più, sapendo per esperienza come ci si sentiva ad avere una persona amata al Fronte: lei aveva sopportato questa situazione per qualche mese, ma Julienne per lunghi anni.
- Sono così felice per te, Julienne – le disse sorridendo – Adesso potrai tornare a pensare di adottare un bambino. Promettimi che lo farai.
- Certo che lo farò – rispose Julienne ricambiando il sorriso – La prossima volta che verrai in Francia sarai la benvenuta in casa Bousennières e sicuramente conoscerai nostro figlio o nostra figlia.
- Puoi starne certa – rispose Candy, poi si rivolse a Flanny e le chiese dei suoi progetti per il futuro.
- Sai Candy, ho pensato molto all’idea di tornare a Chicago - rispose la bruna dubbiosa - e anche se desidero davvero rivedere la mia famiglia, è passato così tanto tempo dall’ultima volta che li ho visti che non sono tanto sicura che vivere di nuovo con loro sia la cosa migliore, e poi ...
- E poi cosa? – chiese Candy insinuante, notando una luce completamente nuova negli occhi scuri di Flanny.
- Flanny intende dire che ha un nuovo amico e che non è molto sicura di voler lasciare la Francia tanto presto – spiegò Julienne cercando di dar voce ai sentimenti di Flanny.
Candy rivolse alle due un’occhiata interrogativa. Ma il rossore sulle guance di Flanny e l’espressione maliziosa degli occhi di Julienne le fecero capire subito cosa intendevano.
- Non è quello che stai pensando, Candy! - si affrettò a chiarire Flanny nel rendersi conto che la mente romantica di Candy stava già correndo – Stiamo diventando buoni amici, è tutto qui.
- Stiamo chi, tu e Yves? – trillò Candy – È questo che vuoi dire?
- Beh, si – balbettò Flanny – è tornato all’ospedale, ma stavolta come paziente.
- È stato ferito? – chiese Candy subito preoccupata.
- Si, non gli andata bene giù al Fronte. Una pallottola gli ha sfiorato la gamba ed è temporaneamente accecato a causa di una bomba all'iprite, ma ce la farà - spiegò Julienne - Da quando è arrivato, la nostra amica qui presente lo ha assistito molto bene.
- Santo Cielo, ragazza mia! – esclamò Candy ispirata – Questo è quello che io chiamo il destino!
- Candy! – sbuffò Flanny – Non esagerare. Te l’ho detto, siamo solo amici.
- Va bene, va bene – rispose Candy sospirando – Il tempo dirà l’ultima parola - ma dentro di sé sperava con tutto il cuore che la vita potesse infine ricompensare Flanny di tutte le pene passate.
Le amiche le domandarono se desiderava salutare Yves, ma Candy rifiutò, pensando che era ancora troppo presto per rivedersi. Era meglio lasciare che prima le ferite interiori del giovane guarissero completamente.
Candy fu anche informata della visita di Terry a Parigi e provò un’immensa delusione nel rendersi conto che avrebbero potuto fare il viaggio di ritorno in America insieme, se solo avesse ricevuto la lettera di congedo prima. Si rassegnò all’idea che quello era stato uno dei tanti incontri mancati che il destino aveva fatto loro subire innumerevoli volte in passato. Cercò comunque di essere ottimista, pensando che avevano ancora tutta una vita da condividere.
Più tardi, dopo aver conversato per un paio d’ore, Candy si rese conto che doveva ripartire subito se non voleva perdere il treno. La giovane guardò le due care amiche con cui aveva condiviso quasi due anni di momenti belli e brutti, pieni di lacrime, risa, pericoli, gioie e sofferenze. Non sapeva quando le avrebbe riviste, forse dopo molti anni, forse mai più. Quest’ultima possibilità le pesava nel cuore come un macigno, perché l'addio a un amico lascia un vuoto enorme nell'anima che non può essere colmato dall’arrivo di qualcun altro.
Tuttavia Candy aveva ormai imparato che partenze e addii sono una parte della vita umana che non si può evitare, e con questa convinzione abbracciò nuovamente le amiche. Le tre donne piansero stringendosi in un triplice abbraccio, e Flanny non riuscì a trattenere la commozione nel ringraziare più volte Candy per il suo affetto ostinato che aveva finito per conquistare l’amicizia della fredda bruna, nonostante la sua resistenza. Candy, a sua volta commossa fino in fondo all’anima,augurò tutto il meglio alle amiche per gli anni a venire e alla fine lasciò l’ospedale Saint Jacques a passi lenti attraverso i lunghi corridoi antichi. Passando per il giardino interno i suoi occhi furono attratti dal miracolo di un minuscolo fiorellino che ancora resisteva alle raffiche fredde dell'autunno. Candy lo raccolse e lo racchiuse all'interno del suo libretto di preghiere, come ricordo del paese in cui le sue pene avevano avuto fine, aveva incontrato nuovi amici e ritrovato le speranze perdute e il vero amore.
Volle anche andare a trovare padre Graubner, ma il brav'uomo era stato inviato a Lione per farsi carico di una chiesa. Così non lo poté rivedere un'ultima volta, ma pensò che forse era meglio così, sarebbe stato molto difficile dire addio a un uomo cui sentiva di dovere molto.
Finalmente, il primo dicembre, Candy si trovava a Liverpool in attesa della nave che l’avrebbe riportata a New York.

:heart of rose:



George Johnson era in piedi accanto al suo capo, mentre Albert firmava un numero interminabile di documenti. La penna scorreva su ogni pagina a ritmo sostenuto, mentre Albert lanciava di tanto in tanto un’occhiata impaziente al grande orologio del vasto ufficio. In quel momento George ricordò quando, vent’anni prima, il padre di Albert lo aveva fatto entrare per la prima volta in quello studio, per cominciare a istruirlo e a introdurlo, come suo giovane protetto, nel complesso mondo degli affari e degli investimenti. William Andrew, uomo buono e degno, si era sempre dedicato con grande dedizione alle sue imprese, che amministrava secondo i più rigorosi principi morali. Quell’uomo, che mai avrebbe guardato l’orologio nelle lunghe ore in ufficio, nutriva una profonda passione per il suo lavoro, della quale George era stato contagiato.
Albert firmò l’ultimo di quei fogli e, reclinandosi sullo schienale della sedia, si stirò in tutta la sua lunghezza. Poi si rivolse al suo assistente con uno sguardo in cui si leggeva una domanda che George afferrò al volo.
- Si, signore – disse assentendo con la sua testa nera come la notte, appena striata di qualche filo argentato – Gli azionisti arriveranno tra pochi minuti.
- Sai George – commentò il giovane – stavo pensando che sei sempre stato per me un aiuto fondamentale in questo enorme compito, ma non hai mai espresso un’opinione sulle decisioni che ho preso.
- Lei non me le ha mai chieste, signor Andrew – rispose semplicemente l’uomo.
- Allora lo faccio adesso - rispose Albert - Credi che abbia preso la decisione giusta?
Sull’impassibile volto di George comparve un fugace sorriso. L’uomo si sedette di fronte ad Albert e finalmente parlò.
- Sa signore, ho lavorato con suo padre fin dalla gioventù e in tutto quel tempo ho avuto il privilegio di osservarlo mentre stipulava contratti e studiava nuovi modi per curare al meglio gli affari familiari che, a sua volta, aveva ereditato da suo padre. L’ho sempre visto pieno di energia a ed entusiasmo. Amava il suo lavoro e ha goduto di ogni minuto che passava in quest’ufficio, fino all’ultimo. Al contrario, quando vedo lei lavorare, nonostante le indubitabili capacità che dimostra negli affari, posso affermare con certezza che non si gode il lavoro, ma lo subisce come fosse un castigo. Mi sbaglio, signore? – chiese guardando Albert direttamente negli occhi azzurri.
- Dici il giusto, George – rispose il giovane soffocando una risata.
- Allora signore, non deve aver dubbi. Il signor Cornwell farà un ottimo lavoro, lui è come suo nonno.
Albert sorrise. Si sentiva meglio nel sapere che quell’uomo prudente, che era stato una specie di fratello maggiore per lui, approvava le sue decisioni.
- Credo che ormai sia ora – disse Albert alzandosi – Affrontiamoli.

rovalb15a


E con quest’ultima risoluzione i due uomini lasciarono l’ufficio e si diressero verso la sala riunioni per presenziare all'assemblea degli azionisti che Albert aveva convocato.
Nella sala tutti li stavano aspettando, inclusa la signora Elroy che scrutava il nipote con aria inquisitiva, chiedendosi cosa ci fosse in ballo di così importante per convocare i soci.
William Albert sedette al suo posto e, con voce calma, fornì una dettagliata relazione sullo stato delle imprese Andrew. Per più di un’ora il giovane parlò dei cambiamenti che aveva apportato nella compagnia da quando aveva assunto la direzione tre anni prima. Spiegò gli ultimi movimenti e le nuove acquisizioni, non mancò infine di aggiungere un rapporto prospettico sul futuro della compagnia nei successivi cinque anni. Terminato il discorso fece una breve pausa e, dopo aver bevuto un sorso d’acqua, fece un importante annuncio.
- Nell’ultimo anno ho lavorato con mio nipote Archibald Cornwell – iniziò con lo sguardo rivolto ad Archie, seduto alla sua sinistra – che ha ormai acquisito una completa dimestichezza con gli affari della compagnia. Conoscendo le sue capacità, ed essendo terzo in linea di successione – come sapete la signorina Candice Andrew, seconda in linea, non è interessata alle imprese – ho deciso di cedergli la carica di Presidente.
La signora Elroy fece per aprire la bocca, ma non riuscì a proferire nulla. Albert continuò il suo discorso spiegando agli azionisti che la decisione di affidare gli affari della famiglia ad Archibald era motivata dal fatto che lui stesso sarebbe stato in viaggio per lungo tempo.
Albert aveva portato Archie con sé a ogni riunione, evento sociale e transazione importante a cui aveva dovuto presenziare nel corso dell’anno, di conseguenza ogni uomo presente nella sala conosceva il giovane milionario che aveva già dimostrato in più di un'occasione doti di acume e intelligenza negli affari. L'abdicazione di Albert fu quindi accolta con favore e senza alcuna obiezione, anzi non mancavano quelli che ritenevano lo stile più aggressivo del giovane Cornwell più confacente agli interessi della compagnia.
Quando l'assemblea terminò, gli azionisti si alzarono per congratularsi con Archie. Solo la signora Elroy rimase in silenzio fissando il nipote e il pronipote con freddezza.
- Voglio scambiare due parole con te in privato, William – disse l’anziana alzandosi a lasciando la sala con atteggiamento altero e passi lenti e gravi – Ti aspetto nell’ufficio di tuo padre.
Albert impiegò qualche altro minuto a salutare uno a uno gli altri membri dell’assemblea, poi lasciò Archie e George nella sala. Sapeva che era arrivato il momento di affrontare la potente zia. Con passo lento ma deciso il giovane si avviò verso l’ufficio, cercando di mantenersi concentrato sull'obiettivo che sognava da molto tempo.
- Puoi dirmi per favore come ti è venuta in mente questa decisione dissennata, William? – chiese la donna nel momento in cui Albert entrava nello studio – Mi rifiuto di credere che intendi lasciare Archie solo, voltando le spalle alla tua famiglia in modo tanto irresponsabile – lo redarguì con durezza.
- Siediti zia - la supplicò Albert mentre a sua volta prendeva posto in un sofà – So bene che la cosa ti infastidisce, e forse hai ragione a sentirti così, dal momento che non ti ho avvisata di quel che stavo per fare.
- Non sono infastidita, William, sono profondamente ferita dal tuo comportamento! - gemette l’anziana.
- Lo so, e ti porgo le mie scuse, ma penso che questa è la cosa migliore che io possa fare – continuò Albert con voce convinta.
- Te lo dico io qual è la cosa migliore, ragazzo testardo – gridò la donna incollerita – Farai meglio a dimenticare questa stupida idea di viaggiare e a concentrarti negli affari, trovare una donna meritevole, fare un matrimonio rispettabile e trovare anche un marito per quella tua pupilla prima che vada a disonorare la famiglia sposando uno senza arte né parte!
- Hai pianificato tutto, vero zia? – chiese Albert cominciando a perdere la pazienza – Ma temo che i miei piani non coincideranno mai con i tuoi. Mi spiace, ma non vivrò la mia vita nel modo che tu desideri.
- Ah William, non sai quanto dolore mi causano le tue parole! – gridò la zia portandosi una mano al petto - Tu e quella ragazza funesta finirete con l'ammazzarmi uno di questi giorni!
L'attenzione di Albert fu catturata dall'improvviso pallore della donna e non poté evitare di sbalordirsi una volta di più davanti a tali abilità istrioniche. Sfortunatamente per la signora Elroy, il nipote aveva già assistito in precedenza alle sue recite.
- Zia, per favore, ascoltami – disse Albert nel suo tono più dolce e cercando di conservare gli ultimi residui di pazienza – so che l’onore e l’orgoglio della famiglia sono molto importanti per te e che ti senti minacciata quando qualcuno sembra non conformarsi alle tue idee preconcette di condotta e onorabilità. Mi spiace moltissimo non poter soddisfare le tue aspettative, ma essere un uomo d’affari non è nella mia natura.
- Tuo padre e tuo nonno sono stati eccezionali negli affari! – insistette la donna – Devi continuare la tradizione e mantenere il patrimonio familiare!
- Non “devo” farlo, zia – rispose Albert, difendendo con veemenza la sua posizione - Ho fatto del mio meglio per adattarmi e tutto quello che ho ottenuto è stata la mia infelicità. Credimi, dopo aver provato con tutte le mie forze per tre anni, quasi quattro, posso dire di aver solo ingannato me stesso.
- Ma hai fatto tutto così bene finora - disse la Elroy, ancora riluttante ad accettare la realtà.
- Forse, ma non mi fa sentire felice e completo! – disse il giovane, sempre più convinto delle sue parole – La compagnia e gli affari andavano bene per mio padre, ma non per me. Non posso continuare così, mentendo a me stesso e a tutti quanti. Ho già venticinque anni, zia, devo trovare la mia strada, o piuttosto ritrovarla, perché l’avevo scoperta sette anni fa. Ma avevo rinunciato ai miei sogni per amor tuo. Ormai è tempo che cominci a pensare a me.
- È tutta colpa di quell’orfana! – disse la Elroy tra i singhiozzi, con voce colma di frustrazione e risentimento – Da quando è comparsa lei, la mia famiglia non ha conosciuto che la tragedia!
- Questo non è vero! – esclamò Albert – Al contrario, è stata la migliore amica che abbia mai avuto! L’unica che abbia saputo capire il mio modo di essere! L’unica a rischiare la sua reputazione per aiutarmi quando soffrivo di amnesia! E se tu potessi comprendere i miei sentimenti come lo fa lei, adesso saresti contenta per me invece di far di tutto per farmi sentire in colpa!
- Non l’accetterò mai come membro della famiglia! La ritengo responsabile di aver messo tutti i miei nipoti contro di me! – sibilò la donna con acredine.
Albert rimase in silenzio per alcuni secondi, fissando sua zia con dolore e delusione.
- Fai come credi, zia – rispose in tono inespressivo – Candy non ha mai avuto bisogno di noi per andare avanti, specialmente adesso che … - si fermò pensando che non era il momento di dare alla zia notizie troppo scioccanti per lei – Spero che in futuro tu non abbia da rimpiangere le parole che hai appena detto, ma ti avverto, se vuoi conservare il mio affetto e quello di Archie, non fare niente contro Candy! Non te lo perdoneremmo mai!
- Ah, mio Dio – proruppe la Elroy – credo che il mio cuore non reggerà ancora!
- Non preoccuparti, zia – replicò freddamente Albert – dico alla mia segretaria di chiamarti subito un medico. Il giovane andò verso la porta, ma a metà strada si fermò e si rivolse nuovamente all'anziana.
- A proposito, per ora mi trasferisco a Lakewood, finché non partirò per l'Europa il prossimo febbraio - disse - Per favore, non far conto su di me per le prossime festività natalizie.
Con queste ultime parole Albert uscì dall'ufficio lasciando la zia Elroy in preda alla più furiosa ira che avesse mai sofferto in tanti anni.

CAPITOLO XV
Fine parte 1



Edited by *Kiar@* - 1/9/2012, 23:00
 
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view post Posted on 31/8/2012, 19:57     +2   +1   -1
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Grazie Kiara! :giusy: :giusy: :giusy:
 
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Grazie Kiar@ per la serietà e l'impegno con cui cadenzialmente ci aggiorni con questa meravigliosa storia attraverso la tua impeccabile traduzione,sei semplicemente impagabile....per te cara

fiori_stw-378

 
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Meidou
view post Posted on 1/9/2012, 10:04     +1   -1




Grazie!!!!! ♥
 
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:rose rosa: Grazie Kiar@..... Grazie veramente!
 
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Cara Kiar@ sei instancabile.

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Sei stupenda piccola Kiara! Grazie :giusy: :giusy: :giusy:
 
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