Capitolo 11
La Stagione dei Narcisi
Riccardo Plantageneto, Duca di Gloucester, era nato deforme e storpio. La sua gibbosità e la sua zoppia erano disgustose, ma i suoi modi seducenti contraffacevano l’effetto della sua deformità. Il suo cuore, subdolo e spietato, era abile nel mascherare l’intento di perseguire i suoi malvagi scopi. Non appena entrato in scena con la sua andatura zoppicante, si era rivolto al pubblico ammettendo apertamente di essere stato
"frodato nei lineamenti dalla natura ingannatrice" e di essere
"deforme, incompiuto, spedito prima del tempo in questo mondo che respira, finito a metà". Dopo aver debitamente riconosciuto la bruttezza del proprio essere, aveva così concluso:
"Perciò non potendo fare l’amante, per occupare questi giorni belli ed eloquenti, sono deciso a dimostrarmi una canaglia".
Aveva sfacciatamente confessato i suoi piani criminali, rendendo gli spettatori suoi complici, per poi voltarsi ed interagire con gli altri personaggi, mostrandosi ai loro occhi come un uomo dalle irreprensibili intenzioni. Dunque, per tutto il primo Atto, Terence aveva sedotto gli spettatori con una versione sorprendentemente matura di un cinico Riccardo III, così malvagiamente affascinante come era chiaramente nelle intenzioni del Bardo.
Robert Hathaway non recitava quella sera. Aveva concentrato tutti i propri sforzi nella regia dello spettacolo e – durante la presentazione – si era concesso il lusso di godersi il suo svolgimento unitamente alla reazioni del pubblico. Dopo il monologo iniziale, ebbe la certezza che il giorno dopo avrebbero fatto notizia nella sezione spettacolo di tutti i giornali. In trent’anni di carriera, non aveva mai assistito ad un’interpretazione così magistrale.
Nell’assegnare un ruolo talmente complesso ad un attore che non aveva ancora compiuto trent’anni, Robert Hathaway aveva corso un grande rischio. Eppure, ne era valsa assolutamente la pena. Nessun critico quella sera avrebbe potuto commentare l’interpretazione di Terence in toni meno che lusinghieri. Da quel momento in poi, anche i più maturi attori di Broadway si sarebbero sentiti legittimamente minacciati dallo strepitoso talento di Graham, giunto al suo apice malgrado la giovane età.
A giudicare dai volti totalmente affascinati che si osservavano in sala, il pubblico ne fu egualmente sedotto. In quel momento, Hathaway pensò che la sua decisione di ritirarsi dalle scene fosse giunta al momento giusto. L’allievo aveva superato il maestro. Tuttavia, lungi dall’esserne geloso, Hathaway si sentì pervadere da una sorta di orgoglio paterno, che gli diede grande soddisfazione.
Nel primo palco c’erano altri occhi che seguivano lo spettacolo con il cuore in tumulto. Conoscendo la parte quasi a memoria, a forza di ascoltare Terence mentre provava, Candy riuscì a malapena a contenere la propria ammirazione. L’uomo sul palcoscenico era talmente diverso da suo marito che riusciva a stento a credere che potesse trattarsi della stessa persona.
Riccardo zoppicò grottescamente sulla via della perdizione, cadendo sempre più in basso, finché il pubblico non poté far altro che odiarlo. Tuttavia, dopo la grande battaglia, quando Riccardo gridò disperatamente
"Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!" prima di essere sconfitto e ucciso dal Conte di Richmond, apparve chiaro che quello stesso pubblico che aveva odiato Riccardo, desiderava ora acclamare Graham per la sua eccelsa interpretazione.
Come era prevedibile, l’applauso fu lunghissimo. Sotto la pioggia di fiori e “bravo” che ne seguirono, Candy riuscì finalmente a scorgere il vero volto di suo marito, austero come sempre, dietro la sua caratterizzazione del malvagio sovrano. Quando giunse il momento dell’ultimo inchino davanti al suo pubblico, che salutò con la mano, Terence raccolse una delle rose che tappezzavano il palcoscenico e la lanciò a sua moglie, proprio un attimo prima che calasse il sipario.
Sapendo che quello era il segnale per lei, Candy prese il fiore e la sua pochette e si affrettò a lasciare il palco. Fuori trovò Roberto Barbera che la aspettava. Aveva ordini di scortare la signora nei camerini e subito dopo preparare l’auto per lasciare il teatro. Tuttavia, mentre percorrevano il corridoio, una voce chiamò Candy usando il suo nome da ragazza.
"Candice White Andrew!" esclamò una voce femminile dietro di lei, costringendo Candy a voltarsi.
Un attimo dopo, lo sguardo della giovane si posò sulla stanca figura di una donna, fasciata in un abito nero, che lì per lì non riconobbe.
"Posso esserLe utile, signora?" rispose Candy, facendo un cenno a Roberto per lasciargli intendere che desiderava parlare con la donna. Quell’intoppo causò una certa inquietudine nell’autista. Il suo capo gli aveva dato precise istruzioni di non permettere a sconosciuti di avvicinarsi a sua moglie all’uscita del palco a lei riservato. Tuttavia, Roberto attese come ordinatogli dalla giovane.
"O dovrei dire Candice Graham?" chiese la donna con un pizzico di ironia nella voce, mentre le si avvicinava.
"Proprio così, signora, il mio nome è Candice Graham adesso. Cosa posso fare per Lei?" le chiese nuovamente Candy.
"Non si ricorda di me?" domandò la donna socchiudendo gli occhi, per poi aggiungere, come se ci avesse riflettuto meglio: "Ovviamente no. Devo essere cambiata parecchio negli anni, specialmente negli ultimi due".
Candy si sforzò di scorgere qualcosa di familiare nel volto della donna. I capelli erano ormai grigi, ma probabilmente erano stati di un castano chiaro una volta. Gli occhi blu avevano un bagliore tagliente, quasi bisbetico. Eppure, i suoi lineamenti erano classici e ben marcati. Candy pensò che dovesse essere stata molto bella da giovane. Improvvisamente, come folgorata, Candy riconobbe la donna che aveva davanti a sé.
"Signora Marlowe?" chiese, non senza esitazione.
All'accenno di quel nome, Roberto trasalì quasi impercettibilmente. Gettò una seconda occhiata alla donna e, non senza difficoltà, riconobbe finalmente la madre dell’ex fidanzata del suo capo. Era terribilmente invecchiata.
"Sì, sono proprio io, ragazza mia. Mi dispiace avvicinarLa in questo modo, in una splendida serata come sarà sicuramente questa per Lei in quanto
sua moglie, ma non avevo altro modo di contattarLa. Terence è stato molto attento a non farmi avere il suo nuovo indirizzo".
"Non si preoccupi, Signora Marlowe", rispose Candy sforzandosi di essere cortese. Tuttavia, non avendo molto tempo, le disse: "sono certa comprenderà che sono alquanto di fretta adesso, ma se desidera parlarmi possiamo organizzare un incontro e magari prendere un the insieme uno di questi giorni. Che ne dice?"
"Non sarà necessario. Ci metterò solo un minuto", rispose la donna, tirando fuori un pacchetto dalla sua borsa. "Volevo solo darLe questo".
La Signora Marlowe le tese il pacchetto avvolto in una carta marrone e legato con un nastro rosa ormai ingiallito.
"Questo? Cosa. . . .?" balbettò Candy, confusa.
"È una cosa che Le ha lasciato mia figlia Susanna prima…prima di morire", spiegò la Signora Marlowe con voce roca. "Quando me l’ha affidato, le ho detto che avremmo potuto inviarlo per posta allo stesso indirizzo a cui aveva scritto una volta. Ma lei mi fece promettere di consegnarLe il pacchetto personalmente. Mi disse che presto o tardi, se avessi seguito da vicino la vita di Terence, avrei trovato il modo di incontrarLa ed assicurami che ricevesse questo".
Candy non sapeva cosa dire. Le intenzioni di Susanna Marlowe nell’affidare quel compito alla madre e, soprattutto, il misterioso contenuto del pacchetto, erano imperscrutabili per lei.
"Io . . . io La ringrazio per il disturbo che la cosa deve averLe arrecato, Signora Marlowe", mormorò.
"L’ho promesso a mia figlia in punto di morte. Questo è tutto, ragazza mia", rispose la donna, raddrizzando le spalle, come per difendere la propria dignità.
"Capisco".
Le due donne si fissarono, incerte su cosa dovessero dirsi in quel momento.
"Bene, non intendo trattenerLa oltre", disse finalmente la Signora Marlowe. "Le nostre strade si dividono qui ma prima di congedarmi, c’è un’altra cosa che desidero dirLe", proseguì la Signora Marlowe, facendo subito dopo una breve pausa, come se facesse fatica a trovare le parole per esprimere quello che intendeva dire, "Grazie. . ." disse infine, "Grazie per aver salvato la vita di mia figlia. Ha concesso a questa madre di godersi la propria figlia per qualche anno in più", concluse la donna e Candy notò che aveva gli occhi velati nel tentativo di trattenere le lacrime.
"Per carità, Signora Marlowe, non lo dica neanche", rispose Candy, sinceramente commossa dall’evidente dolore della donna.
"Bene. Buona fortuna per tutto, Signora Graham", disse la Signora Marlowe con un lieve cenno del capo.
"Anche a Lei, Signora Marlowe, Le auguro ogni bene".
E voltando le spalle, la donna si allontanò da Candy e dal suo autista. Dopo l’imbarazzante scena, Roberto prese la giovane per un braccio esortandola ad incamminarsi. A breve i corridoi sarebbero stati affollati da spettatori che avrebbero riconosciuto la moglie del primo attore, importunandola con una serie di domande.
Un po’ turbata da quell’incontro imprevisto. Candy affidò il pacchetto a Roberto e corse da suo marito, facendo del proprio meglio per mettere da parte la tristezza suscitatele dal ricordo di Susanna.
Quando finalmente entrò nel camerino di Terence, il giovane aveva riacquistato la sua consueta bellezza ed era intento ad annodarsi la cravatta. Dimenticando tutto il resto alla vista del suo amato, lo strinse forte, poggiando il mento sulla sua ampia schiena. Lui osservò nello specchio le sue minute mani che lo cingevano all’altezza del panciotto bianco. Per un attimo, nessuno dei due parlò. Lui chiuse gli occhi e le accarezzò le mani e le braccia, assaporando la sensazione suscitatagli dal corpo di lei premuto contro la sua schiena.
"Sei stato meraviglioso stasera!" disse finalmente lei, "Temevo che quel malvagio re gobbo avesse preso in ostaggio mio marito", scherzò.
"Sei sicura che non sia qui da qualche parte?" le chiese lui, usando la stessa particolare voce che aveva concepito per il suo personaggio, voltandosi subito dopo verso di lei senza sciogliere il loro abbraccio.
Lei rise tra le sue braccia, concedendo al
suo Duca di Gloucester di assaporare le sue labbra.
I festeggiamenti dopo la prima erano stati spumeggianti. La Compagnia Stratford aveva organizzato una specie di festa d’addio per Hathaway. Ovviamente, il posto ideale per celebrare un’occasione del genere era l’Hotel Algonquin, dimora naturale di artisti, drammaturghi, critici e attori, soprattutto dato che Robert era un membro attivo della Tavola Rotonda dell’Algonquin (1). Dunque, nel lobby-bar decorato interamente in boiserie ed illuminato da lumi color ambra, Candy ebbe l’opportunità di fare la conoscenza dei più coloriti rappresentanti degli intellettuali e degli artisti dell’esuberante New York City.
La maggior parte dei presenti amava il jazz, pertanto era impossibile fare a meno di un buon gruppo musicale. Tuttavia, quando la Compagnia Stratford fece il suo ingresso trionfale nella hall, i musicisti smisero di suonare per un attimo per lasciare spazio agli applausi ed agli incitamenti indirizzati al regista ed al primo attore. Terence Graham e la giovane donna che era al suo fianco furono letteralmente assaliti dai flash. Fasciata in un fiammeggiante abito rosso di chiffon che mostrava le caviglie sotto un orlo asimmetrico, la bionda sembrava essere il bersaglio preferito dai fotografi, entusiasti di avere l’opportunità di immortalarla, dato che si diceva fosse alquanto riluttante a fare apparizioni pubbliche tra il Jet Set di New York. Sul giornale del mattino dopo, il luminoso sorriso di lei sarebbe stato in netto contrasto con l’espressione austera di suo marito.
Uno dei primi ad avvicinarsi a Graham per congratularsi per la sua esibizione fu il famoso critico Alexander Walcott. Candy trovò che quell’uomo corpulento dai tondi occhiali fosse alquanto buffo e impacciato. Tuttavia, nel profondo dei suoi occhi, dietro quell’espressione da gufo e gli acidi commenti, la bionda riuscì a scorgere un velo di tristezza. Pensò che i suoi modi compassati nascondessero un uomo molto solo. A dispetto della sua reputazione, nel rivolgersi a Terence ed a sua moglie, Walcott fu assolutamente gentile e cortese.
Subito dopo Terence spiegò a Candice che una buona metà della comunità artistica di New York adorava Walcott, mentre l’altra metà lo odiava per le sue controverse recensioni. Eppure, quell’uomo sembrava avere una predilezione per Graham, nei confronti del quale aveva sempre dimostrato profondo rispetto. Gli fece persino le congratulazioni per il suo matrimonio e si complimentò per la bellezza di sua moglie, prima di allontanarsi per conversare con Robert Hathaway, con cui si intrattenne per un bel po’.
Dopo quel primo incontro, ne seguirono molti altri. Una pletora di nomi famosi e personaggi esuberanti sfilarono davanti alla giovane donna, che si meravigliò di quanto fosse sofisticato il mondo in cui viveva Terence. Per ironia della sorte, indipendentemente da quanto si folleggiasse intorno a lui, il giovane rimase freddo e distante, sempre cortese con tutti, ma senza andare mai troppo sul personale. Conoscendo a fondo il suo carattere ed accettandolo per quello che era, la giovane si godette la serata, approfondendo la conoscenza dei colleghi di Terence nonostante la flemmaticità di quest’ultimo.
Candy sapeva che quella sera suo marito doveva essere piuttosto nervoso e alquanto sulle spine. L’incertezza delle recensioni che lo attendevano il giorno dopo, unitamente alla presenza di così tante persone, stavano contribuendo a fargli raggiungere il limite di sopportazione. Notò che ad ogni nuova conoscenza che gli si avvicinava, il suo distacco e la sua riservatezza aumentavano. Pensò che fosse un peccato che si sentisse talmente a disagio ad una festa dove le musica era così bella. Il gruppo jazz era quanto di meglio si potesse desiderare su una pista da ballo e c’era persino un’orchestra d’archi. Moriva dalla voglia di ballare. Ma fu colta del tutto di sorpresa quando suo marito, nel momento in cui si udì un violino eseguire le note di apertura di un pezzo molto popolare in quel momento, le chiese:
"Penso che questa canzone sia per noi, tuttelentiggini. Ti va di ballare un tango?".
"Certo che mi va!" rispose lei, accettando di buon grado.
Dunque, di fronte agli occhi stupefatti di colleghi, artisti, critici e giornalisti, Terence guidò sua moglie nelle sensuali piroette del più famoso tango di Jacob Gade. Le ipnotiche note del pezzo, unitamente alla chimica che chiaramente legava la coppia, spinse molti dei ballerini a fermarsi per ammirare i due giovani.
Candy, che era sempre stata un’abile ballerina, trovò in suo marito il partner ideale. Si dimostrò creativo sulla pista da ballo tanto quanto nell’intimità. In un certo senso, pensò, il ballo non era che un modo per sedurre i ballerini trascinandoli in uno scambio che rispecchiava il fare l’amore. Ora capiva perché sin dai tempi della scuola avevano sempre sentito il bisogno di ballare.
"Perché sorridi?" le chiese, sussurrandole all’orecchio.
"Questo nuovo tango ha un nome piuttosto buffo. Lo sapevi?" gli chiese.
"No. Ti prego, illuminami".
"Gelosia", rispose lei, perdendosi nei suoi occhi.
Lui inarcò un sopracciglio e con un mezzo sorriso, commentò:
"Touché".
Dimenticandosi volutamente del fatto che avessero un pubblico, la coppia continuò a volteggiare sulla pista da ballo fino agli ultimi teatrali accordi. Dopodiché, si intrattennero ancora un po’ alla festa ballando e conversando con alcuni dei presenti. Tuttavia, ben presto, la capacità di Terence di mantenere una parvenza di cortesia giunse al limite. Pertanto, sebbene a Candy sarebbe piaciuto ballare un ben più energico Charleston o un Baltimora quella sera, fu comunque pronta ad abbandonare la festa nel momento in cui suo marito ne sentì il bisogno.
Hathaway, conoscendo le abitudini di Terence, non fu affatto sorpreso quando il giovane annunciò la volontà di congedarsi. Di fatto, rispetto alle altre feste che avevano fatto seguito ad una prima, a cui si era fermato meno di un’ora, si era trattenuto decisamente più a lungo ed aveva persino ballato, cosa mai avvenuta prima. Il veterano attore immaginò che un tale miracolo non fosse che un effetto della presenza di sua moglie. Era infatti riuscita a farlo interagire con gli altri ben più che se fosse stato solo.
Infine, dopo gli ultimi arrivederci ed auguri per le recensioni del giorno dopo, Terence fu sollevato di poter tornare a casa con sua moglie. Tuttavia, non essendo abituato ad abbassare la guardia in presenza di estranei, non disse granché finché non furono al sicuro nella privacy della loro camera da letto.
A quel punto, si concesse finalmente di discutere apertamente delle proprie impressioni sulla sua esibizione e dell’eccitazione che aveva sentito nel sapere che questa volta lei era lì per lui, a guardarlo dal palco, non come una semplice spettatrice, ma come sua moglie. Candy, seduta sul letto intenta a togliersi le scarpe col tacco, lo guardò con la coda dell’occhio. Il suo volto era raggiante. Ben lontano dallo sguardo austero che aveva mantenuto in pubblico.
Improvvisamente, mentre esprimevano le reciproche impressioni sul ricevimento e sulle persone che avevano incontrato, Terence sorprese sua moglie inginocchiandosi davanti a lei. Prima che lei potesse reagire in alcun modo, iniziò ad aiutarla a sfilarsi le calze di seta. La giovane accennò una protesta, seppur debole, dicendogli che non era necessario, ma lui, guardandola dritto negli occhi, ribatté:
"Lasciami fare. Non puoi pretendere che resti impassibile quando indossi un vestito come questo".
Nel dire quelle parole, quando le gambe di lei erano ormai nude, iniziò ad accarezzarle le caviglie con chiaro intento erotico.
"Tu non te ne accorgi. . . non te ne accorgi mai. . ." continuò soffocando un sorriso, "ma quasi tutti gli uomini alla festa ti mangiavano con gli occhi. . .ma è tutto quello che possono fare; mentre io. . . ."
E con quelle ultime parole, il giovane fece scivolare le mani sotto l’orlo del suo vestito, finché le ginocchia di lei non furono del tutto scoperte. La vista delle sue cosce ben tornite gli fece fiammeggiare lo sguardo di scintille blu e verdi. Candy iniziò a respirare in modo irregolare. Quando finalmente lui abbassò la testa iniziando a baciarle il ginocchio destro, lei sentì distintamente che il resto del suo corpo iniziava a prepararsi per quel che l’attendeva.
Diventando sempre più audace, le sue mani e le sue labbra avanzarono lentamente verso l’alto. Sollevò il tessuto trasparente della sua gonna, lasciando un’umida scia di baci e delicati morsi sull’interno coscia, finché la sua bocca non raggiunse l’ambito traguardo tra le sue gambe. Il respiro di lei, divenuto più affannoso a causa dell’intimità delle sue carezze, rese superflua qualsiasi conversazione per un bel po’. Capì che avrebbero coronato il successo di quella sera con i dovuti fuochi d’artificio e fu lieta che avessero lasciato la festa così presto.
Era ancora buio nella tranquillità della sua camera da letto quando Candy si svegliò. Suo marito dormiva profondamente, sdraiato a pancia in giù, una della sue posizioni preferite. Per tutta la serata, aveva volutamente ignorato il pacchetto consegnatole dalla madre di Susanna. Ora che era sveglia, però, la curiosità iniziava ad avere la meglio. Dunque, si alzò, cercando di fare il minimo rumore possibile, si infilò la vestaglia di seta e chiuse la porta della camera da letto dietro di sé.
Aveva dato istruzioni a Roberto di lasciare il pacchetto nella dispensa della cucina e fu esattamente lì che lo trovò.
Con l’aiuto di un coltello da cucina strappò velocemente la carta marrone che lo ricopriva. Quando vide cosa conteneva, spalancò gli occhi incredula. C’erano oltre trenta lettere dalle buste rosa, che il tempo aveva reso giallastre. In cima alla pila, vi era una busta bianca, che sembrava essere più recente, recante il nome da ragazza di Candy.
Sempre più sorpresa, sparse le buste rosa sul marmo del bancone della cucina. Sotto la luce di un lume, riconobbe la propria grafia.
"Queste sono le mie lettere a Terence!" esclamò, esterrefatta. "Le lettere che gli ho scritto da Chicago…tanto…tanto tempo fa. . . e sono tutte sigillate! Non le ha mai lette!" aggiunse, balbettando distintamente in preda allo choc.
Incapace di darsi una spiegazione, afferrò la busta bianca, immaginando che contenesse un messaggio da parte di Susanna che l’aiutasse a capire. Seduta su uno degli sgabelli della cucina, la giovane aprì infine la busta bianca per leggerne il contenuto:
24 Ottobre, 1922
Mia cara Candy,
Questa è la seconda lettera che ti scrivo negli anni e sicuramente sarà anche l’ultima. Se ora la stai leggendo, significa che mi trovo in un luogo che spero sia migliore di questo mondo, nel quale ho patito un dolore fisico talmente intenso da lasciarmi esausta e malinconica.
Sono certa che nel momento in cui riceverai questa lettera, Terence sarà al tuo fianco. Persino adesso mentre ti scrivo e lui è qui in questa stessa stanza immerso distrattamente nella lettura, so che nel profondo del suo cuore è con te. Nei sei anni del nostro lungo fidanzamento, da quando è tornato da me, è stato sempre così. Le sue parole e la sua presenza sono qui con me, ma il suo cuore si è fermato in quel luogo dell’Indiana accanto a te.
Non avere pietà di me, Candy, ormai mi sono abituata alla sua indifferenza. Eppure, all’inizio non era così. Nutrivo la speranza, come ti scrissi una volta, che alla fine il suo cuore si sarebbe avvicinato a me, ma con il tempo tutte le mie speranze sono state disattese. Vorrei poter dire che se non fosse stato per questa terribile malattia, che sta troncando la mia vita, avrebbe potuto imparare ad amarmi, dopo i lunghi anni di separazione da te. Ma ora che mi accingo a rivedere il mio Creatore, non posso più mentire a me stessa. Anche se fossero passati decenni e fossimo invecchiati insieme, so per certo che le cose non sarebbero cambiate. Si sarebbe ostinato a restare innamorato di te, forse persino di più, poiché sembra che il suo amore per te diventi ogni giorno più profondo.
Eppure non credere, Candice, che gli porti rancore per la sua incapacità di amarmi come vorrei. Al contrario, gli sono molto grata per il generoso dono che mi ha fatto restandomi accanto, seppur spinto dalla pietà. Disdegni forse la mia patetica passione? Non mi importa! Sono stata abbastanza felice grazie alle briciole di affetto che mi ha riservato.
Leggi con attenzione, Signorina Andrew, e poi decidi pure come giudicarmi. Saperlo mio, anche se solo agli occhi degli altri e non nella realtà, mi ha fatta sentire al settimo cielo. Grazie a questo fugace barlume di gioia, sono stata felice ed il mio peccato più grave è stato esserne lieta, seppure fossi consapevole delle sue sofferenze. A causa della mia passione egoista, perché è giunto il momento di essere onesta con me stessa e definirla come si conviene, non ho esitato a tenerlo lontano da te, pur sapendo che la vostra separazione lo addolorava profondamente. Vorrei aver avuto la tua forza ed il tuo altruismo nel lasciarlo andare. Ma temo di non essere tagliata per fare l’eroina, al contrario di te, Signorina Andrew.
Quindi, anche se a volte ho pensato che la soluzione migliore fosse consentirgli di tornare da te, ho sempre finito per tenerlo incatenato a me. È stato sempre così sin dall’inizio. Dal primo momento in cui ho posato lo sguardo su di lui quando bussò per la prima volta alla porta della Compagnia Stratford, decisi che sarebbe stato mio per il resto della vita. Ero così determinata che non esitai a mentire, ingannare e tramare alle sue spalle per raggiungere il mio scopo. Rubare le tue lettere è stata solo una delle tante cose che ho fatto. Cose che ora mi fanno arrossire per la vergogna.
E credo che qui sia necessaria una spiegazione. Un giorno mi recai al vecchio appartamento di Terence per informarlo che ci sarebbe stata un’audizione per Romeo e Giulietta. In quell’occasione, mentre salivo le scale di casa sua, la sua padrona di casa mi affidò una lettera che era appena arrivata per lui. Era da parte tua! Impazzii di gelosia alla scoperta che eravate in contatto. Così, intascai la lettera e nelle settimane successive fui combattuta tra il desiderio di strapparla e quello di restituirla al suo legittimo proprietario.
Almeno quella volta, finii per fare la cosa giusta, ma con l’intento sbagliato. Quando finalmente gli consegnai la tua lettera, gli confessai il mio amore e lo implorai di lasciarti. La mia arroganza mi indusse a ritenere che la mia bellezza e la passione della mia confessione sarebbero bastate a fargli dimenticare il suo amore per te. Ma non feci altro che rendermi ridicola.
Lui reagì con fredda cortesia. Essendo un gentiluomo, rifiutò rispettosamente le mie avances e prese la tua lettera tra le mani come se si fosse trattato di un gioiello prezioso. Corsi via in lacrime e lui non mi fermò. Mi sentii talmente umiliata che in quel momento giurai a me stessa che avrei fatto di tutto per portartelo via.
Così, corruppi la sua padrona di casa affinché intercettasse le tue lettere – ovviamente non tutte, per non destare sospetti. Tuttavia, anche quando le tue lettere iniziarono a diradarsi, la sua passione non scemò. Non sapevo cos’altro fare.
Poi ci fu il fortunato incidente. Sì, fortunato, perché mi permise di portartelo via. Mi vergogno molto ad ammetterlo, ma è proprio così che la penso. Quando gli dicesti addio quella notte in ospedale, riuscii a stento a credere che lo stessi veramente lasciando a me. Nemmeno nei miei sogni più audaci avrei potuto credere che ciò potesse accadere.
In quell’occasione mi dicesti di prendermi cura di lui. Ora, mentre mi preparo ad affrontare la morte, devo confessare che non ho mantenuto la promessa che ti feci quel giorno. Lui non è mai stato felice. Per anni ho temuto che un giorno saresti ricomparsa nelle nostre vite, rinfacciandomi di non aver tenuto fede alla parola data. Se l’avessi fatto, non sarei stata in grado di controbattere e, quel che è peggio, non avrei potuto trattenere Terence. Perché so con certezza che, sebbene fosse legato a me dal suo senso dell’onore, ti sarebbe bastato schioccare le dita per averlo ai tuoi piedi. Ma in tutti quegli anni tu non ti facesti mai viva, neppure una volta.
Come ho già detto, non vado fiera di ciò che ho fatto e so che tutti mi condannerebbero, se conoscessero la mia storia. Ma io sono l’unica a comprendere la mia debolezza. La verità è che non avevo la forza di vivere senza di lui.
Malgrado ciò, sono consapevole che a causa del mio amore per Terence, ho ferito profondamente entrambi. Se potessi riscrivere questa storia, come faccio con le mie opere, stravolgerei la trama. Tornerei al primo Atto e farei di Susanna Marlowe la tragica eroina che altruisticamente esce di scena lasciando in pace gli amanti osteggiati dal destino. Ma le decisioni che ho preso nella vita reale mi hanno piuttosto trasformata nell’antagonista di questa triste storia.
Ora la mia vita volge al termine, ma non ho nulla da recriminare. Credo che sia la cosa migliore, perché la mia esistenza non ha fatto che rovinare la vita di Terence. Quando non ci sarò più, so che lui correrà da te. Lo so perché mi sono informata e so che sei ancora sola. A volte mi chiedo se non sia perché lo ami ancora. Spero vivamente che sia così. Se lo merita.
Intendo chiedere a mia madre di contattarti dopo che vi sarete sposati. Per fare ammenda, o quantomeno per ammettere i miei peccati, desidero restituirti le lettere che ho rubato.
Ecco, finalmente ti ho confessato tutto, Candice. Grazie per la generosità che mi hai dimostrato e come ultima cosa ti chiedo di perdonarmi. Stai pur certa che nell’esalare l’ultimo respiro, benedirò il tuo nome.
Cordialmente tua,
Susanna Marlowe
Quando Candy terminò di leggere la contorta lettera di Susanna, silenziose lacrime iniziarono a rigarle il viso. Faceva fatica a controllare il tumulto delle proprie emozioni, talmente complesse da esserle del tutto estranee. L’immagine di Susanna Marlowe che aveva sempre conservato nella sua mente iniziò lentamente a svanire. Sin da quando Terence le aveva in parte rivelato la verità sulla sua vita insieme a lei, la sua opinione era drasticamente cambiata. Tuttavia, conoscere le reali intenzioni di Susanna leggendo le sue confessioni era decisamente un’altra storia. In quel momento, la fiducia che Candy aveva sempre nutrito nei confronti della natura umana, vacillò pericolosamente.
Provò pena per la totale mancanza di autostima di Susanna e per la sua dipendenza, ma era anche arrabbiata – anzi, arrabbiatissima – perché aveva osato rubare le sue lettere. Per di più, il fatto che la donna avesse apertamente ammesso di essere consapevole delle sofferenze di Terence, fece decisamente infuriare Candy. Susanna avrebbe potuto decidere di lasciarlo libero, ponendo fine alla sua infelicità, ma aveva scelto di non farlo. Eppure, l’aspetto della lettera che forse l’aveva sconvolta di più, era la convinzione di Susanna rispetto a quello che sarebbe potuto accadere se Candy avesse osato ricomparire nella vita di Terence.
“Se avessi voluto, ti sarebbe bastato schioccare le dita per averlo ai tuoi piedi".
Il peso di quelle parole le fece aprire gli occhi su una realtà che non aveva mai considerato del tutto: senza volerlo, Candy si era resa colpevole dello stesso peccato. Avrebbe potuto mettere fine al dolore di Terence e non aveva mosso un dito. Turbata da questa nuova consapevolezza, pianse lacrime amare, nascondendo il volto tra le mani, e fu proprio così che suo marito la trovò.
"Santo Dio, Candy, che cosa è successo?" le disse, affrettandosi a prenderla tra le braccia, "Che c’è che non va, amore mio? Parlami!"
Lei desiderava spiegargli, ma per un po’, non riuscì a smettere di singhiozzare. Sempre più allarmato, Terence si guardò intorno finché il suo sguardo non si posò sulla carta marrone che aveva avvolto il pacchetto e sulle buste rosa sparse sul bancone della cucina.
"Che cos’è questa roba?" le chiese e Candy si voltò per vedere a cosa si riferisse.
Non riuscendo a fermare le lacrime, tirò un profondo sospiro. La giovane avrebbe voluto nascondergli quella storia, per non turbarlo con questioni che appartenevano al passato. Ora che però era impensabile mantenere il segreto, Candy pensò che l’unica soluzione possibile fosse quella di dirgli la verità.
"Questo pacchetto mi è stato consegnato stasera, alla fine dello spettacolo, quando sono uscita dal palco”, esordì con voce rotta.
Terence si mise immediatamente in stato di allerta, ma non disse nulla, lasciandola continuare.
"Mi è stato dato da una persona che non mi aspettavo di vedere".
"Ovvero. . ." la imbeccò lui, impaziente.
"La Signora Marlowe", disse lei, prevedendo quale sarebbe stata la reazione di Terence.
"Cosa? Maledizione!" esclamò lui, incapace di trattenere un’imprecazione.
"Ha detto che si trattava di una cosa che Susanna le aveva chiesto di consegnarmi”, spiegò Candy, notando che Terence era dapprima impallidito, per poi arrossire in preda all’indignazione.
"Dannata donna!" sbottò Terence, sorridendo amaramente e scuotendo la testa incredulo. "Teatrale fino all’ultimo".
"Andiamo, Terence, non agitarti. Non ne vale la pena", disse lei, cercando di placare la sua collera.
"Ma tesoro mio, ti ha fatto piangere", insistette lui, asciugandole le lacrime con le mani.
"Sto bene, Terence. Sono solo rimasta sorpresa dal contenuto del pacchetto. Hai visto di cosa si tratta?" gli chiese, voltandosi verso il bancone alle sue spalle.
"Cosa sono queste?" le chiese lui, incapace di nascondere la sorpresa quando finalmente riconobbe le buste rosa che lei era solita usare.
"Sono le tue lettere, Terence!" gli spiegò. "Quelle che non hai mai ricevuto".
"Ma. . . tutte queste. . . non può essere!" esclamò lui, esaminando una ad una le lettere sigillate, controllando le date sui francobolli e accarezzando con un dito il suo nome ed il suo vecchio indirizzo vergati chiaramente nella grafia di Candy, "Non…non mi sono mai arrivate…oh cara, tu…me ne hai scritte moltissime!"
"Sì, te l’avevo detto. Non ho mai capito come mai ne fossero andate perse così tante! La risposta è che le aveva prese Susanna. Mi ha scritto una lettera per spiegare le sue ragioni…ed in un certo senso scusarsi”, concluse Candy, indicando la missiva di Susanna che giaceva sul bancone.
Terence fissò le pagine bianche scritte da Susanna e la sua espressione si incupì. Conoscendo la mente squilibrata della donna, capì che erano stati entrambi vittima delle sue macchinazioni sin dai tempi della loro relazione a distanza.
In condizioni normali, Terence sarebbe andato su tutte le furie alla scoperta del colpo basso di Susanna. Ma rendendosi conto di quanto fosse turbata sua moglie, decise piuttosto di occuparsi di lei.
Prese la lettera di Susanna e, senza dire una parola, la stracciò in mille pezzi. Dopo averla buttata via, raccolse in una mano tutte le lettere indirizzate a lui e con l’altra attirò Candy al suo petto nudo e la baciò sulla fronte.
"Queste le leggerò domani", le sussurrò, senza staccare le labbra da lei. "Adesso, però, torna a letto con me. Voglio dormire ancora un po’ con te accanto. Che ne dici?"
Candy annuì in silenzio. Incamminandosi verso la camera da letto, con il braccio di Terence che le cingeva le spalle, Candy fece del proprio meglio per allontanare i tristi pensieri che le attanagliavano il cuore.
Una settimana dopo la prima, i Graham avevano stabilito una comoda routine. Candy lavorava come volontaria alla Croce Rossa un paio di volte a settimana. Aveva dovuto usare un nome falso e recarsi in ospedale sempre scortata dal Signor Barbera per evitare i giornalisti. Questo era l’unico inconveniente, ma si era adeguata ben volentieri, sapendo che si trattava di un prezzo minimo da pagare per essere la moglie di una celebrità. Nelle sere in cui non lavorava, andava in teatro con suo marito. A volte assisteva allo spettacolo dal suo solito palco. Altre, restava dietro le quinte. I colleghi di lui si erano ormai abituati alla sua presenza, perché era sempre discreta e persino collaborativa. Gran parte degli artisti della compagnia si domandava come fosse possibile che una donna così affascinante si fosse innamorata di un uomo come Graham. Ma erano comunque tutti grati per la sua presenza, che sembrava metterlo di buon umore.
La mattina Terence dormiva fino a tardi, a differenza di Candy. Gli anni passati a prendersi cura dei bambini l’avevano abituata ad alzarsi presto. Pertanto, quando non lavorava come infermiera, le piaceva passare la mattinata con la Signora O'Malley. Si era accorta che la donna si trovava molto bene con lei ed entrambe amavano passare il tempo facendo due chiacchiere in tranquillità.
Una di quelle mattine, mentre le due donne erano impegnate in cucina, la Signora O'Malley osò porle una domanda che le bruciava dentro da un po’.
"Signora Graham", esordì la donna, "Conosceva la Signora Marlowe e sua figlia?"
"Beh, sì, Signora O'Malley. Come mai me lo chiede?" le rispose, smettendo per un attimo di affettare le carote.
"Deve perdonarci, intendo Roberto e me, per averne parlato alle sue spalle. Mi ha raccontato che la Signora Marlowe è venuta da Lei la sera della prima del Signor Graham. Non riuscivamo a capire cosa avesse da dirLe quella donna, specialmente visto che non vi conoscevate. O almeno così credevamo".
Candy attese un attimo per riflettere su quello che avrebbe dovuto dire alla sua governante.
"Oh, beh. .. mi è capitato di incontrarle", le rispose, cercando di sembrare il più disinvolta possibile, "Ma, in tutta onestà, la nostra conoscenza è stata piuttosto breve. Ho avuto modo di parlare con la Signorina Marlowe appena un paio di volte. Sua madre, invece, l’avevo incontrata solo un’altra volta, prima dell’altra sera".
A quel punto, la Signora O'Malley rimase in silenzio. Sapendo come vanno le cose a questo mondo, la donna iniziò a comprendere molto di più sui suoi datori di lavoro. La governante aveva letto sui giornali che la Signora Graham aveva conosciuto suo marito ai tempi della scuola. Ora, il Signor Graham aveva vissuto per anni con una fidanzata che chiaramente non aveva mai amato. Poi, due anni dopo, era tornato a casa con una moglie di cui era follemente innamorato. Per di più, l’ex fidanzata e l’attuale moglie si conoscevano. Era piuttosto ovvio dedurre l’esistenza di un triangolo amoroso, discretamente sottaciuto.
"Roberto mi ha detto che Le ha consegnato un pacchetto”, continuò la governante.
"Sì. . . era. . . una lettera indirizzata a me dalla Signorina Marlowe".
"In questo caso, Signora Graham, voglio avvertirLa di non credere ad una sola parola di quello che quella ragazza può averLe scritto".
"Perché dice così?" chiese Candy, incuriosita dall’assertività della Signora O'Malley.
"Vede, Signora Graham, per qualche tempo ho vissuto con le Marlowe. Mi avevano assunta a tutto servizio, perché la Signorina Marlowe aveva bisogno di speciale assistenza, o almeno così credeva. Diciamo che ho imparato a conoscerla. Era una piccola bugiarda manipolatrice….e sua madre…. . .!" esclamò con enfasi la governante, alzando gli occhi al cielo con disprezzo.
"Sembra che non Le piacessero granché", azzardò Candy, cercando di fare del proprio meglio per gestire la questione con garbo.
"E come avrebbero potuto piacermi?" affermò la Signora O'Malley con un sospiro. "Se posso esprimere il mio parere, credo che la Signora Marlowe fosse troppo interessata al denaro del Signor Graham. E lui è stato fin troppo generoso per i miei gusti. Quelle donne mantenevano un tale tenore di vita che avrebbero dovuto baciargli i piedi per la gratitudine. Eppure, la Signorina Marlowe non faceva che assillare il Signor Graham chiedendo sempre di più; come se quella grande casa che aveva comprato per loro non fosse abbastanza. Era una bellissima casa; molto più grande di questa. Mi addolorava molto vedere il Signor Graham maltrattato da quella brontolona. È un brav’uomo e il miglior datore di lavoro che abbia mai avuto".
"Capisco. . ." riuscì appena a controbattere Candy. In ogni caso, la Signora O'Malley non aveva certo bisogno di incoraggiamento per proseguire con la sua invettiva.
"Inoltre, la Signorina Marlowe non era che una ragazzina viziata in un corpo di donna. Era certamente infatuata del Signor Graham, ma non credo che lui fosse felice delle sue attenzioni. Per anni mi sono chiesta come facesse a stare con lei. Poi, sono giunta alla conclusione che avesse pietà di lei, per l’incidente e tutto il resto, sono certa che Lei sappia di cosa parlo. E pensare che lei non era che un’ospite, o roba del genere, perché non l’ha mai sposata! Ma si comportava come se fosse sua moglie, dandomi ordini a destra e a manca e sbraitando con me quando non era soddisfatta dei miei servigi. E poi, se posso permettermi, non ha mai cucinato per lui, né si è mai preoccupata che stirassi le sue camicie come si deve. Non ha mai fatto nulla di quello che una moglie dovrebbe fare per suo marito. Roberto ed io abbiamo dovuto mandar giù diversi bocconi amari con quelle due. Siamo rimasti solo perché tenevamo al Signor Graham".
La rabbia di Candy nei confronti delle Marlowe, ed anche di se stessa, cresceva esponenzialmente man mano che la Signora O'Malley proseguiva nel suo racconto. Eppure, riuscì a celare le proprie emozioni.
"Mi dispiace molto, Signora O'Malley, ma apprezzo la Sua lealtà nei confronti di mio marito", le disse infine, cercando di chiudere quello spiacevole argomento.
"La ringrazio, signora", rispose la governante con un cenno del capo, ma poi, non avendo esaurito tutto quello che aveva da dire, proseguì. "Quando il Signor Graham ci ha detto che avrebbe lasciato la casa alla Signora Marlowe per trasferirsi altrove, Roberto ed io ci siamo rifiutati di restare con quella strega. Allora, lui ci ha offerto questo lavoro, che devo dire non è affatto faticoso, perché non devo fermarmi qui la notte o durante il finesettimana. Sono stata fortunata. Poi, quando mi ha chiamato per dirmi che si era sposato, devo confessarLe, Signora Graham, che mi sono preoccupata". "Credo di comprendere le sue paure", rispose Candy con un mesto sorriso, compatendo quella brava donna.
"Poi l’ho conosciuta e non credevo ai miei occhi. I giornali dicevano che era una signora molto ricca, ma a me non sembra…voglio dire…Lei è una
vera signora, non una smorfiosa con la puzza sotto il naso. E una magnifica padrona di casa e un’ottima moglie per il Signor Graham. Mi dispiacerebbe molto se quello che Le ha scritto quella ragazzina L’avesse turbata, signora".
"La ringrazio molto, Signora O'Malley! Apprezzo la Sua gentilezza. Ma non si preoccupi della lettera. Non…non diceva nulla di importante. Ma ora, devo sbrigarmi altrimenti lo stufato non sarà pronto in tempo. D’accordo?" Candy cercò di sfoggiare il suo sorriso più radioso e la governante, ritenendo di aver fatto il proprio dovere, obbedì senza fare ulteriori commenti.
Candy tornò alle sue faccende, affettando le verdure per lo stufato, mentre la Signora O'Malley lasciò la cucina per dedicarsi alle pulizie. Malgrado il genuino tentativo da parte di Candy di non pensare alle parole della governante, queste non fecero che alimentare il suo disagio. Man mano che scopriva nuovi dettagli sulla vita di Terence con Susanna, faceva sempre più fatica a comprendere perché suo marito non ce l’avesse con lei per aver rinunciato a lui.
La mattina del 12 aprile, Candy si svegliò un po’ nauseata. Si alzò dal letto e si recò in cucina per prepararsi del thè alla liquirizia ed alleviare quella spiacevole sensazione. Mentre versava il liquido caldo nella tazza, controllò l’orologio della cucina. Erano le sei del mattino ed era domenica; dunque, pensò di tornare a letto ancora per un po’ dopo aver preso il thè. Sperava soltanto che quel senso di malessere si attenuasse.
Lentamente, mentre sorseggiava il suo thè, fece ritorno nelle proprie stanze. Terence era ancora profondamente addormentato, sebbene la luce rosacea dell’alba filtrasse già attraverso le tende bianche.
La giovane si avvicinò alla finestra, spalancandola per respirare la brezza del mattino. Un po’ d’aria fresca – pensò – l’avrebbe aiutata a sentirsi meglio. Subito dopo, Candy si ricordò di che giorno fosse…era Pasqua! Quando si rese conto della data, la vista dei suoi narcisi che fiorivano nel vaso di terracotta, le strappò un sorriso.
Si sedette sulla sedia da giardino che teneva sul terrazzo per contemplare i delicati fiori a forma di calice. L’aroma del thè giovò al suo stomaco in subbuglio, mentre ripensava a cosa aveva in programma per la mattinata. Sperava di riuscire ad andare a messa. Era determinata a non perdere la funzione pasquale, a costo di trascinare Terence fino in chiesa. Candy ridacchiò al solo pensiero.
Dopo aver vissuto con Terence per tre mesi, sentì che il suo cuore iniziava ad abituarsi alla sua costante presenza. Si trattava di una familiarità dolce e confortante; una beatitudine che non aveva mai provato prima; un senso di completezza. Immaginò che fosse quella la vera felicità. La maggior parte delle storie d’amore sembravano fermarsi proprio lì, quando il protagonista raggiunge quella condizione e diventa noioso per il lettore.
Eppure, Candy non poteva credere che la vita con Terence avrebbe mai potuto essere noiosa. In pubblico era perlopiù guardingo e padrone di sé; ma con lei, era divertente e piacevole, proprio come desiderava. Erano due ribelli che amavano passare il tempo insieme. Facevano lunghe cavalcate al country club, uscivano a passeggio per l’Upper East Side o restavano a casa a leggere o ad ascoltare la musica. Qualsiasi cosa facessero insieme, la facevano con gioia e non facevano che ridere dall’inizio alla fine. Ovviamente, tutto nei limiti dei rispettivi impegni di lavoro, cercando di sfuggire agli onnipresenti fotografi. Ma per lei andava bene così.
E poi c’era la questione della loro neo-acquisita intimità. Dopo quasi quattro mesi insieme, Candy comprese di aver sposato un amante assiduo, esigente e dominante. Il suo comportamento in camera da letto era prevedibile rispetto all’obiettivo ultimo – quello di possederla – ma del tutto imprevedibile per stile e approccio. Non aveva di che lamentarsi.
Per un uomo come lui – pensò, sorridendo – era una grande delusione doversi astenere anche solo una settimana al mese, ma Candy non aveva certo il potere di arrestare il corso della natura, giusto? A questo pensiero, la giovane si irrigidì.
"Oh mio Dio! Quando è stata l’ultima volta che ho avuto il ciclo?" si chiese, aggrottando la fronte.
A marzo Riccardo III era stato un grande successo. Ad aprile, dopo cinque settimane di tutto esaurito ogni sera, la compagnia iniziò a prepararsi per l’imminente tournée. Avrebbero viaggiato verso sud-est questa volta e sarebbero partiti a fine maggio per chiudere la stagione a New Orleans entro luglio.
Nel frattempo, fu ufficialmente annunciata la cessione della Compagnia Stratford. A partire dalla stagione invernale, i fratelli Barrymore, Lionel, Ethel e John, sarebbero stati i nuovi proprietari. I tre Barrymore erano tutti sulla quarantina ed erano tra i più acclamati artisti di Broadway. Sebbene John, il più giovane dei tre, avesse raggiunto il successo recitando in commedie leggere, in passato aveva fatto delle felici incursioni nell’arte drammatica, ottenendo grandi risultati. Pertanto, girava voce che Terence Graham avrebbe dovuto trasferirsi in un’altra compagnia, perché alla Stratford non ci sarebbe stato posto per due primi attori; specialmente in considerazione della grandissima reputazione di entrambi, cosa che li faceva apparire come rivali dal punto di vista professionale. Sapendo bene come stavano le cose, il giovane attore iniziò ad incontrare altri registi interessati al suo lavoro. Tuttavia, nessuna delle offerte che gli erano state fatte fino al quel momento lo allettava.
Una pigra mattina di aprile, Terence era nel suo studio intento a rivedere la dichiarazione dei redditi che gli aveva inviato il suo contabile. Candy era impegnata in ospedale, dunque sarebbe rimasto solo praticamente fino all’ora di cena. Voleva liberarsi di quell’odiosa dichiarazione prima che lei tornasse. Mentre era assorto in quel compito, qualcuno bussò alla porta. Era la sua governante che gli portava la posta. La donna entrò nello studio, posò la corrispondenza sulla scrivania e lasciò discretamente la stanza.
Di nuovo solo, Terence iniziò a smistare le lettere indirizzate a sua moglie da quelle a suo nome. Come prevedibile, data la spiccata socialità di Candy, la maggior parte della corrispondenza era per lei e solo tre lettere erano indirizzate a lui. La prima era di William Albert Andrew. Nella missiva, l’uomo accennava ad una nuova attività che richiedeva la sua presenza in Europa. Il magnate era un po’ turbato, perché quel nuovo impegno gli avrebbe impedito di essere presente al compleanno di Candy. Per quel giorno, infatti, i due uomini avevano in programma di tenere una festa alla Casa di Pony. Nella lettera, Albert chiedeva a Terence di continuare con l’organizzazione, malgrado questo inconveniente. Da parte sua, Albert avrebbe cercato di farsi perdonare anticipatamente per la sua assenza. Inoltre, gli chiedeva se avrebbe potuto passare una settimana con loro a New York prima della sua partenza per Londra, prevista per il 24 aprile.
Mentre ripiegava la lettera di Albert per riporla nella busta, Terence pensò che gli facesse molto piacere passare qualche giorno con il suo amico. Immaginò che anche Candy sarebbe stata felicissima di avere un ospite così gradito nella sua nuova casa. Sperò sinceramente che quella visita avrebbe consolato Candy per l’assenza di Albert nei mesi a venire.
Stava ancora riflettendo sulla visita di Albert, quando il suo sguardo si posò su un’altra lettera, recante una grafia molto particolare e riconoscibile, che lo sorprese piacevolmente. Era una lettera di William Bridges-Adams, il direttore della Royal Shakespeare Company d’Inghilterra. Era passato un anno da quando Terence aveva lavorato con lui a Londra e da allora, non si erano mai più sentiti.
C’erano vari motivi per cui il giovane attore apprezzava Bridges-Adams. Aveva solo otto anni più di Terence, ma si era costruito una brillante reputazione sin dai tempi di Oxford. Era ambizioso, perfezionista e un vero purista tra i registi Shakespeariani. La gente si riferiva scherzosamente a lui come il Signor Unabridges-Adams per la sua ostinazione a presentare le opere nella versione integrale e non editata, esattamente come nel First Folio. Terence stesso era un purista inflessibile.
Pertanto, fu con grande interesse che Terence aprì la sua lettera. Il giovane regista, avendo saputo dell’abbandono di Hathaway, offriva a Graham un posto stabile nella sua compagnia. Terence aveva dovuto leggere la lettera varie volte prima di comprendere appieno il messaggio che essa conteneva. In termini di denaro, prestigio e carriera, era decisamente la migliore offerta che potessero fargli in quel momento. Inoltre, dato che il lavoro avrebbe implicato un suo trasferimento in Inghilterra, gli si offriva l’opportunità di vedere suo padre più spesso.
Tuttavia….era anche vero che l’offerta presentava degli svantaggi. Innanzitutto, sua madre sarebbe rimasta a New York. Pertanto, avrebbe ritrovato uno dei suoi genitori, per perderne un altro. Il secondo svantaggio riguardava sua moglie. Terence sapeva che Candy era profondamente affezionata all’America. Quasi tutte le persone a lei care vivevano qui. Era già stata abbastanza dura farla trasferire a New York, a centinaia di miglia di distanza dal suo adorato Indiana. Figuriamoci trascinarla ancora più lontano, stavolta addirittura sull’altra sponda dell’Atlantico! Sua moglie, talmente piena di vita, avrebbe resistito ad una così dura separazione? Nella vecchia Inghilterra, sarebbe bastata la sua presenza a consolarla per la perdita dei suoi più cari amici e parenti? L’ultima cosa che voleva era vedere la sua esuberante personalità afflitta dalla nostalgia di casa. Seriamente turbato da queste considerazioni, l’uomo ripose la lettera di Bridges-Adams in uno dei cassetti della scrivania.
Infine, la terza lettera era di suo padre. Dentro la busta, oltre al messaggio, vi era una chiave. Incuriosito da quell’oggetto, Terence iniziò a leggere la lunga lettera, nella quale suo padre faceva riferimento, tra le altre cose, alla seguente storia:
In gioventù, ai tempi di Elisabetta I, Duncan Grandchester, prima di entrare in possesso del titolo di Terzo Duca di N****, servì nella Marina militare britannica e combatté contro l’armata spagnola nell’eroica difesa dell’Inghilterra nel 1588. Nel corso di quelle gloriose imprese, conobbe un giovane timoniere più o meno della sua stessa età, incredibilmente coraggioso e abile con la spada come qualsiasi gentiluomo di buona famiglia. Quel giovane, il cui nome era William Adams, fu salvato dal giovane Marchese durante una battaglia e da allora un fortissimo legame si creò tra i due.
Tuttavia, dopo la guerra, le strade dei due amici si divisero. Duncan fece ritorno in Inghilterra per prendere possesso del Ducato, mentre Adams, che era un avventuriero, si imbarcò in una serie di spedizioni che lo portarono dapprima fino all’Artico, poi in Siberia ed infine in Estremo Oriente. Dopo varie peripezie, Adams giunse in Giappone dove fu scambiato per un pirata. Dopo essere rocambolescamente scampato all’esecuzione, Adams riuscì ad entrare nelle grazie dello Shogun(2) e negli anni divenne una figura di spicco in quelle lontane terre.
Il marinaio non fece mai ritorno in Inghilterra, ma mantenendo sempre vivo il ricordo del suo nobile amico il Duca, gli scrisse ogni qualvolta una nave portoghese salpava per l’Europa. Così, Adams venne a sapere del matrimonio del suo amico e di come sua moglie, per dieci dolorosi anni, avesse tentato invano di dargli un erede per il casato dei Grandchester. Finalmente, nel 1606, la duchessa diede alla luce un bambino sano che sarebbe divenuto il 4° Duca di N****. Nell’anno in cui il giovane Marchese compiva due anni, Adams gli inviò un presente molto speciale.
Si trattava di un cofanetto di acciaio scuro ossidato, decorato con intarsi in oro, rame, argento, madreperla e smeraldi. I frammenti di metallo e le pietre erano incastonati a mano con grande maestria a formare l’estroso decoro di boccioli di susino (3) che circondavano una fenice. Il cofanetto era accompagnato da una lettera che ne illustrava l’origine ed il significato.
Edo, 3 gennaio 1608
Eccelso e Nobile Principe, (4)
È giunta voce in queste terre lontane che il Signore abbia benedetto il Vostro onorevole casato con l’arrivo di un erede. Poiché anni dividono le nostre missive, spero che questo modesto dono giunga nelle Vostre mani in occasione del terzo genetliaco di Sua Signoria. Il dono, per quanto umile possa sembrare agli occhi di un Pari di Inghilterra di illustre lignaggio come Vostra Grazia, viene dal profondo del cuore del Vostro umile servitore.
La lavorazione è molto simile a quella dei Mori di Toledo, ma ritengo che gli artigiani giapponesi siano persino più abili. Quest’opera di artigianato viene chiamata Shakudo.
Questo cofanetto ha una propria storia, poiché apparteneva ad una nobile dama di queste terre, particolarmente cara al Vostro umile servitore. Dopo la sua morte, suo figlio me l’ha donata come ricordo, affermando che i fiori e l’uccello su esso incisi rappresentino pace, giustizia, prosperità e l’inizio di una nuova era. Per quanto questo oggetto mi sia caro, essendo legato al ricordo di un’adorata creatura, nutro il desiderio di donarlo al Vostro casato. La mia vita fu salvata dalle Vostre mani una volta, Vostra Grazia, ed il Vostro servitore non dimentica questo servigio. Possa questo dono rappresentare il simbolo di eterna amicizia tra la Vostra onorevolissima famiglia e quella del Vostro umile servitore.
William Adams
Il Duca fu particolarmente lusingato da quel dono e lo offrì a sua moglie come presente. Da allora, è tradizione nel casato dei Grandchester che, alla nascita del primogenito, il Duca doni alla Duchessa questo cofanetto, tramandato di generazione in generazione. È inoltre tradizione che la Duchessa lo doni a suo figlio il giorno del suo matrimonio, cosicché egli possa darlo a sua moglie in occasione della nascita del loro erede.
Figlio mio, quando ho commesso il terribile errore di sposare Beatrix, mio padre mi affidò questo cofanetto damasceno. Tuttavia, mi disse chiaramente di conservarlo per te e mi proibì di donarlo a Beatrix. Sapeva che la mia situazione era piuttosto particolare nella storia della famiglia, perché la madre del mio erede non sarebbe mai stata mia moglie e mia moglie non sarebbe mai stata la madre del mio erede. Pertanto, mi disse di consegnarlo a te quando ti fossi sposato.
Dunque, ho spedito questo prezioso oggetto presso una banca di New York. Nella busta troverai la chiave della cassetta di sicurezza in cui è conservato. Essendo ormai sposato, il cofanetto ora spetta a te, affinché tu possa donarlo a tua moglie quando lo riterrai opportuno. Consideralo un segno della nostra ritrovata armonia, indipendentemente dalla tua decisione di diventare il 15° Duca di N**** dopo la mia morte o di restare un cittadino comune.
Tuo padre Richard Grandchester
Albert finalmente giunse a New York per passare un po’ di tempo con i Graham. La sua visita fu molto gradita, perché, come d’abitudine, si rivelò per quello che era, ovvero un uomo affascinante, interessante e divertente. I sospetti che Terence aveva nutrito nei confronti dell’amico erano svaniti ormai da tempo. Pertanto, aveva deciso di godersi appieno la loro amicizia – seppur per poco tempo. Candy, ovviamente, non stava nella pelle e voleva mostrare tutta New York ad Albert nel giro di qualche giorno. Il buon uomo aveva dunque dovuto rammentarle che già conosceva la città piuttosto bene.
"Qualche giro turistico mi va anche bene, ma l’obiettivo della mia visita è perlopiù quello di stare un po’ con voi due ragazzacci!" le aveva detto, trattenendo una risata.
Tuttavia, nel tentativo di moderare l’esuberanza di Candy, Terence aveva organizzato qualche escursione. Una serata a teatro era ovviamente d’obbligo. Dopo lo spettacolo, Albert aveva passato tutta la sera a prendere in giro Terence per la sua caratterizzazione di Riccardo III, facendo morir dalle risate Candy. Il programma prevedeva anche una passeggiata a cavallo tutti insieme, ma in questo caso Candy aveva declinato l’invito, lasciando da soli i due amici, mentre gustava un bel thè freddo al ristorante del Country Club insieme a George. Inoltre, non poteva mancare una lunga passeggiata a Central Park, corredata dalla rocambolesca fuga dei tre – seguiti dal buon vecchio George - per sottrarsi ad un gruppo di fotografi che non la smettevano di assillare Terence. Una volta rientrati nell’appartamento dei Graham, Albert aveva confessato che si era trattato della più emozionante fuga a cui avesse partecipato da quando aveva diciassette anni. Aveva raccontato, poi, di quando aveva rubato una delle auto di suo padre per scappare alla Casa di Pony. George era intervenuto commentando con discrezione e facendo presente di non conservare un ricordo altrettanto piacevole di quello stesso episodio, sebbene successivamente tutto fu perdonato, poiché fu proprio in quell’occasione che la Signorina Candy conobbe il Signor Andrew. Secondo George, l’incontro con la Signorina Candy era stata una delle cose più belle mai accadute alla famiglia.
Una sera, Albert prese possesso della cucina per preparare una cena all’italiana. Ovviamente, furono invitati anche la Signora O'Malley e Roberto. Quest’ultimo fu così piacevolmente sorpreso dall’abilità di Albert che fu quasi sul punto di baciarlo dopo aver assaggiato il suo sugo, affermando che era persino migliore di quello di sua madre. Anche la Signora O'Malley fu molto soddisfatta, ma per altre ragioni. Di fatto, quando la padrona di casa le aveva annunciato che il loro ospite si sarebbe dedicato alla preparazione della cena, la governante si era lasciata cogliere dal panico. La brava donna temeva che il Signor Andrew avrebbe messo completamente a soqquadro la cucina, come quasi tutti gli uomini. Tuttavia, fu sorpresa dal suo ordine e lo ringraziò di cuore per non averla costretta a fare gli straordinari.
Quella stessa sera dopo cena – quando Terence era già andato in teatro – Candy ed Albert rimasero a casa per una tranquilla serata insieme. La giovane era ansiosa di passare un po’ di tempo da sola con il suo vecchio amico. Comodamente seduta nello spazioso salotto, Candy raccontò ad Albert delle confessioni postume di Susanna Marlowe.
"Capisco come ti senti. Quella donna aveva decisamente una personalità complessa”, commentò Albert dopo che Candy ebbe terminato il suo racconto.
"Sono così delusa, Bert!" gli confessò lei, "Credevo che fosse capace di qualsiasi sacrificio per Terence e ora scopro che non lo ha mai veramente amato!"
"Su questo hai ragione, Candy. Qualsiasi cosa provasse per lui, di certo non era amore. Devo ammettere che fui tratto in inganno anche io la prima volta che mi raccontasti la storia dell’incidente. Avrei dovuto essere più perspicace e consigliarti meglio", disse l’uomo, abbandonando la sua consueta espressione giovale e divenendo improvvisamente serio.
"Oh, no, Albert, non sentirti responsabile. Sono stata io a venire a New York quella volta ed a non vedere la verità. Sono stata io a prendere quella fatidica decisione", rispose lei, giocherellando nervosamente con l’anello di fidanzamento.
Visibilmente turbata, Candy si alzò dalla sedia e si avvicinò al focolare. Poi, prese tra le mani una delle fotografie di Terence che si trovavano sulla mensola del camino.
"Quella sera Terence era talmente confuso e sopraffatto dal dolore da non essere sé stesso”, proseguì fissando la foto con tenerezza. "Quando si offrì di accompagnarmi alla stazione, credo che non fosse pienamente consapevole della mia decisione di lasciarlo".
La voce di Candy esitò per un momento.
"Fu solo quando gli dissi che avrebbe reso tutto più difficile che finalmente comprese che era finita. Avevo già preso la mia decisione, senza neppure consultarlo", concluse rimettendo a posto la fotografia e voltandosi subito dopo verso Albert.
"Poi, negli anni che seguirono, mi rifiutai ostinatamente di dare ascolto ad Annie ed Eleanor. La pensavano entrambe allo stesso modo su questa questione. Mi addolora il pensiero che Terence abbia sofferto perché non ho dato credito alle loro parole. Ho semplicemente rinunciato a lui, anziché lottare per il nostro amore. Sono così arrabbiata con me stessa…e con Susanna! Come ho potuto essere così sciocca?" esclamò Candy, alzando gli occhi al cielo per evitare di cedere alle lacrime.
"Ne hai parlato con Terence?" le chiese Albert, dopo che ebbe terminato il suo monologo autoaccusatorio.
"Ne abbiamo parlato quel giorno al tuo chalet, quando ci siamo finalmente chiariti. Ma lui non vede le mie colpe. Insiste a ritenersi responsabile, scusando me. Non capisco come possa non volermene per averlo abbandonato".
"Beh, per come la vedo io, ognuno di voi insiste ad assumersi tutta la colpa, giustificando l’altro. Così non va, Candy", affermò Albert, poggiando la tazza sul tavolino davanti a sé.
"Che vuoi dire?"
"Penso che per accantonare questi spiacevoli ricordi una volta per tutte dobbiate entrambi vedere le cose nella giusta prospettiva. Vuoi la mia onesta opinione, Candy?" le chiese, guardandola dritto negli occhi. Candy annuì in silenzio.
"Ebbene, credo che siate entrambi da biasimare per quanto è accaduto. L’ultima volta che abbiamo parlato di questa questione prima del tuo matrimonio, avevi un’opinione decisamente più equilibrata rispetto a come erano andate le cose ed eri convinta che aveste sbagliato entrambi in egual misura. Ora stai lasciando che la lettera di Susanna interferisca con la tua visione delle cose. La verità è che la tua decisione è stata inflessibile e impulsiva e che l’indecisione di Terence è stata vile. Per di più, lui ha gestito in modo incauto la crescente ossessione della Signorina Marlowe sin dall’inizio. La Signorina Marlowe e sua madre hanno ovviamente la loro parte di responsabilità, ma questo è affar loro. In base a quanto mi dici della lettera, sembra che la Signorina Marlowe se ne fosse resa conto, sebbene fosse ormai troppo tardi per riparare in qualche modo”, concluse Albert, alzandosi in piedi per sgranchirsi le lunghe gambe.
"In ogni caso, il passato è passato, Candy", le disse, con un pizzico di malinconia nella voce, "L’ho imparato molti anni dopo la morte di Anthony. Sicuramente ricorderai che mi ritenevo responsabile dell’incidente. Ora so che non è possibile riparare agli errori del passato. Tutto quel che ci resta è il futuro. Intendi lasciarti logorare dal rimpianto e dal risentimento? Non è mai stato nel tuo stile, piagnucolona".
"Lo so. . . ma è così difficile!" esclamò Candy, riprendendo posto sul divano, piuttosto abbattuta.
"Perdonare gli altri e soprattutto sé stessi richiede tempo, temo. Ma è sempre meglio gettarsi tutto alle spalle, Candy". Disse Albert, poggiando la mano sulla sua spalla destra, mentre prendeva posto accanto a lei. Poi, nel tentativo di sembrare più spensierato, aggiunse: "Riguardo al dolore che Terence può aver patito in passato e che ti preoccupa così tanto, mi sembra che si sia ripreso del tutto. A giudicare dal suo costante buonumore da quando sono arrivato qui da voi, credo che tu stia facendo un ottimo lavoro per farti perdonare".
Candy sorrise debolmente a quest’ultimo commento.
"Continuo a pensare che dovresti parlarne con lui”, insistette Albert.
Candy si mordicchiò il labbro inferiore, consapevole del buon senso delle parole di Albert, ma ancora incerta sul da farsi.
Albert e George partirono per l’Europa alla data stabilita. Subito dopo, Candy ebbe a malapena il tempo di preparare le valigie. La stagione era giunta al termine e Terence aveva fatto in modo di avere una settimana libera prima dell’inizio della tournée estiva. La coppia avrebbe passato qualche giorno alla Casa di Pony, per poi raggiungere il Signor Hayward ed il resto della compagnia a Philadelphia. Candy aveva prontamente accettato l’invito di Terence ad accompagnarlo in tournée, immaginando che in futuro sarebbe stato ben più difficile accontentarlo. Avevano anche in programma di organizzare una luna di miele tardiva dopo l’ultimo impegno della stagione; pertanto, sarebbero stati lontani da casa per circa tre mesi. In considerazione di una così prolungata assenza, era fondamentale preparare le valigie con particolare cura.
Oltre a ciò, Candy e la Signora O'Malley avevano deciso di dedicarsi ad un’approfondita pulizia dell’appartamento, dato che sarebbe stato chiuso per così tanto tempo. Erano appunto impegnate nelle pulizie di primavera, quando Candy, intenta a svuotare il cestino nello studio di Terence, trovò una cosa.
Era una lettera ancora custodita nella sua busta, che era stata incautamente accartocciata e gettata via. Candy l’aveva notata perché sulla busta era apposto un francobollo britannico. Inizialmente, pensò che si trattasse di una lettera del padre di Terence. L’idea che potesse essere nuovamente ai ferri corti con il Duca la indusse a raccogliere la lettera per esaminarla meglio. Fu dunque sorpresa quando si rese conto che la busta recava l’intestazione della Royal Shakespeare Company.
La mattina del 7 maggio, Candy si svegliò nuovamente con lo stomaco in subbuglio. Sapendo ormai cosa fare, indossò la vestaglia e andò nella cucina di Miss Pony per prepararsi un po’ di thè. Mentre attendeva che l’acqua bollisse, si ricordò che quel giorno compiva ventisette anni. Le venne in mente la grande festa che Miss Pony e Suor Maria avevano organizzato per lei l’anno precedente. Era stata meravigliosa! Era venuta persino Patty! Tutti i suoi amici e, ovviamente, Albert l’avevano ricoperta di regali. Eppure, all’epoca ignorava che il più bel regalo che avesse mai ricevuto era in preparazione proprio in quel momento. Ricordava perfettamente che era stato nel giorno del suo compleanno che Terence le aveva scritto la sua prima lettera dopo dieci anni di silenzio. Quelle poche righe, apparentemente semplici, buttate giù in preda a grandi tormenti ed esitazioni, avevano radicalmente cambiato la sua vita.
Mentre sorseggiava il suo thè, Candy pensò che sarebbe stato bello iniziare la giornata del suo compleanno guardando il sole sorgere dal suo adorato giardino. Entrò in punta di piedi nella stanza degli ospiti che condivideva con suo marito. Si vestì, premurandosi di lasciare un biglietto sul cuscino, nel caso Terence si fosse svegliato prima del suo rientro dalla passeggiata mattutina.
Una volta fuori, la giovane respirò profondamente la brezza del mattino. Si lasciò inondare le narici dal tipico profumo della sua amata campagna e un sorriso le increspò le labbra. A passo sostenuto, com’era sua abitudine, attraversò l’orto di Suor Maria. I suoi pomodori erano ormai maturi e pronti per la famosa zuppa di Miss Pony. Passando accanto al granaio, fece una breve sosta per salutare Cesare e Cleopatra. Poi, alle spalle dello stesso, fece una veloce incursione nel frutteto di Miss Pony. Ben presto, pensò, il melo sarebbe stato in fiore. Infine, raggiunse la vecchia cappella.
Aprì il cancelletto del cortile antistante la chiesa e rimase incantata dalla vista del suo giardino in fiore. Una delle nuove suore, amante dei fiori, se n’era presa cura. In questo modo, aveva detto, avrebbero sempre avuto fiori freschi per l’altare. Candy pensò che stesse facendo un ottimo lavoro. Le rose e le peonie fiorivano nelle più varie sfumature di colore e sembravano sane e forti. I non-ti-scordar-di-me che Candy aveva piantato l’autunno precedente avevano dato vita ad un piccolo squarcio di blu in una delle fioriere. Probabilmente le loro piccolo gemme erano sbocciate intorno a febbraio. Era un peccato che non avesse potuto vederli allora.
Candy si sedette sulla panchina che Miss Pony aveva recentemente fatto mettere in giardino.
"Voglio avere un posto da cui osservare il giardino di Candy ogni pomeriggio e pregare per lei", aveva detto l’anziana donna.
Da lì, la giovane poteva ammirare
una folla, una schiera di narcisi bianchi e dorati che erano ancora in fiore. Il sole baciava le loro corolle, chiaramente orgoglioso della loro genuina bellezza.
In quel momento, mentre respirava il profumato zefiro del mattino, Candy aprì il suo cuore, lasciando che i rimpianti ed il senso di colpa volassero via senza fare mai più ritorno. Per un attimo, chiuse gli occhi, e nel profondo del suo essere rivide il volto di Susanna. Poi, mormorò a fior di labbra:
"Ti perdono".
. . . e il volto di Susanna svanì, trasformandosi in un altro sfocato ricordo del suo passato.
Mentre era seduta lì, con gli occhi socchiusi ed il cuore finalmente scevro da ogni peso, sentì le labbra di Terence poggiarsi sulle sue in un delicato e umido bacio.
"Buon compleanno, signorina tuttelentiggini!" le disse, quando staccò le labbra da lei.
"Grazie, Terence", gli rispose con il più solare dei sorrisi. "Come mai ti sei svegliato così presto?"
"È successo e basta. Chissà, magari sono solo emozionato perché oggi rivedrò il Damerino!" disse ironicamente, alzando gli occhi al cielo.
"La pianterete mai voi due?" gli chiese Candy, aggrottando la fronte.
"Che posso farci? Quel pivello non sa accettare la sconfitta!" rispose lui, alzando le spalle e sfoderando un brioso sorriso.
"Sciocchezze! Quando la smetterai di fantasticare sul fatto che sia innamorato di me?" mise il broncio lei, incrociando le braccia al petto.
"Non sto fantasticando. A scuola aveva una cotta tremenda per te. Potrà anche amare sua moglie adesso, ma nel profondo del suo cuore ce l’ha ancora con me per averti conquistata. Credo che sia una questione di orgoglio ferito".
"Che interpretazione assurda!" disse lei, scuotendo la testa.
"Chiamala come vuoi", ribatté lui, sorridendo furbescamente mentre la attirava in un abbraccio, "ma non cambierà il fatto che ho vinto io".
"Sei veramente un folle presuntuoso!" disse lei sorridendo, prima che lui la baciasse di nuovo.
"Mia cara, qualcuno ha detto che siamo tutti folli in amore”, le rispose tra i baci.
Quando si separarono per riprendere fiato, lei gli rivolse uno sguardo carico di significato. La sua espressione allegra era improvvisamente diventata seria.
"Terence, c’è qualcosa che voglio dirti", esordì con una certa esitazione.
Terence percepì il suo cambiamento di umore e divenne anch’egli serio.
"Cosa c’è?"
"Terence. . . hai appena detto qualcosa di estremamente profondo. Siamo decisamente tutti folli in amore e temo di non aver fatto eccezione".
"Che vuoi dire?"
"Recentemente ho dovuto fare i conti con dolorosi rimpianti, Terence".
Sentendola parlare di rimpianti, la prima reazione di Terence fu di panico. Ma cinque mesi di matrimonio felice lo avevano rassicurato a sufficienza. Capì immediatamente che non poteva trattarsi della sua decisione di sposarlo. Pertanto, la lasciò continuare.
"Più rifletto sul periodo in cui siamo stati separati, più mi rendo conto dell’enorme dolore che la mia inflessibile decisione di lasciarci ha arrecato alla tua vita".
"Candy, ne abbiamo già parlato", la interruppe lui, ma lei alzò una mano pregandolo di lasciarla finire.
"Terence, ho bisogno di parlarne, è importante per me. Vedi, in quei lunghi anni, ho avuto tre avvertimenti che mi dicevano che avevo commesso un errore. Eppure, non ho voluto prestarvi attenzione", gli spiegò, tenendogli la mano. Dunque, dopo una pausa ed un profondo sospiro, gli chiese. "Dimmi, Terence, in tutta onestà, se in quei dieci anni fossi venuta da te a chiederti di rompere il fidanzamento con Susanna per tornare da me, lo avresti fatto?"
Alla domanda di sua moglie, Terence corrugò la fronte.
"Candy, non ha senso pensarci adesso", le disse, restio a risponderle.
"Ti prego, rispondimi, Terence. Mi avresti accolta, se fossi venuta da te?" insistette, guardandolo negli occhi.
Il giovane abbassò lo sguardo per un attimo. Conosceva molto bene la risposta a quella domanda, perché aveva spesso sognato che le cose potessero andare in quel modo.
"Candy, continuo a pensare che avrei potuto fare lo stesso e venire io da te. Avrei dovuto farlo molto prima. Ma se vuoi davvero che risponda a questa domanda, la risposta è semplice. Se solo tu l’avessi voluto, ti avrei accolta a braccia aperte senza alcuna esitazione!"
Candy nascose il volto sul petto di lui e rimase in silenzio per un po’, finché il battito del suo cuore non tornò alla normalità.
"Allora devi perdonarmi, amore mio", gli disse finalmente, sollevando il viso per guardarlo. "Perché ho rinunciato a te per il bene di una persona che non meritava il dolore che abbiamo patito".
"Candy. . ." protestò lui, accarezzandole il braccio con affetto, mentre la stringeva.
"Mi perdoni?" gli chiese ancora una volta.
"Hai veramente bisogno del mio perdono?"
"Sì!"
"Allora, ti perdono, ma forse sei tu che devi perdonare te stessa".
"L’ho appena fatto, Terence".
"Dunque se è tutto passato, voglio che tu mi prometta una cosa", le chiese. "Promettimi che non parleremo più di questa questione e che d’ora in poi penseremo solo al nostro futuro".
Candy acconsentì di buon grado ed entrambi indugiarono in un altro silenzioso bacio. Il sole splendeva raggiante su di loro, avendo preso il posto della luce dalle sfumature rosacee e dorate del cielo del mattino. Poi, Terence ruppe il silenzio.
"Oggi voglio essere il primo a darti un regalo", le disse, consegnandole un pacchetto che aveva lasciato sulla panchina. Totalmente assorbita dai suoi baci, Candy non l’aveva notato prima.
Essendo abituata a reagire sempre con grande alacrità ogni qual volta le veniva fatto un regalo, Candy lo ringraziò baciandolo diverse volte sulle guance e sulle labbra prima di aprire il pacchetto.
Una volta scartato, Candy sgranò gli occhi alla vista dei delicati motivi del portagioie così finemente intarsiato. Accarezzò con le dita le ali della fenice, circondata dai fiori, mentre suo marito le raccontava la storia di quel cimelio di famiglia che ora apparteneva a lei. Mentre ascoltava Terence terminare il suo racconto, Candy scosse la testa, sorridendo.
"Stai infrangendo una tradizione di famiglia, Terence. Non avresti dovuto darmi questo cofanetto adesso”, osservò scherzosamente.
"Lo so…ma ho pensato che potesse essere un buon sostituto per quel vecchio cofanetto che tieni nell’armadio. Dopotutto, i ritagli delle mie recensioni meritano una custodia migliore, non credi?" le chiese, dandole un buffetto sulla punta del naso.
"Sei un tale pallone gonfiato! Non avrei mai dovuto mostrarti quei ritagli", mise il broncio lei, fingendo indignazione. "Comunque, il mio vecchio cofanetto è ancora in buone condizioni. Credo dovresti rimettere questo nella cassetta di sicurezza della banca. È meglio che io non abbia qualcosa di così prezioso".
"No, voglio che tu lo abbia adesso", insistette lui.
A quel punto, Candy lo guardò con un’espressione che Terence non aveva mai visto prima nei suoi occhi; talmente sincera e piena di tenerezza, che il suo cuore saltò un battito.
"Beh, se proprio insisti. . . lo terrò, ma non inizierò ad usarlo prima di dicembre”, gli disse con un sorriso sornione.
"Perché aspettare?" le chiese, incuriosito dalla sua espressione sibillina.
"Perché per allora sarò del tutto legittimata ad averlo", gli rispose lei, con lo sguardo fisso sui narcisi che danzavano nella brezza.
"Che intendi dire?"
"Terence. . . sono incinta", gli disse infine, voltandosi a guardarlo negli occhi.
Il vento sollevò il suono delle sue parole finché non giunsero dolcemente alle orecchie di lui, come le note di una canzone. Lui batté le palpebre un paio di volte, incapace di reagire in alcun modo. La notizia non avrebbe dovuto sorprenderlo più di tanto. Sapeva che si trattava della conseguenza naturale della loro convivenza come marito e moglie. Di fatto, doveva ammettere di averci pensato qualche volta, senza tuttavia parlarne con lei. Ma ora che quella possibilità sembrava essere ormai una certezza, il suo cuore batteva a mille in preda ad un tornado di emozioni diverse. Gioia, orgoglio, tenerezza, speranza, euforia, paura ed ansia si alternarono sul suo volto. Aspettava un bambino! Il
suo bambino!
"Sei. . . sei sicura?" le chiese infine con un filo di voce.
"Assolutamente sì!" gli rispose lei annuendo, con gli occhi verdi scintillanti di lacrime di gioia.
"Mio Dio!" fu tutto quello che riuscì a dire lui, subito prima di spalancare le braccia e stringerla in un serrato abbraccio.
Con l’orecchio poggiato sul suo petto, Candy poté sentire il battito accelerato del cuore di Terence.
"Sei felice della notizia?" gli chiese, senza sciogliersi dal suo abbraccio.
Per tutta risposta, lui abbassò la testa per accarezzarle le labbra con un dolce e prolungato bacio. Istintivamente, la sua mano scese ad accarezzarle la pancia.
"Mi hai reso infinitamente felice, amore mio", le disse con un sorriso. Poi, dopo un attimo di esitazione, aggiunse con tono speranzoso: "Vorrei solo trovare un buon lavoro prima che nasca nostro figlio".
Candy lo guardò. Era proprio l’occasione che aspettava per sollevare un certo argomento.
"Terence, perché hai gettato via la lettera della Royal Shakespeare Company? Non ti hanno forse offerto un lavoro?"
Terence fu colto di sorpresa. Notando il suo sconcerto, lei pensò di che gli fosse dovuta una spiegazione.
"Ho trovato la lettera nel cestino della carta straccia mentre facevo le pulizie, Terence, ma non l’ho letta”, gli disse con un timido sguardo.
"Allora come facevi a sapere della proposta di lavoro?" le chiese lui, sollevando un sopracciglio.
"Beh, se tu hai letto il mio diario, avrei potuto leggere anch’io la tua corrispondenza. Ma non l’ho fatto. Ho tirato a indovinare quale fosse il contenuto della lettera. Intuito femminile, credo", gli rispose con sguardo malizioso, "ma non ho idea del perché la cosa non ti interessi. Non si tratta forse di una prestigiosa compagnia?"
Terence la guardò in silenzio, cercando di trovare un modo per spiegarle la sua scelta.
"Candy, ho già preso la mia decisione", esordì in modo alquanto pragmatico; "Non accetterò la loro offerta. Non ho alcuna intenzione di trascinarti in un altro continente lontano dalla tua famiglia e dai tuoi amici. Specialmente adesso che stai per diventare madre."
"Spero che tu non stia parlando seriamente, Terence!" esclamò Candy, stupita. Il suo sincero desiderio di risparmiarle un dolore l’aveva commossa, ma la sua decisione unilaterale era un insulto alla sua intelligenza.
"Non sto scherzando, Candy. Sono serissimo! Tu e nostro figlio siete molto più importanti della mia carriera per me. Non ti costringerò mai a vivere in un posto che non ti piace solo per accontentare il mio ego. Sono certo che non appena la stagione si sarà conclusa troverò un altro lavoro a New York".
"Terence, amore mio, sei molto generoso. Ma c’è una cosa che devo rimproverarti. Perché hai preso questa decisione senza neppure consultarmi? Perché pensi al posto mio?"
"Perché la tarzan tuttelentiggini che conosco è una persona talmente altruista che non esiterebbe a spingermi a perseguire le mie ambizioni senza pensare a sé. Ecco perché. Ma non permetterò che accada, Candy".
"Terence, apprezzo la tua premura, ma non mi aspettavo che il nostro matrimonio funzionasse in questo modo. Non voglio che tu decida per me. Non sono una fragile creatura da tenere in una torre d’avorio dove nulla possa scalfirmi. Ho l’impressione che questa offerta di lavoro sia decisamente vantaggiosa e sei davvero avventato a rifiutarla in modo così categorico. Così non va".
Terence era confuso e imbarazzato. Non aveva mai considerato le cose dal punto di vista di Candy.
"Candy . . . "
"Ho un’idea migliore", lo interruppe lei, intrecciando le dita della sua mano destra con quelle di lui.
"Oh, davvero?" le chiese Terence, divertito dal suo tono risoluto. Tra sé e sé, si rammentò di aver sposato una ragazza alquanto impicciona. "D’accordo, sentiamo".
"Scrivi a questo tizio in Inghilterra. . . questo Signor. . .Signor Bridge Vattelapesca".
"Bridges-Adams". "Ecco, appunto! Digli che sei lusingato della sua offerta, ma devi prima verificare altre opzioni qui in America…stabilisci una data…quando è previsto l’inizio dei preparativi per la stagione invernale?"
"Beh, dopo luglio o agosto. Dipende", rispose lui, mal celando un sorriso. Sapeva essere tremendamente incantevole anche quando era autoritaria, pensò.
"D’accordo. . . digli che qualora non ti offrissero nulla di meglio entro luglio, sarai lieto di collaborare con loro".
"Sembra che tu abbia già pensato a tutto”, le disse lui in un sussurro, accennando il suo ben noto mezzo sorriso.
"Non prendermi in giro. Si tratta di semplice buonsenso. Non ti sto dicendo di accettare l’offerta immediatamente; ma di certo dovresti lasciarti una porta aperta e, al momento opportuno, accettare l’offerta migliore. Non ha alcuna importanza che il lavoro sia in America o in Inghilterra. Questo è quello che ti direbbe Albert e, credimi, lui sì che se ne intende di affari".
A quel punto, Terence dovette ammettere che le parole di sua moglie erano assolutamente sensate. Tuttavia, le conseguenze emotive di una decisione professionale di quel tipo avrebbero potuto essere enormi per lei.
"E se l’offerta migliore venisse dall’Inghilterra?"
"In quel caso, preparerei le valigie e verrei con te, come hanno fatto milioni di mogli prima di me ed altrettante lo faranno in futuro. Non è una tragedia, Terence", gli rispose lei candidamente.
"Ma saresti lontana da casa", obiettò nuovamente lui, allungando una mano per accarezzarle il volto.
"La mia casa è ovunque tu sia, Terence".
Il resto della giornata trascorse piacevolmente. I Cornwell erano arrivati dopo colazione ed il resto degli amici di Candy che vivevano nelle vicinanze, come il Dottor Martin ed il giovane Cartwright, si erano uniti a loro per cena. Al tramonto, erano tutti riuniti nel giardino della Casa di Pony come in altre solenni occasioni.
Archie aveva portato alcune bottiglie di vino dalla cantina della Zia Elroy, ma fu sorpreso quando Candy si rifiutò di bere. La giovane pensò che fosse giunto il momento di comunicare la bella notizia; pertanto, si alzò in piedi, raggiante in volto, e annunciò di aspettare un bambino. Tutti si affollarono immediatamente intorno a Candy ed a suo marito per congratularsi. Solo Miss Pony e Suor Maria non sembrarono sorprese. Nei due giorni precedenti, sin dal suo arrivo, avevano entrambe notato il malessere mattutino di Candy, nonché l’aura di beatitudine che la avvolgeva. Le due donne avevano altresì compreso che il giovane futuro padre era stato messo a parte della notizia quella mattina stessa, perché il suo volto raggiante mal celava quel segreto.
Annie era euforica, il Dottor Martin era felice, anche il piccolo Stair si era unito alla felicità generale, anche se non ne comprendeva bene il motivo. In sintesi, l’atmosfera era così gioiosa e allegra che persino Archie sentì il bisogno di congratularsi con Terence. Finché Candy era felice, il giovane milionario ed il famoso attore potevano sotterrare l’ascia di guerra.
Quella sera, quando tutti erano già andati via o si erano ritirati nelle proprie stanze, Terence indugiò ancora un po’ in salotto. Aveva con sé una copia del più famoso romanzo di Hugo (5), che aveva intenzione di leggere durante la tournée. Il giovane pensò che la scelta di un libro che parlasse così eloquentemente di amore paterno, proprio ora che stava per diventare padre egli stesso, fosse una felice coincidenza.
Mentre si soffermava sul commovente passaggio in cui Valjean salva Cossette dai Thénardier, non poté evitare di pensare all’infanzia di sua moglie. A onor del vero, la vita di Candy alla Casa di Pony non era stata segnata dalla tragedia come quella della povera Cossette, ma un bambino senza genitori porta comunque dentro di sé delle insanabili ferite, indipendentemente da quanto premurose ed incoraggianti siano le persone che lo circondano. Inoltre, l’esperienza di abusi emotivi che Candy aveva patito a causa dei Legan era stata straziante proprio come nella storia di Hugo. Terence era grato ad Albert per aver svolto il ruolo di Valjean nella vita di Candy. Consapevole dell’irrazionale odio che Iriza nutriva nei confonti di Candy e dell’insana passione di Neil, Terence tremò al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere alla sua Candy, se non fosse stato per Albert. Dopo una vita così piena di sofferenze malgrado la tenera età, il giovane si meravigliò di come sua moglie fosse diventata una donna così piena di energia e voglia di vivere.
Dopo averla vista insieme al piccolo Alistair ed ai bambini della Casa di Pony, non ebbe dubbi che sarebbe stata una madre dolce e amorevole. Non era però altrettanto certo delle sue abilità di padre. Tuttavia, l’amore per quel bambino che doveva ancora nascere che aveva istintivamente sentito bruciare nel petto lo indusse a ritenere che avrebbe quantomeno tentato di essere all’altezza dell’ardua impresa che costituiva la paternità.
Terence indugiò nella lettura per un’altra mezzoretta. Quando l’orologio batté le dieci, immaginò che Candy avesse ormai terminato le sue preghiere. Pertanto, lasciò il salotto per ritirarsi per la notte. Quando aprì la porta della camera degli ospiti, vide sua moglie seduta vicino alla finestra che chiudeva il breviario. Nel profondo del suo cuore, si unì alle preghiere di lei per il futuro della loro famiglia. Quando Candy si voltò a guardarlo, un sorriso le illuminò il volto.
(1) La Tavola Rotonda dell’Algonquin fu un circolo di attori, critici d’arte, scrittori e intellettuali che si riunirono presso l’Algonquin Hotel di New York tra il 1919 ed il 1929.
(2) Shogun era un titolo attribuito ai comandanti militari che governarono il Giappone tra il 12° e il 19° secolo. Gli Shogun erano nominati dall’Imperatore ed i loro poteri erano pressoché illimitati.
(3) Boccioli di susino. In Giappone il frutto che è qui tradotto come “susino” è in realtà una variante orientale dell’albicocca.
(4) Eccelso e Nobile Principe. Titolo estremamente formale confacente ad un Duca dei Pari di Inghilterra.
(5) I Miserabili.
Epilogo
Un giardino all’inglese
Nell’agosto del 1925, dopo una settimana tranquilla in Scozia, Terence Graham e sua moglie giunsero a Stratford-Upon-Avon. Nei mesi appena trascorsi, la coppia aveva attraversato il sud-est degli Stati Uniti in tournée, per poi rientrare a New York a luglio, appena in tempo per preparare i bagagli per il definitivo trasferimento in Inghilterra. Con profonda malinconia avevano salutato gli Hathaway e congedato i loro fidi dipendenti, ovviamente senza dimenticarsi di una appropriata liquidazione e delle dovute referenze per una futura occupazione.
Un’ultima visita in Indiana od a Chicago era risultata impossibile. Candy si era premurata di informare telefonicamente sia i Cornwell che Miss Pony e Suor Maria della sua imminente partenza. Con sua grande sorpresa, non appena ricevuta la notizia, Archie aveva in quattro e quattr’otto organizzato un viaggio a New York per un ultimo saluto. Ovviamente, erano state invitate anche Miss Pony e Suor Maria, ma le due donne, per quanto avrebbero potuto lasciare i bambini nelle capaci mani delle novizie, avevano deciso di declinare l’invito. Il loro altruismo, infatti, le aveva spinte a non rendere le cose più difficili per la loro adorata figliola. Pertanto, avevano preferito restare a casa e pregare per Candy, come avevano sempre fatto da quando era una bambina.
Malgrado ciò, la separazione fu straziante come era prevedibile. La Signora Baker ed Annie avevano promesso ai Graham che sarebbero andate a trovarli molto presto. Albert aveva inviato un telegramma dalla Francia per informarli che avrebbe fatto loro visita insieme a George verso la fine di agosto, prima di far rientro in America. Quando infine la nave lasciò il porto, Candy, vedendo i suoi amici e parenti allontanarsi lentamente per poi scomparire, tirò un profondo sospiro, mentre suo marito la stringeva a sé. Malgrado la tristezza del momento, nel profondo del loro cuore, la certezza che il loro reciproco amore li avrebbe sempre sostenuti, indipendentemente da quello che il futuro avesse in serbo per loro, li confortò.
Con tutto quel viaggiare e le tante e intense emozioni vissute nei primi mesi della gravidanza, un’altra donna si sarebbe ammalata o sarebbe caduta in depressione. Era una fortuna che Candy non fosse mai stata una ragazza svenevole né debole. Dopo aver superato le iniziali nausee mattutine, la gravidanza procedeva tranquillamente, consentendole di essere in forze e pronta ad affrontare la sua nuova vita, sostenuta dall’amore di Terence. Tuttavia, al quinto mese di gravidanza, Candy si sentì sollevata quando poté finalmente varcare la soglia della sua nuova casa.
Terence aveva preso in affitto lo stesso cottage dove aveva soggiornato l’anno precedente, durante il suo ritiro primaverile. Quando aprì le porte dello studio, il suo cuore saltò un battito. In quella stessa stanza, era stato tormentato dall’esitazione e dalla paura, tentando di scrivere quella prima lettera a Candy. Ritornare in quello stesso luogo, dopo essere riuscito a riconquistare il suo amore, gli suscitò delle sensazioni decisamente piacevoli, un misto di ebbrezza e vittoria mai vissute prima. Guardarla mentre canticchiava indaffarata, con la silhouette che si arrotondava giorno dopo giorno man mano che suo figlio cresceva dentro di lei, lo rese ancora più felice, semmai ciò fosse stato possibile.
Com’era prevedibile, Candy sentiva la mancanza dei suoi amici e della sua famiglia. Tuttavia, il cambiamento da New York a Stratford le fece decisamente bene. Essendo fondamentalmente una ragazza di campagna, il contesto decisamente più naturale e tranquillo le si addiceva maggiormente e contribuì al miglioramento del suo umore. Il vecchio cottage aveva un grande giardino sul retro, proprio di fronte al fiume, oltre ad un giardino un po’ più piccolo sul davanti che i precedenti inquilini avevamo tristemente trascurato. Dal primissimo momento in cui aveva posato lo sguardo sull’erba pressoché secca e sull’edera sbiadita, aveva deciso di dedicarsi al giardinaggio. Essendo ormai giunti quasi alla fine dell’estate, era il momento ideale per iniziare quel suo nuovo progetto. Aveva assunto qualcuno che la aiutasse ad estirpare le erbacce e ad arare il terreno, mentre lei pensava a come organizzare il giardino in vista della primavera.
Quando il Duca fece loro visita a metà settembre e suo figlio si informò ironicamente della salute della sua matrigna, Richard Grandchester si voltò a guardare sua nuora ed il giardiniere che lavoravano in giardino. Dunque, con un sorriso allusivo, esclamò:
"Sai bene che l’erba cattiva. . ."
"Forse dovrei mandare Candy a mettere in riga i tuoi giardinieri ad Arundel Park", aveva quindi replicato Terence, riferendosi alla principale residenza di suo padre nel Cheshire, dove la Duchessa era solita passare l’autunno.
Ovviamente, fu solo una coincidenza che Eleanor Baker fosse arrivata a Stratford proprio in quei giorni. Aveva cancellato i propri impegni per l’intera stagione invernale pur di prendersi cura di Candy fino al momento del parto. La donna aveva in programma di aiutare la nuora dopo la nascita del bambino, passare le vacanze con la giovane famiglia e partire subito dopo il compleanno di suo figlio. Per non risultare invadente, aveva preso in affitto una casa vicina. Malgrado ciò, l’incontro con Richard Grandchester era di quando in quando inevitabile. Fortunatamente, in quelle rare occasioni si erano entrambi comportati con distante cortesia. Negli anni a venire, i due avrebbero dovuto abituarsi a quegli incontri per il bene di loro figlio e dei loro nipoti.
La nascita del bambino era prevista per l’inizio della tournée londinese di Terence. Sfortunatamente per la giovane coppia, Terence non poteva concedersi il lusso di mettersi in aspettativa, trattandosi della sua prima stagione con la Royal Shakespeare Company. Dunque fu più che grato a sua madre ed alla nuova governante per il sostegno che avrebbero offerto a sua moglie al momento del parto.
Tuttavia, le cose andarono diversamente. Inaspettatamente, il bambino, caparbio e imprevedibile come i genitori, aveva deciso di venire alla luce con due settimane di anticipo, consentendo a Terence di essere presente alla nascita del suo primogenito. Decise di chiamarlo Richard, come il personaggio shakespeariano che aveva impersonato quando era stato concepito. Candy sapeva che Terence non avrebbe mai ammesso apertamente la vera motivazione di quella scelta, ma decise di stare al gioco. Dopotutto, quello che veramente contava era che il suo cuore si stesse lentamente riavvicinando a suo padre. Incurante della reticenza del giovane, il fiero nonno non stette nella pelle per la gioia. Finalmente, il giorno successivo alla nascita di Richard, Candy trasferì tutte le sue lettere ed i suoi ritagli nell’antico cofanetto damasceno.
Nei dieci anni che seguirono, il tempo nel cottage dei Graham trascorse pacificamente, per quanto reso possibile dalla convivenza di due persone ostinate e volitive che affrontano insieme le difficoltà della vita. Indipendentemente da un bel po’ di porte sbattute seguite da appassionate riappacificazioni, la loro vita fu assolutamente felice e appagante. Con il tempo la famiglia si allargò ad accogliere una bambina, nata due anni dopo il primogenito, ed un altro bambino, che giunse come ultima benedizione cinque anni dopo. Tra questi felici eventi, però, la coppia aveva dovuto fare i conti con la dolorosa esperienza di un aborto. Malgrado i tempi bui, il nome di Terence divenne sempre più rispettato sui palcoscenici d’Inghilterra e la reputazione di Candy come volontaria per la Croce Rossa, nonché benefattrice di ogni nobile causa, crebbe in tutto il Warwickshire e oltre. Avevano finito per acquistare il vecchio cottage e Candy l’aveva trasformato in uno dei luoghi più belli della zona, merito perlopiù del rigogliosissimo seppur piccolo giardino che lo rendeva unico nella contea. Patty, che dopo la sua laurea nel 1926 si era trattenuta ad Oxford come professoressa, faceva loro visita regolarmente ogni estate. Altri cari amici vennero periodicamente a trovarli nel corso degli anni ed i più assidui furono senz’altro William Albert ed i Cornwell.
Il Crollo di Wall Street del 1929 fu un’amara sorpresa per la maggior parte degli investitori e delle imprese. Il patrimonio di Albert Andrew non fu immune agli effetti della crisi, ma in generale subì delle perdite contenute. Le decisioni che Albert aveva prudentemente preso nei cinque anni precedenti avevano finalmente dato frutto, garantendo il posto a tutti i suoi dipendenti. In quello stesso anno, proprio qualche mese prima del crollo della borsa, Lakewood fu messa in vendita, in linea con i piani finanziari di Albert.
I Legan furono persino più fortunati. Ricorrendo ad ogni sorta di espedienti – non tutti necessariamente legali – il Signor Legan e suo figlio avevano approfittato dello stravolgimento dei tempi per imbarcarsi in nuove avventure commerciali in America ed all’estero. Gli alberghi ed i casinò di loro proprietà si moltiplicarono con grande successo. Sfortunatamente, la loro maggior ricchezza non contribuì a migliorarne il carattere, né a renderli più felici. Neil finì per cedere ad un matrimonio di comodo e senza amore, mentre Iriza restò nubile.
Nel 1931 Beatrix Grandchester morì. Prima della sua morte, il suo primogenito e sua figlia avevano già stretto vantaggiose unioni sposandosi con altri rappresentanti della nobiltà inglese. Quindi, solo il Duca ed il figlio minore di Beatrix restavano nella grande villa dei Grandchester in città (1). Tuttavia, fedele ad una promessa fatta alla madre, il giovane si trasferì infine da suo zio, il Conte di M****, che era in realtà il suo vero padre. Un anno dopo questi tristi eventi, il Duca fece visita al suo unico figlio nello Warwickshire per annunciargli la sua intenzione di ritirarsi dalla politica ed iniziare un lungo viaggio. Fu ancora una volta una pura coincidenza che quel viaggio terminasse proprio a New York. Al suo ritorno in Inghilterra nel 1933, il Duca vendette la sua villa nel Distretto dei Laghi e fece ristrutturare quella ad Edimburgo.
La Casa di Pony continuò ad operare, accogliendo più di 30 bambini ogni anno. La Signora Carnegie tenne fede alla sua promessa, coprendo le spese dell’istruzione universitaria di tutti i bambini che restarono alla Casa di Pony senza essere adottati. Al contempo, Candy ed Annie continuarono ad occuparsi del sostegno finanziario all’istituto ben oltre il 1933, anno in cui la Signorina Giddings decise di andare in pensione.
Non potendo continuare ad occuparsi dei suoi adorati bambini, poiché debole di cuore, negli ultimi due anni della sua vita la Signorina Giddings aveva vissuto con William Albert Andrew. Nel 1935 Terence si era preso un’aspettativa di sei mesi, cosicché Candy ed i loro tre figli potessero essere presenti al capezzale della Signorina Giddings. Era un’assolata mattina di aprile quando Suor Maria e Candy dissero un’ultima preghiera, salutando l’anima dell’amorevole donna che faceva ritorno alla casa del Padre. Se non fosse stato per la presenza di Terence al suo fianco, Candy non avrebbe saputo come far fronte ad un evento talmente straziante.
Nella primavera del 1936, come ogni anno, Eleanor Baker fece visita alla famiglia di suo figlio. Si era ritirata dalle scene tre anni prima e viveva ormai ad Edimburgo, impegnata nella stesura delle sue memorie. Un caldo pomeriggio, mentre i bambini facevano il loro sonnellino, Eleanor e Candy sedevano nel gazebo sorseggiando una tazza di thè e facendo due chiacchiere tra donne. L’aria profumava di rose, lavanda, fiori di melo e narcisi. In lontananza, l’Avon borbottava, mentre le sue acque venivano accarezzate dalla brezza primaverile.
Le due donne formavano un bel quadretto. Eleanor, sempre elegante ed avvenente malgrado i suoi sessant’anni, era decisamente affascinante nel suo abito da giorno di Madeleine Vionnet. Candy, invece, indossava un abito bianco a fiori che le segnava la vita, ancora piacevolmente snella a dispetto delle quattro gravidanze e dei suoi trentotto anni. Il tempo sembrava essere stato clemente con entrambe le donne, che portavano i rispettivi anni con estrema grazia.
Come la maggior parte della gente quell’anno, avevano parlato della relazione tra Re Edoardo e Wallis Simpson. Si trattava del più grande scandalo che avesse mai coinvolto la Monarchia Britannica dopo gli eccessi del Principe Reggente risalenti a quasi cento anni prima. Ovviamente, sia Eleanor che Candy parteggiavano per gli amanti e auguravano loro il meglio. Nel corso della conversazione, Candy aveva alluso più volte, davanti alla suocera, al diritto di vivere liberamente ed alla luce del sole un amore vero e puro. Tuttavia, Eleanor si era limitata a sorridere in modo sibillino.
Quando Candy servì il thè, Eleanor osservò il giardino all’ombra del suo bianco cappello fiorentino. Ripensando allo stato di evidente trascuratezza in cui si trovava nel 1925, non riusciva a credere alla trasformazione che quel luogo aveva subito nel corso degli anni.
"Hai fatto veramente miracoli con questo posto, Candy", disse Eleanor, cambiando astutamente discorso per tessere ancora una volta le lodi di sua nuora nel giardinaggio.
"Beh, i fiori sono la mia passione, ovviamente subito dopo Terence ed i nostri figli", aveva risposto lei con sguardo sognante. "E poi il Signor Simms mi aiuta moltissimo a curare il giardino. In realtà mi considero solo la sua assistente".
"Suvvia! Sai benissimo che il merito è perlopiù tuo. Quando guardo questo giardino e ripenso allo stato pietoso in cui era, rimango stupefatta dai miracoli che fai con i fiori. . . e con i cuori della gente. Basta guardare come vanno d’accordo Terence e suo padre adesso".
"Hanno fatto un bel po’ di progressi, non è vero?" le chiese Candy, felice al ricordo dell’ultima visita del Duca.
"Assolutamente sì! Ma le cose non sarebbero andate altrettanto bene se non avessi convinto Terence a registrare i vostri figli all’anagrafe con il nome dei Grandchester. Il cuore di Richard si è sciolto come neve al sole, mia cara. È stato un vero colpo da maestro!"
"Beh, dopotutto è quello il vero nome di Terence. Qui a Stratford sanno tutti chi sia. A volte, quando usciamo e la gente lo saluta per strada, lo chiamano sua signoria. All’inizio metteva il broncio ogni volta che accadeva. Ma ora credo che ci si sia abituato. Comunque, come ben sai, usa ancora il nome Graham quando recita".
"A proposito di questo, che intendeva dire Terence l’altro giorno quando ha parlato di lasciare la Royal Shakespeare Company?"
Candy questa volta divenne seria, poggiando la sua tazza di thè sul tavolino da giardino.
"Il Signor Bridges-Adams darà le dimissioni al termine della stagione. Sembra che voglia dedicarsi ad altri progetti, dirigere un’opera e forse collaborare con la Royal Academy o il British Council. Hanno offerto il suo posto a Terence, ma è probabile che lui non accetti".
"Teme che gli attuali problemi di bilancio possano andare a scapito anche delle produzioni future e del Festival (2), vero?"
"Sì. . .e sembra stia considerando un pensionamento anticipato”. “Dici sul serio?” le chiese Eleanor sollevando un sopracciglio. Terence compirà quarant’anni il prossimo anno ed è all’apice delle sue abilità istrioniche. Pochissimi nella sua posizione penserebbero al ritiro dalle scene”.
"Lo so, ma abbiamo considerato la cosa molto attentamente. Terence ama ancora molto Shakespeare, ma credo sia un po’ stanco di viaggiare, Eleanor. Lo fa da quasi ventritré anni ormai. I nostri figli crescono talmente in fretta che sente il desiderio di passare più tempo con loro, prima che sia troppo tardi. Dopotutto, la nostra situazione finanziaria è più che agevole al momento, malgrado la crisi internazionale".
"Capisco. . . viaggiare è uno degli inconvenienti della nostra professione, temo", concordò Eleanor torcendo le labbra. "Se avessi potuto scegliere tra la gloria del palcoscenico e quella di una famiglia, avrei scelto quest’ultima. E come ben sai, ci ho provato una volta…ma ecco…lasciamo stare…non ha senso vivere di rimpianti, giusto?
"Giusto! Ci ha pensato il Signore a rimettere le cose a posto negli anni, non è forse vero?"
"Parole sante, mia cara", concluse Eleanor sorseggiando lentamente il suo thè, per poi cambiare nuovamente discorso. "Credo sia ora di fare programmi per l’estate. Sarei felicissima di badare ai miei nipoti, mentre voi due piccioncini vi rilassate un po’. Dove pensate di andare quest’anno?"
"Ci crederesti se ti dicessi che stavolta vogliamo restare a casa? Ci siamo improvvisamente resi conto che non abbiamo la casa tutta per noi da quando è nato Richard. Quindi, penso che quest’anno ci prenderemo una bella vacanza a casa".
Chicago, 14 maggio 1936
Caro Zio G,
come state tu e zia Candy? Io sto benissimo, malgrado quella pestifera di mia sorella. So che la cosa ti farà ridere, ma sai, avere una sorella di 10 anni è veramente una spina nel fianco. Nonostante Anne, credo che l’estate sarà fantastica! Zio Bert mi ha promesso di portarmi in Africa con lui. Dice che è la prima vacanza che si prende da più di venti anni e vuole renderla speciale. Visiteremo il Cairo, il Marocco ed infine il Kenya. Non sto nella pelle per i preparativi, ma papà mi ha avvertito che mi lascerà partire solo se mi confermerò primo del mio corso a scuola. Ma sai bene che non è mai stato un problema per me. Gli esami finali sono già iniziati e finora sono andati benissimo. Quindi, sto già preparando le valigie per l’Africa.
Comunque, credo che lo Zio Bert abbia bisogno di svagarsi ben più di me. Sai, dopo che Miss Pony e poi la Zia Elroy se ne sono andate, è stato molto triste. Ma da quando ha iniziato a organizzare questo viaggio, il suo umore è decisamente migliorato. Sono certo che ci divertiremo un sacco. Mi ha detto che probabilmente passeremo qualche giorno con voi prima di ripartire per l’America.
Ora, parlando del futuro, voglio dirti un segreto. Il prossimo sarà il mio penultimo anno di liceo e papà sta già iniziando a pensare all’università. Vuole che studi economia ad Harvard come ha fatto lui. Ma temo che lo deluderò. Voglio studiare ingegneria a Boston e poi, se sarò fortunato, specializzarmi al MIT. Credo sia la cosa migliore per me. La Zia Candy dice sempre che le mie invenzioni sono migliori di quelle di Zio Alistair, perché le mie resistono un po’ di più prima di esplodere. Se andassi al MIT potrei trovare il modo di farle funzionare a dovere. Che ne pensi?
Ne ho parlato con la Zia Patty quando è stata qui lo scorso Natale e lei mi ha detto che a Boston c’è un ottimo corso di ingegneria. È mia complice in questo e mi aiuterà con la domanda di ammissione, quando sarà il momento. Conosce alcuni colleghi che lavorano lì. Ora non mi resta che convincere papà che l’economia non fa per me. Ma per quello conto sulla Zia Candy. Quindi, per favore, dille che avrò bisogno del suo potere di persuasione quando verrete a trovarci il prossimo dicembre. So che, quando vuole, riesce a rigirarsi papà con un dito.
Beh, credo sia tutto per ora. Per favore, salutami tanto la Zia Candy ed i miei cuginetti Rick, Gwen e Terry. La prossima volta che ti scriverò sarà dal Cairo.
A presto,
Stair
Terence ripiegò la lettera di Alistair con il volto ancora illuminato da un sorriso. Ridacchiò ancora una volta al ricordo del riferimento del ragazzo al potere di persuasione di Candy. Avendo sperimentato sulla propria pelle la misura del suo fascino, l’uomo pensò che l’inconsapevole "buon vecchio Damerino" avesse già perso la battaglia in partenza.
Con l’ascesa al potere di Adolph Hitler e la sua recente alleanza con Mussolini, le tensioni politiche in Europa stavano assumendo una dimensione quantomeno preoccupante. Essendo profondamente democratico, Terence disprezzava le politiche promosse dai leader politici, poiché le considerava estremamente pericolose e molto vicine a una dittatura. In un momento in cui le brutte notizie erano all’ordine del giorno, ricevere una lettera allegra e spensierata come quella di Alistair costituiva una boccata di aria fresca. Terence aveva sempre avuto un debole per quel ragazzo. Tra l’altro, era convinto che Archibald dovesse consentirgli di trovare la sua strada. Tuttavia, nell’eventualità di una nuova guerra, pensò, avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per aiutare Archibald a tenere il ragazzo al sicuro.
L’attore si alzò dalla sedia, avendo terminato di leggere tutta la sua corrispondenza. Erano già i primi di giugno ed i suoi figli erano ad Edimburgo per l’estate. Osservò gli scaffali della sua imponente libreria, riflettendo su quale libro di poesie avrebbe potuto leggere quella sera prima di andare a letto. Il suo sguardo si posò sulla sua ormai ricca collezione di edizioni pregiate di opere e poesie di Shakespeare. Eppure, quella sera non aveva voglia di leggere i sonetti di Shakespeare. Per contro, prese l’antico volume delle poesie di William Wordsworth che apparteneva a Candy.
Quando lasciò il suo studio, la casa sembrava particolarmente silenziosa e si domandò cose stesse facendo la sua chiassosa mogliettina. Una volta in camera da letto, il silenzio fu rotto dal grammofono che diffondeva le note di "More than you know" e dal rumore dell’acqua corrente proveniente dalla toilette.
"Oh! Eccoti qui! Dove ti eri nascosto?" gli chiese Candy, uscendo dalla stanza da bagno.
La donna si avvicinò a suo marito, gli prese le mani, poggiandosene una sulla spalla e l’altra sulla vita, e lo coinvolse divertita in qualche passo di danza. Terence fu lieto di accontentarla. Sapeva che amava particolarmente quella canzone. Aveva acquistato il disco in occasione di una della sue tournée, affermando che ascoltarlo le era di consolazione per la sua assenza. Di fatto, dopo aver perso il loro terzo figlio a causa di un aborto quell’anno, Candy era stata particolarmente depressa nei mesi successivi al triste evento. La sua assenza, seppur per una breve tournée di beneficienza, le aveva reso tutto più difficile. In qualche modo, quella canzone riusciva a tirarla un po’ su.
Ripensò a quella sera del 1929, quando aveva finalmente fatto ritorno a Stratford qualche giorno in anticipo senza avvertirla, ansioso di stare un po’ con lei. L’aveva trovata da sola in salotto, seduta al buio. Persino nel dolore, il suo sguardo si era illuminato quando l’aveva visto arrivare. Dopo quell’episodio, aveva deciso di rinunciare alla stagione invernale per stare con sua moglie ed i loro due figli. Addolorati per la perdita subita, avevano bisogno l’uno dell’altra più che mai. Con il tempo, il dolore si era affievolito e le ferite rimarginate. Tre anni dopo nasceva Terence Junior.
Ora che si era del tutto ripresa, il suo sorriso era splendente e luminoso come quando l’aveva conosciuta. Ma mentre si muovevano lentamente sulle note della canzone,Terence notò una punta di malizia nel suo sguardo.
"Amore, che ne dici di fare un bagno caldo prima di andare a letto?" gli chiese con fare allusivo.
Per tutta risposta, lui ricambiò il sorriso ed iniziò a slacciarsi la cravatta. Poi, lei si voltò verso il tavolino da toilette. Quando finalmente entrò nella stanza da bagno, con indosso solo le culottes ed una graziosa camiciola, lui si era già accomodato nella vasca.
Candy si soffermò per un attimo ad ammirare il suo fisico asciutto, pregustando il contatto dei loro corpi sotto l’acqua calda. Ma ricordandosi che doveva ancora sciogliersi i capelli, si voltò verso lo specchio del bagno ed iniziò a togliersi le mollette.
"Novità nella posta?" gli chiese, mentre i riccioli fino a quel momento elegantemente sistemati nell’acconciatura ricadevano sulle sue spalle.
"Solo da Alistair e Albert. Hanno in programma un viaggio in Africa ed è probabile che vengano a farci visita prima di rientrare in America a fine estate!" rispose Terence, mentre si godeva la vista di sua moglie che si toglieva la biancheria davanti a lui. I suoi riccioli, ora più lunghi, le incorniciavano le spalle e sentì il bisogno di accarezzarli.
"Quando la vedo così, mi sento ancora come un ventenne. Mio Dio, ha la schiena più bella che abbia mai visto!'' pensò.
Quando Candice, con i capelli ormai sciolti, si voltò ed entrò nella vasca, Terence ebbe la stessa sensazione che si prova quando si rilegge una bella poesia. Ogni strofa ci è familiare, eppure, l’effetto che produce sulla nostra anima è sempre nuovo.
Senza dire una parola, si accomodò tra le gambe di lui, poggiando la schiena sul suo petto. Quando le sue mani iniziarono ad accarezzarla dappertutto, con la scusa di insaponarla, non ebbe dubbi su come sarebbe andata a finire tra di loro. Ormai esperto nell’accendere in lei il fuoco della passione, ben presto Candy non riuscì a resistere alla tentazione di voltarsi verso di lui. Un secondo dopo, erano una cosa sola.
Nella primavera dell’anno seguente, Richard Grandchester ebbe un ictus nella sua villa di Edimburgo e morì. Dunque, suo figlio Terence divenne il 15° Duca di N****. Dopo lo scandalo dell’abdicazione di Re Edoardo VIII del dicembre precedente, il fatto che Terence fosse succeduto a suo padre dopo aver vissuto come un cittadino comune così a lungo era considerato un peccato veniale. Con la minaccia di una nuova guerra, Re Giorgio VI aveva cose più importanti a cui pensare, che mettere in dubbio la successione del Ducato.
Terence e la sua famiglia si trasferirono ad Arundel Park, che diventò così la loro residenza principale, trascorrendo dunque gli inverni a Londra e le estati in Scozia. Fu veramente un peccato che Iriza Legan non fosse mai stata invitata a far visita alla sua "cara cugina" la Duchessa in una delle sue proprietà in Inghilterra.
Quell’autunno la neo-Duchessa fece estirpare tutte le erbacce da Arundel Park e negli anni ne trasformò completamente i giardini. I suoi roseti ed i suoi narcisi divennero famosi in tutto il Cheshire.
Al tempo dei Narcisi
Al tempo dei narcisi (che sanno
che la vita è crescere)
scorda il perché, ricorda il come
Al tempo dei lillà che proclamano
che il risveglio porta al sogno,
ricordalo (dimenticando i forse)
Al tempo delle rose (che meravigliano
il qui ed ora con un paradiso)
dimentica il se, ricorda il sì
E nel tempo delle dolci cose oltre
ciò che la mente comprenderà
ricorda di cercare (dimentica trovare)
E, nel mistero che sarà
(quando il tempo dal tempo ci libererà),
dimenticandoti di me, ricordami
- E.E. Cummings -
FINE(1) Città - Londra
(2) Il Festival - Eleanor fa riferimento al Festival di Stratford-on-Avon, famoso per la musica ed il teatro, che Bridges-Adams diresse per 15 anni.