Candy Candy

"La Stagione dei Narcisi" di Josephine Hymes, Traduzione di sailor74 (a.k.a. Ladybug)

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icon12  view post Posted on 28/4/2013, 15:22     +12   +1   -1

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Con il permesso dell'autrice, posto qui di seguito il primo capitolo della mia traduzione di THE SEASON OF THE DAFFODILS di Josephine Hymes. Ci tengo a precisare che con questo non intendo assolutamente mancare di rispetto a chi si è occupato di questa traduzione prima di me, a cui vanno i miei più sentiti ringraziamenti ed il mio apprezzamento per l'impresa titanica a cui, sono certa, sono state dedicate molte energie e risorse. Amando particolarmente quest'autrice, ho deciso di cimentarmi nell'impresa come sfida personale nonché come puro e semplice atto d'amore nei confronti di una storia che mi ha commosso profondamente durante l'infanzia e che ancora mi fa compagnia in età adulta...Enjoy!

Ilaria



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PREMESSA


A chiunque intenda leggere questo testo



La storia qui di seguito non costituisce un’opera d’arte e non intende in alcun modo operare rivendicazioni di natura estetica rispetto alla sua composizione od agli eventi e simboli in essa descritti. Essa si basa - più o meno – su una storia scritta da Kyoko Mizuki ed illustrata da Yumiko Igarashi negli anni ‘70.
Questa stessa storia è stata successivamente rivista ed editata dalla stessa Mizuki in una recente pubblicazione dal titolo Candy Candy. Final Story (Novembre 2010). Pertanto, la presente opera di narrativa è tutt’altro che originale.

Per quanto si tratti di una storia creata da una fan, essa non scaturisce dalla creatività di un’unica persona. Di fatto, è ricca di idee partorite da molti fan di Candy Candy, specialmente coloro che ogni giorno partecipano attivamente e con grande entusiasmo alle attività del forum Candy and Terry all’indirizzo www.candyterry.com/forums. Questa fanfiction è nata proprio dallo scambio di opinioni, dai sentimenti e dalle ipotesi generate dalle traduzioni amatoriali di Final Story, nonché dal manga-anime originale. È giusto, pertanto, esprimere il dovuto apprezzamento a tutti i membri del forum che hanno ispirato questo lavoro. Un ringraziamento speciale va a Candyterry, (webmistress del www.candyterry.com) ed a Sara Nardo per aver letto le bozze di questa storia ed aver contribuito con feedback e idee preziose alla versione finale, unitamente a Rosemary555, i cui disegni sono stati utilizzati ad illustrazione della storia. A quest’ultima va il mio più profondo apprezzamento per il contributo grafico.

L'autrice si è dunque limitata ad intrecciare le proprie idee con quelle di altri fan, al fine di fornire un’interpretazione della storia che rispecchi esclusivamente le sue preferenze e idee personali su Candy Candy.
Pertanto, nel corso della lettura - se ne avrete voglia – potrete trovare cose su cui siete d’accordo o in disaccordo, cose che pensate non sarebbero mai potute accadere in un vero seguito della storia che tutti amiamo. Vi prego di non prendervela a male. Con questo tentativo, la scrittrice ha semplicemente voluto divertirsi un po’ ed allentare lo stress della sua vita professionale, nutrendo l’ardito pensiero che forse anche altri avrebbero potuto goderne. Questo è il motivo per cui viene pubblicata qui.

Nel corso della redazione della storia, sono state condotte alcune ricerche sugli usi e costumi degli anni ’20 e ‘30, epoca in cui essa è ambientata. È stata tratta ispirazione da alcuni libri, film e pezzi musicali dell’epoca, nonché da opere e poesie di Shakespeare, fotografie e voci enciclopediche. L’autrice fa presente che le immagini utilizzate e le idee che hanno dato vita a questa storia non costituiscono alcuna violazione del diritto d’autore, trattandosi di una fan fiction che non sarà mai utilizzata a scopi di vendita o commercializzazione.
Infine, per quanto riguarda la classificazione, questo testo rientra nella categoria Generale, sebbene alcuni capitoli possano essere considerati per Adulti, visto il linguaggio forte e alcune descrizioni voluttuose dell’amore; vi pregherei di considerare tutto ciò nel caso in cui non aveste piacere di vedere Candy Candy od altri personaggi descritti in questo modo.

Tutto ciò premesso, nel caso in cui potesse farvi piacere leggere una storia ‘non originale’ e dedicare un po’ di tempo a un racconto forse banale e zeppo di cliché, potreste cimentarvi nella lettura de:




LA STAGIONE DEI NARCISI
Capitolo 1
Due Lettere


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Le voci dei bambini risuonavano nell’aria. Era una di quelle magnifiche mattine d’estate nella campagna dell’Indiana, quando il sambuco è in fiore. Candy aveva raccolto un intero cestino di piccoli fiori bianchi e Miss Pony era intenta a preparare il suo famoso liquore ai fiori di sambuco. Non appena l’anziana donna ebbe versato lo zucchero nell’acqua bollente, il dolce profumo dei fiori inondò la cucina. Miss Pony chiuse per un attimo gli occhi, ormai segnati dal tempo, per assaporare il momento. Quando finalmente li riaprì, il suo sguardo si posò su Candy che era intenta a ritirare la posta dalla cassetta.
Ormai era una donna fatta, pensò Miss Pony mentre osservava la giovane dalla finestra della cucina. Il mese scorso avevano festeggiato il suo ventiseiesimo compleanno ed era stata una bellissima festa, a cui avevano partecipato tutti i ragazzi della casa di Pony, vecchi e nuovi. I Cornwell con il loro piccolo erede, Jimmy Cartwright che era arrivato direttamente da Chicago dove frequentava l’università, Patricia O'Brian che aveva fatto un lungo viaggio addirittura da Oxford....tutti avevano segretamente cospirato con Suor Maria per organizzarle una festa a sorpresa. Persino il Sig. Andrew era riuscito ad intervenire, concedendosi una tregua dai suoi interminabili viaggi in tutto il mondo.
"Le vogliono tutti molto bene", sorrise tra sé e sé Miss Pony, senza smettere di rimestare il liquore, "Come potrebbe essere altrimenti? È un vero tesoro ed una benedizione per tutti noi".
L’anziana donna ripensò alle innumerevoli occasioni in cui, nel corso degli anni, Candy si era rivelata fondamentale nelle loro vite. Aveva assistito Annie durante i difficili mesi della sua gravidanza, senza abbandonarla neppure un minuto finché non ebbe partorito. Era stata vicina a Jimmy quando il Sig. Cartwright l’aveva lasciato, esortandolo ad andare avanti. Era stato proprio grazie al suo incoraggiamento che Jimmy aveva deciso di iscriversi all’università, come aveva sempre desiderato suo padre. Fu ancora Candy a svolgere un ruolo importante durante l’epidemia di scarlattina che aveva colpito la casa di Pony. Ed era la stessa Candy cha aveva lavorato instancabilmente per raccogliere i fondi per i bambini immigrati nella scuola di Patty, prima che quest’ultima partisse per Oxford per frequentare un dottorato di ricerca.
"Mette sempre da parte le proprie sofferenze e preoccupazioni per il bene degli altri", pensò Miss Pony tirando un debole sospiro, "Mi consola sapere che almeno Suor Maria e io possiamo ancora prenderci cura di lei. Tuttavia, a volte mi domando se questo le possa bastare".
Improvvisamente, il passo veloce di Candy risuonò nella cucina, ancora inondata dal profumo dei fiori. Miss Pony spense il fuoco sul fornello e si voltò verso la giovane.
"Ci sono novità?", chiese casualmente.
"Vediamo. C’è una lettera degli Hawthorn".
"Fammi vedere", disse Miss Pony asciugandosi le paffute mani sul grembiule, "Dovrebbero averci mandato la donazione che ci avevano promesso".
Candy, che indossava un paio di jeans e una camicia a scacchi, sparse la corrispondenza sul tavolo di quercia, accingendosi a smistarla. Nel frattempo, Miss Pony era assorta nella lettura.
"Ecco qui", esordì Candy, "È arrivata un’altra cartolina di Albert e una lettera di Annie…e…..."
Miss Pony sollevò lo sguardo dalla sua lettera, notando l’improvviso silenzio. Candy si era lasciata letteralmente cadere su una sedia vicina e le sue guance avevano perso il caratteristico colorito.
"Dio mio, Candy, cosa succede?", la incalzò l’anziana donna. "Candy?", ripeté Miss Pony avvicinandosi a lei.
"Non. . . non è niente", rispose finalmente la giovane con un filo di voce.
"Candice White Andrew", l’ammonì Miss Pony, "Pensi di darmela a bere? Vuoi forse farmi credere che sei impallidita senza alcun motivo apparente? Dimmi, cosa succede?"
Miss Pony notò che le sue mani tremavano mentre stringeva la lettera ancora sigillata. Era come in trance, lo sguardo fisso sulla busta.
"Chi ti ha mandato quella lettera?", le chiese nuovamente Miss Pony.


"È una lettera di Terence!", riuscì finalmente a dire Candy, la voce quasi stridula, come se fosse stata trafitta da un dolore improvviso. Immediatamente, si alzò e corse fuori dalla cucina. Accadde tutto così velocemente che Miss Pony ebbe appena il tempo di accorgersi che aveva gli occhi pieni di lacrime
"Che sta succedendo qui?", chiese Suor Maria, entrando nella stanza.
La suora vide Miss Pony che sedeva stancamente sulla stessa sedia occupata da Candy solo un attimo prima.
"Che cosa è successo, Miss Pony, mi sembra di aver sentito Candy alzare la voce".
Con un silenzioso cenno, Miss Pony invitò l’amica e collega di una vita a prendere posto accanto a lei. Alla vista di un’espressione così seria sul viso di Miss Pony, Suor Maria comprese che stava per accadere qualcosa di veramente grave alla casa di Pony.
"Alla fine è successo, Suor Maria", disse l’anziana donna rompendo il silenzio. Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e iniziò a pulirsi gli occhiali, "Sembra che il Sig. Grandchester abbia finalmente trovato il coraggio di contattare Candy".
Suor Maria scambiò uno sguardo d’intesa con l’amica, stringendo istintivamente la croce del suo Rosario di legno.
"Sapevamo che sarebbe accaduto quando abbiamo letto la triste notizia della scomparsa della Signorina Marlowe, non è vero Miss Pony?", rispose la suora.
"Lo so, amica mia, ma gli ci è voluto un po’ per decidersi. Stavo iniziando a credere che non l’avrebbe mai fatto".
"Se non sbaglio è passato oltre un anno", aggiunse Suor Maria sollevando lo sguardo come se stesse sforzandosi di ricordare, "Un periodo di tempo appropriato per un lutto dignitoso, credo. Il Sig. Grandchester ha sempre avuto un gran senso del decoro, malgrado i suoi modi alquanto anticonvenzionali".
"Forse ha atteso così a lungo per correttezza, o forse per paura", commentò malinconicamente Miss Pony, "ma quello che conta realmente è come reagirà Candy a qualsivoglia notizia porti la sua lettera".
"Come le è sembrata?", chiese Suor Maria.
"Era incredula e credo che stesse piangendo", rispose l’anziana donna alzandosi in piedi e avvicinandosi alla finestra. Il vecchio pioppo giallo che dominava la vista dalla collina di Pony era ancora in fiore, "Sicuramente starà leggendo la lettera all’ombra di Papà Albero".
"Spero che almeno questo le darà un po’ di conforto", aggiunse Suor Maria, per poi aggiungere, "comunque non smetterà mai di sorprendermi il fatto che non si aspettasse un tale gesto da parte del Sig. Grandchester".
Miss Pony rivolse lo sguardo alla vecchia amica con un’espressione sognante.
"È così che funziona il nostro cuore, quando è animato dall’amore; . . .sempre incerto, sempre insicuro del potere esercitato sull’amato. Credo che Candy non si aspettasse affatto questa lettera, Suor Maria. Dopo tutti questi anni aveva abbandonato ogni speranza".
"Nella sua mente, sì," aggiunse la suora, "ma ovviamente non nel suo cuore".
"Su questo sono d’accordo," rispose l’anziana donna, ritornando alle proprie faccende.

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Papà Albero fioriva fedelmente ogni mese di maggio. I suoi fiori giallo-verdi, che ricordavano le magnolie, duravano solo un mese o giù di lì, ma la loro bellezza valeva l’attesa. Candy si ricordò di quando lei e Annie, verso l’inizio di giugno, raccoglievano i fiori ormai caduti e li pressavano nei rispettivi quaderni per conservarli come ricordo della primavera. Poi, nelle lunghe e fredde notti invernali, le due bimbe solevano contemplare i fiori ormai secchi attendendo il ritorno della bella stagione.
Ora era nuovamente l’inizio di giugno. Candy sollevò lo sguardo verso gli ormai sparuti fiori che ancora resistevano attaccati al proprio gambo. La luce del sole filtrava attraverso la fitta chioma del pioppo giallo. Candy tirò un profondo respiro. Riusciva a sentire il profumo dell’estate che aleggiava nell’aria.
Teneva ancora la lettera stretta tra le mani. I suoi occhi si erano soffermati su ogni parola almeno un centinaio di volte. Temeva di leggere troppo o troppo poco tra le poche righe che lui le aveva inviato.

Stratford, 7 maggio 1924

Cara Candy,

Come stai? Non sono certo che riceverai mai questa lettera, ma ho dovuto tentare la sorte. Ho deciso di inviarla all’unico indirizzo con cui pensavo fossi ancora in contatto.
Forse sto facendo troppe supposizioni, ma credo che tu sappia che è passato più di un anno…avevo pensato, o piuttosto, sperato, di mettermi in contatto con te una volta trascorso il primo anno. Tuttavia, a causa della mia indecisione, ho lasciato che passassero altri sei mesi.
Ecco, l’ho detto. Sono solo poche righe ma se non spedisco questa lettera adesso, non lo farò mai

T.G.

P.S.
Voglio che tu sappia che nulla è cambiato per me in tutti questi anni.

Candy analizzò nel dettaglio ogni riga e curva della sua grafia. Chiara e decisa, non aveva vacillato un attimo. Di questo era certa. Tuttavia, non sapeva come interpretare il senso di quanto aveva scritto.
"Un anno e mezzo fa", sospirò tristemente Candy.
Ovviamente era perfettamente a conoscenza di quanto era accaduto a dicembre di due anni prima. Era una grigia mattina di fine febbraio quando lesse la notizia sulla pagina dei necrologi. Ricordava ancora di essersi sentita mancare il terreno sotto i piedi quando il suo sguardo si era accidentalmente posato sul titolo che annunciava la scomparsa di Susanna Marlowe. Sembra che la giovane donna avesse perso la lunga e difficile battaglia contro una rara malattia. Lei e Terence non si erano mai sposati, ma erano stati a lungo fidanzati. Fedele alle sue promesse, il giovane era rimasto al suo fianco fino alla fine.
Data la sua natura sensibile e generosa, Candy aveva provato un dolore profondo nell’apprendere la triste notizia. Sperava sinceramente che Susanna avrebbe aiutato Terence a trovare un po’ di tranquillità, dopo i travagli della sua adolescenza. Per contro, lui, pensò Candy, era l’unico che potesse renderla felice. Dopo il suo sacrificio, Susanna lo meritava…ancora una volta, le speranze di Candy erano state disattese.
La giovane sapeva che Terence aveva sofferto profondamente dopo la loro separazione di dieci anni prima: il loro ‘quasi’ incontro a Rockstown costituiva prova evidente del suo dolore. Tuttavia, Candy non credeva di essere indimenticabile. Come avrebbe potuto? Era solo una ragazza di campagna senza grandi doti, eleganza o bellezza. Era certa che Terence avrebbe finito per innamorarsi di Susanna e che avrebbero vissuto una vita felice insieme, come Candy aveva desiderato. Voleva la sua felicità più di ogni altra cosa al mondo.
Dunque, la notizia della scomparsa di Susanna era stato un duro colpo per Candy. La sua morte aveva reso Terence vedovo prima ancora di sposarsi. Temeva che la sua natura tetra e solitaria avrebbe presto avuto la meglio su di lui, facendolo sprofondare nella depressione o ancor peggio. Per settimane, fu combattuta, domandandosi se avrebbe potuto aiutarlo a trovare una qualche consolazione. Tuttavia, esitò, incerta delle sue capacità di portargli un effettivo conforto. Come si può consolare qualcuno che ha appena perso una persona così cara, come sicuramente Susanna era per lui? Inoltre, c’era sempre il rischio che le sue intenzioni fossero fraintese. Dio solo sapeva che non avrebbe mai agito per il proprio tornaconto, ma cosa avrebbero pensato gli altri? Cosa avrebbe pensato Terence? Queste considerazioni ebbero la meglio sulla sua determinazione e, dunque, decise di affidarsi alla preghiera, confidando in tutto l’aiuto possibile che essa avrebbe potuto offrire a Terence. Le sue preghiere erano state accolte, o almeno così credeva.
Con il passare dei mesi, Candy si sentiva sempre più sollevata, leggendo che lui continuava a fare la sua vita. La sua carriera era all’apice del successo e non giravano voci di depressione o abuso di alcool. Sembrava che fosse tutto a posto. Dopodiché, Candy prese coscienza di un’altra amara realtà. Ora era ufficiale; Terence l’aveva dimenticata. Era vivo e libero là fuori e andava avanti per la sua strada senza di lei.
Candy era felice per lui, sinceramente felice. Era quello il Terence Graham Grandchester che aveva conosciuto e ammirato. Eppure, nel profondo del suo cuore piangeva la sua perdita, consapevole del fatto che lui non tenesse più a lei. Un uomo passionale come Terence non sarebbe rimasto solo per sempre. Non aveva ancora trent’anni, era benestante, famoso e sicuramente più bello che mai. A tempo debito, si sarebbe innamorato di nuovo, per poi sposarsi ed avere dei figli; figli che non gli avrebbe dato lei. Con disappunto, riconobbe la ben nota punta di gelosia che ancora albergava nel suo cuore. Terence poteva averla dimenticata; ma era lei a non aver dimenticato lui.
Tuttavia, la giovane aveva tenuto sempre segrete queste dolore riflessioni. Non ne parlava con nessuno, neppure con Miss Pony o Suor Maria. "A che scopo?", si ammoniva quando il bisogno di aprire il suo cuore a qualcuno diventava più intenso. "Non ha senso piangere sul latte versato", era sempre stata questa la sua filosofia. Pertanto, nel corso dell’anno precedente, aveva raddoppiato i propri sforzi per portare a compimento le migliorie della casa di Pony che le sue due madri desideravano da così tanto tempo. Questi programmi la aiutavano a mantenere una parvenza di felicità ed era grata di tutto ciò.
Ora, improvvisamente, era arrivata una sua lettera, in cui le diceva così tanto e così poco al tempo stesso.
"Avevo pensato di mettermi in contatto con te una volta trascorso il primo anno", aveva scritto.
Era un messaggio diretto, quasi enigmatico, eppure carico di significato. Sin dall’inizio "aveva pensato" di contattarla. Candy si sentiva tremendamente confusa.
La giovane percepì un rumore sordo sull’erba. Era uno dei figli di Papà Albero, che abbandonava la sua casa natia. Candy raccolse il fiore e accarezzò dolcemente la sua corolla a forma di coppa.
"Che intenzioni hai, Terence?", si domandò rivolgendosi al fiore, “È la mia amicizia che ti interessa riacquistare? E se così fosse, perché hai atteso la scomparsa di Susanna per farlo?


Se mi avessi scritto anni fa allo scopo di rinnovare la nostra conoscenza in termini amichevoli, ti avrei risposto, Terence. Indipendentemente da quanto sarebbe stato difficile per me fingere, giuro che ti avrei risposto. Ci avevo anche pensato una volta, ti avevo scritto delle lettere che però non ho mai trovato il coraggio di spedire. Se invece stai cercando qualcosa di più, per quale motivo nutrivi già questo desiderio subito dopo la scomparsa di Susanna?"
"Non la amavi?", fu l’inconcepibile domanda che le venne in mente. "Allora per tutti questi anni, tu hai. . ."
Subito dopo, decise di porre fine a tutti i suoi ragionamenti. Non poteva essere così.
La giovane si coprì il volto con entrambe le mani. Un ben troppo noto mal di testa iniziava a martellarle le tempie. Una parte di lei desiderava che quella lettera non le fosse mai arrivata. Tuttavia, ora era lì, un fatto innegabile poggiato sul suo grembo.
Miss Pony suonò la campanella chiamando tutti per il pranzo. La giovane ripiegò attentamente il foglio e lo ripose nella busta. Poi raccolse il fiore giallo e si infilò la lettera in tasca. Non poteva restare ancora lì. Aveva mille faccende da sbrigare che la attendevano in casa.
Scendendo lentamente dalla collina, Candy decise che doveva rispondere al più presto. Eppure, non aveva idea di cosa avrebbe potuto scrivergli.


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Miss Pony e Suor Maria avevano deciso di non farle domande riguardo la lettera e Candy aveva apprezzato la loro discrezione. Riuscì a mostrarsi serena per il resto della giornata, sbrigando le solite faccende. Malgrado la sua energia, però, le due anziane donne non furono tratte in inganno. Candy appariva fin troppo tranquilla e pallida rispetto al suo solito. Quando finalmente andò a letto, dopo aver mangiato appena, le due donne si scambiarono uno sguardo. Tuttavia, mantennero i loro propositi e non fecero domande.
Nel corso della giornata, Candy aveva riflettuto trovando una spiegazione che le sembrava la più plausibile. Secondo lei, Terence stava solo cercando di ritrovare una vecchia amica. In passato, aveva temuto che Susanna potesse ingelosirsi e, non volendola turbare, aveva preferito mantenere le distanze. Ora le cose erano cambiate. Era libero di rinnovare l’amicizia. Non c’era ragione di leggere altro tra le poche righe che le aveva scritto.
Forse stava trascurando altri dettagli della lettera, come il termine di un anno che lui si era dato, ma non voleva mettere a rischio il proprio cuore con ipotesi azzardate. Pertanto, forte di questa convinzione, decise di rispondere.
La mattina successiva, dopo aver imbucato la sua lettera, aveva commentato casualmente l’intenzione di Terence di rinnovare l’amicizia.
"Non voglio che saltiate a conclusioni affrettate riguardo alla questione della lettera", aveva ammonito le due donne che la osservavano incredule, "siamo solo due vecchi amici che si ritrovano, ve l’assicuro, nulla di più".
Miss Pony e Suor Maria non la contraddissero, né fecero alcun commento.

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La sera era calda e il cielo stellato. Malgrado le luci della città, era ancora possibile scorgere le stelle. Mentre usciva dal Met, il giovane sentì il tipico calore dell’aria estiva che gli accarezzava il viso. Era stata una serata memorabile. La sua sensibilità artistica gli diceva che la prima a cui aveva appena assistito sarebbe entrata nella storia dell’arte americana. George Gershwin era senza dubbio un compositore di talento e quello appena eseguito dall’orchestra jazz di Whiteman era il più bel pezzo di Gershwin che avesse mai ascoltato. Si intitolava "Rapsodia in blu". "È un bel titolo," pensò.
Fece un cenno al suo autista, che lo stava già aspettando, per informarlo che aveva deciso di tornare a casa a piedi. L’aria della sera e un po’ di moto gli avrebbero fatto bene.

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Senza alcuna fretta, il giovane si accese una sigaretta e, con la sua caratteristica andatura, si incamminò verso casa. Sembrava un sogno sentirsi così libero, così vivo, dopo otto lunghi anni di oppressione. Era un tale cambiamento, che gli ci era voluto un po’ per abituarsi. Non che avesse di che lamentarsi.
La piacevole ouverture di Gershwin risuonava ancora nelle sue orecchie mentre ripensava agli ultimi mesi. La stagione era stata un successo ed i nuovi progetti per l’autunno successivo erano entusiasmanti. Ora poteva tornare a casa e leggere i nuovi copioni per conto proprio, assaporando ogni battuta mentre declamava ad alta voce, senza preoccuparsi di restare alzato fino a tardi. Nessun rimprovero, nessuna presenza scomoda e invadente. Sentiva che finalmente aveva il controllo del proprio destino.
Sfortunatamente era stata una vittoria amara, doveva ammetterlo. L’ultimo anno di vita di Susanna era stato terribile per la giovane donna. Poco importava quanto fosse infelice la loro relazione, certamente non avrebbe mai desiderato la sua morte. Come avrebbe potuto? La poverina era già una creatura debole e tormentata. Inoltre, la sua malattia l’aveva provata così tanto, che ella meritava la sua compassione, non il suo risentimento.
Qualunque cosa fosse accaduta in passato, non aveva più importanza. Il medico l’aveva informato del destino infausto di Susanna all’inizio del 1921. Non c’era nulla da fare, se non aspettare. Aveva avuto diversi mesi per abituarsi alla verità e prepararsi alla fine, prima che giungesse il momento. Sapeva che dopo la sua scomparsa, avrebbe dovuto prendere delle decisioni e alcune di esse non sarebbero state piacevoli. Il giorno stesso della sepoltura di Susanna aveva già in mente cosa fare.
Una settimana dopo il funerale aveva chiarito le cose con la Sig.ra Marlowe una volta per tutte. Il ricordo di quel colloquio era ancora vivo.
"Credo che ci siano alcune questioni urgenti di cui parlare, signora”, aveva esordito mentre sedeva nel salotto di casa sua.
La donna era rimasta in silenzio, come se si aspettasse il peggio dal giovane nella cui casa aveva vissuto per oltre tre anni. Ora che non aveva più la scusa di essere la sua futura suocera, si aspettava di essere mandata via prima o poi. Era consapevole di non godere delle simpatie del giovane attore.
"Temo sia giunto il momento che le nostre strade si dividano, Sig.ra Marlowe," le aveva detto tutto d’un fiato, scegliendo l’approccio diretto.
"Sapevo che sarebbe accaduto," rispose la donna con espressione stizzita, "Dammi solo un paio di giorni per racimolare le mie cose, Terence. Non ti imporrò oltre la mia presenza”.
"Si sbaglia, signora, non intendevo invitarLa ad abbandonare questa casa. In realtà, è esattamente il contrario", aveva risposto con aria indifferente.
La Sig.ra Marlowe rimase a bocca aperta, senza riuscire ad articolare alcun suono.

"Ho preso in affitto un appartamento al Village. Mi trasferirò lì domattina. Se non Le dispiace, signora, porterò con me il mobilio della mia camera da letto e dello studio. Il resto rimarrà a Sua disposizione”, le aveva spiegato.
"Ma questa casa. . ." riuscì a dire la donna.
"È sempre stata di Susanna. L’avevo acquistata per lei, quindi credo sia giusto che la tenga Lei", aveva aggiunto.
Dopodiché, non avendo altro da dirle, si alzò e infilò una mano nella tasca interna della giacca per estrarne qualcosa.
"Ecco", disse mentre le porgeva una grossa busta, "Questi sono gli atti di proprietà della casa, sono intestati a Susanna. Anche se non aveva lasciato scritte le sue volontà, essendo sua madre e l’unica parente, credo che Lei non avrà alcun problema a rivendicarne la proprietà. Nella busta troverà anche del denaro. Ho pensato che potesse esserLe utile mentre deciderà cosa fare del Suo futuro".
La donna prese la busta senza proferire parola, non sapendo come reagire di fronte ad un regalo talmente inaspettato. Nel profondo del suo cuore, la Sig.ra Marlowe sapeva che sia lei che sua figlia erano state terribilmente ingiuste con lui. Quindi, ora le risultava difficile comprendere la sua generosità.
"Domani, quando me ne andrò, la governante e l’autista verranno con me. Hanno deciso liberamente, spero dunque che non serberà loro rancore", le aveva detto con freddezza.
"Capisco," riuscì appena a bisbigliare.
"Un’ultima cosa, signora", aveva aggiunto prima di ritirarsi, con una fiamma di determinazione che ardeva nei suoi occhi, "Spero che Lei comprenderà che i nostri rapporti si interrompono qui. La prego di non aspettarsi più nulla da me in futuro”, e con questo sottile avvertimento, il giovane aveva lasciato il salotto.
Il mattino dopo aveva abbandonato la casa senza una parola alla Sig.ra Marlowe, che aveva preferito restare nelle proprie stanze. Terence non l’aveva più vista da allora e sperava di non vederla più in futuro. Anche per un animo nobile c’è un limite alla carità .

Quella era stata la parte più semplice, ricordò.

Tuttavia, l’altra questione – quella che aveva realmente a cuore – non si sarebbe risolta con un semplice trasferimento in un altro quartiere e con il ritorno alla vita solitaria di sempre. Se avesse conosciuto a fondo il suo cuore dieci anni fa come lo conosceva adesso, le cose sarebbero andate diversamente, pensò. Quella maledetta sera all’ospedale, confuso e disorientato dalle circostanze, era stato così sconsiderato da credere che sarebbe riuscito nell’impresa impossibile di sposare una donna che non amava, voltando le spalle all’amore della sua vita. Dopo anni di desideri repressi e di rimpianti si era reso conto di quanto fosse stato in errore. Ora, a ventisette anni, aveva perfettamente chiaro cosa fare. Ma l’esserne consapevole e mettere in pratica i propositi maturati erano due cose ben distinte.
I suoi sentimenti non erano cambiati. Anzi, il tempo li aveva resi più profondi e più maturi. Alcuni dicono che "la lontananza fa intenerire il cuore". Sapeva che nel suo caso era assolutamente così. Sfortunatamente, però, non è possibile sparire dalla vita di una donna per riapparire diversi anni dopo, come se nulla fosse. Al solo pensiero, il suo cuore accelerava i battiti in preda all’ansia.
Ora si poneva il problema del periodo di lutto. Non era appropriato avvicinare una signora dopo così poco tempo dalla scomparsa dell’ex fidanzata. Non che gli importasse granché delle convenzioni sociali. Era convinto di aver dato a Susanna ben più di quanto le fosse dovuto in vita, ma sapeva altresì che Candy, come la maggior parte delle donne, era molto più attenta a questi dettagli. Dopo tutti gli errori che aveva commesso, doveva quantomeno mostrarle un po’ di sensibilità.
Inoltre, c’era la questione di come avrebbe gestito le sue paure. Un mare di “se” e di “ma” gli affollavano la mente ogni volta che pensava a Candy. Credere che lei tenesse ancora a lui era una presunzione alquanto arrogante. No, non si aspettava tanto. Tuttavia, si concedeva quantomeno di nutrire la speranza che lei non gli serbasse rancore. Sapeva bene che avrebbe avuto tutte le ragioni per farlo, se così fosse stato. Credeva fermamente di essere interamente responsabile di quanto era successo in passato. Eppure confidava nella sua natura dolce e comprensiva, sperando almeno in un’accoglienza più affettuosa, come avrebbe riservato ad un qualunque vecchio amico.

Ovviamente, occorreva valutare la possibilità di riallacciare l’amicizia. Quante probabilità c’erano che fosse ancora libera? Una donna come lei non poteva non suscitare l’interesse degli uomini intorno a sé. Terence era consapevole del fatto che la sua bellezza interiore ed esteriore costituissero un tesoro per il quale molti, spinti dal desidero, avrebbero fatto di tutto. La sola idea di saperla sposata con un altro lo disgustava, ma doveva ammettere che era una forte possibilità.
Sapeva di avere poche chance. Eppure, doveva contattarla per saperne di più, anche a costo di rendersi ridicolo ancora una volta. Se dopo un primo approccio avesse scoperto che lei apparteneva a un altro, l’avrebbe accettato e sarebbe uscito dalla sua vita per sempre. Gli sudavano le mani ogni volta che i suoi pensieri andavano in quella direzione.
I suoi dubbi sarebbero svaniti col tempo, aveva pensato, cercando di farsi coraggio. Più si abituava all’idea di cercare Candy, più cresceva la sua risolutezza. "Una volta trascorso il primo anno, farò la mia mossa”. Era stato questo il suo mantra. Alla fine, il tempo era passato ma il suo cuore era ancora in ansia come la primissima volta che ci aveva pensato.
Anche se era un uomo fatto, quando si trattava di Candice, si sentiva ancora un adolescente insicuro. "Sono spacciato", pensò mentre ricordava il suo stato d’animo negli ultimi sei mesi. Proprio quando si stava avvicinando il termine che si era imposto, aveva cercato di mettere in pratica i propri propositi, ma non ne era stato capace. Prendeva una decisione un giorno, per poi ritenere il giorno successivo che la strategia scelta non fosse la più appropriata.
Fu allora che si presentò una straordinaria opportunità per la sua giovane carriera. La Royal Shakespeare Company lo invitava a unirsi a loro come guest star nella stagione invernale del 1923. Era un onore e un grandissimo successo per un attore così giovane. Sua madre era stata la prima a spingerlo ad accettare. Non che avesse bisogno di alcun incoraggiamento. Quella opportunità gli offriva la scusa perfetta per ritardare la sua decisione di un mese o due dopo la tanto temuta data. Sapeva che stava stupidamente scappando da sé stesso e dai suoi sentimenti sempre più incalzanti, ma decise comunque di accettare l’invito.

Pertanto, era partito per l’Inghilterra dove aveva passato i mesi più prosperi della sua carriera, ricoprendo una serie di ruoli diversi. Era stato entusiasmante! La compagnia aveva recitato a Stratford-Upon-Avon, Newcastle e Londra. Così, prima che potesse rendersene conto, si trovava nuovamente nella città che aveva acclamato il suo Amleto quattro anni prima. La stessa Londra dove era stato maltrattato dalla sua matrigna per il figlio illegittimo che era. Ora, veniva accolto come un attore di successo, rispettato e ammirato dai colleghi e dalla società londinese in toto. Che trionfo! Che gioia sarebbe stata se solo Londra non fosse stata così ricca di ricordi insieme a lei!
Inizialmente, il suo impegno con la Compagnia avrebbe dovuto essere solo per la “piccola stagione” da novembre a gennaio. Ma il suo successo era stato così grande che gli era stato rinnovato l’invito per alcune rappresentazioni della stagione primaverile a marzo e ad aprile. Sfortunatamente, però, la sua gloria era offuscata dai tumulti interiori. Più tempo impiegava a decidere, più peggiorava il suo umore. Questa situazione era per lui fonte di grande turbamento.

Una volta conclusi i suoi impegni professionali, aveva deciso di prendersi una pausa prima di rientrare a New York. Aveva bisogno di un po’ di tempo per riflettere seriamente sulla sua situazione e agire di conseguenza. Era ritornato a Stratford-Upon-Avon ed aveva affittato un cottage alla periferia della città. Sperava che la solitudine lo avrebbe aiutato a trovare un po’ di pace ed il coraggio che gli mancava.
Terence ripensò a quei giorni di isolamento nel vecchio cottage come ad uno dei momenti di introspezione più intensi della sua vita. Aveva pensato a mille modi diversi di incontrarla, per poi cambiare nuovamente idea, accantonando un approccio perché troppo teatrale e un altro ancora perché troppo banale.
La prima cosa a cui pensare era come contattarla. Dopo tutti questi anni, non aveva idea di dove potesse essere. Doveva semplicemente rischiare il tutto per tutto e andare a Chicago a cercarla? E nel caso, da dove avrebbe dovuto iniziare? Dalla residenza degli Andrew? E cosa avrebbe detto?
"Come stai, Archibald, sto cercando tua cugina, la stessa donna che sono stato così sciocco da lasciar andare. Sapresti dirmi dove trovarla?", aveva mormorato tra sé e sé fissando il proprio riflesso nello specchio.
"Sciocchezze! Non lo biasimerei se mi facesse secco all’istante", si era detto, accantonando l’idea.
Poi pensò alle gentili signore dell’orfanotrofio. Era certo che Candy si fosse tenuta in contatto con loro nel corso degli anni. Doveva andare lì a parlare con loro? La sola idea di affrontare quelle amabili donne che una volta lo avevano ricevuto nella loro casa con tanto affetto, lo terrorizzava.
"No, non potrei guardarle negli occhi senza provare vergogna per il mio comportamento. Ho ferito la loro adorata figlia. Come potrei andare da loro a chiedere aiuto?"
Avendo esaurito le idee, aveva infine deciso di scriverle una lettera. L’avrebbe inviata alla Casa di Pony, con la speranza che le signore dell’orfanotrofio potessero farla recapitare a Candy, ovunque ella fosse. Aveva scritto talmente tante versioni della missiva che ne aveva perso il conto.
Quale sarebbe stato l’approccio più appropriato? Semplice e diretto? Avrebbe dovuto riversare tutto il suo cuore in un’unica lettera? Fino a che punto poteva spingersi? Un semplice "Ciao" sarebbe risultato troppo freddo? “Amore mio” sarebbe stato fuori luogo? Doveva dar libero sfogo alla passione o essere cauto come se si rivolgesse ad una semplice conoscente?
Fu con questo tormento nel cuore che l’alba del 7 maggio lo colse di sorpresa. Lei compiva ventisei anni. Di getto aveva finalmente buttato giù l’inarticolata lettera che aveva poi spedito con grande trepidazione. Anche dopo averla sigillata, fece avanti e indietro dall’ufficio postale per ben tre volte prima di trovare il coraggio di lasciarvi la busta. Eppure, dopo averlo fatto, fu come attraversato da una nuova energia, aveva racimolato le sue cose in fretta e furia, aveva chiamato il suo assistente per prenotare i biglietti ed era rientrato in America, come se avesse avuto un appuntamento pregresso per il quale fosse urgentemente richiesta la sua presenza a New York.

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Terence tirò un sospiro riconoscendo la sobria sagoma del suo edificio. Era giunto al termine della sua passeggiata serale.
"Lascerò la macchina in garage", gli disse l’autista con un forte accento italiano mentre usciva dall’auto, “Pensa che avrà bisogno di me domani?"
"No, Roberto", rispose Terence distrattamente, "Non ho programmi per questa domenica".
"Allora a lunedì, Sig. Graham", aggiunse l’uomo rivolgendosi al suo datore di lavoro con il suo nome d’arte, l’unico che conoscesse.
Il giovane accennò un saluto mentre entrava nell’edificio. Il portiere stava sonnecchiando e non intendeva disturbarlo. Così, si incamminò in silenzio su per le scale.
Era stata una lunga giornata. Aveva fatto colazione molto presto con sua madre; poi aveva partecipato a una estenuante riunione con Robert Hathaway e la Compagnia Stratford. I programmi per la nuova stagione che avrebbe avuto inizio a settembre richiedevano già tutta la sua attenzione. Successivamente, aveva dovuto presenziare ad una noiosa sessione fotografica, aveva pranzato con il suo avvocato e aveva passato il resto del pomeriggio a provare in teatro per conto proprio. Dopo una giornata così pesante, si era infine concesso la serata musicale al Met.
Girò la chiave nella toppa e aprì lentamente la porta. La casa non era completamente al buio. La governante aveva lasciato le luci accese nell’ingresso. Terence apprezzava molto la delicatezza della Sig.ra O'Malley. Fu grazie a quella luce che riuscì a scorgere qualcosa di rosa poggiato sul tavolino del salotto.
Gli occhi gli schizzarono quasi fuori dalle orbite quando si rese conto che la risposta che aveva lungamente atteso era finalmente arrivata. Si era praticamente gettato sulla busta per afferrarla, ma una volta tra le sue mani, gli ci volle un po’ per aprirla. Il suo sguardo era perso a studiare ogni dettaglio della sua grafia, ancora minuta e femminile come la ricordava. Quindi, dopo un secondo di esitazione, la aprì e lesse quanto segue:

Casa di Pony, 15 giugno 1924

Caro Terence,

Sono stata piacevolmente sorpresa di ricevere la tua lettera. Sono felice che tu non me ne voglia per essere stata una pessima amica in tutti questi anni, non avendo mai trovato il tempo di scriverti due righe neppure per Natale. Prometto di essere una corrispondente migliore stavolta.
L’idea di inviare la lettera alla Casa di Pony è stata decisamente azzeccata. Vivo e lavoro qui da quasi nove anni ormai. Lavoro presso una piccola clinica e do una mano a Miss Pony e a Suor Maria con i bambini. Ultimamente, mi sono anche occupata di raccogliere fondi per la nostra adorata casa di Pony. Per cui mi capita di viaggiare per far visita ai nostri benefattori, ma sono decisamente più felice qui, in questo piccolo angolo di campagna. Sai, quest’anno abbiamo in programma di apportare delle migliorie alla casa e siamo tutti molto impegnati.
Quindi, come vedi, sono sempre la stessa ragazza semplice che conoscevi; solo un po’ più vecchia. Annie mi dice sempre che finirò zitella se insisto a vivere qui, ma questa è casa mia e la adoro.
Ebbene, temo che la mia vita ti sembrerà alquanto scialba se paragonata alle tue affascinanti avventure teatrali ed ai tuoi viaggi. Comunque, visto che sembra che tu tenga ancora alla mia amicizia, sarei veramente felice di recuperare il tempo perduto.

Con affetto, Candy

PS.
Miss Pony e Suor Maria sono ancora le tue più grandi ammiratrici. Hanno sempre seguito la tua carriera e ti salutano caramente.


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Era già l’alba quando Terence, finalmente, si addormentò. La lettera, che aveva ormai imparato a memoria, era ancora adagiata sul suo petto.

Edited by sailor74 - 28/4/2013, 16:38
 
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Capitolo 2
Il fiore della speranza



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Terence sollevò pigramente il coperchio del pianoforte e con una mano suonò alcune note a caso. Nell’altra, teneva la sua solita tazza di thè. Il caratteristico aroma dell’infuso scuro, che trovava così rigenerante, gli invase le narici.
"Non c’è niente di meglio per iniziare la giornata", pensò, mentre ne assaporava il primo sorso.
Il giovane sedeva comodamente sulla sua poltrona preferita, un’antica Queen Anne Chesterfield blu, che teneva accanto alla finestra. Il suo sguardo spaziò lungo la stanza solitaria. Fuori, la pioggia estiva rinfrescava la città. Il coro ritmato delle gocce che cadevano sul marciapiede diventava sempre più forte, ricordando una ninna nanna. Era una domenica perfetta per riflettere! Ed era esattamente quello che aveva fatto quasi tutta la notte, per poi ricominciare quella mattina uggiosa non appena sveglio.
Non riusciva a smettere di pensare alla sua lettera…ed a lei.
Gli aveva scritto una lettera decisamente più lunga della sua, ma era stata abbastanza astuta da svelargli di meno. Aveva letteralmente sorvolato sull’implicita rivelazione del suo post scriptum. Quell’unica breve frase studiata per farle sapere che i suoi sentimenti non erano cambiati, era stata semplicemente ignorata…o forse fraintesa.
"Sei una strana creatura, Candy", disse ad alta voce, "ti scrivo dopo dieci anni di questo insopportabile silenzio e anziché biasimarmi per il mio abbandono, come avresti giustamente potuto, ti scusi per non avermi mai scritto! Come se il nostro allontanamento fosse stata colpa tua. Infine, ti comunico che avevo volutamente pensato di ricontattarti una volta trascorso il tempo necessario e non fai che blaterare della tua vita in campagna".
"Ma non mi lascerò scoraggiare, Tarzan Tuttelentiggini, se è questo quello che avevi in mente”, aggiunse, inarcando un sopracciglio, “Perché, vedi, almeno sei stata così gentile da dirmi l’unica cosa che avevo premura di sapere".
Stringendo tra le mani la sua tazza di thè, si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla finestra.
"Finire zitella?" disse, citando le parole di Candy. "Non se potrò avere voce in capitolo, Signorina Andrew".
Per la prima volta in dieci anni, Terence G. Grandchester sentì di essere di nuovo sé stesso.

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"Vorrei che l’estate durasse per sempre", pensò mentre, seduta nella serra, si godeva la calda brezza del pomeriggio. Ai suoi piedi, il piccolo Alistair Cornwell giocava con le sue macchinine preferite, cercando di imitare il rombo di un motore.
La giovane donna abbassò lo sguardo per controllare nuovamente suo figlio. Un tenero sorriso le increspò le labbra riempiendola di orgoglio materno. Sul tavolo, un fascio di lettere aspettavano in silenzio, mentre una tazza di thè al gelsomino le faceva compagnia.
Annie era sempre la stessa ragazza di campagna, malgrado l’aspetto da donna sofisticata, e si sentiva profondamente in pace tra le felci e le orchidee della sua serra. Era il suo rifugio personale per pensare, per evadere dalla sua vita sociale solitamente così piena, un posto segreto dove poteva respirare a pieni polmoni senza soffrire la pressione della sua posizione.
Allontanando una ribelle ciocca dei suoi capelli corvini, Annie si domandò nuovamente se avrebbe mai trovato il coraggio di tagliarli in un caschetto. Ultimamente sembravano tutte così ansiose di seguire quella nuova moda, ovviamente ad eccezione delle donne più anziane e distinte, come la Signora Elroy. Sapeva che i suoi bei capelli lisci sarebbero stati perfetti per quel taglio e immaginava che le sarebbero stati benissimo. Eppure, vi erano due ragioni per cui aveva deciso di tenerli lunghi. Innanzitutto, perché sua madre disapprovava un taglio così maschile. E poi perché non poteva dimenticare l’effetto che i suoi lunghi e folti capelli avevano su suo marito ogni sera, quando li scioglieva dal suo abituale chignon. Annie sorrise tra sé e sé pensando alla frivolezza della sua indecisione.
"I capelli di Candy sono molto chic in quel modo", pensò. "I suoi ricci sono perfetti per un caschetto mosso alla Mary Pickford".
Ma Annie sapeva che Candy aveva tagliato i capelli solo per comodità. Non le importava di seguire la moda né di far piacere ad altri. Questa considerazione la riportò alla questione che le stava più a cuore ultimamente: la solitudine di Candy.
Annie era stata fortunata sotto molti aspetti. La maturità e l’esperienza l’avevano aiutata a riconoscere che nei momenti cruciali della sua vita – proprio quando le cose sarebbero potute andar male per lei – era stata Candy a salvarla in un modo o nell’altro. Sebbene Candy avesse sacrificato il proprio benessere per amore di Annie, erano passati molti anni prima che Annie riuscisse a corrispondere con altrettanta generosità. Annie non era fiera di sé in tal senso, ma era profondamente grata a Candy per tutto quello che aveva fatto per lei.
Persino il suo matrimonio era stato merito di Candy già ai tempi della loro adolescenza. Se Candy non si fosse fatta da parte, se non avesse respinto Archibald, Annie non avrebbe mai sposato quell’uomo dolce e meraviglioso, che ora la adorava. Difatti, sappia il lettore che la fedele devozione di Annie l’aveva aiutata con il tempo a conquistare quanto desiderava di più: il cuore del suo amato.
Pertanto, essendo stata così fortunata nella vita, Annie desiderava assicurarsi che la sua amica di infanzia potesse godere della sua stessa felicità. Sfortunatamente per lei, nel corso degli anni Candy era stata alquanto riluttante a collaborare con Annie nei suoi tentativi di sistemarla. Con il passare del tempo e con l’insistenza di Candy a vivere una vita solitaria tra le montagne, Annie aveva iniziato a perdere le speranze. A volte, pensava che non sarebbe mai riuscita a ripagare la sua benefattrice come meritasse.
"Come mai sei così pensierosa, tesoro?", le sussurrò una voce maschile all’orecchio, cogliendola di sorpresa.
Annie sollevò il viso per incrociare gli occhi nocciola di suo marito e dargli un silenzioso benvenuto con il luccichio del suo sguardo. Le loro labbra fecero seguito a questo incontro in un breve ma tenero bacio. Ancora intento nei suoi giochi, il piccolo Alistair ridacchiò alla vista della disinvolta manifestazione di affetto tra i suoi genitori.
"Hey, Stair, come sta il mio ometto?" chiese Archie, sollevando il bambino in un abbraccio affettuoso.
"Giochiamo, papi, giochiamo", rispose il bambino di appena tre anni, continuando a ridere.
Per un breve momento, qualcosa nel viso del bambino che Archie non seppe definire, gli ricordò un altro volto del passato. Forse era il suo sorriso o la luce di quegli occhi scuri innocenti che evocavano i preziosi ricordi di suo fratello. Archie sentì un’improvvisa fitta al cuore e istintivamente si strinse suo figlio al petto.
"Certo, tesoro, giochiamo" disse, baciando il bambino sulla guancia rosea.
Per un attimo la giovane famiglia restò assorta in un piacevole silenzio, mentre il padre sedeva per terra giocando con suo figlio. Una piccola Ford Model T blu cobalto divenne per un po’ la protagonista del gioco, mentre la madre sedeva al tavolo da giardino con il suo thè e le sue lettere.
"Ci sono novità?", chiese il giovane dopo un po’, guardando con ammirazione sua moglie che indossava un vestitino color lavanda, la cui gonna plissé a vita bassa le sfiorava i polpacci. Gli piaceva tantissimo che il vestito le lasciasse scoperte le esili braccia.
"Candy è ancora impegnata con falegnami e idraulici", rispose Annie con una punta di disappunto nella voce.
"Provo pena per quei poverini che devono fare i conti con un capocantiere così energico”, disse lui ridendo al pensiero della sua temeraria cugina che comandava una squadra di operai con il doppio dei suoi anni.
"Forse intendevi dire una capocantiere", lo corresse.
"No, tesoro, ho scelto le parole con cura", la stuzzicò.
"Oh, Archie!", esclamò Annie tenendogli il broncio.
"È questo che ti preoccupa?", le chiese Archie, indovinando la ragione per cui sua moglie fosse così pensierosa.
"Ecco, in un certo senso sì. Candy si rifiuta di socializzare. Dovrebbe uscire e conoscere gente nuova qui a Chicago, anziché nascondersi sulla Collina di Pony", spiegò la giovane.
"Stai scherzando? Ha viaggiato molto di recente e credo che debba ripartire prima della fine dell’anno”, ribatté lui.
"Oh, Archie, non era questo che intendevo. Si limita a fare visita ai finanziatori della casa di Pony e non capisco perché si sforzi tanto, visto che tu e Albert potreste garantirle tutto l’aiuto necessario".
"Beh, sai bene che la signorina ha le sue regole. È stata sua l’idea di porre un limite al nostro contributo con la scusa che fosse giusto consentire ad altri di sostenere la sua causa”, rispose Archie. “Ormai dovresti sapere che Candy preferisce farcela con le proprie forze. Credo che affidarsi interamente ai vantaggi legati alla sua posizione in seno alla nostra famiglia la farebbe sentire a disagio. Dobbiamo rispettare i suoi desideri".
"Ma è assurdo! Dovrebbe passare la stagione con noi anziché far visita a tutte quelle persone. La maggior parte degli uomini che incontra sono già sposati o troppo vecchi. No, così non va affatto bene", si lamentò dando voce alla sua amarezza.
"Annie, quando la smetterai di giocare a cupido con Candy?", le domandò Archie incrociando le braccia al petto.
"La smetterò quando avrà trovato un uomo che la renda felice come merita, Archie”, rispose Annie con insolita determinazione.
"Candy non ha bisogno di un uomo per essere felice, Annie. Sai, con il passare degli anni ho iniziato a credere che non sia tagliata per il matrimonio. Quando capirai che è uno spirito libero come…", si interruppe cercando un’immagine che la rappresentasse al meglio, ". . . come il vento? Mi domando se esista un uomo su questa terra capace di afferrare il vento a mani nude", concluse Archie con una punta di malinconia.
"Oh, Archie, non dire così! Non sai che darei per vederla sistemata. La conosco meglio di chiunque altro. Sono certa che abbia bisogno di sentirsi amata come ogni altra donna". Una lacrima involontaria scivolò lungo la guancia di Annie.
"Su, tesoro", cercò di consolarla Archie. "Non piangere. Perché non vai a trovarla? Potresti anticipare la tua visita e magari ti sentirai meglio dopo averla vista. E chissà, forse potresti anche convincerla a partecipare ad uno dei tuoi famosi thè. Che ne dici?"

Annie sorrise dietro le lacrime, mentre Archie le teneva la mano per esprimerle tutto il suo sostegno. Il piccolo Stair si era addormentato tra le braccia del padre. Nelle sue manine stringeva ancora la Model T blu cobalto, beatamente ignaro delle ineludibili asperità della vita.

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"Ed ecco a voi Fannie Brice con Second Hand Rose", disse lo speaker alla radio mentre un’acuta voce femminile invadeva la casa. Il pezzo, dal ritmo brioso e cadenzato, raccontava la storia di una ragazza figlia del proprietario di un negozio dell’usato che aveva il cruccio di non possedere mai nulla di nuovo. Non ci volle molto affinché le divertenti strofe strappassero un sorriso agli operai al lavoro. Uno di essi iniziò persino a canticchiarne il ritornello:

"Second hand curls,
I'm wearing second hand pearls,
I never get a single thing that's new!
Everyone knows that I am just Second Hand Rose,
From Second Avenue."



A Candy, che aveva sempre amato le canzoni allegre, venne subito una gran voglia di ballare.
"Mi concede questo ballo, madame?", chiese il Signor Thomas.
"Pensavo che non me lo avreste mai chiesto!", rispose lei con gli occhi che le brillavano e un attimo dopo il falegname e la giovane si lanciarono in un movimentato ballo. I passi erano piuttosto energici e Candy sembrava avere grande familiarità con quel nuovo stile. Thomas, che aveva da poco superato i cinquanta, si stancò quasi subito e riuscì a fatica ad arrivare al termine della canzone. Gli operai applaudirono la coppia che, alla fine del ballo, fece un bell’inchino.
"Wow, Signorina Candy, ma Lei è una ballerina coi fiocchi!", disse l’uomo sventolandosi con il berretto.
"Mio cugino Archie è un ballerino provetto", rispose Candy con gli occhi che le brillavano di gioia, "ogni volta che ci vediamo mi insegna le ultime novità".
"E vedo che Lei approfitta per bene di quelle lezioni", sorrise l’uomo, pensando tra sé e sé che ormai non era più tanto giovane.
"Beh, la mia amica Patty dice sempre che si impara in fretta quando si ama ciò che si fa e confesso che adoro queste canzoni".
"Oh, anche a me piacciono molto le canzoni di Fannie Brice", rispose l’uomo di slancio, "Dicono che come bellezza non sia niente di speciale, ma mi piacerebbe comunque poter assistere a un suo spettacolo a New York! Deve essere un’esperienza fantastica!".
"Non creda a una parola di quello che dice, Signorina Candy", intervenne un altro degli operai, "A Thompson non importa nulla di quella Brice, ma darebbe qualsiasi cosa per vedere le belle ragazze delle Zigffield Follies".
"Ci scommetterei la testa", rispose Candy, scatenando l’ilarità generale con il suo commento.
"Su, forza, tornate tutti al lavoro!" sbottò Thompson rimproverando i suoi uomini, non avendo gradito la battuta, per poi rivolgersi con tono più gentile alla giovane. "Tornando agli affari, signorina, immagino che non sia venuta qui solo per ballare".
"Ha ragione, Signor Thompson", rispose Candy, soffocando un sorriso all’improvviso cambio di argomento da parte dell’uomo, "Sono venuta a parlarLe della finestra del nuovo salotto. Ci ho ripensato e non mi sembra una buona idea che si affacci ad ovest. Temo sarebbe molto fastidioso per Miss Pony avere il sole dritto in viso, specialmente quando siederà qui nel pomeriggio".
Dentro di sé, Candy era grata che avessero ripreso a parlare dei lavori in corso, trattandosi di un argomento di conversazione decisamente più sicuro. Il solo aver sentito nominare New York l’aveva scombussolata, riportandole alla mente un certo gentiluomo che viveva lì. In passato, Candy aveva sperato che tutte le sue ansie riguardo Terence Graham si sarebbero alleviate con il passare del tempo. Credeva che un giorno avrebbe pensato a lui solamente come ad un dolce ricordo della sua giovinezza. Quando ciò fosse accaduto, avrebbe potuto rivedere sia lui che Susanna, salutandoli serenamente con un sorriso e accogliendoli come suoi amici.
Una parte di lei aveva cercato in ogni modo di far sì che ciò accadesse, mentre un’altra parte aveva opposto resistenza con tutte le sue forze, conservando segretamente piccoli ricordi di lui. Una volta aveva persino tentato di bruciare tutte le sue lettere, ma al solo pensiero, aveva perso tutta la sua determinazione. Aveva dunque chiesto ad Albert di custodirle in sua vece, unitamente al suo vecchio diario, che era ancora in suo possesso. Eppure, aveva contro ragione conservato tutti i ritagli di giornale che riportavano le recensioni dei suoi successi, specialmente la prima che Annie le aveva inviato molti anni prima. Un altro di questi ricordi era la sua sciarpa di seta. Sapeva bene che tenerla non l’avrebbe aiutata a ritrovare la serenità, ma in un certo senso era grata al destino per non averle mai dato la possibilità di restituirla al suo legittimo proprietario. Anche adesso, mentre si sforzava di concentrarsi sulle migliorie della casa, il suo cuore batteva all’impazzata.
"Terence, cosa dovrei pensare ora di te?", fu la silenziosa domanda che si pose, "Che significano tutte quelle lettere?"
Nei quattro mesi successivi al ricevimento della sua prima lettera, ne erano infatti arrivate oltre una ventina. Candy non sapeva come definire la natura della nuova amicizia a distanza che li legava. Nelle sue lettere lui era disinvolto e persino allegro a volte, sembrava proprio il Terence dei vecchi tempi. Eppure, Candy percepiva chiaramente che lo spettro di quei dieci anni di separazione aleggiava ancora tra di loro. Prima o poi ne avrebbero dovuto parlare, ma non era ancora giunto il momento. Per ora, avevano raggiunto il tacito accordo di mantenere il loro carteggio su toni più leggeri, senza fare mai alcun riferimento al passato.
Inoltre, Candy non sapeva come comportarsi riguardo a Susanna. Sapeva che ormai era troppo tardi per porgergli le sue condoglianze, ma si sentiva in colpa per non avergli mai detto di essere rimasta sinceramente addolorata dalla sua morte. Malgrado questo sentimento, Candy non riusciva a trovare le parole per esprimere quello che aveva dentro, specialmente quando le lettere di Terence sembravano così pregne di un ritrovato ottimismo nel futuro.

Dopo aver discusso delle nuove idee per la finestra del salotto, Candy lasciò gli operai al loro lavoro e tornò alle sue faccende quotidiane. Era ancora mattina, perciò la maggior parte dei bambini erano a lezione con Miss Pony e Suor Maria. Solo un paio di loro erano a letto malati. Come prima cosa, la giovane andò a controllarli. Dopo essersi assicurata che stessero meglio e che avessero preso le medicine come dovevano, andò a cambiarsi il vestito, indossando i soliti pantaloni e camicia da lavoro.
Candy amava i lavori manuali; pertanto non si lamentava dei pesanti compiti che le spettavano, come mungere la mucca, fare il bucato dei bambini o curare l’orto. Era proprio in questi momenti di privacy che la sua mente viaggiava verso luoghi lontani, ripensando ai suoi amici. Solitamente, si soffermava a pensare all’inquieto Albert ed alla sua ultima avventura in qualche paese lontano, o ai pittoreschi racconti di Patty quando le parlava dei progressi fatti dai suoi studenti a Oxford. Questa volta, invece, ripensò alla settimana appena trascorsa, quando Annie era venuta a farle visita.
La sua amica era diventata una donna estremamente elegante nonché madre fiera del bambino più dolce che Candy avesse mai conosciuto. Era sempre felice quando Annie veniva a trovarla, non solo per l’importanza che la sua amicizia aveva per lei, ma soprattutto perché poteva vedere Alistair. E anche questa volta era andata così. Il bambino era talmente affettuoso e dolce con lei che non riusciva a non dedicargli ogni minuto della sua attenzione.
"Candy, smettila di perder tempo dietro a Alistair! Vieni con me. Ti ho portato un bel po’ di cose nuove che vorrei farti provare", aveva insistito Annie il giorno successivo al suo arrivo.
Candy, che stava giocando a nascondino con il piccolo Stair ed altri quattro bambini della sua età, si tolse la benda dagli occhi. Alla vista dell’espressione risoluta di Annie, capì di non avere altra scelta. Consegnò di malavoglia il fazzoletto al ragazzo più grande del gruppo e seguì la sua amica con un sospiro di rassegnazione.
"Potremmo dedicarci a questo quando i ragazzi fanno il loro sonnellino, Annie", disse mentre percorrevano il corridoio della casa, cercando ancora di opporle resistenza.
"Sicuramente troveresti la scusa di avere altre cento cose da fare", rispose Annie con fermezza,"No, ce ne occuperemo adesso".

Candy rise tra sé e sé pensando a quanto sembrassero invertiti i loro ruoli a volte, con Annie che adottava un piglio autoritario e lei che seguiva obbedientemente la sua amica d’infanzia.
Quando le due giovani donne entrarono nella stanza, Candy sgranò gli occhi alla vista della quantità di indumenti femminili che invadevano la sua camera da letto.
"Avevi tutti questi vestiti in valigia, Annie? Come hai fatto a farceli entrare?", si domandò.

"Sono piena di risorse. Ed ero determinata a portarti quanti più capi possibile, altrimenti non troveresti mai il tempo di rinnovare il tuo guardaroba", rispose Annie, fiera della sua abilità.

Per un po’, le giovani donne si dedicarono ad ammirare abiti in tutte le tonalità dei colori autunnali e invernali. Candy non era immune all’effetto che gli abiti alla moda avevano sulle donne e si divertì sinceramente ad esaminare vestiti, cappelli, soprabiti e scarpe che la sua amica aveva scelto per lei. Tuttavia, di quando in quando rivolgeva lo sguardo alla finestra, controllando i bambini che giocavano all’esterno.
"Questi abiti sono un sogno, Annie, grazie", disse sinceramente mentre ammirava tre abiti da cocktail dal taglio delicato, "ma temo che qui non avrò molte occasioni di indossarli”.
"Andiamo, Candy, parteciperai alla nostra cena per il Ringraziamento giusto? E poi a novembre partirai per Boston e Pittsburgh. Spero che non starai pensando di andarci in jeans", rispose Annie con un sorriso, indicando gli indumenti che Candy indossava in quel momento.
"Ma sono viaggi di lavoro, Annie. Devo partecipare a riunioni d’affari e qualche volta a un pranzo ufficiale con i finanziatori. Un vestito da giorno, una cloche e un soprabito sono più che sufficienti per questo".
"Ma devi assolutamente venire a Chicago il mese prossimo. Organizzerò un thè", aggiunse Annie casualmente, per poi continuare con uno strano luccichio nello sguardo, "ci saranno alcuni nuovi amici che voglio farti conoscere".
Candy lanciò uno sguardo ad Annie, aggrottando la fronte con sospetto. Riconosceva quel tono di voce; Annie stava nuovamente architettando uno dei suoi piani per sistemarla con qualcuno.
"Annie, Annie....ti prego, non un altro riccone imbalsamato. Quante volte devo ripeterti che non mi interessa?", la ammonì Candy.
"Ma sono certa che questo ti piacerà", disse Annie ingenuamente, svelando il vero motivo del suo invito, "è molto aperto e gentile, per non parlare di quanto sia affascinante".
"Allora vorrà dire che ti autorizzerò a sposarlo, se ti piace così tanto", rispose ironicamente Candy.
"Sono già sposata, sciocca", rispose Annie, lanciando un cuscino a Candy e colpendola dritto in viso.
Per la bionda quella era la scusa perfetta per scatenare una guerra a colpi di cuscino, che durò per un po’ mentre le risa delle giovani risuonavano nell’aria. Dalla cucina, Miss Pony poteva sentirle con chiarezza e ancora una volta pensò che alcune cose non sarebbero mai cambiate.

"Oh, ti prego, basta, Candy!" urlò Annie, che era sempre la prima ad arrendersi.
"Fifona", protestò Candy mentre si liberava dagli indumenti che Annie le aveva lanciato contro durante la breve zuffa. Improvvisamente, uno di essi attrasse la sua attenzione, "Che diavolo è questo, Annie?" chiese guardando con aria interrogativa uno strano capo di lingerie.
"È un corsetto, sciocca".
"Cosa? Pensavo che non si usassero più. Le nuove tendenze della moda non impongono una silhouette più naturale?" chiese Candy, non riconoscendo quel nuovo tipo di corsetto che incorporava una specie di reggiseno.
"Beh, non tutte le donne hanno la fortuna di avere una corporatura esile e snella che si addica al nuovo stile a vita bassa. Le curve vanno addolcite. Evidenziare troppo fianchi o décolleté non è più di moda oggigiorno", spiegò Annie, non accorgendosi delle divertenti smorfie di stupore sul viso di Candy.
"Vuoi dire che dobbiamo sembrare piatte come una tavola?" chiese Candy incredula.
"Ecco, non esattamente. Oggi va di moda una linea decisamente più chic. Ma tu non hai nulla di cui preoccuparti, Candy. I tuoi fianchi sono a posto. Forse, però, avresti bisogno di un aiutino con il seno. Questo corsetto servirà allo scopo".
"Stai scherzando, spero", disse Candy ridendo, "Quando avevamo quindici anni ci obbligavano a indossare quegli orribili corsetti per tirar su il seno e Dio solo sa che non c’era molto da tirar su all’epoca. E ora che madre natura ha finalmente operato qualche cambiamento quassù, dovrei schiacciarmi il seno per sembrare di nuovo una quindicenne? Neanche per sogno. Non ci penso proprio a indossarlo", rispose, respingendo l’idea con fermezza.
"Non essere testarda. Le perle non ti starebbero bene con un seno troppo prosperoso. La collana oscillerebbe a destra e sinistra anziché cadere naturalmente al centro".
"Non mi importa. Continuerò ad indossare i miei soliti reggiseni e le mie solite sottovesti. Grazie comunque per il tentativo. E grazie anche per l’invito al tuo thè, ma temo che non potrò parteciparvi, Annie", concluse Candy cercando di non sembrare troppo dura.
"Sei impossibile!" disse Annie tenendole il broncio, mentre ripiegava gli indumenti intimi per riporli nella cassettiera di Candy. Tuttavia, prima che potesse dar voce con maggiore enfasi alla propria protesta, il suo sguardo fu catturato da una busta posta in cima a una pila di fazzoletti all’interno di uno dei cassetti.
In altre circostanze, Annie avrebbe ignorato la lettera con discrezione proseguendo con le sue faccende, ma stavolta un nome la colpì come un fulmine, attraendo completamente la sua attenzione. La giovane prese la busta, che era ancora sigillata. Evidentemente era arrivata proprio quella mattina con il resto della posta.
La bionda osservò il gesto di Annie e si rese subito conto del perché fosse ammutolita. Tra sé e sé si rimproverò per aver lasciato la lettera nel cassetto, anziché riporla nella scatola dove teneva tutte le altre. "Perché sono stata così sbadata?" pensò.

"Ebbene sì, è una lettera di Terence", ammise finalmente Candy dopo un attimo di silenzio e prima che Annie potesse formulare una qualsiasi domanda. La bionda abbassò lo sguardo e fece del proprio meglio per sembrare padrona di sé.
"Ti ha scritto! Ma è una notizia fantastica! Eppure non sembravi sorpresa stamattina quando è arrivata la posta", disse Annie dando voce ai suoi pensieri, finché non ebbe un’improvvisa illuminazione, "Non è la prima volta che ricevi una sua lettera, vero?"
"Ecco, non esattamente", ammise Candy, cercando di darsi un tono appendendo gli abiti nell’armadio.
"Bene!" esclamò Annie, metabolizzando la notizia, "È ancora scapolo, giusto?"
"Dio mio, Annie! Non cominciare a farti strane idee. Ha appena perso la sua fidanzata!", rispose la bionda cercando di sembrare distaccata.
"Per amor del cielo, cara, è successo quasi due anni fa! Sei stata molto furba con me, Candy! Voi due siete in contatto e non mi hai detto niente. E pensare che stavo impazzendo alla ricerca di corteggiatori che potessero andarti bene, mentre il corteggiatore era proprio davanti al tuo naso e stava bussando alla tua porta! Almeno stavolta non ho dubbi che questo ti piaccia".
"Oh ti prego, non correre troppo immaginando chissà cosa in quella tua testolina, Annie, non c’è nulla di romantico tra noi", negò Candy con veemenza, iniziando ad agitarsi, "siamo solo due vecchi amici che si ritrovano cercando di mettersi in pari con una lettera ogni tanto. Nulla di più”.
Candy ricordò quanto era stata dura convincere Annie che non vi fosse nulla di romantico nella sua ritrovata amicizia con Terence – o quantomeno aveva fatto del proprio meglio per spingerla ad accantonare l’argomento per il momento. Ora che ripensava a quell’episodio, si sentiva un po’ in colpa per non essersi fidata di Annie né di nessun altro. Candy tirò un altro sospiro, mentre portava il latte in cucina. La verità è che non riusciva a parlare dei suoi sentimenti per Terence con nessuno. Forse perché ormai era abituata a nasconderli in fondo al proprio cuore. L’aveva fatto per così tanti anni dopo la loro rottura che le sarebbe sembrato strano il contrario.
Il sole era di nuovo alto nel cielo e sebbene sembrasse essere completamente assorta nella raccolta di carote e spinaci freschi dall’orto di Suor Maria, nella sua mente c’era posto solo per Terence. Era la metà di ottobre e il suo ultimo spettacolo stava avendo un grande successo a Broadway. Non poté evitare di sentirsi fiera di lui. Nella sua ultima lettera, l’aveva informata che sarebbe presto partito in tournée per il paese. Pensando alla sua imminente partenza, Candy si ricordò che in una delle sue lettere, nel raccontarle dei suoi numerosi viaggi, le aveva parlato di un abilissimo ebanista che conosceva a San Francisco e che aveva confezionato diversi mobili per la Signora Baker. Gli aveva dunque confidato il suo desiderio di regalare a Miss Pony una sedia a dondolo per il nuovo salotto, che sperava di aver pronta per Natale.

Candy sorrise al ricordo del suo entusiasmo quando Terence le aveva risposto che in occasione della sua tournée sulla Costa Occidentale avrebbe pensato lui a ritirare la nuova sedia a dondolo per Miss Pony, assicurandosi che le fosse recapitata su consegna speciale e quindi in tempo per la vigilia di Natale. La giovane sapeva bene che Miss Pony sarebbe stata entusiasta del regalo e ci sarebbe voluto un esercito per smuoverla da quella sedia, soprattutto perché l’artefice dell’acquisto era stato Terence. Candy non aveva idea che prima della fine dell’anno, il suo piano innocente avrebbe scatenato una serie di eventi inaspettati.


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Terence Graham non era un tipo paziente né pacato. I suoi colleghi l’avevano imparato a loro spese. Essendo un perfezionista dotato di straordinario talento, la sua tolleranza nei confronti dei difetti e degli errori degli altri era sempre piuttosto bassa, specialmente quando i suddetti errori erano causati da disattenzione o irresponsabilità. Pertanto, quando Walter Simmons - uno degli attori della compagnia – sbagliò i tempi entrando in scena prima del previsto durante la prova generale, tutti si aspettavano un suo commento aspro seguito da un’accesa discussione.
Per un attimo regnò un imbarazzante silenzio. Sorprendentemente, però, anche se era chiaro che non aveva affatto gradito un errore così da principianti proprio il giorno precedente alla prima, Terence non disse una parola.
"Riprendiamo dall’inizio della scena", aveva finalmente detto Robert Hathaway, rompendo il silenzio e lasciando proseguire le prove senza alcuna scenata.
Il regista rifletté su quell’incidente e su molti altri piccoli dettagli che aveva notato di recente. Probabilmente il cambiamento sarebbe sembrato impercettibile a chiunque non avesse conosciuto Terence bene quanto lui. Ma ormai erano anni che Hathaway lavorava con il giovane attore. Si era accorto che da quando era rientrato dall’Inghilterra, c’era qualcosa di diverso in Terence. Hathaway pensò che di qualsiasi cosa si trattasse, era sicuramente un bene sia per il giovane che per tutta la compagnia.
Nel corso degli anni la stima che Hathaway nutriva nei confronti di Terence era cresciuta al punto da fargli provare un affetto quasi paterno per il giovane attore. Ricordava ancora perfettamente il ragazzo sedicenne che si era presentato alla sua porta una mattina d’inverno del 1913. Aveva subito notato un’insolita determinazione nel suo sguardo che aveva colpito persino un attore d’esperienza come lui, cosicché l’aveva invitato a partecipare a un’audizione. E non ne era rimasto deluso. A Robert era bastato sentirgli pronunciare le primissime battute per capire che quel ragazzo aveva un innato talento melodrammatico, ben più maturo rispetto alla sua età. Era solo questione di tempo e di preparazione e sarebbe diventato un interprete eccezionale. Hathaway era fiero di essere stato il mentore di Terence, perché ovviamente gli sforzi profusi non erano stati vani.
Tuttavia, Hathaway conosceva bene anche i suoi difetti. I modi taciturni di Terence e la sua asocialità erano intollerabili e rendevano il suo ruolo di regista quasi impossibile. Inoltre, i colleghi facevano fatica a tenere il passo con i suoi ritmi ossessivi. All’inizio, quando era ancora alle prime armi e ricopriva solo ruoli secondari, questo problema era pressoché impercettibile. Ma quanto il prestigio di Terence aveva iniziato a crescere facendogli guadagnare parti sempre più importanti, il giovane aveva anche dimostrato di essere capace di trascinare l’intera compagnia in un’infaticabile e estenuante ricerca della perfezione. Hathaway dovette imporre dei limiti all’eccessiva energia di Terence, ma era stata dura, perché tra i suoi difetti c’era anche quello di essere alquanto testardo.
E poi, c’era la questione della sua vita privata, che era sempre stata un enigma di contraddizioni e segreti. Robert non aveva mai capito la natura del rapporto tra Terence e Susanna. Sapeva bene che la giovane attrice si era subito innamorata follemente di Graham. Tuttavia, era altresì consapevole che Terence non le aveva mai mostrato alcun interesse fino al momento dell’incidente.
Avendo avuto modo di osservarli in innumerevoli occasioni, Hathaway aveva maturato la convinzione che Terence non avesse mai amato Susanna. Quella storia lo aveva trasformato da animo solitario in vero e proprio misantropo e per un certo periodo aveva anche messo a repentaglio la sua carriera rischiando di fargli perdere il controllo della propria vita. Persino quando Terence era riuscito a sconfiggere i suoi demoni tornando a recitare stabilmente, sembrava ovvio che emotivamente non si fosse ripreso. Aveva senz’altro raggiunto un livello superiore come attore, ma aveva perso tutta la sua forza d’animo e il suo carattere difficile ne aveva risentito. Pertanto, senza provare alcun rimorso per il cinismo di tale osservazione, il regista si era reso conto che la morte di Susanna era stata la cosa migliore che fosse capitata al suo giovane pupillo negli ultimi anni.
Ovviamente, aveva passato un periodo di profondo dolore. Sebbene tutti credessero il contrario, Terence aveva un animo sensibile ed era stato profondamente toccato dalla sofferenza di Susanna durante la sua malattia e successivamente dalla sua morte. Tuttavia, dal giorno stesso in cui si era trasferito al Village, la ripresa del giovane era stata evidente. Ora, a distanza di quasi due anni, Terence appariva sereno e persino il suo carattere sembrava meno spigoloso. Robert dovette ammettere che Terence Graham non poteva di certo essere considerato un tipo allegro, ma vedere uno dei suoi rari sorrisi, sebbene fosse un evento straordinario, era un chiaro segno che c’era qualcosa di diverso nel suo cuore.
"Non saprei come interpretare le tue osservazioni, Robert", gli aveva detto Eleanor Baker quando si erano incontrati per discutere del comportamento di Terence, "Sai bene che è sempre stato molto riservato, persino con me. Anche se devo ammettere di aver notato anch’io qualche cambiamento".
"Mi sono permesso di chiamarti perché ho pensato che avresti potuto consigliarmi in merito a una decisione che dovrò prendere prima o poi e che riguarda Terence, oltre che il sottoscritto", le aveva confessato il regista davanti a una tazza di thè.
"La tua fiducia mi lusinga, Robert. Di cosa si tratta?", gli aveva chiesto la donna; il suo istinto materno le aveva fatto allertare i sensi, non appena aveva sentito che si trattava di qualcosa che potesse riguardare anche suo figlio.
"Stavo pensando di andare in pensione prima del tempo. A Melanie è stata diagnosticata una cardiopatia. Il medico dice che ha ancora molti anni davanti a sé, ma avrà comunque bisogno di maggiori attenzioni", rispose l’uomo riferendosi a sua moglie, mentre un’ombra gli attraversava il volto.
"Mi dispiace moltissimo, Robert. Lei lo sa?", chiese Eleanor, sinceramente preoccupata per i suoi vecchi amici.
"Sì, lo sa. Sta affrontando la cosa con ottimismo, devo dire, ma come credo capirai, desideriamo passare insieme quanto più tempo possibile. Non potrà più seguirmi in tournée come faceva prima e non posso lasciarla da sola qui a New York". "Capisco perfettamente, Robert. Devi dare priorità alla salute di Melanie, ma puoi permetterti di ritirarti adesso?", gli chiese Eleanor, affrontando questioni più pragmatiche. Avendo passato la vita a prendersi cura da sola dei propri affari, aveva imparato ad essere cauta quando si trattava di questioni di denaro.
"Sì, Eleanor. Anni di gestione attenta stanno finalmente iniziando a dare i loro frutti. Ora posso andare in pensione senza preoccuparmi del nostro futuro, anche se dovremo sostenere le spese della sua assistenza medica. Al momento, i miei timori riguardano perlopiù la compagnia", disse Robert appoggiando i gomiti sul tavolo e congiungendo le mani in un nervoso gesto. Poi, dopo una pausa che tradì la sua ricerca delle parole più giuste, aggiunse, "All’inizio avevo pensato di lasciare la compagnia nelle mani di Terence, ma poi ho cambiato idea. È un attore magnifico, ma non è pronto per ricoprire il ruolo di regista. Manca del tatto necessario per gestire i difetti e le idiosincrasie degli altri. Inoltre, i suoi rapporti con gli altri attori della compagnia non sono mai stati dei migliori. Mi dispiace dire questo, ma la compagnia si sfalderebbe se le redini passassero a lui".
"Non scusarti, Robert. Conosco mio figlio e concordo sulla tua valutazione. Non è pronto a prendere il tuo posto", fu l’immediata replica di Eleanor. La sua espressione serena incoraggiò Robert a continuare.
"Per questo motivo sto valutando l’idea di vendere la compagnia. Intendo fare del mio meglio per trovare un acquirente che appoggi il lavoro che ho fatto finora, ma non sono sicuro di come reagirà Terence ad una nuova gestione. D’altra parte, ho anche pensato che forse potrebbe essere un’opportunità per aprirgli nuovi orizzonti a livello professionale. L’esperienza con la Royal Company gli è stata incredibilmente utile per migliorare la sua tecnica. Che ne pensi? Sarebbe pronto a lavorare come indipendente o a passare a un’altra compagnia?"
"Se mi avessi posto questa stessa domanda tre anni fa, Robert, non avrei saputo cosa risponderti", disse la donna con un elegante cenno del capo, ornato da un cappello a larga tesa, "All’epoca Terence era in uno stato costante di inquietudine. Dubito che avrebbe avuto l’energia di prendere in mano le redini della propria carriera e affrontare una tale incognita, era troppo preso dalla malattia di Susanna. Ma ora le cose stanno diversamente e l’hai notato tu stesso. Sembra apprezzare la vita, perlomeno quanto un uomo della sua natura riesca a fare. Intendo dire che adesso va ai concerti, visita mostre d’arte ed ha persino ripreso a suonare il piano. Sai, vorrei solo che avesse un amico della sua età – ma sto divagando. Non preoccuparti per lui. Se il nuovo proprietario e regista della Compagnia Stratford non dovesse essere di suo gradimento, potrebbe facilmente cercare nuovi sbocchi. Hai fatto un ottimo lavoro come suo mentore".
"Apprezzo la tua comprensione. Vorrei solo che imparasse ad essere più socievole con i suoi colleghi. Gli renderebbe le cose molto più semplici”, confessò l’uomo con un accenno di sorriso.
"So cosa intendi, Robert. Ma temo che abbia preso da suo padre in questo”, a questa osservazione i due attori scoppiarono in una risata, "comunque, quando pensavi di informare la compagnia delle tue intenzioni?", gli chiese Eleanor subito dopo.
"A gennaio, quando inizieremo le letture per le prove della stagione primaverile. Dirò loro che sarà l’ultima per me".

"Ti dispiacerebbe se prima preparassi il terreno con Terence?" osò chiedere Eleanor e, accorgendosi che il suo amico necessitava di maggiori chiarimenti, aggiunse, "non intendo informarlo della tua decisione. Questo spetta a te e so che lo farai quando lo riterrai più opportuno. Tuttavia, vorrei accennargli all’eventualità di esplorare nuove strade a livello professionale e sfruttare l’opportunità offertami di recente dalla sua maggiore apertura ad accettare i miei consigli".
“Capisco, Eleanor. Nessun problema, non mi dispiace affatto".
I due amici si intrattennero in conversazione davanti al loro thè ancora per qualche minuto ed infine si salutarono con la promessa da parte della Signora Baker di far visita alla Signora Hathaway la settimana successiva.


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Una volta ogni due settimane Terence Graham si concedeva un giorno libero per recarsi in macchina fino a Long Beach a trovare sua madre e nel contempo godersi la vista del mare lungo la Riviera dell’Est. Gli piaceva molto la nuova atmosfera bohemien che aveva acquisito la città da quando la Società Immobiliare di William Reynolds aveva dichiarato fallimento. Una volta svanite le rigide restrizioni del passato, artisti e intrattenitori avevano potuto stabilirsi lì senza temere l’ostracismo dei vicini. Tra l’altro, i soliti ricchi erano andati via già anni prima.
Malgrado tutti questi cambiamenti, la casa di Eleanor Baker manteneva ancora uno stile mediterraneo, con pareti a stucco impeccabilmente bianche ed un tetto di tegole rosse che era stato il marchio distintivo delle prime costruzioni. La padrona di casa preferiva le linee semplici e Terence pensava che le si addicessero benissimo. Sua madre era sempre stata un esempio di eleganza e originalità.
Anche la tavola era in tono con il suo gusto. Le cene a casa della Signora Baker erano sempre impeccabili, con numerose portate, porcellane finissime, argenteria splendente, bicchieri in cristallo baccarat e vino francese, che lei riusciva a trovare malgrado il Proibizionismo. Terence pensò che neppure l’aristocratico palato di suo padre sarebbe riuscito a trovare un difetto nelle scelte di Eleanor, anche in una giornata come tutte le altre. Eppure quella giornata in cui Terence aveva deciso di far visita a sua madre, non era affatto una giornata come le altre. Il giovane sapeva che ogni volta che andava a trovarla, era per lei una grande gioia.
"Devi dire allo chef che si è superato con questa crostata di mele", si complimentò dopo cena, mentre sorseggiava il suo thè.
"Sarebbe entusiasta di sapere che hai notato i suoi sforzi e lodato il suo lavoro”, rispose lei con un sorriso, "Sul serio, Terence, dovresti farlo più spesso. Le persone tendono a ripagarti quando le tratti con riguardo”.
"La Signora O'Malley non ha nulla di cui lamentarsi riguardo al mio comportamento, mamma. Giuro che sono sempre cortese con lei”, si difese Terence, sollevando il sopracciglio sinistro in un naturale gesto.
"Ti credo, figliolo. Ma non cambiamo discorso", rispose lei, reindirizzando la conversazione sull’argomento di cui stavano discutendo poco prima, "Che mi dici della Royal Company? Pensi che ti faranno un altro invito per l’anno prossimo? Ho saputo che sono rimasti molto colpiti dal tuo lavoro". "Beh, non ho notizie di Bridges-Adams dall’estate scorsa. Chi vivrà vedrà. E comunque non ho alcuna fretta. Sai bene che mi trovo a mio agio a lavorare con Robert”, osservò, mentre poggiava la sua tazza sul tavolino da thè.
"Forse potrebbe essere il momento giusto per sperimentare nuove strade, Terence. Devo dirti che sono molto felice di vederti così di buonumore ultimamente. Ora che hai ritrovato la tranquillità, dovresti concentrarti sulla tua carriera e correre qualche rischio. Sono certa che a Robert non dispiacerebbe".
"Lo so, mamma, ma al momento non sono pronto per un cambiamento radicale. Ho altre cose a cui pensare", rispose, esitando per un attimo. Aveva ancora delle riserve rispetto a quanto avrebbe potuto svelare a sua madre senza rischiare di darle false speranze.
"Ti prego, dimmi, che cosa ti preoccupa?", gli chiese, vagamente allarmata dal suo improvviso silenzio.
"Se ti confido una cosa, mi prometti di non dare libero sfogo all’immaginazione?”, le chiese con un mezzo sorriso che gli incurvava le labbra.
"Assolutamente sì!"
Terence si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra. Un colpo di vento sollevò alcune foglie ingiallite annunciando l’imminente arrivo dell’autunno. Il giovane si voltò e guardò sua madre dritto negli occhi.
"Lo scorso maggio ho scritto a Candy", disse semplicemente.
La Signora Baker batté le palpebre un paio di volte cercando di metabolizzare quello che suo figlio le aveva appena detto. Per quanto avesse pregato per la felicità di suo figlio, aveva da tempo abbandonato ogni speranza che egli potesse recuperare quello che aveva perso un tempo. Neppure nei suoi sogni più arditi avrebbe potuto immaginare che, dopo la scomparsa di Susanna, ci fosse ancora questa possibilità. Le ci vollero alcuni secondi per ricomporsi e chiedergli:
"Ti ha risposto?", fu la prima cosa che riuscì a dire.
"Sì, mi ha risposto", rispose Terence in un soffio, lasciando spazio subito dopo ad un breve silenzio. Eleanor colse l’opportunità offertale da quella pausa per riorganizzare i propri pensieri. La donna sapeva che non poteva obbligare suo figlio a confidarsi. Se non fosse stato pronto a parlarne, si sarebbe chiuso a riccio ed avrebbe lasciato cadere l’argomento. Tuttavia, moriva dalla voglia di fargli mille domande.
"Dove si trova Candy adesso? A Chicago?", gli chiese poi.
"No, vive all’orfanotrofio dove è cresciuta. Penso che sia diventata una specie di patrocinatrice dell’istituto. Si occupa della raccolta fondi con l’aiuto di vari finanziatori in tutto il paese. Il resto del tempo lo dedica alla sua professione di infermiera con i bambini e presso una clinica nel villaggio vicino. Dà anche una mano con i lavori pesanti che le signore dell’orfanotrofio non sono più in grado di gestire", spiegò, sorprendendo sua madre con dovizia di particolari, lasciando trapelare una certa ammirazione dalle sue parole.
"Suppongo si stia parlando di una persona sola con tutti questi impegni, giusto?" chiese la Signora Baker.

“Ha sempre avuto mille cose da fare", ridacchiò Terence, il solo sentirla nominare lo metteva di buonumore.

"Mi domando se quella poverina abbia mai un attimo da dedicare a sé stessa", rispose lei. Per un attimo, la madre di Terence pensò che l’iperattività di Candy le ricordava una giovane Eleanor Baker. Rammentò di aver lavorato per molte stagioni fino allo sfinimento. La scusa era che voleva raggiungere una stabilità economica, ma la realtà era che stava semplicemente cercando di dimenticare Richard Grandchester e alleviare il dolore per la perdita di suo figlio.
"Mi sono posto la stessa domanda, ma Candy non accetta consigli in merito. Suppongo che sia felice della sua vita così com’è", rispose Terence con una punta di malinconia. Pensò che non avesse il diritto di dire a Candy come gestire i propri affari.
Seguì un altro breve silenzio, mentre Eleanor cercava di dar voce alla domanda che moriva dalla voglia di porgli sin dall’inizio.
"Con tutte quelle cose da fare. . . ho ragione di credere che sia ancora sola?"
"Sì", fu la secca risposta di Terence. Sua madre notò che si stava sforzando di trattenere un sorriso.
"E ti ha mai parlato di un fidanzato o di un gentiluomo che possa interessarle?"
"Non avrebbe mai sollevato un argomento così personale con me, mamma, e per di più tramite lettera. Ma so per certo che al momento non porta nessun anello, se è questo che ti preme così tanto di sapere”, rispose divertito dalla crescente impazienza di sua madre.
"E stai pensando di darle tu quell’anello prima o poi, Terence?"
"Forse sì, ma non ti entusiasmare troppo, mamma. Per adesso stiamo solo cercando di riprendere confidenza e rimetterci in pari”, rispose, regalando finalmente a sua madre uno dei suoi rari sorrisi.
Subito dopo, Eleanor rispose con un sorriso che ricalcava in tutto e per tutto quello di suo figlio. Era più che felice delle notizie appena ricevute.


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Da dove si trovava, Candy poteva scorgere l’intera vallata. Sapeva che Suor Maria l’avrebbe rimproverata per essersi nuovamente arrampicata troppo in alto su Papà Albero, ma non le importava affatto. Era l’ora del sonnellino per i bambini più piccoli, mentre i più grandi si dedicavano alle faccende pomeridiane della casa. Così, aveva colto l’occasione per passare un po’ di tempo da sola e riflettere. Salire in cima a un albero e respirare l’aria pulita delle montagne l’aveva sempre aiutata a schiarirsi le idee.
Osservò da lontano la chiazza colorata del suo giardino. Tre anni prima aveva chiesto a Miss Pony il permesso di piantare dei fiori vicino alla vecchia cappella. Persino ora, all’inizio dell’autunno, alcune delle sue adorate piante erano ancora in fiore. Viole del pensiero in varie sfumature di blu, viola e giallo, vivaci calendule e alcune rose persistevano ancora nella loro missione, abbellendo il panorama. Ben presto, i fiori perenni sarebbero entrati in fase dormiente, mentre gli annuali sarebbero inevitabilmente appassiti. Candy sapeva bene che l’alternanza di vita e morte era una condizione imprescindibile della natura. Lo aveva imparato da Anthony.

Tuttavia, indipendentemente da quanto sarebbe stato freddo e lungo l’inverno, con il ritorno della primavera, le Dolce Candy sarebbero tornate a nuova vita, unitamente alle meravigliose peonie che aveva piantato appena l’anno scorso. Aveva in mente di provare alcuni fiori nuovi per l’anno a venire. La giovane sperava ancora di poter contare su alcuni non-ti-scordar-di-me per dare un tocco di blu alle aiuole durante la primavera. Soprattutto, voleva che il piccolo Stair potesse vedere come quei piccoli fiori si sarebbero trasformati da semi in mille germogli. Candy sentiva che il bambino aveva ereditato una grande curiosità ed una sensibilità naturale che voleva incoraggiare in tutti i modi. A tale scopo, la settimana precedente era stata in un vivaio a La Porte. Aveva acquistato i semi di non-ti-scordar-di-me e, di slancio, alcuni bulbi di un altro fiore che voleva provare. Li aveva piantati proprio quella mattina, sperando che fiorissero entro marzo, dato che Pasqua era la stagione dei narcisi.
Stringendo fra le mani l’ultima lettera di Terence, Candy decise che, così come i fiori che germogliano fedelmente ogni anno, forse era giunto anche per lei il momento di tornare a sperare.


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Manhattan, 20 Ottobre 1924
Cara T.T.,
Spero che tu stia bene. A quest’ora sarai sicuramente indaffarata con i preparativi per Halloween. Ora che ci penso, non dovrai impegnarti molto per il tuo costume, ti basterà aggiungere una scopa e il gioco sarà fatto. Mi raccomando, quando andrai in giro con i bambini a fare dolcetto-scherzetto ricordati che i dolci e la torta di zucca sono solo per loro.
Qui si lavora tantissimo. Non ho più un minuto libero neppure durante i finesettimana. Temo che dovrò rinunciare per un po’ alle mie cavalcate della domenica. Sfortunatamente, però, non posso lamentarmi perché Robert ci ha promesso che saremo liberi per le ultime due settimane dell’anno. Lasciami dire che si tratta di una decisione alquanto strana. Solitamente, infatti, lavoriamo anche durante le vacanze di Natale e a Capodanno. Non so cos’abbia Robert di recente, ma del resto un po’ di tempo libero mi farà bene.
Tra due settimane partiremo in tournée. Mi sembra di ricordare che anche tu partirai a novembre. Mi piacerebbe che un giorno potessi visitare la Costa Occidentale, ma temo che per questa volta viaggeremo in direzioni opposte.
Mi sono permesso di informare mia madre della nostra rinnovata amicizia. Spero che non ti dispiaccia. È stata molto felice di avere tue notizie e ti manda i suoi saluti. Ha sempre avuto molta stima di te.
Non pensare che mi sia dimenticato del regalo di Miss Pony. Ho già inviato una lettera all’ebanista con tutte le tue istruzioni per la sedia. Non appena arriverò a San Francisco, mi occuperò della spedizione.
Bene, ora devo lasciarti, il tempo non si ferma per nessuno. Mi raccomando, prenditi cura di te.

Con affetto,
Terence

P.S.
Nel caso te lo stessi chiedendo, T.T. sta per Tarzan Tuttelentiggini. Scommetto che starai leggendo questa lettera in cima a un albero.

Capitolo 3
Macbeth in love



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Casa di Pony, 27 ottobre 1924

Caro P.G.,

Ti scrivo questa lettera con la speranza che tu possa leggerla prima della partenza per la tua tournée. Dopo il 6 novembre partirò anche io. Non so davvero come tu faccia a sopportare di essere sempre in viaggio e stare via da casa tutto il tempo. Non ho ancora iniziato a fare le valigie e già detesto l’idea di partire.
D’altra parte, forse tu e Albert siete ben più avvezzi a questa vita di peregrinazioni senza sosta di quanto non sia io.
A proposito, ho appena ricevuto notizie da Albert. Sarà di ritorno per il Ringraziamento. Non è fantastico? È via da più di cinque mesi ormai e non vedo l’ora di riabbracciarlo per dirgli quanto mi è mancato. Spero che questa volta possa fermarsi più a lungo e passare un po’ di tempo con me.
In ogni caso, dovrò aspettare fino a dicembre. Ora è tempo di preparativi per l’inverno e ciò significa un bel po’ di lavoro alla Casa di Pony. Questa settimana ho raccolto le ultime mele, pere e albicocche dal frutteto di Miss Pony e stiamo preparando le marmellate che ci serviranno nei prossimi mesi. Suor Maria non sopporta di passare tutto questo tempo in cucina, ma a Miss Pony piace. A proposito, ti mandano entrambe i loro saluti.

Ti prego, di’ a tua madre che è sempre nel mio cuore. Sarà in tournée anche lei questa stagione? L’ultima volta che ho parlato con Archie mi ha riferito di aver sentito di una sua partecipazione ad un film. È vero?

Oh, beh! Sto divagando. Temo che questa sia l’ultima lettera che ti scrivo prima di Natale. Mi raccomando, prenditi cura di te durante la tournée e grazie ancora a nome di Miss Pony per il favore che ci farai.

A presto,
Candy

P.s.1
Stia pur certo, signore, che i miei bambini avranno caramelle e torte solo per loro, perché una strega come me può prepararsi una torta tutta per sé ogni volta che ne ha voglia. E tu non avrai mai la possibilità di assaggiarne una, se continui a fare il maleducato prendendomi in giro!

PS 2
P.G. sta per pallone gonfiato. Quante volte devo ripeterti che il mio nome è Candice?


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L’incessante frastuono della stazione Grand Central non sembrava disturbarlo più di tanto, dato che il tumulto nella sua mente era decisamente più assordante. Seduto nel suo scompartimento privato, cercò di ripassare il suo itinerario per la centesima volta. Ancora una volta, guardò l’orologio da polso sollevando le maniche della sua impeccabile giacca Brooks Brothers. Era ansioso di partire.
Nel tentativo di calmarsi, si tolse il cappello e la giacca grigia del completo gessato, li appese vicino alla porta e tornò a sedersi. Subito dopo, il treno si mise in movimento. Chiuse gli occhi e sperò ancora una volta che durante la tournée tutto andasse come previsto. Istintivamente, toccò nuovamente la tasca del panciotto dove aveva tenuto la sua ultima lettera.
Un turbinio di emozioni diverse lo assalì mentre ricordava ogni parola che lei gli aveva scritto. Aveva letto e riletto la lettera cercando di mandar giù il paragrafo in cui gli parlava di Albert. Nel corso dei mesi, Candy lo aveva nominato molte volte. In una delle sue prime lettere gli aveva raccontato che l’Albert che avevano entrambi conosciuto ai tempi della scuola, altri non era che il suo padre adottivo. La rivelazione era stata uno choc per Terence e gli ci era voluto un po’ per abituarsi all’idea.
Dopo che il giovane ebbe digerito la notizia, il costante riferimento ad Albert nelle lettere di Candy aveva trovato una giustificazione, almeno per un po’. Tuttavia, con il passare del tempo, l’argomento ‘Albert’, eternamente ricorrente, aveva fatto giungere la sua pazienza al limite. La verità era che malgrado l’innegabile vincolo giuridico che legava Albert a Candy, Terence provava comunque una certa inquietudine che non riusciva a dissipare.
Il pensiero che Albert non fosse un uomo anziano né realmente imparentato con Candy, non gli consentiva di abbassare la guardia. Sarebbe stato così strano per una donna di 26 anni innamorarsi di un uomo come Albert, che ne aveva al massimo 36 o 37 ed era ancora scapolo? Terence sapeva che non era affatto impossibile. Non era così raro, infatti, vedere un uomo sposato con una donna più giovane di lui di dieci anni o più.
Forse tutto questo non avrebbe significato nulla se Candy non avesse insistito a scrivergli di Albert in termini così affettuosi. Terence non aveva dimenticato che lui aveva vissuto con Candy quando aveva sofferto di amnesia. All’epoca, entrambi ignoravano il legame che esisteva tra loro. Sarebbe dunque potuto nascere qualcosa, almeno da parte di Albert. Per di più, Albert era rimasto vicino a Candy dopo la rottura con Terence. Sicuramente in quell’occasione il rapporto tra la giovane e il magnate era diventato ancora più saldo. Questo pensiero gli faceva rodere il fegato ancora adesso, malgrado fossero trascorsi dieci anni.

Tuttavia, proprio il fatto che fossero passati degli anni senza alcun apparente cambiamento nel rapporto tra Candy e Albert costituiva l’unico punto a favore di Terence. E se invece Albert stesse pazientemente aspettando che Candy maturasse e fosse pronta a dimenticare il passato? Terence sapeva per esperienza che un uomo può amare la stessa donna per molti anni, anche quando sembra persa ogni speranza.
In quel momento, un leggero colpo alla porta interruppe i pensieri di Terence.
"Avanti", disse e subito dopo un uomo sulla cinquantina entrò nello scompartimento.
"Il Suo thè, Signor Graham, con una zolletta di zucchero", lo informò l’uomo, "limone va bene?" chiese lasciando la tazza sul tavolino dello scompartimento.
"Sì, limone va bene, Hayward", rispose Terence distrattamente, lo sguardo fisso verso la finestra.
"Ha bisogno di altro, signore?" chiese Hayward.
"Penso di no. Chiamami venti minuti prima dell’arrivo a Boston".
"Senz’altro, signore", e con un breve cenno del capo, l’uomo uscì chiudendo la porta dietro di sé.
Dopo aver passato più di dieci anni nel mondo dello spettacolo, Terence aveva diritto a concedersi alcune comodità durante le sue tournée. Lo scompartimento privato era una di esse, unitamente all’aiuto di un assistente. Negli ultimi quattro anni, Terence si era avvalso della collaborazione di Martin Hayward per sbrigare questioni pratiche ed era soddisfatto dei suoi servigi. L’uomo, che era di origine inglese, lavorava come suo segretario personale, si occupava delle prenotazioni alberghiere, di preparare e prendersi cura del suo bagaglio, di ordinargli i pasti quando non aveva voglia di uscire con il resto della compagnia e di ogni altra cosa di cui avesse bisogno. Hayward era discreto e riservato.
Dopo che Hayward se ne fu andato, Terence continuò a rimuginare sullo stesso argomento.
Il suo pensiero volò a quel luogo lontano dell’Indiana dove si trovava Candy. Pensò che il giorno dopo Candy avrebbe preso un treno per Indianapolis dove avrebbe fatto visita ai primi finanziatori della sua lista. Il desiderio di rivederla diventava ogni giorno più forte. Si domandò nuovamente che aspetto avesse lei oggi.
Conservava ancora il ricordo del suo sorriso smagliante e dei suoi riccioli ribelli. Si chiese se quella luce che aveva sempre amato così tanto splendesse ancora nei suoi grandi occhi verdi. Durante i mesi della loro corrispondenza, aveva pensato più di una volta di chiederle una fotografia. Poi, però, ci aveva rinunciato. Lei aveva sempre mantenuto un tono leggero nel loro carteggio, non parlando mai di questioni personali, né affrontando l’argomento del loro passato in comune. In quel contesto, gli era sembrato sconveniente chiederle una fotografia. Pertanto, si era trattenuto dal farlo. Poteva solo sperare che la situazione potesse presto volgere al meglio.

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Mentre il treno di Terence si avvicinava a Boston, Candy era intenta a preparare le valigie. Dato che la giovane sarebbe rimasta via da casa per più di venti giorni, doveva riflettere bene su cosa portare con sé. Ripassò nella sua mente un elenco di cose che doveva ancora mettere in valigia: i progetti delle migliorie che avevano apportato alla casa, le fotografie a lavori finiti, incluse quelle della nuova aula e dell’infermeria, le lettere di Miss Pony e Suor Maria per tutti i loro benefattori, le foto dei bambini in diversi momenti dell’anno, le copie del bilancio per l’anno successivo ed altri documenti da sottoporre ai finanziatori. Tutte queste cose erano in cima alla sua lista. Doveva, altresì, portare con sé alcuni ricami e qualche barattolo di marmellata preparati da Miss Pony come dono per i finanziatori.
Con così tante cose da portare, doveva essere molto selettiva con i suoi effetti personali. Tuttavia, seguiva lo stesso itinerario dal 1920 ormai e aveva imparato a scegliere alcuni capi che fossero intercambiabili. Adesso, però, doveva pensare anche alla festa per il Ringraziamento organizzata da Annie.
L’ultima tappa prima di tornare a casa sarebbe stata Chicago. Gli Andrew, i Cornwell ed i Brighton erano i loro principali finanziatori e non potevano essere esclusi dalla sua visita annuale. Pertanto, per il bene della Casa di Pony, Candy aveva imparato a coniugare gli affari con le questioni familiari. Avrebbe partecipato alla cena del Ringraziamento, rendendo felice Annie, avrebbe rivisto Albert e ricevuto un bell’assegno per i bambini, tutto in un’unica visita.
La giovane aprì il suo armadio pensando alla famosa cena. Sebbene preferisse viaggiare leggera, doveva portare con sé qualcosa per l’occasione. Non intendeva deludere Annie presentandosi con un abito che non fosse all’altezza di un evento così importante. Si concentrò sui tre abiti che Annie le aveva acquistato il mese precedente. Quello che l’attraeva di più era un abito da cocktail rosso, dal tessuto leggero e dall’orlo asimmetrico, che le arrivava alle caviglie. Il rosso era sempre stato il suo colore preferito. Malgrado il suo primo istinto, mentre si accingeva a prendere l’abito rosso, il suo sguardo fu catturato da un secondo abito.
"Che cos’è? Una sottoveste o una camicia da notte?", aveva chiesto Candy la prima volta che Annie gliel’aveva mostrato.
"Ma come! È un abito da cocktail! Non lo vedi?" aveva risposto Annie con aria offesa.
"Ma Annie, è più corto delle mie sottane!" aveva esclamato sorpresa.
"Questa sarà la nuova moda per l’anno prossimo, Candy!" le aveva pazientemente spiegato Annie, "L’orlo sarà decisamente più corto. Le gonne arriveranno a appena due centimetri sotto il ginocchio. Non è scandaloso?"
"Dici sul serio?"
"Assolutamente sì! Lo sai che mi tengo sempre aggiornata sulle ultime novità da Parigi", disse Annie con orgoglio. Da quel punto di vista, Archie e Annie costituivano una coppia perfetta di giovani alla moda.
Candy guardò nuovamente quello strano capo dalle linee semplici. Era un abito smanicato e aderente con una scollatura arrotondata ornata di decorazioni e applicazioni Art Deco. Oltre alla particolarità della lunghezza, c’era un altro dettaglio che rendeva unico quell’abito. Il morbido tessuto grigio pallido era interamente ricoperto di perline in tutte le sfumature di argento, grigio e verde chiaro.
"Che buffo! Le perline si muovono con l’abito!" ridacchiò Candy dopo averlo osservato meglio.
"Allora ti piace?" chiese Annie, lieta di scorgere quel particolare scintillio negli occhi di Candy, che si accendeva ogni volta che la bionda vedeva qualcosa che le piacesse.
"Beh, sembra comodo. Niente strascichi o sottane troppo lunghe in cui potrei inciampare. E poi è chic nella sua semplicità. Dovrò abituarmi a mostrare le gambe come se avessi cinque anni, ma sopravvivrò".
"Sapevo che quest’abito sarebbe stato perfetto per te", affermò Annie con gioia. Dopodiché, fece una breve pausa e con una punta di esitazione nella voce aggiunse, "Cerca solo di non indossarlo quando c’è la zia Elroy. Avrebbe sicuramente da ridire sulla lunghezza dell’orlo".
A quest’ultima osservazione, Candy non poté evitare di scoppiare in una fragorosa risata.
"Direi che ‘avere da ridire’ non rende certo l’idea", aveva finalmente detto dopo aver riacquistato padronanza di sé.
Candy si destò dai suoi ricordi e guardò nuovamente il vestito. Un ghigno malizioso comparve sul suo volto. Se Suor Maria avesse visto la sua espressione in quel momento, avrebbe subito capito che la giovane stava per combinarne una della sue.
"Bene, zia Elroy", disse Candy con una punta di malizia parlando tra sé e sé davanti allo specchio, "Che ne dici di aver qualcosa da fissare il giorno del Ringraziamento?"
E con il pensiero a quella nuova bravata, mise in valigia l’abito, unitamente allo stupendo scialle grigio argento che Annie le aveva scelto in abbinamento con il vestito.

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Alla vista del panorama collinare Candy capì che il treno sarebbe presto arrivato a destinazione. Era la mattina del 13 novembre. Era in viaggio da quasi una settimana ormai e non vedeva l’ora di arrivare in albergo e farsi una doccia.
Il suo programma era particolarmente fitto quell’anno. Come prima cosa, era stata ad Indianapolis per far visita ai Jones, amici d’infanzia di Miss Pony. Titolari di una catena di librerie, avevano sostenuto la Signorina Giddings – come erano soliti chiamarla – sin da quando aveva iniziato a lavorare all’orfanotrofio. Come d’abitudine, l’avevano accolta con grande cordialità, garantendole una generosa donazione. La tappa successiva era stata Cincinnati. Lì aveva fatto visita alle Sorelle di San Giuseppe di Bourg per consegnare alcune lettere da parte di Suor Maria alle sue superiori. Aveva anche avuto modo di incontrare un anziano banchiere che era stato suo paziente a Chicago anni addietro. Da allora, il buon uomo era diventato un fedele benefattore della casa di Pony. Quest’anno, il suo contributo era stato ben più sostanzioso rispetto all’anno precedente.
La sua prossima destinazione era Pittsburgh. Aveva in programma di incontrare una persona che non conosceva personalmente. Il contatto le era giunto attraverso le conoscenze di Albert presso la famiglia Carnegie. Il defunto Andrew Carnegie, magnate dell’acciaio, era emigrato dalla Scozia proprio come il nonno di Albert. Si erano incontrati in occasione del viaggio in America ben prima che entrambi facessero fortuna. Nel corso degli anni, avevano mantenuto una stretta amicizia fino alla scomparsa del Signor Andrew.

Il Signor Carnegie se n’era andato cinque anni prima, ma la sua vedova, la Signora Louise Carnegie, era ancora molto impegnata in attività di beneficienza. Candy sperava di poter convincere l’anziana donna a fare una generosa donazione a favore della Casa di Pony. Se tutto fosse andato come previsto, Candy sperava di poter pranzare con la Signora Carnegie quel giorno stesso.
A poco a poco la campagna lasciò spazio alla periferia della città. Il cielo era grigio e sembrava che stesse per piovere. Candy si tolse il guanto che le fasciava la mano destra e toccò il vetro della finestra per sentirne la temperatura. In quel periodo il termometro avrebbe segnato sicuramente pochi gradi sopra lo zero. Candy pensò che aveva assolutamente bisogno di un bagno caldo prima di incontrare la Signora Carnegie. Desiderava farle una buona impressione e doveva essere ben sveglia quel pomeriggio.
Quando il treno raggiunse zone più popolate, Candy fu sorpresa dall’imponente vista di due fiumi che attraversavano la città. Nel centro, un lembo triangolare di terra si collegava al resto del territorio urbano tramite un incredibile numero di ponti. Quanto il treno iniziò a percorrere una di quelle massicce costruzioni, Candy capì che stavano per arrivare a Penn Station.
Erano le nove e trenta quando Candy scese dal treno. Non senza difficoltà, la giovane cercò di farsi strada tra la folla. Sembrava che tutta Pittsburgh si fosse data appuntamento a Penn Station quella mattina. Il facchino che la aiutava con le valigie non fece commenti, pertanto Candy pensò che quel trambusto all’interno della stazione fosse una cosa normale.
Salì su un taxi e si avviò verso il Renaissance Pittsburgh Hotel. Quando Candy aveva stabilito che la Casa di Pony non potesse dipendere esclusivamente dalle donazioni di Albert e Archie, era giunta a un compromesso con il suo padre adottivo. Albert avrebbe rispettato la sua decisione se lei avesse accettato il suo aiuto, consentendogli di sostenere le spese dei suoi viaggi. Data la risolutezza del magnate su questo punto, Candy aveva capito di non avere alternative. Quindi, gli aveva consentito di viziarla con alberghi costosi in cui alloggiare durante le sue trasferte. Solitamente, era la stessa Miss Pony che suggeriva un albergo piuttosto che un altro – dato che conosceva bene la maggior parte dei finanziatori e le città in cui vivevano – mentre George provvedeva alle prenotazioni vari mesi in anticipo. Tuttavia, questa volta, quando Candy entrò nella hall, pensò che Miss Pony avesse un po’ esagerato nella scelta di quell’albergo.
La luce del mattino filtrava attraverso una maestosa cupola in vetro, che era di per sé una meraviglia dell’architettura. Al di sotto di essa, un’imponente scalinata in marmo lasciava chiaramente intendere che quel luogo era destinato a chi amava il lusso. A peggiorar le cose, il concierge aveva ricevuto Candy con tutti gli ossequi suscitati solitamente dal nome Andrew. Candy c’era abituata ormai.
La giovane sospirò tra sé e sé. Aveva da tempo accettato il fatto che essere una Andrew avrebbe inevitabilmente dato adito a tali circostanze. Poco importava quanto discreta fosse la sua vita alla casa di Pony. Una volta in città, sarebbe sempre stata trattata come una persona importante. Anche se si sentiva sempre a disagio quando ciò accadeva, per quieto vivere aveva imparato ad accettarlo ed a conviverci.
Una volta giunta in stanza, si guardò intorno e il suo sguardo si soffermò su un bellissimo cesto di frutta. La giovane fu lieta di leggere il nome della Signora Carnegie sul biglietto che lo accompagnava. Candy pensò fosse di buon auspicio. Felice della delicatezza dimostratale dall’anziana donna, prese un’albicocca e la morse con gusto, lasciando che il suo sapore agrodolce le inondasse il palato. Poi proseguì con l’ispezione della camera.

Vicino al letto c’erano due grandi finestre. Le tende dal tessuto leggero erano tirate, perciò si avvicinò alla finestra e guardò giù in strada. Alcune auto stavano parcheggiando proprio in quel momento e c’era un certo affollamento davanti all’ingresso dell’hotel.
"Santo cielo! Questa città è veramente frenetica. E io che pensavo che Chicago fosse troppo movimentata!", disse con noncuranza, mentre si allontanava dalla finestra ed entrava nella stanza da bagno.

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Alle undici e trenta la bionda scese la scalinata di marmo della hall. Si era cambiata in un leggero abito di lana color malva. Una sciarpa di seta nera le fasciava il collo elegante e snello e un soprabito e una cloche dello stesso colore completavano il suo accurato abbigliamento. Lasciò le chiavi alla reception e prese un taxi che l’avrebbe portata al suo appuntamento.
Dopo che fu uscita, un uomo sulla cinquantina, con gli occhiali e vestito in un elegante completo, si avvicinò alla reception.
"Quella era la Signorina Andrew?" chiese.
"Sì, era proprio lei", rispose l’addetto al ricevimento, non senza riserve.
"In quale camera alloggia?" chiese ancora l’uomo, lasciando scivolare una banconota da cinque dollari nelle mani dell’impiegato, che improvvisamente divenne più ciarliero.
"Camera 178, signore. Ma temo che non sarà di ritorno prima del tardo pomeriggio".
"Va benissimo. Grazie".
Senza dire un’altra parola, l’uomo si voltò e si incamminò su per la scalinata di marmo in direzione della propria camera.


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La Signora Louise Whitfield Carnegie era una donna di quasi settant’anni con i capelli bianchi e l’aspetto di una distinta signora del Nord Est. Era la figlia di un ricco uomo d’affari di New York, ma malgrado la sua estrazione alto-borghese, era una persona molto sensibile perché non aveva affatto avuto una vita facile. Sua madre era invalida e lei se n’era occupata fino alla sua scomparsa.

Quando finalmente incontrò Candy quel pomeriggio, l’anziana donna fu estremamente colpita dalla semplicità della giovane. Iniziarono subito a conversare amabilmente, mentre Candy descriveva con dovizia di particolari come la Signorina Giddings avesse deciso di costituire un orfanotrofio. Durante la conversazione, la Signora Carnegie osservava attentamente la giovane, cercando di ritrovare sul suo viso qualcosa che le ricordasse l’anziano William Andrew.
"Lei conosce la storia del suo bisnonno e del mio defunto marito?" chiese la Signora Carnegie davanti a una tazza di thè.
"No signora, ma mi piacerebbe molto ascoltarla" la invitò Candy con un sorriso, subito ricambiato dall’anziana donna.
"Ebbene, William Andrew era di cinque anni più grande del mio Andrew, ma fecero subito amicizia quando si incontrarono sulla nave che li portava in America nel 1848. Andrew aveva appena tredici anni all’epoca e non aveva un soldo in tasca, esattamente come il giovane William Andrew. Giunti a New York, si salutarono, il mio Andrew raggiunse Pittsburgh dove vivevano due sue zie mentre William si stabilì a Chicago. Tuttavia, continuarono a scriversi ed a farsi visita ogni volta che potevano. Andrew partecipò anche al matrimonio di William nel 1853".
"E Lei quando ha sposato il Signor Carnegie, signora?" chiese Candy sorseggiando il suo thè.
"Oh, il mio Andrew è stato scapolo per tanto tempo", ridacchiò la donna, "Quando ci siamo sposati aveva cinquantun anni. Temo che sua madre credesse che nessuna fosse all’altezza del suo Andra, come lo chiamava lei".
"Ma suppongo che alla fine si convinse che lei sarebbe stata una buona moglie".
"Assolutamente no!" l’anziana donna fece un gesto con la mano come per allontanare l’idea, "Abbiamo avuto un fidanzamento molto lungo e travagliato, durato oltre sei anni! Ci siamo lasciati e poi riconciliati ben due volte nel frattempo. Fu molto doloroso, cara. Se la madre di Andrew non fosse passata a miglior vita, non ce l’avremmo mai fatta ad arrivare all’altare. Stavo iniziando a credere che sarei rimasta zitella", disse la donna, ridendo di tutto cuore.
"Deve essere stata veramente dura", disse Candy, pensando tra sé e sé che sapeva bene cosa si provasse, "Eppure, molto romantico, in un certo senso", aggiunse con una punta di malinconia.
"Beh, eravamo molto innamorati, figliola. Proprio come il Suo bisnonno e sua moglie. Una volta il mio Andrew mi disse che fu amore a prima vista fra di loro. E posso capirlo, perché William Andrew era un uomo molto affascinante".
"Che aspetto avevano il mio bisnonno e sua moglie? Vede, a casa non abbiamo fotografie".
"Ecco, mi dispiace dirLe che non ho mai avuto modo di incontrare la Signora Andrew. Ho conosciuto William Andrew il giorno del mio matrimonio e all’epoca era già vedovo. Tuttavia, me lo ricordo molto bene. Aveva già fatto fortuna ed era sulla cinquantina. Era piuttosto alto con una mascella squadrata e un’aria distinta. Era molto scozzese. Partecipò alla cerimonia con suo figlio William, Suo nonno. Erano entrambi biondi come Lei, ma era il Signor William Andrew senior che aveva i Suoi occhi verdi, figliola".
All’improvviso Candy realizzò che la Signora Carnegie non era a conoscenza della sua adozione.
"Ecco, Signora Carnegie, temo di doverla deludere su questo punto. Sono un membro della famiglia Andrew ma solo in seguito alla mia adozione. Il Signor William Albert Andrew mi ha adottato quando avevo tredici anni. Prima di allora, vivevo alla casa di Pony. Mi ha cresciuta la Signorina Giddings", spiegò Candy con naturalezza.
"Dice sul serio, figliola?" chiese la donna non nascondendo la sua incredulità. "Avrei giurato che i Suoi occhi e quelle fossette sulle guance fossero proprio del defunto William Andrew primo!"
"Beh, mi hanno già detto della mia forte somiglianza con la Signora Rosemary Brown, la compianta figlia di William C. Andrew. Ma non avrei mai immaginato di somigliare anche al Bisnonno William", disse Candy, inarcando le sopracciglia.
"È sicura che non vi sia alcun legame di sangue fra voi?" insistette l’anziana donna.
"Sì, signora; ne sono assolutamente sicura. Non ho mai conosciuto i miei genitori, perché sono stata abbandonata alla Casa di Pony quand’ero in fasce. Che io sappia, non ci sono stati figli illegittimi nella famiglia Andrew. Quindi, per quanto mi piacerebbe compiacerla con una fantasiosa storia riguardo le mie origini, le cose stanno semplicemente così: i miei genitori, chiunque fossero, non potevano permettersi di tenermi e mi hanno abbandonata alla casa di Pony. Tredici anni dopo, un uomo ricco e generoso, senza alcun precedente legame con me, è divenuto il mio tutore. Sono estremamente grata a William Andrew terzo per avermi adottata ed avermi protetta da allora. La mia somiglianza con la famiglia è soltanto una felice coincidenza", concluse Candy.
"Il giovane Signor Andrew doveva essere solo un ragazzo quando l’ha adottata, dunque", proseguì la Signora Carnegie, riflettendo come per fare due calcoli.
"Sì, signora, aveva appena 24 anni e non era ancora pubblicamente in possesso della sua fortuna. Eppure, Le assicuro che è stato un ottimo padre per me, o forse più un fratello maggiore o un giovane zio. È molto protettivo ma mi lascia la libertà delle mie azioni e mi vizia come farebbe un fratello maggiore. Ma soprattutto, siamo grandi amici".
Candy continuò a spiegarle come il Signor Andrew avesse felicemente accettato la sua decisione di lavorare e vivere alla Casa di Pony e quanto l’avesse sostenuta nella sua devozione ai piccoli orfani dell’Indiana. Colse l’opportunità per farle presente che uno dei maggiori problemi nella gestione dell’orfanotrofio era la mancanza di mezzi per aiutare i ragazzi a continuare gli studi laddove non fossero stati adottati da piccoli.
"Per ovvie ragioni, la maggior parte delle coppie desiderano adottare neonati o bambini molto piccoli", spiegò Candy con enfasi, "Pertanto, i più grandi si vedono costantemente rifiutati. Ed è molto scoraggiante per loro. In aggiunta a ciò, non possiamo offrir loro alcun aiuto per continuare gli studi e consentir loro di trovare un buon lavoro anche se non verranno mai adottati. Stava per accadere la stessa cosa anche a me. Se non fosse stato per il Signor Andrew, non so cosa avrebbero potuto fare per me Miss Pony e Suor Maria".
"Quindi, forse potremmo fare qualcosa per contribuire all’istruzione di questi poveri ragazzi, mia cara. Il mio Andrew ha sempre creduto che la cosa migliore che si potesse fare per gli altri fosse garantir loro una solida istruzione", disse l’anziana donna, lasciando intendere a Candy che la missione per cui si trovava lì a Pittsburgh era pressoché compiuta.


Erano passate le sei quando Candy rientrò al Renaissance Pittsburgh, mentre una fitta pioggia ricopriva la città. La giovane era così fiera di sé che si sentiva piena di energie per il suo successo. La Signora Carnegie le aveva promesso un generoso contributo. Si erano accordate per incontrarsi il mattino dopo in banca per sistemare gli ultimi dettagli. Non vedeva l’ora di rivedere Miss Pony e raccontarle com’erano andate le cose.
Quando aprì la porta della sua camera, era già buio e dovette accendere le luci. Quando la stanza iniziò pian piano a illuminarsi, Candy poté scorgere un’enorme composizione floreale adagiata su un tavolino. Per chiunque non avesse avuto una passione per il giardinaggio, la composizione avrebbe rappresentato una semplice nota di colore che abbelliva la stanza. Tuttavia, per Candy, il bouquet di fiori posto nel vaso blu cobalto davanti a lei costituiva una vera meraviglia.
Il vaso traboccava di iris blu e narcisi bianchi e gialli, tutti fiori tipicamente primaverili. L’unica spiegazione possibile per un tale miracolo a metà novembre era che la composizione fosse stata acquistata presso un negozio molto elegante. Forse si trattava di un fioraio con una fornitura permanente da una delle serre che coltivavano varietà ibride. Candy fu talmente sorpresa dall’avere un anticipo di Pasqua nella propria stanza, che le ci volle un po’ per realizzare chi le avesse mandato un tale regalo.
Tuttavia, dopo un attimo di contemplazione, il suo sguardo cadde su un busta appoggiata sul tavolino, accanto al vaso. Poteva solo leggere un nome, scritto nero su bianco. Incapace di dare un senso al turbamento dei suoi pensieri, continuò a fissare il proprio nome vergato in una grafia a lei estremamente familiare.
Passarono diversi minuti prima che la giovane trovasse il coraggio di aprire la busta.




Pittsburgh, 13 novembre 1924

Ti piace Pittsburgh, Signorina Andrew?

Sono arrivato anch’io questa mattina. Avrei voluto darti il benvenuto alla stazione, ma il mio treno è arrivato solo mezzora dopo il tuo. Domani e dopodomani reciteremo al Gayety Theathre. Sei sorpresa?

Beh, credo di doverti una spiegazione. Devo confessarti che avevo organizzato tutto per far sì che la mia visita coincidesse con la tua. Robert, che mi vizia sempre, mi ha lasciato scegliere le date per il nostro impegno a Pittsburgh. Il resto è stato solo una questione di semplice aritmetica.
Ti starai domandando come facessi ad avere informazioni così accurate sul tuo itinerario. Indovina? Miss Pony è stata mia complice in questa bravata. Dato che ormai è fatta, suppongo che dovrai perdonarci prima o poi.

Malgrado i miei programmi, non intendo importi la mia presenza se non hai tempo da dedicarmi. So che hai una serie di impegni durante il tuo soggiorno in città e non oserei interferire. Tuttavia, pensi di poter trovare un posticino per un vecchio amico nella tua fitta agenda? Ti andrebbe di venire a teatro domani sera? Magari a cena subito dopo?

Ti allego un biglietto per lo spettacolo e, se ne avrai voglia, manderò il mio assistente, Martin Hayward, a prenderti. Avrei voluto accompagnarti personalmente, ma devo essere in teatro un paio d’ore prima che si alzi il sipario.
Se pensi di non poter venire, ti pregherei di chiamarmi per informarmi. Alloggio qui al Renaissance nella stanza 238. Se non dovessi ricevere una tua chiamata, manderò Hayward a prenderti domani sera alle otto.
È il perfetto prototipo dell’inglese, per cui non farlo attendere.

Cordialmente tuo,

Terence


Candy lesse la lettera cinque o sei volte prima di riuscire a elaborarne il significato. Si portò una mano al petto per sentire il suo cuore che batteva all’impazzata. Quando finalmente riuscì a riprendere il controllo dei propri movimenti, la giovane si stese sul letto, stringendo ancora la lettera tra le mani. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto pensare o fare.
"Lui è qui! Oh mio Dio! Oh mio Dio!" continuava a ripetersi, "Deve essere un sogno...Oh mio Dio!"
"Non riesco a credere che sia in questo stesso albergo. La sua stanza deve essere al secondo piano!", rifletté mettendosi a sedere sul bordo del letto, "Potrei chiamarlo anche adesso. . . se solo trovassi il coraggio di farlo", Candy pensò che erano passati dieci anni dall’ultima volta che aveva sentito la sua voce. Lacrime involontarie iniziarono a scenderle lungo il viso.
"E mi chiedi anche se avrei voglia di vederti domani sera, Terence? Sei talmente cieco da credere realmente che potrei mai rifiutarti?", sorrise dietro le lacrime, "Se solo sapessi cosa significhi per me, uomo insopportabile!"
La giovane si alzò in piedi, ancora stordita dall’emozione. Si avvicinò al tavolino da toilette, riflettendo su quello che avrebbe dovuto fare. Guardò la propria immagine riflessa nello specchio e all’improvviso si rese conto che il giorno dopo avrebbe assistito al suo spettacolo. Le tornò alla mente il ricordo delle tre occasioni in cui l’aveva visto recitare. Erano state tutte e tre un totale disastro. Di fatto, da quando Terence aveva lasciato l’Inghilterra nel 1913, era sempre andata così fra loro; un totale disastro. Era come se il destino si opponesse con tutte le sue forze a un loro incontro.
"Ho paura che possa accadere di nuovo!" disse ad alta voce, "E se mi ammalassi? E se perdessi il mio biglietto? E se ci fosse un terremoto o qualcosa del genere. . ." la giovane si rese subito conto dell’assurdità dei suoi pensieri, "Calma, Candice! Non sei mai stata una codarda, giusto?"
Malgrado la sua determinazione, i pensieri negativi sovrapposti all’euforia delle sue emozioni la tennero sveglia fino a tardi.

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view post Posted on 28/4/2013, 16:37     +5   +1   -1

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Il giorno seguente trascorse come avvolto nella nebbia. Diversi anni dopo Candy avrebbe invano tentato di ricostruire cosa fosse accaduto quella mattina e il pomeriggio successivo. Rammentava vagamente di aver incontrato la Sig.ra Carnegie in banca e di aver firmato una serie di documenti. Della conversazione avuta con la donna, dei saluti che si erano scambiate e della sua promessa di far visita alla casa di Pony in primavera, Candy non ricordava nulla. Se la gentile signora non le avesse scritto qualche tempo dopo, rammentandole tutto ciò, la giovane non sarebbe mai stata in grado di risalire a cosa si fossero dette.

Dopo aver mangiato pochissimo – cosa abbastanza insolita per Candy – ed essersi a fatica ricordata il numero della sua camera, la giovane passò le prime ore del pomeriggio cercando di trovare il coraggio di rivedere Terence Graham Grandchester. Per una volta avrebbe desiderato avere la presenza di spirito e la calma di George Johnson. In tutta la sua vita non aveva mai conosciuto qualcuno tanto abile a mantenere il controllo delle proprie emozioni ed a celare qualsiasi sentimento o pensiero.

Per quanto avesse iniziato a sperare che la sua attuale amicizia con Terence potesse trasformarsi in qualcosa di più, non era certa che lui potesse ricambiare i suoi sentimenti. Se non fosse stato interessato a lei da quel punto di vista, avrebbe voluto quantomeno tenere i propri sentimenti per sé. Se non fosse stato in grado di ricambiarla, infatti, l’ultima cosa che desiderava era turbarlo inutilmente. Sfortunatamente, Candy temeva che a Terence sarebbe bastato guardarla negli occhi per capire cosa provasse per lui.

"Riprenditi, Candy!" si rimproverò dopo ore di inutili considerazioni, "Se non cominci a prepararti adesso, non ce la farai mai!"

Fu in quel momento, però, che si scontrò con la realtà. Ricordò di aver scelto l’abito per la cena del Ringraziamento organizzata da Annie con il preciso intento di scioccare la Zia Elroy. Indossare uno scandaloso abito all’ultimo grido in occasione di una riunione di famiglia era un conto, ma farlo in un luogo pubblico, e per di più davanti a Terence, era decisamente un altro paio di maniche! Istintivamente si voltò a guardare l’orologio appeso alla parete.
Erano le sette, ormai era troppo tardi per uscire a comprare un altro abito.

Dopo aver riflettuto su eventuali alternative, Candy dovette arrendersi al fatto che nel suo bagaglio non vi fosse null’altro di appropriato per una serata a teatro.

"Bene, Candy, che ti serva di lezione! Ora il tuo scherzetto ti si ritorcerà contro, sciocca!" si rimproverò ancora una volta, mentre camminava nervosamente su e giù per la stanza. Dopo un altro sguardo all’inesorabile orologio si rese conto di avere ancora poco tempo a disposizione, "Intendi congelarti e passare la serata dentro un armadio?' disse, cercando di farsi coraggio, "Se stasera devi proprio essere sulla bocca di tutta Pittsburgh, fallo almeno con dignità" e con quella nuova risolutezza, la giovane drizzò le spalle e iniziò a prepararsi.

Non essendo il tipo da passare troppo tempo ad agghindarsi, Candy si cambiò velocemente la biancheria indossando un leggero pagliaccetto che fosse sufficientemente corto per lo scandaloso vestito. Non amava le guepière, per cui si arrotolò le calze di seta color miele fino alle ginocchia, in modo da avere maggiore libertà di movimento. L’acconciatura non le avrebbe portato via troppo tempo, bastava rinfrescare i suoi naturali riccioli con un po’ di olio di mandorle e acqua per avere un perfetto caschetto ondulato. Rifletté se indossare il cerchietto con gli strass che Annie aveva scelto per lei, ma poi preferì rinunciarvi, ritenendolo eccessivo per i suoi gusti. Quindi, come unico gioiello, scelse un paio di orecchini d’argento Art Deco con pendenti quadrati in granati neri. Guardandosi allo specchio, osservò come le sfumature delle marcassiti che decoravano gli orecchini rilucessero ad ogni movimento del capo. Le piaceva molto l’effetto che facevano. Anche il trucco fu questione di poco. Un po’ di cipria, rossetto rosa e un leggero eyeliner erano più che sufficienti per lei.

Una volta vestita, un paio di scarpe con cinturino a T color peltro e una pochette quadrata dello stesso colore completarono l’insieme. Era intenta a prendere lo scialle argento ornato di pelliccia dall’armadio quando udì un deciso colpo alla porta. Guardò nuovamente l’orologio. Erano le otto in punto.
Quando aprì, si trovò di fronte un uomo snello con bombetta e occhiali che la salutò con un inchino. Lei gli tese la mano per presentarsi.

"Lei deve essere il Sig. Hayward. Io sono Candice White Andrew".

"Enchanté, madame", rispose l’uomo stringendole brevemente la mano, "Il Sig. Graham Le esprime i suoi ringraziamenti per aver accettato di assistere allo spettacolo. Vedo che è pronta".

"Proprio così, Sig. Hayward. Vogliamo andare?" gli chiese, inclinando la testa.
L’uomo fece cenno a Candy affinché facesse strada e lei accettò il suo invito.

Fuori, la serata era fredda e la giovane pensò che la passeggiata fino in teatro non sarebbe stata piacevole. Con sua grande sorpresa, però, un’auto li attendeva davanti all’ingresso dell’hotel. Candy pensò che fosse alquanto strano prendere l’auto quando il teatro era proprio nella strada accanto, ma considerata la temperatura, accettò di buon grado tale bizzarria.

Prima che potesse rendersene conto, erano già al Gayety. Mentre scendeva dall’auto, Candy si soffermò ad osservare la pensilina dove campeggiava il nome di Terence. Quella sera avrebbe recitato nella parte di Macbeth.

"Hai un ruolo da protagonista così impegnativo stavolta", pensò, "Ho sempre saputo che eri destinato a grandi cose!"

Rincuorata da questo pensiero, Candy fece il suo ingresso in teatro. Quando Hayward l’aveva aiutata a togliersi lo scialle, aveva dovuto far ricorso a tutto il proprio autocontrollo per mantenere una certa nonchalance. Più di uno sguardo fu catturato dal suo abbigliamento audace. Per fortuna, il Sig. Hayward sembrò calmo e indifferente come sempre. Pertanto, quando glielo offrì, fu lieta di accettare il suo braccio.

Mentre attraversavano il foyer e si incamminavano su per le scale ricoperte da un elegante tappeto, Candy si rese conto che le nappine poste alla fine degli elementi di strass che le decoravano il vestito si muovevano a ogni suo passo.

"Se avessi voluto farmi notare non avrei potuto scegliere di meglio", sorrise tra sé e sé.

Ignaro dei pensieri di Candy, Hayward condusse la giovane donna attraverso i corridoi del teatro. Quando l’uomo finalmente si fermò, aprì una porta e fece cenno a Candy di entrare.

"Il Suo palco, madame", le disse.

Guardando il numero di posti che costituivano il palco, Candy provò un attimo di confusione.

"Il Sig. Graham attende altri ospiti questa sera, Sig. Hayward?"

"No, madame. Il Sig. Graham ha ritenuto che da qui avrebbe avuto la miglior vista sul palcoscenico. Quindi, ha riservato l’intero palco per Lei. Ora, se vuole scusarmi, farò ritorno al termine dello spettacolo".

"Non vuole fermarsi e assistere allo spettacolo insieme a me, Sig. Hayward?"

"La ringrazio molto per la Sua premura, Signorina Andrew" rispose l’uomo, lusingato, "ma ho delle faccende da sbrigare", e con quest’ultimo commento, chiuse la porta e lasciò Candy ai suoi pensieri.

Una volta sola, Candy si accomodò in una poltrona della prima fila e si guardò intorno. Effettivamente da lì avrebbe avuto la vista migliore sugli attori. Era così vicina al palcoscenico che aveva l’impressione di poter toccare il sipario di velluto. Poi, il pensiero che anche Terence avrebbe potuto vederla la assalì.

Tuttavia, si rese subito conto che era alquanto improbabile, dato che lui avrebbe avuto i riflettori puntati contro per la maggior parte del tempo, mentre il resto del teatro sarebbe rimasto in ombra.

"Quindi, io potrò vederti, ma tu non potrai vedere me, Terence. . . non ancora", pensò sorridendo fra sé e sé, "Credo sia meglio così. Avrò il tempo di abituarmi alla tua presenza e tranquillizzarmi".

In quel momento le luci del teatro iniziarono ad abbassarsi, lasciando la platea in ombra. Il sipario si aprì e il cuore di Candy si fermò per un attimo che sembrò eterno. Nella foschia del palcoscenico buio, una luce improvvisa illuminò la scena, offrendo al pubblico la vista di tre donne. Il pallore dei loro visi era accentuato dalle vesti scure che le ammantavano. Il rombo di un tuono annunciò l’inizio dello spettacolo.

"Quando ci incontreremo di nuovo noi tre? Nel tuono, nei lampi o nella pioggia?" disse la prima strega.

Candy ascoltò avidamente l’impenetrabile dialogo che ricordava dai tempi della scuola. Seguirono poi i primi scambi di battute tra Duncan, i suoi figli ed i messaggeri dal campo di battaglia che annunciavano la vittoria di Macbeth.

Ben presto, in seguito ad un altro cambio di luci e ad un rombo di tuono, la scena si trasferì nuovamente nella brughiera dove si erano riunite le tre fatali sorelle. Infine, quando Candy aveva ormai il cuore in gola, Macbeth in persona entrò in scena e pronunciò la prima battuta.

"Un giorno così brutto e bello, ad un tempo, non l’ho mai visto".

La sua voce era possente come la ricordava, solo più profonda e forse più ricca di sfumature. La sua figura era persino più imponente che nei suoi ricordi. Con il procedere dello spettacolo, le luci si concentrarono su di lui e Candy si rese conto che era il più alto tra gli attori della compagnia.
Candy sentì un brivido correrle lungo la schiena. Guardare il suo viso in foto sul giornale non era paragonabile alla sensazione di estremo piacere che provava in quel momento, rivedendolo per la prima volta dopo tanti anni. Era un misto di scoperte e di ricordi. Vi erano alcune cose che era felice di poter rivedere, come la piccola fossetta sul suo mento, il modo in cui inarcava il sopracciglio sinistro e quella particolare piega delle labbra, con la quale esprimeva così tanti stati d’animo diversi. Allo stesso tempo, c’erano molti nuovi dettagli che non aveva mai visto prima. Era più alto e più robusto, pur mantenendo una corporatura proporzionata e atletica. Aveva tagliato i capelli, ma questo lo sapeva già dai giornali. Tuttavia, mentre le luci lo illuminavano, si accorse che erano più scuri, con ciocche dalle sfumature color castano brunito e cioccolato. Era leggermente più abbronzato rispetto a prima, forse perché passava più tempo all’aria aperta, dato che aveva ripreso ad andare a cavallo. Probabilmente, però, il cambiamento più evidente riguardava la sua presenza scenica. Si muoveva con maggiore sicurezza ed il suo corpo, così come la sua voce, offrivano un più vasto repertorio espressivo. Con un semplice gesto riusciva a dar vita a innumerevoli emozioni e pensieri del suo personaggio. Uno sguardo, un cenno di una mano, un movimento della testa o un semplice passo erano sufficienti per esprimere mille cose diverse.

Per Terence quell’opera era un’occasione perfetta di mostrare tutto il suo talento. Davanti agli occhi di Candy, Macbeth si era trasformato più volte. Da grande eroe si era ben presto tramutato in ambizioso ma ambiguo cospiratore. Poi era divenuto l’amante, il marito raggirato, lo spietato assassino e infine l’anima tormentata e divorata dall’angosciante colpa. La sua malvagità e la sua crescente corruzione erano così palpabili che per un attimo Candy ne fu spaventata. Infine, la sua forza nella battaglia finale mentre soccombeva al suo destino lo aveva nuovamente trasformato in tragico eroe. Candy si domandò in che modo Terence fosse riuscito a esprimere così tante emozioni diverse in appena due ore e mezza.

Un attimo dopo, il re Malcolm pronunciò l’ultima battuta ed il pubblico si alzò in piedi in adorazione. Candy guardò la folla con stupore. Quel teatro che rimbombava di ammirazione era così diverso dalla plebaglia beffarda di Rockstown. Nel giro di qualche anno, Terence era passato dallo sconforto e dal fallimento totale all’autocontrollo ed al successo assoluto. Il cuore della giovane si gonfiò di orgoglio.

"Hai sconfitto i tuoi demoni, amore mio!" pensò, "Hai vinto le tue battaglie da solo, Terence. Quest’applauso e la prova legittima che sei decisamente un uomo migliore. Sono così fiera di te!"

In quel momento le luci si riaccesero, il sipario si alzò ancora una volta e la compagnia riapparve sul palco. Tutti gli attori fecero un inchino per poi ricevere l’applauso uno ad uno. Infine, fecero un passo indietro lasciando

Terence Graham da solo a godersi l’applauso del pubblico. Fu proprio allora, mentre faceva il suo inchino e sollevava la testa con un repentino movimento, che i suoi profondi occhi blu incontrarono quelli dell’unica occupante del primo palco. Fu tutto troppo veloce perché gli altri potessero accorgersene, ma per un brevissimo attimo, quando il suo sguardo si posò su di lei, Terence sorrise.

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Il sipario calò per l’ultima volta. Gli attori si rilassarono, tornando ad essere sé stessi e avviandosi lentamente verso i camerini. Vedere l’attore che interpretava la parte del protagonista schizzare letteralmente via dal palcoscenico non era una novità per gli attori della compagnia. Terence faceva sempre così alla fine di ogni spettacolo. Correva in direzione del suo camerino prima che gli altri potessero fiatare. Quella sera non fece eccezione.

Malgrado questa tipica reazione, però, Terence sapeva bene di non essere il solito sé stesso quella sera. Di fatto, non aveva mai vissuto un momento simile in tutta la sua vita. Era bastato quell’unico sguardo sul palcoscenico per far sì che tutto il frastuono intorno a lui svanisse, rendendolo momentaneamente sordo. La terra aveva smesso di girare, perché lei era lì che lo fissava e nei suoi occhi c’era qualcosa che sembrava profonda ammirazione. Era tutta per lui? Aveva avuto un tuffo al cuore ed i suoi violenti battiti erano l’unica cosa che era riuscito a sentire, mentre tutto intorno regnava improvvisamente il silenzio.

Tutta la giornata, anzi, in realtà tutta la tournée, sin dal suo inizio, era stata un continuo crescendo di dubbi ed emozioni. Aveva programmato questo incontro con tante speranze, ma anche con la paura che qualcosa potesse andare storto. Dal giorno prima, ovvero da quando Hayward aveva consegnato i fiori e la lettera nella camera di lei, Terence aveva praticamente smesso di respirare. Quando non aveva ricevuto una sua chiamata, aveva avuto la conferma che lei avrebbe assistito allo spettacolo. Eppure, era stato comunque tentato di andare nella sua stanza e parlarle, finalmente, sebbene la sua iniziale decisione di aspettare avesse poi finito per prevalere. Per quanto desiderasse rivederla, non voleva rendere l’incontro banale, limitandosi a bussare alla sua porta. La sua natura melodrammatica necessitava di qualcosa di speciale; non avrebbe avuto senso aspettare dieci anni per poi presentarsi al suo cospetto un giorno come un altro dicendole un semplice ciao. Pertanto, aveva passato una notte insonne in trepidante attesa.

A peggiorare le cose, quella mattina le prove erano state un vero disastro. Quando fu il momento, dovette concentrarsi tre volte più del solito per prepararsi allo spettacolo. Tuttavia, quando Hayward lo aveva informato che
Candy si era già accomodata nel suo palco, aveva provato un immediato, quanto strano senso di pace. Non aveva mai percepito nulla di simile in passato. Ricordava ancora la sera della prima di Romeo e Giulietta e non poté evitare di fare un confronto. Anche quella volta Candy era lì, ma l’ombra dell’incidente di Susanna e le pressioni a cui era stato sottoposto non gli avevano consentito di godere della sua presenza. Questa volta era stato completamente diverso.

Una volta in scena, si era sentito pervadere da un’energia talmente forte quanto sconosciuta. L’identificazione con il suo personaggio, sebbene Macbeth fosse così diverso da lui, era stata totale e, soprattutto, si era goduto immensamente lo spettacolo. Eppure, malgrado tutte queste note positive, nulla era paragonabile al breve sguardo lanciato in direzione della sua snella figura mentre lei lo applaudiva con orgoglio dal primo palco. Non poté evitare di ricordare la visione del suo viso a Rockstown. La sua profonda tristezza e le sue lacrime erano scolpite per sempre nella sua memoria. Ma stasera lei non era una visione. La donna del suo cuore – ormai adulta – era lì, che sfoderava il più raggiante dei sorrisi solo per lui.

Mentre era assorto in queste insolite quanto felici considerazioni, fu interrotto da un lieve bussare alla sua porta.

"Terence, posso entrare?" disse Robert Hathaway.

"Sì, entra pure Robert", rispose e dopo un secondo la figura imponente di Hathaway, ancora nei panni di Re Duncan, fece il suo ingresso nel camerino.

"Vieni a cena con noi?" chiese l’uomo casualmente.

"Non stasera, Robert", rispose Terence, mentre iniziava a togliersi il trucco di scena, "Ho già preso un impegno".

"Davvero?" disse Hathaway incredulo, ma sapendo per esperienza che porre una domanda al suo pupillo non sarebbe servito a nulla, si astenne dall’indagare oltre, "Bene, ti auguro una buona serata, allora".

Dopodiché, chiuse la porta lasciandolo solo.


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Mentre Terence finiva frettolosamente di cambiarsi, Hayward era già tornato al fianco di Candy. Quando l'uomo andò a prenderla, le emozioni che lo spettacolo aveva suscitato nella giovane erano ancora vive.

"Avrò la possibilità di vedere il Sig. Graham?" gli aveva subito domandato.

"Certamente, madame. Di fatto, il Sig. Graham sarebbe onorato se Lei accettasse il suo invito a cena. Ma prima di tutto, dovrà liberarsi delle ammiratrici e dei reporter che lo attendono fuori dal teatro".

A Candy tornò in mente quella sera in cui Terence aveva recitato a Chicago nella parte del Re di Francia. Il ricordo della folla travolgente che cercava di attirare l’attenzione del giovane attore, mentre lei tentava invano di avvicinarlo, era ancora vivo. Non aveva alcuna voglia di ripetere quell’esperienza.

"E come pensa di farlo?" chiese la donna con curiosità.

"Ecco, madame, abbiamo i nostri metodi. Innanzitutto, La accompagnerò in macchina e poi, prima che la folla lo reclami, andremo in soccorso del Sig. Graham".

E come anticipatole, Hayward condusse la giovane fuori dal teatro fino alla macchina. Ebbe la premura di tirar giù le tendine del sedile posteriore, cosa che indusse Candy a domandarsi se l'uomo si aspettasse un impertinente raggio di sole a quell’ora della sera. Si accomodò al posto di guida e fece un paio di volte il giro dell’isolato, per poi fermarsi in una via secondaria dietro il teatro.

"Madame, La pregherei di non tirar su le tendine, indipendentemente da quello che sentirà là fuori", la istruì e ben presto Candy comprese il perché di tale richiesta. Qualche secondo dopo, infatti, il trambusto della folla ed i flash delle fotocamere circondarono l’auto.

Si fermarono presso la porta di servizio del teatro, dove il rumore della folla era più forte. Eppure, il frastuono nella mente di Candy era ben più assordante. In un secondo, fu assalita da mille emozioni diverse. Le girava la testa e non sapeva più se facesse caldo o freddo, perché stava tremando e si sentiva la febbre.

Poi, nella confusione delle voci e dei flash, la portiera posteriore improvvisamente si aprì e subito dopo si richiuse. Quando l’auto riprese la sua marcia, con la mente ancora annebbiata dall’emozione, Candy percepì la presenza di lui accanto a lei. Per un po' nessuno dei due ebbe il coraggio di parlare, un silenzio indescrivibile era sceso nell'abitacolo.

Tutto a un tratto, non furono più in grado di dire se fosse ancora notte o se fosse già inspiegabilmente sorto un nuovo giorno. Fu come se quei dieci anni, così lenti e dolorosi, non fossero mai passati e tuttavia lo scorrere del tempo era innegabile, perché ci volle un po’ ad entrambi per abituarsi all'aspetto più maturo l'uno dell'altra.


Interiormente, Terence si burlò di sé stesso, perché tutte le sue abilità di attore l’avevano momentaneamente abbandonato. Malgrado tentasse di parlare, non riusciva a proferire parola. Anche nell’oscurità, i suoi occhi si erano persi nella scintillante luce che splendeva in quelli verdi di lei.

"Come stai?" Candy fu la prima a rompere il silenzio, sebbene facesse fatica a riconoscere la propria voce. Un timido quanto inconsapevole sorriso le illuminò il volto.

"Veramente felice di rivederti, tuttelentiggini", riuscì a risponderle lui con voce roca.

Candy sollevò gli occhi al cielo sorridendo ancora di più.

"Mi chiamerai mai con il mio vero nome?" gli chiese.

"Quello è il mio nomignolo per te. Preferiresti che ti chiamassi semplicemente Candice, come farebbe chiunque altro?"

"Forse no", rise lei e improvvisamente l’atmosfera si rilassò.

"Allora, signorina tuttelentiggini, dimmi, ti è piaciuto lo spettacolo?"

"Mi dispiace ma non ci casco" scherzò lei, incrociando le braccia al petto "l’ultima cosa di cui un Pallone Gonfiato come te ha bisogno è di ricevere dei complimenti che è erroneamente convinto di meritare".

"Ma così ferisci i miei sentimenti!" rispose lui, lanciandole un’occhiata di traverso. Era già pronto a iniziare il gioco che entrambi conoscevano così bene, "Contrariamente a quanto tu possa pensare, anche una stella ha bisogno di qualche riconoscimento dopo un’esibizione così intensa. Forse dovrei tornare in teatro e far compagnia a quelle persone che sono così ansiose di tessere le mie lodi, dato che sembri così risoluta nel non volermi neppure dire se ti sei divertita".

"E ti basterebbe sentirmi dire questo?" chiese lei scettica, sollevando un sopracciglio.

"Forse no. . . magari subito dopo ti chiederei chi è stato il migliore stasera".

"Probabilmente risponderei che Lady Macbeth è stata fantastica, specialmente nella scena in cui, sonnambula e in delirio, cercava di lavarsi le mani macchiate di sangue".

"Senza dubbio la Sig.ra Sanders ha interpretato una buona Lady Macbeth, ma io stavo pensando anche ad altri attori che hanno svolto un ottimo lavoro".

"Il Sig. Hathaway, per esempio", suggerì lei appoggiandosi l’indice sul mento, come per riflettere ulteriormente.

"Oh, beh, Robert è un attore d’esperienza con un talento sorprendente, ma vedi, il ruolo che ha ricoperto nello spettacolo di questa sera non era poi così importante".

"Ma questo non significa nulla! La sua recitazione è stata comunque eccellente. . . devo dire che mi ha colpita anche il fantasma di Banquo", aggiunse, divertendosi davanti alla crescente impazienza di lui.

"Forse stai dimenticando un grande attore che guarda caso recitava nella parte del protagonista questa sera", suggerì casualmente lui, appoggiando il gomito sinistro sullo schienale del sedile posteriore con il pugno chiuso a sorreggersi la tempia.

"Non sono certa di chi tu stia parlando" disse lei facendo finta di non capire, pentendosi subito dopo di averlo punzecchiato, dato che lui, per tutta risposta, le si avvicinò pericolosamente e, prima che lei potesse reagire, le prese la mano.

"Andiamo, Candy, non vuoi proprio dirmi che ti sono piaciuto io questa sera?" le sussurrò, con il suo respiro che le accarezzava l’orecchio.

"Non te ne sei accorto lì sul palcoscenico, quando i nostri sguardi si sono incrociati, Terry?" gli confessò abbassando lo sguardo, incapace di continuare oltre quel gioco.

Lui non rispose, ma il sorriso sulle sue labbra lo fece per lui. Il suono del suo nomignolo sulle labbra di lei gli risuonava ancora nelle orecchie, accarezzandogli l’anima. Solo sua madre lo chiamava così ormai. Per un attimo rimase immobile, godendo del calore della mano di lei nella sua. Non riusciva a credere che dopo così tanto tempo, potesse toccarla di nuovo! La sua mano era minuta e morbida come la ricordava.

"Siamo arrivati, Sig. Graham" annunciò Hayward dal posto di guida. Candy non seppe se avrebbe dovuto odiare quell’uomo per aver interrotto il momento o piuttosto ringraziarlo per averla salvata, impedendole di svelare i suoi sentimenti quando l’appuntamento era appena agli inizi.

"Ma questo è davvero un appuntamento?” si domandò improvvisamente. Dopo una breve considerazione, dovette ammettere che sembrava proprio esserlo. Mentre Terence l’aiutava a scendere dall’auto, la presa della mano di lui sulla sua le fece realizzare quanto si sentisse accaldata, malgrado il freddo della notte. Sicuramente non dovevano esserci più di 3 o 4 gradi, ma lei non ci fece caso.

"Hai freddo?" le chiese lui prendendole la mano e appoggiandola nell’incavo del suo braccio destro, "Stai tremando".

"Davvero?"

"Vieni, entriamo".

Hayward aprì ossequiosamente la porta principale di un edificio che dall’esterno assomigliava ad una di quelle vecchie case in pietra impreziosite da boiserie. Una volta dentro, Candy si rese conto che si trattava di un ristorante piuttosto frequentato, con un gruppo jazz che suonava musica di sottofondo. L’ambiente era in semi-oscurità, illuminato soltanto dalle candele poste sui tavoli e da alcuni lumi distribuiti strategicamente sulle pareti.

Sembravano tutti talmente presi dalla musica e dalla conversazione che solo uno dei dipendenti si accorse del loro ingresso, aiutandoli con i soprabiti. Il cameriere salutò Hayward come se lo conoscesse e fece un rispettoso inchino a Terence ed alla dama in sua compagnia. Prima che gli occhi di Candy potessero abituarsi all’oscurità del luogo, il cameriere li condusse in una sala privata dove grandi finestre regalavano una maestosa vista della città.

"Ha bisogno di altro per oggi, signore?" Candy sentì Hayward rivolgersi a Terence, che si intrattenne per un attimo alla porta a parlare con il suo segretario.

Candy cercò di ricomporsi ammirando il profilo del Triangolo d’Oro(1) visibile attraverso la finestra panoramica. Sembrava che il ristorante si trovasse su uno dei colli di Pittsburgh, offrendo una vista stupenda dei fiumi e delle luci della città. Si era girata di spalle, ma poté comunque distinguere le parole di commiato di Hayward mentre Terence lo congedava. Poi, nel breve silenzio che seguì, percepì chiaramente lo sguardo di Terence su di sé. Così, si voltò, prendendolo alla sprovvista.

Fu sorpresa di cogliere nel suo sguardo una strana luce che non aveva mai visto prima. Era talmente intensa che si sentì vacillare.

"La vista da qui è incredibile", mormorò cercando di allentare la tensione,

"Dove. . . dove siamo?"

"Nel West End", rispose lui con voce leggermente arrochita. Dopodiché, si avvicinò lentamente alla finestra per raggiungerla, "Questa zona si chiama Mount Washington, è il punto più alto di Pittsburgh. La vista da qui è senz’altro molto bella, ma se avessimo potuto prendere una delle funicolari, ne avresti vista una decisamente superiore. Non ho mai ammirato un panorama più mozzafiato di quello".

"Vedo che sei già stato qui", concluse lei.

"Altroché, tuttelentiggini. A Pittsburgh adorano Shakespeare. A volte veniamo qui più di una volta l’anno", rispose lui. Dentro di sé, si sentiva sollevato dal fatto che l’argomento l’avesse aiutato a recuperare la calma.

Mentre raccontava a Candy di come, durante uno dei suoi viaggi, aveva scoperto quel ristorante così isolato, interiormente Terence non poté fare a meno di rimproverarsi. Aveva commesso un errore imperdonabile. Fino a quel momento, era riuscito a sembrare imperturbabile grazie alle sue abilità recitative, ma era bastata mezzora accanto a lei per perdere tutto il suo autocontrollo. Sebbene la sua vicinanza all’interno dell’auto fosse stata una dolce tortura e il contatto con la sua mano lo avesse inebriato, era riuscito comunque a mantenere la calma finché lei non si era tolta lo scialle. Quando le luci della stanza le avevano illuminato le gambe, la vista inaspettata di due polpacci femminili così ben torniti gli aveva suscitato dei pensieri alquanto conturbanti.

"Accidenti! Non sei più un ragazzino, Graham", pensò, "smettila di comportarti come se lo fossi, altrimenti ti prenderai un altro schiaffo!"

Rimasero ancora un po’ ad osservare il panorama, tenendosi a distanza di sicurezza l’uno dall’altra, finché non entrò il cameriere con un vassoio.
Improvvisamente, Candy si rese conto che le era tornato l’appetito; pertanto, fu lieta dell’arrivo del servizio, che accolse con grande alacrità.

"Avevo quasi dimenticato di aver mangiato pochissimo oggi", esclamò, guardando con l’acquolina in bocca le pietanze che il cameriere era in procinto di servire.

"Non riesco a credere che una golosona come te possa dimenticarsi di mangiare", le disse Terence mentre l’aiutava ad accomodarsi.

"Sei un vero maleducato! Il signore qui presente penserà che sia una troglodita!" si lamentò, mettendo il broncio. Il cameriere, chiamato in causa, si limitò a sorridere al suo commento.

"Non ti preoccupare, Harry sa mantenere un segreto", disse Terence ridacchiando.

"Smettila! . . .In ogni caso, non intendo lasciare che i tuoi fastidiosi commenti mi rovinino la cena. Sembra tutto delizioso. Che cos’è?" chiese rivolgendosi al cameriere.

"Agnello gallese con verdure al vapore e patate al forno, signora", spiegò il cameriere. "Vede, il padre del proprietario è originario del Galles. Questo piatto è una specialità della casa. Cosa posso servirLe da bere? Magari del vino rosso?"

Candy guardò il cameriere con aria incredula, facendo scoppiare Terence in una sonora risata.

"Santo cielo, Candy! Dovresti vedere la tua faccia. Sembri una della Woman's Temperance Union (2)", le disse, prendendola in giro.

"Ma il Proibizionismo(3) . . ." disse, a corto di parole.

"C’è sempre un modo per aggirare qualsiasi proibizione, tuttelentiggini", le disse, facendole l’occhiolino con naturalezza, "ma a giudicare dalla tua faccia, penso sarebbe meglio se bevessi un ginger. Ti prego, Harry, portacene due bicchieri".

Il divertente episodio, seguito dal rossore di Candy, mise Terence così di buonumore che ben presto la conversazione durante la cena divenne vivace e piacevole. Prima che potessero rendersene conto, avevano entrambi perso la cognizione del tempo.

Una volta a proprio agio, Candy ricominciò a chiacchierare animatamente, descrivendo a Terence nel dettaglio il successo ottenuto con i finanziatori a cui aveva fatto visita fino a quel momento e parlandogli del fondo per l’istruzione dei bambini della casa di Pony che pensava di costituire con l’aiuto della Sig.ra Carnegie. Tuttavia, essendo abituata a non dilungarsi mai troppo nel parlare dei propri interessi, gli chiese candidamente della sua tournée e delle città che aveva visitato. Lui rispose ad ogni domanda, incoraggiato dalla sincerità ispiratagli da lei. Un uomo riservato per natura come lui avrebbe trovato imbarazzante essere interrogato in quel modo, se non fosse stata lei a porgli le domande. Come sempre, essere accanto a lei gli scaldava il cuore e gli veniva naturale abbassare la guardia.

Per contro, lei cercava di fare del proprio meglio per memorizzare ogni movimento e ogni dettaglio che lo riguardasse. Dalla lucentezza dei suoi capelli, pettinati con la riga da una parte, al suo impeccabile smoking, fino all’incredibile blu delle profondità dei suoi occhi, Candy era impegnata a fare un dettagliato inventario del suo aspetto. Per di più, prese mentalmente nota degli ultimi aggiornamenti relativi alla sua tournée, perché sapeva che l’avrebbe seguito con il cuore una volta che si fossero salutati.

Prima di quella sera era stato a Boston, Montpellier e Buffalo. Avrebbe passato un altro giorno a Pittsburgh per poi fermarsi in altre otto città prima di raggiungere la Costa Occidentale.

"Non ti senti mai stanco, Terence?" gli chiese, mordicchiandosi un labbro. Il giovane si domandò se fosse il suono del suo nome sulle sue labbra o lo splendore dei suoi corti riccioli a fargli accelerare il battito.

"Sono abituato a viaggiare, ma devo ammettere di arrivare sempre esausto alla fine di una tournée. Comunque, neanche tu conduci una vita tranquilla, mi sembra. Non credi che il lavoro alla clinica in paese e l’impegno alla casa di Pony siano un po’ troppo per una persona sola?"

"Oh, ora ti prendi gioco della mia vita semplice", ridacchiò lei da dietro al suo bicchiere di ginger, "ma adoro fare l’infermiera, è come un gioco per me!"

"Un gioco?! Allora sono felice di non essere mai stato uno dei tuoi giocattoli, ovvero un tuo paziente".

"Ridi pure, se vuoi, ma sono un’ottima infermiera e i miei pazienti sono contentissimi di me, così come lo è il Dott. Martin".

"Ma solo lavoro e niente svago. . ."

"Lo so, lo so", lo interruppe, lasciando per un attimo da parte il Bara Brith(4) che stavano gustando per dessert. "Stai iniziando a parlare come Annie".

"Non hai mai pensato che magari la moglie del Damerino potrebbe aver ragione? Diventerai una zitella inacidita prima che tu possa accorgertene", la stuzzicò di proposito lui, sapendo che i suoi commenti erano ingiustificati.

"Oh sciocchezze!" rispose lei ridendo; "Sono perfettamente in grado di gestire i miei impegni e di vedere il mio spasimante preferito ogni volta che ne ho voglia. Tra l’altro, non si è mai lamentato del mio lavoro", disse lei, addentando il dolce con gusto.

Stavolta fu il turno di Terence di restare senza parole davanti al suo thè.

"Ti stai prendendo gioco di me!" disse, quando riuscì a ritrovare la voce.

"Riguardo al mio spasimante?" gli chiese innocentemente lei, "Assolutamente no. È l’uomo più adorabile che conosca. Come potrei scherzare su di lui?"
Candy sorrise maliziosamente, notando che Terence era impallidito. Non sapeva cosa l’avesse spinta a dire una cosa così assurda, ma era valsa la pena solo per vedere la reazione di Terence, così simile ad un improvviso attacco di gelosia. Dio mio, come se la stava gustando!

"Vuoi vedere una sua foto?" continuò lei, aprendo la sua borsetta e estraendone un piccolo portafoto che teneva nel portafogli.

Gli occhi di Terence erano puntati su di lei, mentre apriva il portafoto sventolandoglielo in faccia. Con gli occhi sgranati, si trovò ad osservare la foto di un bambino, con enormi occhi scuri ed un radioso sorriso.

"Questo è Alistair, il mio spasimante preferito. Non è adorabile?" gli chiese con orgoglio, mentre Terence, essendosi reso conto della presa in giro, riprendeva un po’ di colore.

"D’accordo, signorina tuttelentiggini", pensò, "posso renderti pan per focaccia".
Non appena recuperata la padronanza di sé, Terence replicò ad alta voce,
"Così questo è il figlio del Damerino. Ha gli stessi occhi e lo stesso sorriso del suo omonimo".

"L’hai notato anche tu! Io l’ho sempre pensato, sin dal giorno che è nato. Ti ho detto che ho assistito al parto?" continuo lei, mentre gli mostrava altre foto di quando il bambino era più piccolo.

"Davvero?"

"Oh sì! Ero con Annie durante il travaglio e il Dott. Martin mi ha lasciato prendere il bambino quando è venuto alla luce. Mentre lo tenevo tra le braccia, ha aperto gli occhi e ho rivisto quelli di Stair che mi fissavano. Ero fuori di me dalla gioia. Non hai idea dell’emozione che si provi ad accogliere una nuova vita, specialmente quando il neonato somiglia così tanto a una persona che ami, Terence".

Il viso di Candy era raggiante mentre ripensava a quell’evento e Terence immaginò che sarebbe stata mille volte più bella e felice se il bambino fosse stato suo. Stava quasi per perdonarle lo scherzetto di poco prima solo perché trovava il suo sorriso irresistibile, ma era troppo orgoglioso per un tale gesto e decise che avrebbe atteso un’occasione per fargliela pagare. Del resto, la vendetta è un piatto che va servito freddo. Per il momento, voleva solo godersi il tempo trascorso insieme a lei. Di fatto, stava per parlare d’altro, quando decise di indirizzare la conversazione su un argomento che non aveva previsto.

"A proposito dell’Inventore", disse Terence, diventando improvvisamente serio nella voce e nell’atteggiamento, "So che sono passati molti anni dalla sua scomparsa, ma ci tengo a dirti che mi è molto dispiaciuto per lui. Era un tipo in gamba. Avrei voluto conoscerlo meglio".

"Lo apprezzo molto, Terence", lo ringraziò, abbassando lo sguardo e concentrandosi ancora una volta sulle foto del piccolo Alistair, "Sai, sono passati dieci anni da quando Stair se n’è andato, ma ancora non riesco ad abituarmi all’idea che non sia più tra noi. A volte ho l’impressione che un giorno o l’altro potrebbe bussare alla mia porta dicendomi "Candy, sono tornato!" Lo immagino alle prese con una di quelle sue disastrose invenzioni, mentre noi scoppiamo a ridere dopo averla vista esplodere o roba del genere, come gli amici felici e spensierati che eravamo una volta".

"A volte è difficile farsene una ragione", sussurrò Terence con una punta di malinconia, lo sguardo perso a fissare la tremolante fiamma della candela che abbelliva la tavola.

Candy percepì il suo cambio di umore. Le sue parole avevano un suono così profondamente triste che non poté evitare di pensare a Susanna.

"Sta pensando a lei. Come ho potuto essere talmente insensibile?" pensò, "oh caro Terence, devi soffrire ancora molto".

Improvvisamente Candy si rese conto che era giunto il momento di affrontare l’argomento che aveva a lungo rimandato.



"Terence", esordì usando il suo tono più dolce, "Ti prego di accettare le mie scuse per non averti mandato una lettera di condoglianze dopo la morte di Susanna. Sono rimasta scioccata e addolorata quando l’ho saputo. Non l’avrei mai immaginato. Era così giovane! . . . Purtroppo siamo lontani dalla città e i giornali arrivano sempre troppo tardi. Non avevamo la radio all’epoca, a differenza di adesso. Quando ho finalmente saputo la notizia, era già passato un mese dal suo funerale. Ora che ci ripenso, avrei potuto inviarti comunque un biglietto o una lettera, ma alla fine la mia indecisione ha avuto la meglio. Anche tempo dopo, quando mi hai inviato la tua prima lettera, non hai scritto una parola su di lei, così ho pensato che non fossi pronto a parlarne".

Terence sollevò lo sguardo verso Candy. La giovane aveva d’istinto allungato la mano sul tavolo per stringere la sua, un’espressione di sincero pentimento diffusa sul suo volto.

"Mi . . . mi dispiace davvero tanto di non averti offerto alcun conforto quando ne avevi più bisogno, Terence. So quant’è dura perdere una persona cara. Ma se ora la mia amicizia può esserti di aiuto, prometto che stavolta non ti abbandonerò", mormorò visibilmente commossa.

Terence ci mise un po’ a capire che Candy aveva avuto l’impressione che lui stesse ancora soffrendo per la morte di Susanna. Si vedeva che era sinceramente preoccupata per lui. Per un momento esitò, domandandosi come avrebbe potuto spiegarle una cosa così delicata, specialmente quando era così intimamente collegata al loro passato in comune. Non aveva previsto di affrontare l’argomento al loro primo incontro, ma ora, per un capriccio della sorte, erano giunti proprio a quel punto. Come poteva parlarne senza sembrare un ipocrita?

"Candy, apprezzo il tuo sostegno", esordì, mentre la sua mano rispondeva al tocco di quella di lei, intrecciando le dita con le sue, "Ammetto che la scomparsa di Susanna sia stata dolorosa, ma in tutta onestà, le cose non sono andate come pensi tu".

"Che vuoi dire?"

"Voglio dire," rispose esitante, sapendo che una confessione avrebbe inevitabilmente portato ad un’altra, "che nel corso degli anni ho imparato a nutrire un sincero rispetto per Susanna, apprezzando i suoi pregi e le sue virtù, sebbene conoscessi anche i suoi difetti, che non erano pochi. Non intendo parlar male dei defunti, ma ti basti sapere che avevo imparato ad accettarla per quello che era e a offrirle la mia più sincera stima. Ma ho smesso da tempo di soffrire per la sua scomparsa".

Candy spalancò gli occhi confusa.

"Non guardarmi in quel modo, Candy. Sei una donna talmente generosa che ti risulterebbe senz’altro difficile comprendere le complessità di certi caratteri. C’è gente a questo mondo che può essere al contempo egoista e gentile, coraggiosa e codarda, eroica e vile. Susanna era così…ed io non faccio eccezione…in un certo senso, eravamo molto simili nel nostro paradossale modo di essere e la nostra relazione era altrettanto contraddittoria. A tale proposito, devo ammettere una mia grave colpa. Temo che sarà una delusione per te".

Alla giovane si strinse il cuore e senza accorgersene allontanò la mano da quella di Terence. Il giovane abbassò lo sguardo, cercando di trovare il coraggio di continuare.

"So che ti avevo promesso che l’avrei fatta felice. Purtroppo, se per felicità intendevi che ricambiassi il suo amore, devo confessarti che non ho mai soddisfatto questo requisito".

Candy era senza parole. Neppure nei suoi peggiori incubi avrebbe potuto immaginare che lui non avesse corrisposto l’amore di Susanna malgrado gli anni passati insieme. Si sentiva ferita e disorientata da quella rivelazione.

Terence comprese che Candy aveva bisogno di un po’ di tempo per digerire la notizia, così rispettò il suo silenzio.

"Intendi dire che. . . che è stata tutta una recita? In tutti questi anni hai solo finto di amarla?" disse finalmente Candy, visibilmente scossa. Si alzò nervosamente dalla sedia, non riuscendo più a sostenere lo sguardo di Terence. Come se cercasse di fuggire dalla verità, si avvicinò alla finestra, lo sguardo perso a fissare un punto lontano nella notte.

"Non è come pensi, Candy", si difese lui, "Quando le ho offerto la mia protezione, ho messo subito in chiaro che ero legato a lei solo da gratitudine e senso dell’onore. Lei l’aveva capito perfettamente e mi aveva accettato per quello che ero".

"Ma si aspettava che un giorno l’avresti amata", insistette Candy senza voltarsi a guardarlo. Era consapevole di aver parlato con tono riprovatorio, ma non riusciva a nascondere la sua profonda delusione.

"Forse era così, ma non ne abbiamo mai parlato. Sapevo bene che l’amore avrebbe dovuto essere la ragione dell’impegno che avevo preso con lei, ma giuro di averci provato, senza riuscirci. Malgrado il mio fallimento, sono a posto con la mia coscienza perché le ho sempre dato la mia stima, l’ho sostenuta durante la riabilitazione, l’ho incoraggiata a intraprendere una nuova carriera, le ho offerto il mio appoggio come avrebbe fatto un marito, sebbene fossi solo il suo fidanzato. Ero accanto a lei quando si è ammalata e non l’ho mai abbandonata durante il doloroso progredire della sua malattia. Persino sua madre aveva perso ogni speranza di vederla guarire, ma sono stato io a insistere perché consultassimo ogni medico che potevo permettermi affinché si salvasse. E quando anche la scienza ha fallito, sono rimasto al suo capezzale finché non ha esalato l’ultimo respiro. In tutto quel tempo l’ho rispettata e onorata come dovevo. Chiunque ti confermerà che non le ho mai dato motivo di recriminare nulla. Ma non l’amavo, semplicemente perché non era destino. Su questo punto il mio cuore si è rifiutato di agire a comando".

Ora anche Terence si era alzato dalla sedia e percorreva la stanza a grandi passi mentre le parlava. Le sue parole avevano trafitto le orecchie di Candy come spade, colpendola al cuore e demolendo tutte le sue convinzioni. Mentre Terence le raccontava di come era rimasto al fianco di Susanna fino alla sua morte, la sua iniziale reazione cominciò lentamente a perdere intensità. Ad ogni parola, sentì crescere immensamente la sua ammirazione nei confronti di Terence. Era stato fedele e generoso e aveva sostenuto una persona che non amava. Non molti uomini possono vantarsi di aver fatto lo stesso con donne che sostengono di amare. Eppure, c’era ancora qualcosa che doveva sapere per riconciliarsi con la verità rivelatagli dalle sue parole.

"Pensi che fosse felice?" gli chiese finalmente, voltandosi a guardarlo negli occhi.

"Lo so per certo", le rispose semplicemente lui, "Me l’ha detto più volte e me l’ha ribadito prima di morire. Dubito che si possa mentire in un momento come quello".

"E come è stato per te dopo che se n’è andata?"

Terence si avvicinò a Candy, finché non fu di fronte a lei, abbastanza vicino da abbracciarla se avesse voluto.

"È stato triste vederla morire. Una vita perduta", rispose, mentre un’ombra gli attraversava lo sguardo. "Era giovane e il suo destino avrebbe potuto essere diverso se solo non si fosse ammalata. Eppure, mentirei se ti dicessi che ho sofferto per lei come hai sofferto tu per Anthony. . . Ti sembrerò insensibile, ma dopo due anni, non posso dire in tutta onestà che lei mi manchi, non nel modo in cui a te manca ancora Alistair. Sebbene la apprezzassi, non siamo mai stati vicini. Avevamo visioni della vita molto diverse e le nostre opinioni erano decisamente opposte. Come amici, eravamo una coppia alquanto mal assortita, perché a parte il teatro avevamo molto poco in comune".

Candy si sentì disorientata dallo schiacciante peso delle confessioni di Terence. Dopo le sue parole, mille domande le affollavano la mente.

"E lui è stato felice tutti questi anni, come aveva promesso? Si può essere felici senza amore? "


Ma le mancò la forza di porgli altre domande.

In quel momento, il cameriere bussò e rientrò per sparecchiare. Aveva lasciato la porta aperta per un secondo e la musica del ristorante seguì Harry, finché non giunse alle orecchie di Terence.

Il giovane si era reso conto che la conversazione aveva preso una piega troppo triste. Era mai possibile che ogni volta che vedesse Candy le cose fossero destinate a finir male? Doveva fare qualcosa per cambiare il corso della serata.

"Quando è stata l’ultima volta che sei stata a ballare, tuttelentiggini?" le chiese d’istinto.

"Come scusa?" gli chiese lei aggrottando la fronte, non capendo cosa intendesse, "hai detto ballare?"

"Quello che sto cercando di dire, in modo alquanto inarticolato, è che vorrei ballare con te. Ti va di accettare l’invito di un tuo vecchio compagno di scuola?" le chiese, facendo un breve inchino.

"Certamente, Terence", rispose lei con un timido sorriso, lasciando che l’ombra che era scesa su di loro si allontanasse lentamente.

Prima che potesse reagire, Terence le afferrò il polso e la guidò fuori dalla sala privata verso il salone principale. Era molto tardi e la maggior parte degli avventori se n’erano già andati. Pertanto, avevano la pista da ballo tutta per loro. Il gruppo jazz aveva concluso la serata e solo il bassista, il batterista, un pianista e una cantante restavano al lavoro.

Le note di un nuovo pezzo risuonarono nell’aria, mentre Terence prendeva Candy tra le braccia per ballare.

Provata dalle tante emozioni della serata, Candy si lasciò guidare. Si muovevano lentamente e il cuore di Candy iniziò a battere più forte ad ogni passo. Aveva timidamente poggiato la mano sul suo braccio, ma ad ogni piroetta i loro corpi si avvicinavano sempre più, finché non si rese conto di avergli cinto la nuca. Lui era chinato leggermente verso di lei e la sua guancia accarezzava la sua con delicatezza. Il suo profumo orientale, di cedro e spezie, le penetrò nelle narici.

La donna accanto al piano iniziò a cantare. Candy, che era un’assidua ascoltatrice della radio, riconobbe immediatamente la canzone. Aveva pianto più di una volta ascoltandone le parole, perché riviveva la sua storia ad ogni strofa. Per ironia della sorte, ora che ballava tra le braccia di Terence, quel motivo non le sembrava più così triste come prima, ma mille volte più bello.

Gone is the romance that was so divine.
'Tis broken and cannot be mended.
You must go your way,
And I must go mine.
But now that our love dreams have ended...
What'll I do
When you are far away And I am blue What'll I do?
What'll I do?
When I am wond'ring who Is kissing you What'll I do?
What'll I do with just a photograph To tell my troubles to?
When I'm alone With only dreams of you That won't come true What'll I do?

Terence non fece neppure caso alle parole della canzone; non riusciva a percepire altro che non fosse il calore di lei. Per anni aveva sognato di vivere un momento come quello, stringerla tra le braccia mentre si muovevano lentamente sulla pista da ballo. Il giovane era consapevole di aver oltrepassato i limiti della distanza ammessa tra due ballerini che non fossero sentimentalmente legati, ma non poté farne a meno. L’unica certezza era che quando la stringeva a sé, si sentiva vivo e più audace. Affondò la guancia tra i riccioli profumati di lei. I suoi occhi si persero ad osservare il suo collo e le sue braccia nude. Aveva sempre amato la sua carnagione lattea e l’illusione di nudità creata dal suo abbigliamento era un chiaro invito ad accarezzarla.

Eppure, per il momento, si limitò a farlo con lo sguardo. In quell’istante, mentre le stringeva la vita, si rese conto che il suo piano originale di corteggiare Candy con lentezza e prudenza non era più fattibile. Scrivere delle lettere a una vecchia fiamma di cui aveva conservato il ricordo per anni gli era bastato per qualche mese. Ma ora, dopo quella sera, dopo averla stretta tra le braccia, dopo che il suo desiderio di lei si era riacceso come non mai, capì che era tempo di accelerare le cose.


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Erano quasi le cinque quando fecero ritorno in albergo. Ritirarono le rispettive chiavi alla reception. L’impiegato dell’hotel, che sapeva benissimo chi fossero, lanciò loro uno sguardo d’intesa. Terence pensò che sarebbe stato opportuno mandare Hayward a corromperlo prima della loro partenza da Pittsburgh. L’ultima cosa che gli ci voleva adesso era un articolo scandalistico che coinvolgesse anche Candy. Per quanto volesse gridare a pieni polmoni l’amore che provava per la donna più incredibile del mondo, voleva fare le cose per bene, non intendeva rovinare tutto con un malizioso articolo che avrebbe solo finito per infangare il suo buon nome.

Terence accompagnò Candy nella sua camera, tenendosi a distanza di sicurezza, non osando toccarla di nuovo. Non si fidava del suo autocontrollo ora che erano a pochi metri dalla sua stanza. Quando giunsero davanti alla
porta, lei lo guardò negli occhi e sorrise timidamente.

"Grazie per la bella serata, Terence. Sono stata benissimo".

"Mi fa piacere", rispose lui, senza sapere cos’altro dire. Si domandò se mentre ballavano non avesse letto troppo nei suoi occhi. "Tu. . . tu parti domani?" riuscì infine a mormorare, ignaro dell’ora.

"È già domani, Terence", rise lei, mostrandogli le sue fossette, "ma la risposta è sì, il mio treno parte alle otto, quindi avrò giusto il tempo di fare una doccia e preparare le valigie. Credo che farò colazione in treno per accelerare le cose".

"Ti accompagno", le disse semplicemente.

"No ti prego, non disturbarti. Devi riposare per lo spettacolo di questa sera", disse lei declinando la sua offerta.

"Ho detto che ti accompagno", insistette lui con fermezza, con un senso di déjà vu che aleggiava nell’aria, "Vengo a prenderti tra un paio d’ore. Fatti trovare pronta".

E con queste parole, se ne andò, non concedendole alcuna possibilità di rifiutare.

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Cadeva una neve leggera quando, mezzora prima delle otto, giunsero alla stazione. Terence aveva fatto nuovamente ricorso a uno dei suoi espedienti per sfuggire a un paio di giornalisti che già lo attendevano nella hall. La coppia aveva lasciato l’hotel da uno degli ingressi di servizio, con Candy che rideva di tutto cuore e Terence che sollevava il bavero del suo impermeabile e si tirava giù il cappello.


Avendo trovato l’intera situazione terribilmente divertente, Candy non la smise di prenderlo in giro per il suo aspetto da mafioso e la loro rocambolesca fuga. Terence si vendicò immediatamente dello scherzo ricordandole che alla luce del giorno le sue lentiggini sembravano essersi moltiplicate. Guidando in silenzio verso la stazione, Martin Hayward si chiese cosa stesse accadendo al suo datore di lavoro, solitamente così serio. Erano ancora impegnati in quelle schermaglie infantili quando arrivarono alla stazione.
Hayward aspettò in macchina, mentre la coppia si incamminava lentamente verso il binario, già paventando interiormente l’imminente separazione. Candy aveva indossato un tailleur nero con gonna dritta che le arrivava alle caviglie. L’unico tocco di colore era una sciarpa rossa con una spilla coordinata appuntata sulla sua cloche. Persino con quell’abbigliamento sobrio, Terence pensò che fosse estremamente seducente, con le guance e le labbra più rosse che mai per via del freddo del mattino.
Mentre attendevano che annunciassero il suo treno, Candy gli raccontò dei suoi programmi per le feste. Poi gli chiese cosa avesse intenzione di fare lui, ma Terence si limitò a comunicarle la data in cui avrebbe dovuto concludere la tournée, senza aggiungere altro. Fu allora che una voce all’altoparlante annunciò il treno in partenza per Philadelphia.
Terence si assicurò che un facchino aiutasse Candy a caricare il suo bagaglio sulla carrozza, mentre si attardavano per un po’ sulla banchina.
"Allora passerai il Ringraziamento a Chicago", osservò lui, lo sguardo fisso su di lei.
"Sì, ci sarà anche Albert. Sfortunatamente, sarò costretta a vedere anche Neil e Iriza", aggiunse lei mordendosi il labbro, ignara dell’effetto che quel gesto avesse sul suo interlocutore.
"Una riunione di famiglia in piena regola", la prese in giro lui, ma poi, ricordandosi di quanto fossero odiosi i fratelli Legan, aggiunse, "Prenditi cura di te e tieniti alla larga da quei due, capito?"
"Lo farò, Terence. Non preoccuparti per me. So come cavarmela con loro", rispose con un sorriso, sollevando il pugno chiuso.
"Brava ragazza", rispose lui ricambiando il sorriso, mentre subito dopo si udì il fischio del treno.
"Terence, temo che sia ora di salutarci. Grazie di tutto e stammi bene anche tu", gli disse salendo sul predellino e tendendogli la mano.
"Arrivederci, Candy", le disse, stringendole la mano. Un altro fischio risuonò nell’aria e lui la lasciò andare.
Fece un passo indietro e le voltò le spalle per nascondere il suo turbamento, intenzionato ad allontanarsi dalla banchina. Ma d'un tratto, come il bagliore di un fulmine scoccato da uno degli angoli della sua mente, il ricordo di altri momenti del passato irruppe in lui dandogli una nuova consapevolezza. Improvvisamente, girò sui tacchi e si diresse con passo deciso verso Candy che era ancora in piedi sui gradini della carrozza. Prima che la giovane potesse rendersi conto di cosa stesse accadendo, lo vide mentre si toglieva il cappello con una mano e con l’altra le prendeva il viso, avvicinandosi al suo e catturandole le labbra in un deciso bacio.
Paralizzata e annichilita dalla sorpresa, Candy non reagì. Al contrario, lasciò che le labbra di lui accarezzassero le sue in quel bacio senza tempo, con tocco caldo e umido, scatenandole brividi in tutto il corpo. Fu solo quando il treno iniziò a muoversi che le loro labbra si separarono. L’ultima cosa che Candy vide prima di entrare nella carrozza fu il sorriso compiaciuto di Terence mentre la salutava dalla banchina.
Per un lungo momento, Candice White Andrew non fu in grado di ricordare il proprio nome.

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(1) Il Triangolo d’Oro è il nome del centro storico di Pittsburgh, costituito da un lembo di terra triangolare fiancheggiato da due fiumi.
(2) La Woman's Christian Temperance Union fu un gruppo proibizionista degli anni ’20 che, tra le sue iniziative, ebbe il proposito di educare le famiglie e la società ad astenersi dall’uso degli alcolici.
(3) Il Proibizionismo fu un periodo della storia degli Stati Uniti tra il 1919 ed il 1933 in cui venne sancito il bando della vendita degli alcolici per ragioni etico-politiche.
(4) Il Bara Brith è un dolce di frutta secca tipico della cucina gallese.
 
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view post Posted on 28/4/2013, 17:06     +5   +1   -1

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CAPITOLO 4
Ritratto di Famiglia


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Candy percorse la carrozza in stato di semi-incoscienza. Pur mantenendo saldamente un piede davanti all’altro, aveva comunque la sensazione di volare. Dopo aver urtato alcuni passeggeri causandone l’irritazione, cosa che ignorò, vista la sua totale incapacità di percepire cosa stesse accadendo intorno a sé, raggiunse finalmente il suo scompartimento. Tuttavia, restò per un attimo in corridoio, le labbra che ancora le bruciavano per il delizioso formicolio lasciatole dal bacio. Improvvisamente, non ebbe più importanza che la giornata fosse nuvolosa e fredda; per lei era come se il sole splendesse alto nel cielo e il mondo intero fosse un meraviglioso miracolo.

Era accaduto tutto troppo velocemente. Quando l’aveva visto avvicinarsi, il suo cuore si era fermato e, mentre le labbra di lui si poggiavano sulle sue, l’intera stazione era improvvisamente svanita. Il bacio era stato come l’aveva sempre sognato e persino molto di più. Non aveva mai sentito un brivido di tale intensità attraversarle le vene come nel breve minuto in cui lui l’aveva accarezzata così dolcemente e al tempo stesso così risolutamente. Un inebetito sorriso si diffuse lentamente sul suo volto, mentre finalmente si metteva a sedere. Fortunatamente era sola.

Distese le braccia e si cinse il collo con le mani, tirando un profondo sospiro. Mentre lasciava uscire l’aria dai polmoni, sentì chiaramente che quell’opprimente ombra che per tanto tempo aveva offuscato la sua vita si stava lentamente allontanando. Non riusciva a pensare ad altro.

“Non è stato un caso. Si è voltato con la precisa intenzione di farlo. Questo cambia tutto fra noi!"

Candy sollevò lo sguardo ripensando con espressione sognante a quello che era accaduto la sera prima. Rivide il suo volto, sempre così serio in tutte le sue fotografie, ma praticamente raggiante mentre ballavano. Ripensò anche a come lui, sin dall’inizio, avesse sempre cercato un contatto con lei ed a quella strana luce nei suoi occhi quando credeva che lei non lo stesse guardando.

"È solo un vecchio compagno di scuola con il desiderio di recuperare l’amicizia in nome dei bei vecchi tempi?"
“I vecchi amici non lanciano quegli sguardi di fuoco" si rispose raggiante, "I vecchi amici non baciano in quel modo!" ammise finalmente, toccandosi le labbra e con esse la prova innegabile delle sue intenzioni.

Non riusciva a credere alla sua fortuna. Tutto quello che era accaduto durante la serata e poi successivamente era stato così incredibilmente perfetto, da spingerla ancora una volta a darsi un pizzicotto. Il formicolio che ne seguì fu quanto mai gradito. No, questa volta non stava sognando. Doveva semplicemente ammetterlo. Terence era interessato a qualcosa di più dell’amicizia e lei era ben felice di ricevere le sue attenzioni.

"E adesso?" si domandò improvvisamente, "Cosa dovrò aspettarmi? Come dovrò reagire?"

Mille domande affollavano la sua mente, ma questa volta l’incertezza rendeva quel brivido ancora più emozionante. Era come se il tocco di lui le avesse dato nuova forza rendendola imperturbabile. Sentendo che l’atmosfera si era surriscaldata, la giovane aprì il finestrino e si sostenne con le mani per sporgere la testa fuori. Il panorama dalle tinte dorate stava gradualmente lasciando spazio al bianco. Un vento gelido le penetrava nelle ossa e le sferzava il viso, ma lei non ci fece caso.
Con la testa che le girava, gridò a pieni polmoni:

"Terence, ti amo più di chiunque altro! Ti ho sempre amato!"

Il treno continuò la sua corsa portandola lontano da Terence, ma per la giovane la distanza tra di loro non contava più nulla ormai.


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L’incessante sferragliare del treno era quasi impercettibile nell’elegante carrozza ristorante, mentre l’atmosfera era pervasa dal tintinnio dell’argenteria e dei calici. Robert Hathaway osservò il riflesso della luce sul liquido ambrato del suo brandy. Da dietro al suo bicchiere, poteva scrutare l’espressione imperturbabile del suo compagno di viaggio, intento a fumare una sigaretta ed a sorseggiare distrattamente una tazza di thè nero. Per la centesima volta, Hathaway si chiese come avrebbe potuto porgli la domanda che gli bruciava dentro da un po’.

"Abbiamo avuto due serate grandiose a Pittsburgh, non è vero?" esordì finalmente.

"Altroché, Robert", rispose il giovane dall’altro capo del tavolo.

"Il Gayety è un bel teatro; i camerini, però, lasciano alquanto a desiderare. Dovrebbero ristrutturarli al più presto".

"Dici? Io non ho notato nulla che non andasse", commentò Terence, mentre soffiava via il fumo della sigaretta.

"Ci sono parecchie cose che non noti ultimamente. In ogni caso, non intendo lamentarmi; non hai mai recitato così bene" aggiunse Hathaway, poggiando il bicchiere vuoto sul tavolo.

"Lo prendo come un complimento".

"È la pura e semplice verità. Hai dato il massimo negli ultimi due giorni", proseguì Robert con espressione seria. "Di fatto, mi sono chiesto perché avessi aspettato di arrivare a Pittsburgh per regalarci la tua migliore interpretazione di Macbeth, anziché farlo in occasione della prima”.

Terence picchiettò la sigaretta sul posacenere e lanciò uno sguardo a Robert, sollevando il suo ormai ben noto sopracciglio.

"Non l’ho fatto di proposito", rispose semplicemente.

"Stai scherzando", ridacchiò l’uomo, "Non credo affatto che tu non l’avessi calcolato. Sei sempre stato un sostenitore della tecnica e del metodo prima che dell’ispirazione e dell’intuito. Non ne abbiamo già parlato centinaia di volte? Devo forse ricordarti che sei tu quello che non crede alla fortuna quando si tratta di recitazione?"

"No, non c’è bisogno che me lo ricordi. So bene come la penso riguardo alla recitazione", osservò il giovane, "Sono tuttora convinto che la preparazione ed il controllo della tecnica siano fondamentali per un attore. Forse però, dovrei riconsiderare quello che ho detto tempo fa rispetto alle altre fonti a cui un attore può far ricorso per migliorare", concluse, mandando giù l’ultimo sorso di thè.

Hathaway guardò Terence come se fosse impazzito. Il breve silenzio che seguì non sembrò turbare Grandchester, che continuò ad ammirare il paesaggio che scorreva davanti ai suoi occhi.

"Devo dedurne che la tua recitazione a Pittsburgh sia stata il risultato di. . . di un’ispirazione?" chiese finalmente Hathaway, mal celando un certo scetticismo.

"Non saprei, Robert. È successo e basta", rispose Terence spegnendo la sigaretta e alzandosi in piedi, "Forse è stata un’ispirazione. . . o forse è stato il tocco di un angelo", suggerì, per poi aggiungere: "Credo che andrò a riposarmi un po’, Robert. È stato un piacere".

"Altrettanto", disse Hathaway, continuando a rimuginare su quello che Terence gli aveva appena detto.

Con entrambe le mani infilate in tasca, il giovane si diresse pigramente verso il suo scompartimento. La sua espressione era austera come al solito, ma dentro di sé si sentiva finalmente vivo. Per la prima volta in tanti anni, una ventata di ottimismo gli pervase la mente e gli sollevò il morale.

Entrò nel suo scompartimento e si tolse la giacca, mettendosi a sedere soddisfatto. A volte non riusciva ancora a credere a quello che era accaduto. Nelle sue alquanto sfortunate esperienze in amore, non ricordava un momento più felice e appagante. Ovviamente, c’erano i ricordi di quei giorni sereni passati in Scozia. Tuttavia, per quanto si trattasse di ricordi unici per la gioia innocente e pura che gli avevano donato, non erano paragonabili a quella nuova sensazione, generata dall’aver ritrovato quello che aveva un tempo perso.

Distrattamente, accarezzò la tappezzeria del sedile con le dita. Ripensò alle sensazioni che aveva provato mentre la stringeva tra le braccia; le stesse del passato e tuttavia diverse in intensità e profondità. Mentre ballavano, era rimasto piacevolmente sorpreso dai cambiamenti che la natura aveva operato su di lei. La bella ragazza dagli occhi espressivi aveva lasciato il posto a una donna dall’aspetto aggraziato e dalle seducenti curve, tutte al posto giusto. Gli occhi espressivi erano sempre lì, ma ora esprimevano ancor più intensamente i suoi sentimenti e le sue labbra avevano un sapore più dolce.

"Mia cara, ora sai come ricambiare un bacio", pensò soddisfatto, sentendo ancora le labbra di lei che rispondevano alle sue. "Se avessi saputo che non mi avresti schiaffeggiato, mi sarei deciso molto prima".

Ricordò che in un primo momento le aveva semplicemente stretto la mano per augurarle buon viaggio, con tutte le intenzioni di salutarla in termini amichevoli. Improvvisamente, mentre si allontanava, gli erano tornati alla mente i ricordi del passato. Si rivide mentre resisteva all’impulso di abbracciarla mentre sedevano davanti al fuoco in Scozia; sentì nuovamente tutta la sua frustrazione alla stazione di New York quando non aveva osato stringerla tra le sue braccia lì, davanti a tutti; e soprattutto, rivisse la sua disperazione mentre la vedeva allontanarsi dall’ospedale il giorno successivo. Era stato in quel momento che aveva deciso di buttare la cautela alle ortiche. E il risultato era stato magnifico! Sentiva ancora il sapore delle labbra turgide di lei sulla sua bocca.

"Ma sappi che sono un uomo avido, Candy", continuò con le sue riflessioni, "e ultimamente ho notato che il tempo non mi ha reso affatto più paziente. Anzi, esattamente il contrario. Un bacio è ben più di quello che mi sarei aspettato al nostro primo incontro; eppure, ora che l’ho ottenuto, voglio per me tutti i baci che le tue labbra mi sapranno dare e persino di più. E sappi anche, milady, che non avrò pace finché non ti possiederò in ogni modo in cui un uomo possa possedere una donna. Devi essere mia; come avrebbe dovuto essere sin dall’inizio. Questa volta non permetterò a nessuno di mettersi fra noi".

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Sembrava una mattina perfetta. Il giovane si sfiorò leggermente i capelli biondi, pettinati accuratamente all’indietro per lasciargli scoperto il viso. Seduto a tavola, leggeva il giornale in silenzio mentre era intento a fare colazione. Ogni dettaglio del suo abbigliamento era stato scelto con la massima cura, dalla camicia a doppio polso alla giacca doppiopetto fatta su misura, tutto era all’altezza dei suoi costosi gusti. Sua moglie si era premurosamente assicurata che ogni suo desiderio durante il pasto fosse soddisfatto e il caffè stava facendo il suo dovere, preparandolo ad affrontare la solita giornata di lavoro.

Non c’era nulla di particolarmente rilevante nella cronaca di quella mattina. Sfogliò con attenzione le pagine della finanza, poi si soffermò sulle notizie di attualità e stava per mettere da parte il giornale, quando un titolo nella rubrica dedicata allo spettacolo attrasse la sua attenzione. Un sardonico sorriso gli increspò le labbra per un secondo.

"Ecco, sta finalmente mostrando il suo vero volto", disse Archie ad alta voce, passando la pagina a sua moglie che era tranquillamente intenta a sorseggiare il suo thè, "Ora che quella Susanna Marlowe non c’è più, si sta rivelando il volgare donnaiolo che ho sempre creduto fosse. Guardalo!"

Annie sgranò gli occhi alla vista della foto di un uomo e una donna stretti in un bacio appassionato.

"E ha anche il cattivo gusto di sbandierare le proprie conquiste alla luce del giorno. Non è un sollievo che non sia entrato a far parte della nostra famiglia? Candy dovrebbe rallegrarsi di averla scampata", aggiunse Archie mentre si alzava da tavola.
La giovane non replicò al commento del marito, limitandosi a mormorare un frettoloso "buona giornata, tesoro" senza staccare gli occhi dal giornale. Il titolo diceva:

"Una nuova Giulietta per Romeo. La famosa star di Broadway ha trovato un nuovo amore?"
La foto ritraeva Terence Graham in persona mentre baciava una donna il cui viso era parzialmente nascosto da una cloche scura e dalla mano dell’attore, che le accarezzava la guancia. L’autore dell’articolo specificava che l’identità della dama era ancora sconosciuta. La foto era stata scattata alla stazione di Pittsburgh una settimana prima. Socchiudendo gli occhi, Annie osservò la foto con sospetto. Improvvisamente, un enigmatico sorriso le illuminò il volto.


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Una sera di alcuni giorni dopo, Candy si trovava nella sua camera d’albergo a Boston. Aveva scritto una lunga lettera a Miss Pony e a Suor Maria con le ultime notizie riguardo al suo viaggio. La campagna di raccolta fondi era stata un grande successo e lei era entusiasta delle opportunità che il nuovo anno sembrava avere in serbo per i bambini della Casa di Pony. Ora era tempo di preparare i bagagli. Il giorno dopo sarebbe finalmente partita per Chicago.

Candy iniziò a piegare i suoi vestiti per metterli in valigia. Poi, prese il suo vecchio libro di preghiere dal comodino e lo aprì proprio al centro. I suoi occhi scintillarono di gioia alla vista del logoro ritaglio di giornale con la primissima recensione che riguardava Terence, pubblicata nel 1914. La portava con sé da allora, così come aveva ricordato il suo nome in tutte le sue preghiere. Ora, nella pagina successiva, aveva pressato un iris e un narciso della composizione floreale che lui le aveva inviato.

Il telefono squillò, destandola dai suoi sogni ad occhi aperti.

"Signorina Andrew, c’è una telefonata da Chicago per Lei. Una certa Sig.ra Cornwell desidera parlarLe. Le passo la chiamata?" chiese l’operatore.

"Sì, faccia pure, grazie", si affrettò a rispondere e, subito dopo, un eloquente click le fece intendere che la connessione era stata stabilita, "Annie, sei tu?"

"Sì, Candy, come stai?"

"Abbastanza bene, Annie, sto facendo le valigie. Non vedo l’ora di vederti".

"Anch’io" replicò Annie con entusiasmo, "La cena per il Ringraziamento sarà memorabile quest’anno. I genitori di Archie sono arrivati proprio due giorni fa e ci saranno anche i miei".

"È una notizia fantastica! Ora dobbiamo solo sperare che Neil e Iriza prendano un bel raffreddore o qualcosa del genere e tutto sarà perfetto".

"Non essere maligna. Ultimamente sono diventati molto più cortesi", la rimproverò Annie.

"Quindi sarei stata io quella maligna negli ultimi quattordici anni, Annie? Tra l’altro, non scambierei la loro ipocrisia per cortesia. Comunque, non ha importanza. Albert è già a casa?"

"Oh, sì. È arrivato questo pomeriggio. Abbiamo pranzato insieme. È piuttosto abbronzato e credo anche che abbia messo su qualche chilo". “Mi fa piacere! L’ultima volta, quando è rientrato dal Brasile era fin troppo magro. Muoio dalla voglia di vederlo. Me lo puoi passare?"

“Mi dispiace, Candy, ma lui e Archie sono fuori al momento, avevano una lunga riunione con i soci. In realtà ti ho chiamato adesso perché desideravo chiederti un favore".

“Davvero? Cosa posso fare per te?" chiese Candy curiosa.

“Beh, è una sciocchezza, ma vorrei che mi accontentassi", le disse Annie un po’ incerta, “Immagino starai preparando quello che intendi indossare per il viaggio, giusto?"

“Certo".

“Potresti evitare di mettere la tua spilla rossa domani?" disse finalmente Annie.

“La spilla rossa? E posso chiederti il perché?"

“Te lo dirò quando ci vedremo. Mi raccomando, assicurati di non indossarla. Fidati di me stavolta. Me lo prometti?" la pregò Annie.

“Non ti preoccupare, Annie, sarò felice di accontentarti".

Le due amiche conversarono ancora un po’ e infine si salutarono. Quando Candy riagganciò, riprese a fare le valigie, assicurandosi di ottemperare alla bizzarra richiesta della sua amica. La bionda pensò che era da tempo che non sentiva Annie così emozionata.


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L’immensa fiumana di gente che andava su e giù per la stazione centrale di Chicago sembrava essere senza fine. Candy si ricordò della mattina in cui era stata lì per la prima volta. Era stata mandata a Chicago dalla Scuola per Infermiere Mary Jane per completare il corso insieme a quattro delle sue compagne. La maggior parte di loro non erano mai state in una grande città ed erano colpite e persino un po’ intimorite dalla folla che sembrava muoversi all’unisono, come un mostro gigante che divorava lentamente la strada. Persino Candy, che era già stata a New York ed a Londra prima di allora, aveva trovato Chicago di grande effetto. Quante cose erano accadute da quel giorno! Ora, mentre scrutava impazientemente la folla, Candy ripensò a quello che era accaduto undici anni prima proprio a Chicago, e ringraziò nuovamente il Signore per averle dato l’opportunità di ritrovare Albert in quella stanza d’ospedale. Da allora, malgrado i suoi infiniti viaggi ed i molteplici impegni d’affari, erano diventati legatissimi.

Ormai sapeva bene che in qualunque parte del mondo si fosse trovato, sarebbe sempre stata legata a lui da fili invisibili, forti e veri come se nelle loro vene scorresse realmente lo stesso sangue. Lui era la roccia viva a cui aggrapparsi nei momenti di dolore e lei era il suo faro nella più buia delle notti. Si davano conforto e consolazione in un modo che molti fratelli avrebbero invidiato.

La giovane si guardò intorno iniziando a preoccuparsi. Essere in ritardo non era da George e dato che era sempre lui a trascinare letteralmente Albert ad ogni appuntamento, era alquanto strano non vederli lì ad attenderla. Poi, mentre ispezionava la banchina per la terza volta, riuscì finalmente a distinguere la figura slanciata dai capelli biondo cenere che desiderava così tanto vedere.

"Candy! Candy!" gridò lui con entusiasmo mentre si sbracciava per salutarla.

La giovane, dimenticando il contegno che una dama della sua età avrebbe dovuto mantenere, iniziò a correre a perdifiato verso l’uomo, che indossava un elegante soprabito a doppio petto. Se Albert non fosse stato così forte e robusto, sarebbe stato sicuramente travolto dall’impeto di Candy quando lei finalmente lo raggiunse per abbracciarlo.

"Dio mio! Non riesco a credere che tu sia qui, Albert!" disse nascondendo il viso sul suo ampio petto. "Sono così felice!"

"Lo sono anch’io, Candy!" rispose lui con un sorriso, "Mi sei mancata immensamente. Su, lasciati guardare", e nel dire ciò la allontanò dolcemente da sé per scrutarla meglio.

Con sguardo fiero, l’uomo osservò il soprabito di un blu cobalto acceso ed il cappello nero a tesa larga con piume blu che incorniciava il viso di Candy, lasciando intravedere i suoi riccioli dorati. Dietro la veletta nera, ritrovò i vivaci occhi verdi e le adorabili fossette che amava così tanto. Il suo sorriso si fece più luminoso.

"Riesco ancora a intravedere la ragazzina dietro quest’aspetto da donna affascinante", le disse dolcemente.

"Ed io riesco ancora a riconoscere il mio caro Prozio sebbene sia travestito da uomo attraente e abbronzato”, rispose lei, non lasciandosi sfuggire l’opportunità di scherzare con Albert, "Lo sai che malgrado la tua età, caro zio, sembri alquanto ringiovanito? È stato forse il sole dei luoghi che hai visitato a operare il miracolo?"

"Oh, no, non ricominciare, Candy. La smetterai mai?" rise lui mettendole un braccio intorno alle spalle con affetto, "Credo che faresti meglio a salutare George, non credi?"

Seguendo il suo suggerimento, Candy si voltò e il suo sguardo si posò sulla figura snella e impeccabile di George Johnson, che ad eccezione di una lieve brizzolatura sulle tempie, non era cambiato di una virgola rispetto al ricordo che Candy serbava di lui sin dall’infanzia.

"Come sta, George?" Candy lo salutò calorosamente tendendogli la mano.

"Molto bene, Signorina Candy," le rispose lui con un lieve inchino, facendole il baciamano, "Sono lieto di constatare che anche Lei sta bene".

"Ho visto che si è preso grande cura del mio caro Paparino", insistette, alzando gli occhi al cielo.

"Ho fatto del mio meglio, Signorina Candy", rispose l’uomo soffocando un sorriso, ma tornando immediatamente serio dopo aver lanciato uno sguardo al volto imbronciato di Albert, "Se permette, Signorina Candy, mi occuperò io del suo bagaglio".

"Oh, grazie, George. Vada pure e non si preoccupi del mio Paparino, vedo che sta bene. A proposito, caro papà, dov’è il tuo bastone da passeggio?"

"Andiamo, Candy-la piagnucolona", rispose Albert amabilmente, continuando a cingerle le spalle con il suo protettivo braccio, "andiamo a casa prima che tu mi costringa a sculacciarti in pubblico".

"Non chiamarmi piagnucolona! Stai parlando con una donna adulta ormai, piccolo Bert", gli rispose lei per le rime.

Il giocoso battibecco proseguì ancora per un po’, sebbene avessero già raggiunto l’auto. Entrambi percepivano chiaramente i propri cuori scaldarsi in presenza l’uno dell’altra, come accadeva ogni volta che si incontravano. Seduto accanto all’autista, George Johnson poté finalmente dar libero sfogo ad un sorriso. Era grato a Candy di essere parte di quella famiglia costantemente segnata dalla tragedia e particolarmente incline ad un’eccessiva severità, per la quale una personalità solare come la sua costituiva una boccata d’aria fresca. Prima di lei, era stata Rosemary l’unica della famiglia Andrew ad avere un carattere aperto. Con suo grande dolore, lei se n’era andata da più di vent’anni ormai. George pensò che nessuno avrebbe potuto prendere il suo posto, se non Candy. Nel corso degli anni, aveva imparato che quella ragazzina bionda, malgrado il suo aspetto così fragile e vulnerabile, era dotata della presenza di spirito e della forza che erano mancate a Rosemary. George pensò che fosse un bene averla lì accanto al Sig. Albert.

La lussuosa Rolls-Royce nera lasciò Michigan Avenue dirigendosi verso il Near North Side. Ben presto, i grattacieli lasciarono spazio alle lussuose dimore della Gold Coast, prima fra tutte la Palmer House che troneggiava sul profilo della città. La villa degli Andrew si trovava ai margini del quartiere, praticamente alla periferia di Chicago. Oltre i vasti terreni che circondavano la proprietà, si estendeva la campagna del Midwest con il suo imponente manto di foglie dorate.

Quando l’auto finalmente si fermò davanti all’ingresso principale della villa, un piccolo fulmine sfrecciò fuori dalla casa catapultandosi giù per la scalinata e finendo la sua corsa tra le braccia di Candy, che accolse con affetto il corpicino di suo nipote.

"Zia Candy! Zia Candy! Ci hai messo toppo!" disse il bambino stringendo il viso di Candy tra le sue manine, mentre lei lo prendeva in braccio.

"Troppo? Ti ho fatto aspettare, Stair?" gli chiese, notando con sorpresa i tondi occhiali che indossava, "Hey, che ci fai con questi occhiali, tesoro?"

"Me li ha regalati papà per il compleanno", spiegò il bambino toccando la montatura dei suoi occhiali, "Sono crante adesso".

"Sei grande, eh?" lo corresse Candy, "Sei davvero molto bello!"

Il bambino fece un naturale cenno di assenso, scatenando l’ilarità di Candy.

"Lo sai che gli uomini intelligenti portano sempre gli occhiali, non è vero?" gli chiese, "Tuo zio Stair non li toglieva mai!"

Il bambino corrugò la fronte come per cercare di capire quello che gli aveva appena detto Candy.

“Zio Bert li porta quando legge", rifletté il bambino poggiandosi il ditino sul mento, “. . . ma papà no".

“Oh, beh tesoro, era tuo zio Stair il più intelligente della famiglia", disse Candy ridacchiando.

“Parli di me alle mie spalle, ragazzaccia", una voce maschile le fece sollevare lo sguardo ad incrociare gli occhi nocciola di Archibald Cornwell.

“Assolutamente no, ti ho sempre detto che sei alquanto frivolo quando non fai che parlare di completi e cravatte", rispose la bionda, mettendo giù il bambino per stringere suo cugino in un forte abbraccio, “ma sai anche che ti ho sempre voluto bene lo stesso".

Il giovane la baciò sulla guancia, poi le prese la mano e la poggiò nell’incavo del suo braccio.

“E tu sei sempre la stessa sfacciata che crede che basti un semplice abbraccio per far dimenticare le sue offese", rispose lui con un caldo sorriso.

“Non posso parlare per gli altri, ma sono certa che il mio caro Archie non sarebbe capace di tenere il broncio a sua cugina Candy, vero?" rispose lei.

“Mi piacerebbe contraddirti, ma non posso", ammise lui.

“Sono proprio necessari gli occhiali?" chiese poi Candy, abbassando la voce, mentre il bambino correva a salutare Albert.

“Purtroppo sì. È inciampato sulle scale un paio di volte e aveva problemi quando colorava i suoi libri. Credo che avessi ragione quando hai detto che assomiglia tantissimo a mio fratello".

“Ma è assolutamente adorabile con gli occhiali", commentò Candy allegramente, voltandosi indietro a guardare Albert che si metteva il bambino a cavalcioni sulle spalle.

“Lo penso anch’io", disse una voce femminile che si unì al gruppo, “Sono così felice di rivederti, Candy".

“Annie, cara!" esclamò Candy, sempre felice di rivedere sua sorella, “Mi sei mancata così tanto".

La bionda si allontanò da Archie per abbracciare Annie con la stessa alacrità con cui aveva salutato suo marito.

“Com’è andato il viaggio, cara?", chiese Annie fissando intensamente la sua amica.

“Beh, è stato un successo assoluto! Faremo delle cose meravigliose per i bambini l’anno prossimo. Ci pensi, Annie? I bambini della casa di Pony che non saranno adottati avranno comunque la possibilità di andare all’università, se ne avranno voglia!" "È fantastico, Candy", commentò Albert che nel frattempo li aveva raggiunti. Devi raccontarci tutto per filo e per segno".

"Temo che dovrete aspettare fin dopo pranzo", intervenne Annie prendendo Candy per mano e lanciando un sorriso agli uomini, "Candy e io abbiamo alcune cose di cui discutere; sapete, roba di donne", e prima che potessero obiettare, Annie si allontanò con la sua amica su per le scale e attraverso gli immensi corridoi della villa.

Entrarono in una stanza dal parquet lucente e dalle mura di un delicato verde menta, arricchita da stucchi floreali bianchi sul soffitto. Era la stanza di Candy lì a Chicago, dove una domestica era già impegnata a sistemare gli abiti della giovane nell’armadio.

"Maria, puoi scusarci per un momento?" chiese Annie quando la vide. Prima che Candy potesse protestare, la giovane domestica fece un breve inchino e si allontanò.

"Buon Dio, Annie, avresti dovuto lasciarle finire il suo lavoro. Ora che ci penso, posso disfare il mio bagaglio da sola; non disturbarla più, per favore".

Candy si tolse il cappello, poggiandolo sul suo tavolino da toilette bianco, e appese il cappotto nell’armadio. Essendo un’amante dell’ordine e della pulizia, Candy decise che avrebbe potuto chiacchierare con la sua amica mentre sistemava il resto dei suoi indumenti. Annie prese posto su un divanetto a righe, accanto a una grande portafinestra. Per un po’, si limitò ad osservare la bionda che, impegnata nel suo compito, andava su e giù per la stanza.

"Immagino che tu voglia sapere dei Sutton e della loro nuova casa a Boston, non è vero Annie", chiese Candy con un sorriso, intuendo che Annie aveva cercato un po’ di privacy per farsi raccontare i pettegolezzi più succosi che aveva raccolto durante il suo viaggio.

"Beh, sì, ma più tardi", esitò Annie con le mani sulle ginocchia, "Ci sono altre cose che vorrei sapere prima. Per esempio, com’è stato lo spettacolo di Terence a Pittsburgh?"

L’improvvisa domanda cancellò subito il sorriso dal volto di Candy, che la guardò con gli occhi sgranati - semmai fosse possibile farli apparire ancora più grandi – restando a bocca aperta; eppure, non riuscì a proferire parola.

"Candice White Andrew, non osare mentirmi questa volta. So per certo che vi siete visti a Pittsburgh!" la ammonì Annie sventolando un dito in aria.

"A-Annie, io, io, non capisco, cosa ti fa pensare che l’abbia visto?" balbettò infine Candy, ancora scioccata dalla fermezza dimostrata da Annie.

"Oh sì che l’hai visto, Signorina Andrew e ti ordino di vuotare il sacco all’istante. E per favore, scordati che questa volta mi beva la storia che siete solo due amici che si ritrovano, non crederò più a una sola parola di tutto ciò".

"Annie. . . non so cosa dire. . ." mormorò Candy, accomodandosi accanto all’amica e domandandosi, nel frattempo, da quando Annie fosse diventata chiaroveggente.

Iniziando a innervosirsi davanti alla riluttanza di Candy a parlare, Annie si alzò, si avvicinò al tavolino da toilette e prese un giornale da un cassetto, poi si voltò verso Candy e glielo lasciò cadere in grembo.

"Potresti iniziare con lo spiegarmi cosa significa questa", disse la brunetta, incrociando le braccia al petto.

Questa volta, quando vide la foto di Terence che la baciava a Penn Station, gli occhi di Candy schizzarono quasi fuori dalle orbite. Nemmeno nei suoi sogni più fantasiosi avrebbe pensato di poter essere coinvolta in un’indiscrezione di questa portata. Era impallidita talmente da aver assunto un aspetto diafano.

"Santi numi!" disse finalmente quando riuscì a recuperare la voce, "Non mi sono accorta dei flash; non c’erano fotografi in giro. . ."

"Forse non li hai notati perché avevi gli occhi chiusi", suggerì Annie con una risatina.

"Non prendermi in giro, Annie. Cosa farò adesso? La Zia Elroy lo sa?" chiese la bionda, visibilmente preoccupata.

"Oh, Candy, non farne un dramma! Non lo sa nessuno a parte me", disse Annie, cercando di tranquillizzare l’amica.

"Ma è sui giornali davanti agli occhi di tutti! Come fai a essere sicura che non lo sappia nessun altro?"

"Ora ho la conferma che sei proprio stracotta di Terence", disse Annie, "Non ti sei accorta che nell’articolo non si cita il tuo nome e in foto il tuo viso non è riconoscibile?"

Candy guardò nuovamente l’articolo. Era vero. Diceva solo che Terence Graham era stato visto alla Penn Station di Pittsburgh mentre baciava una donna sconosciuta. Il resto della storia conteneva solo illazioni sulla serietà della relazione e sulla stranezza di una manifestazione pubblica di quel tipo, specialmente considerato il personaggio da cui proveniva, sempre estremamente riservato riguardo alla sua vita privata.

Un secondo sguardo alla foto confermò l’osservazione di Annie. La cloche di Candy le aveva fatto il favore di nasconderle il viso. Poi rivolse lo sguardo ad Annie con aria interrogativa.

"È stato facile per me capire che fossi tu", spiegò Annie rispondendo all’implicita domanda di Candy. "Ho riconosciuto la tua spilla. Ricorderai senz’altro che te l’avevo presa io nel mio negozio preferito lungo il Magnificent Mile. Quindi, ho verificato il tuo programma di viaggio con George per avere la conferma che ti trovassi a Pittsburgh nello stesso giorno in cui c’era anche Terence. Fare due più due è stato semplicissimo", disse mentre prendeva l’oggetto incriminato dal nécessaire di Candy. Era una spilla a forma di farfalla con cristalli di Boemia di colore rosso, abbastanza grande da essere distinguibile in foto.

"Sei certa che nessun altro della famiglia abbia visto questa foto?" le chiese nuovamente Candy, ancora dubbiosa.

"Archie l’ha vista, ma non ti ha riconosciuta. Non sa nulla del fatto che tu e Terence siate di nuovo in contatto; quindi pur avendo visto la foto, non ha avuto alcun sospetto. Presumo che vorrai mantenere il segreto per un po’, specialmente con Archie, visto che non ha mai nutrito grande simpatia per Terence. Ecco perché ti ho chiesto di non indossare la spilla. Non volevo correre il rischio che lui scoprisse tutto. Lo sai che ha occhio per gioielli e vestiti. Anche se la foto è in bianco e nero, temevo potesse riconoscere la spilla, nel caso l’avessi indossata questa mattina".

“Grazie, Annie. Sei stata molto astuta. Credo che sia meglio che Archie resti all’oscuro di tutto ciò per ora; almeno finché non capirò cosa mi aspetta adesso".

“Bene, sei in debito con me e intendo riscuotere subito. Dettagli, Candy, voglio un resoconto completo con dovizia di particolari e in cambio ti farò un’altra sorpresa, che tra l’altro sono certa adorerai", le promise la giovane con gli occhi che le brillavano per l’emozione.

Consapevole di non avere altra scelta, ma anche bisognosa di poter dare un po’ di sollievo al proprio cuore, Candy le raccontò per filo e per segno tutto quello che era accaduto. Essendo un’eterna romantica, Annie si sentì girare la testa per l’emozione mentre immaginava l’incontro tra i due amanti osteggiati dal destino. Nel profondo del suo cuore, Annie non aveva mai accettato la separazione di Candy e Terence, incapace di comprendere la decisione di Candy. Tuttavia, una volta ufficializzata la sconsiderata rottura, Annie aveva finito per sperare, piuttosto che credere, che un giorno la sua amica avrebbe potuto dimenticare Terence e innamorarsi di nuovo. Eppure, ora che vedeva Candy letteralmente raggiante mentre le raccontava gli ultimi eventi, Annie comprese finalmente che tutti i suoi tentativi di sistemarla sarebbero stati comunque destinati a fallire. Apparentemente nemmeno il destino era riuscito ad avere la meglio su un amore così profondamente radicato e avvincente.

“Oh, Candy, le cose sarebbero dovute andare così sin dall’inizio", osservò Annie, prendendo la mano dell’amica tra le sue, “E pensare che ha continuato ad amarti per tutti questi anni, sebbene fosse fidanzato con un’altra. Sembra uno di quei romanzi d’amore".

“Dio mio, Annie, stai di nuovo saltando a conclusioni affrettate. Non ha mai detto nulla del genere. Mi ha solo spiegato che i suoi sentimenti per Susanna non erano poi così forti", controbatté Candy.

“Candy, mi stupisco che una persona così brava in sala operatoria e così abile nella raccolta fondi come te, possa essere talmente ottusa a volte", disse Annie lanciandole un’occhiata di traverso, “Chiunque avesse visto come ti guardava Terence, come ho fatto io in Scozia, si sarebbe accorto che era cotto di te. Dovevi vederlo quella sera a Chicago quando ha recitato nella parte del Re di Francia. Quando ha scoperto che vivevi qui, il resto del mondo ha cessato di esistere per lui e l’unica cosa che gli importava era trovarti. Dubito che avrebbe mai potuto dimenticarti con quella scialba Susanna Marlowe".

“Non parlare così, Annie. Lei è morta".

“Lo so, lo so, ma è la verità. Non valeva nulla in confronto a te e non cominciare a blaterare di quanto fosse bella e gentile, perché non lo sopporterei. Ma se non ci credi, chiedilo a Terence la prossima volta che lo vedrai. E sono certa che lo vedrai molto presto".

“Lo pensi veramente?" chiese Candy dubbiosa.

Annie sorrise compiaciuta e si alzò ancora una volta per prendere una grossa busta dallo stesso cassetto del tavolino da toilette. Si voltò e guardò Candy dritto negli occhi, sostenendo il suo sguardo interrogativo, e dopo un attimo di suspense disse: "Il tuo Terence è un uomo astuto. Sai, la settimana scorsa è stato qui".

"È venuto alla villa!" chiese Candy, impallidendo nuovamente.

"Certo che no, Candy. Sa benissimo che almeno uno degli abitanti di questa casa non sarebbe felice di vederlo. Ha recitato al Teatro Baker per due giorni. Iriza ti fará sicuramente un resoconto dettagliato del suo spettacolo domani sera durante la cena del Ringraziamento. Ma poco importa. Ha mandato il Sig. Hayward in sua vece a cercare espressamente me per darmi questa", spiegò Annie consegnando a Candy la busta sigillata, su cui non era scritto nulla, né mittente, né destinatario.

"Quell’uomo non ha mai fatto il nome di Terence con la servitù. Ha solo detto di avere un plico per te e che avrebbe dovuto consegnarlo direttamente a me.
Una volta soli, il Sig. Hayward mi ha spiegato che il messaggio era di Terence ed era indirizzato a te. Sicuramente non voleva correre il rischio che fosse intercettato da qualcuno che non aveva piacere di sapere che siete di nuovo in contatto. È sempre stato un tipo perspicace; chissà perché immaginava che sarei stata tua alleata in questa delicata questione".

Candy rivolse nuovamente lo sguardo alla busta. Era piuttosto grande e chiaramente conteneva qualcosa di più di una semplice lettera.

"Adesso ti lascerò sola con la tua lettera, che considerate le proporzioni della busta, sarà quantomeno chilometrica. Il pranzo sarà servito entro un’ora. Saremo solo noi, perché la Zia Elroy è a fare compere con la Sig.ra Legan. Pertanto, avremo la massima tranquillità".

Candy non rispose, ma Annie non si aspettava che le prestasse granché attenzione ora che stringeva la lettera tra le mani. Pertanto, si limitò ad uscire dalla stanza ed a chiudere la porta dall’interno per dare a Candy un po’ più di privacy.

Una volta rimasta sola, Candy prese un tagliacarte dal suo secretaire e aprì la busta con mani tremanti. Una volta visualizzatone il contenuto, rimase senza parole. Dentro la busta, infatti, c’era la stessa foto che era stata pubblicata sul giornale, ma opportunamente stampata su carta fotografica opaca, accompagnata dal seguente biglietto:

Non ho scuse per quello che ho fatto, ma ti giuro che non volevo assolutamente rendere la cosa pubblica in questo modo, tuttelentiggini. Ma ora che la notizia si è sparsa e quantunque il tuo nome non sia stato reso noto, immagino che presto tutti sapranno di noi. Ti dispiace? A me no.
Al contrario, ho pensato che la foto fosse un bel ricordo del tempo passato insieme a Pittsburgh. Dobbiamo ringraziare l’intraprendente Sig. Hayward per essere riuscito a ottenerne due copie dalla redazione del giornale. Tieni pure questa, mentre deciderai cosa fare. Per quanto mi riguarda, mi assicurerò di indossare la mia maschera da scherma la prossima volta che ci vedremo, in caso volessi esercitare le tue abilità di schiaffeggiatrice sulla mia faccia.
Ma ti avverto, se ne avrò l’opportunità, ripeterò la scena quante più volte possibile, indipendentemente dai giornalisti.


Candy si coprì il volto con una mano, scuotendo il capo incredula. Le sue guance erano in fiamme. Terence era così, aveva sempre un commento sfrontato da fare nelle situazioni più assurde. Il gesto di inviarle la foto come ricordo era stata l’idea più impudente che avesse mai potuto partorire, e per di più, era stato così impertinente da minacciarla di ripetere la scena, ora che era stata pubblicamente resa nota a tutti.

"Dovrei preoccuparmi", disse Candy fra sé e sé arrossendo violentemente, "Meriteresti davvero che ti schiaffeggiassi, ma anziché arrabbiarmi con te, non faccio che sperare che tu dia seguito alle tue minacce. Devo essere impazzita".

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La stanza d’albergo di Topeka non aveva riscontrato il gradimento del Sig. Graham, non essendo comunicante con quella di Hayward. L’idea di dover aprire la porta principale al suo segretario ogni volta che ne aveva bisogno non si addiceva affatto alla sua mentalità aristocratica. Pertanto, Terence si era ritrovato in impaziente attesa nella hall, mentre Hayward richiedeva una stanza che rispondesse alle esigenze del suo datore di lavoro.

Essendosi accorto che l’attore era sull’orlo di una crisi di nervi, il direttore dell’albergo gli aveva fatto servire un thè e la familiare bevanda stava iniziando ad avere il consueto effetto benefico sul suo umore. Dentro di sé, Terence sapeva bene, però, che il suo cattivo umore avrebbe in ogni caso avuto vita breve, come accadeva spesso di recente. Persino quella foto indiscreta sui giornali non lo aveva scalfito più di tanto.

La notizia gli era giunta in maniera del tutto inaspettata. Si trovava ancora a Columbus – la città in cui avevano sostato dopo Pittsburgh – ed era intento a fare colazione con Robert Hathaway, quando il veterano attore gli aveva improvvisamente rivolto uno sguardo alquanto perplesso.

“C’è qualcosa che non va, Robert?" gli aveva domandato incuriosito.

“Mi sono chiesto più volte cosa ti stesse accadendo di recente", aveva detto Hathaway osservando il suo pupillo da dietro gli occhiali da lettura, mentre stringeva ancora il giornale tra le mani, “e ora penso di conoscere la risposta alla mia domanda; sebbene faccia fatica a crederci".

“Oh, davvero? E la risposta sarebbe. . ."

“Come hai detto tu stesso qualche giorno fa", replicò Hathaway con un sorriso trionfante, “è stato il tocco di un angelo".

E nel dire ciò, l’uomo aveva spiegato il giornale sul tavolo, per consentire a Terence di vedere la foto. Quando il suo sguardo si era posato sull’articolo, il giovane si era sforzato di mantenere il controllo delle proprie emozioni, ma un attore sa riconoscere facilmente i trucchi di un altro attore, per cui Hathaway non si era lasciato trarre in inganno. Non era da Terence farsi cogliere di sorpresa in una situazione così intima con una gentildonna, perlopiù in una delle stazioni ferroviarie più frequentate del paese. Di fatto, Hathaway non ricordava alcun passo falso di questo tipo in tutti gli anni in cui Terence era stato fidanzato con Susanna Marlowe. Quella donna doveva essere davvero importante per lui per fargli abbassare la guardia in quel modo e spingerlo a comportarsi da persona quantomeno normale.

“Cosa mi dici di questa?" gli aveva chiesto Hathaway.

Terence aveva atteso un po’ prima di rispondere. Per un attimo, si era limitato a sfregarsi delicatamente il mento come per tentare di riordinare le idee, mantenendo la sua solita maschera di impenetrabilità. I suoi timori iniziali erano svaniti una volta resosi conto che nell’articolo non si rivelava il nome di Candy. Non avrebbe voluto forzarla ad uscire allo scoperto in questo modo, nel caso in cui nutrisse ancora dei dubbi riguardo ai sentimenti che provava per lui. Una volta scampato questo pericolo, il giovane era persino riuscito a cogliere il lato divertente dell’intera situazione.

“Credo che questa foto non renda affatto", disse finalmente, mantenendo la sua espressione austera, “la dama in questione è decisamente più affascinante di persona".

Terence ricordò che dopo la sua conversazione con Hathaway, la sua principale preoccupazione era stata la reazione di Candy all’articolo. Si era sorpreso di non sentirsi affatto disturbato dall’imbarazzante scena. Sebbene avesse sempre odiato ed evitato i giornalisti, era rimasto alquanto compiaciuto da quell’articolo.

Dopo Pittsburgh, aveva infatti iniziato a domandarsi se quello che era accaduto non fosse stato solo un sogno. Per fortuna, quella foto gli forniva una prova tangibile del fatto che non era stato tutto frutto della sua fantasia. Terence si domandò se Candy avesse provato le stesse cose. Mosso da questi pensieri, aveva fatto in modo di ottenere la foto e successivamente, aveva elaborato un piano per consegnarla a Candy senza correre rischi.

Mentre Terence ripensava agli ultimi avvenimenti, fu richiamato alla realtà da Hayward, che gli comunicava di aver espletato tutte le formalità per far sì che gli fosse assegnata la stanza che aveva richiesto. Qualche minuto dopo, il Sig. Graham aveva preso possesso della sua camera e, una volta rimasto solo, si apprestava a leggere una lettera della sua governante.

In base a un accordo tra lui e sua madre, ogni volta che Terence o la Sig.ra Baker erano in viaggio, si spedivano delle lettere usando il nome della governante di Terence, in modo da sfuggire a sguardi indiscreti. Pertanto, non fu una sorpresa per il giovane trovare all’interno della busta una lettera vergata nell’elegante scrittura della madre. La natura della comunicazione si era però rivelata una questione completamente diversa. Di fatto, la lettera trattava un argomento che non si sarebbe mai aspettato.

Long Beach, 18 novembre, 1924

Caro Terry,

Spero che tu riceva questa lettera durante il tuo soggiorno a Topeka. Non intendo commentare un articolo che è stato pubblicato oggi; ti basti sapere che sono davvero felice per te. Il motivo per cui ti scrivo è però tutt’altro. Ho appena ricevuto una lettera da qualcuno con cui pensavo di aver interrotto qualsivoglia comunicazione.

Mi ha scritto tuo padre e la ragione per cui l’ha fatto sei tu. Ti prego, Terry, non gettare via questa lettera in uno dei tuoi attacchi d’ira. Leggila attentamente e poi deciderai liberamente cosa fare. Le intenzioni di tuo padre sono conciliatorie. Non avevo mai letto nulla di così profondamente sincero scritto di suo pugno.

Presumo che l’età e le difficoltà della vita abbiano intaccato il suo proverbiale orgoglio. Richard mi ha scritto chiaramente di rimpiangere molte delle cose accadute in passato, specialmente per quanto ti riguarda. Ha inoltre aggiunto che desidererebbe incontrarti la prossima volta che sarà in America, ovvero il prossimo gennaio. Giura che la sua unica intenzione è di cercare una riconciliazione con te e mi ha chiesto di persuaderti ad accettare la sua visita.

So benissimo che la tua prima reazione sarà di rifiutare questo incontro. So che hai sofferto troppo per causa sua e il tuo risentimento non ti consente di accoglierlo a braccia aperte, ma ti prego di valutare con attenzione quello che intenderai fare.
Ho pensato che avresti avuto bisogno di un po’ di tempo per riflettere sulla questione, ecco perché ho deciso di inviarti questa lettera adesso.

Prima che tu prenda una qualsiasi decisione, lasciami dire che malgrado le sue molte mancanze, Richard Grandchester è pur sempre tuo padre – puoi biasimare me per questo, se vuoi – ed in quanto tale dovresti almeno dargli la possibilità di parlarti. Inoltre, qualcuno a te molto caro ti ha recentemente dato un’importante lezione sul perdono, che credo tu debba prendere ad esempio. Sono certa che lei sarebbe fiera di te, se ti riconciliassi con tuo padre.

Pensa a tutto questo, figlio mio. Qualsiasi cosa deciderai, sappi che la tua devota madre ti sosterrà sempre.
Con amore,
Eleanor

Visibilmente scosso, il giovane lasciò cadere la lettera sul tavolino davanti a sé. Il solo sapere che suo padre aveva intenzione di contattarlo gli sembrava un’idea assurda, ma il fatto che sua madre avesse usato la storia con Candy come espediente per intercedere a favore di quest’ultimo era stato davvero troppo. Non sopportava che sua madre lo conoscesse così bene.

Terence si sdraiò sul divano della sua camera, con lo sguardo perso a fissare il soffitto. Per anni aveva cercato di convincersi che in cuor suo non gli importasse nulla di Sua Grazia. Tuttavia, il peso sul petto che aveva improvvisamente avvertito lo contraddiceva. Adesso, oltre ai sentimenti confusi che nutriva nei confronti di suo padre, paventava il giorno in cui Candy avrebbe scoperto quanto stava accadendo.

"Se non facessi di nuovo parte della mia vita, Candy, sarebbe molto più semplice risolvere la questione con il Duca. Ma ora che ho la sensazione che tra me e te le cose possano sistemarsi, la situazione potrebbe paradossalmente complicarsi". Il giovane rise riflettendo sull’ironia della sorte, "Per così tanto tempo ho desiderato riaverti nella mia vita ben più di quanto desiderassi la vita stessa. Eppure, avevo dimenticato che questo significherebbe lasciare che tu metta bocca in tutte le questioni che mi riguardano, tirando fuori tutti i miei scheletri dall’armadio, inclusi quelli più dolorosi. Ma non questa volta, tuttelentiggini. Non lascerò che tu venga a sapere di questa storia".


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Candy si guardò nello specchio per l’ultima volta. Dopo Pittsburgh non aveva più avuto il coraggio di indossare il vestito con le perline, così aveva deciso di acquistare qualcosa di diverso. Aveva scelto un abito verde scuro in crêpe de chine con risvolti ai lati e corpetto senza maniche. La vita bassa era adornata da alcuni fiocchetti all’altezza del fianco sinistro; la gonna, che le arrivava alle caviglie, era di pizzo dello stesso colore. Le piaceva il contrasto tra la tonalità scura dell’abito e la sua pelle chiara, sebbene il pallore sembrasse ormai essere démodé. Candy sapeva che per una bionda come lei sarebbe stato impossibile acquisire un colorito più abbronzato. Ma non essendo mai stata schiava della moda, non si preoccupava più di tanto della sua carnagione o delle sue lentiggini.



In ogni caso, non importava quanto si fosse impegnata per avere un aspetto impeccabile, sapeva che alcune delle dame presenti avrebbero comunque trovato qualcosa da ridire nel suo abbigliamento, nel suo atteggiamento o nelle sue parole. Dato che era inutile agghindarsi per piacere agli altri, aveva deciso di farlo per sé stessa. Lanciò un nuovo sguardo ai gioielli che aveva scelto per l’occasione e fu soddisfatta dell’effetto dei brillanti che indossava. La discreta demi-parure composta da collana e orecchini le era stata regalata da Albert per il suo compleanno.



La giovane si allontanò dallo specchio per cercare i guanti, quando un lieve colpo alla porta le fece intuire che Albert era già lì per accompagnarla. Pensò che fosse un po’ presto, così credette che lui volesse cogliere l’occasione per parlarle in privato, prima che avesse inizio la cena.



"Avanti. È aperto", disse mentre si voltava, accogliendo Albert con un sorriso, "Come sto?" gli chiese.



"Sai perfettamente di essere bellissima, cara", le rispose lui, dandole un bacio sulla guancia.



"Va' a dirlo alla zia Sarah ed alla cara cugina Iriza", scherzò, invitando Albert ad accomodarsi.



L’uomo la seguì e prese posto su una poltrona verde chiaro, mentre Candy preferì un divanetto.



"Cosa c’è che non va, Albert?" gli chiese, optando per l’approccio diretto, "Conosco quello sguardo. C’è qualcosa che ti preoccupa".



"Sei terribilmente perspicace, ragazzina", ridacchiò lui con un mezzo sorriso. "Hai ragione; sono venuto qui perché volevo parlare un po’ con te prima di cena. Ci sono alcune cose che mi preoccupano ultimamente".



"Per caso c’entra la Zia Elroy?" gli chiese, corrugando la fronte quasi impercettibilmente, "Ho notato che ha perso peso".



"Hai indovinato ancora. Un paio di mesi fa le è stato diagnosticato il diabete. Il medico sostiene che non esista una cura", disse Albert, mentre un’ombra gli velava gli occhi azzurri.



Candy rimase in silenzio per un momento, sapendo bene cosa implicasse quella malattia.



"Albert, il medico ha ragione, ma sicuramente ti avrà detto che recentemente è stato sviluppato un nuovo farmaco per tenere il diabete sotto controllo", lo consolò lei, mentre gli prendeva la mano.



"Sì, me l’ha detto, ma mi ha anche spiegato che la zia Elroy deve cambiare stile di vita per garantire l'efficacia della terapia e che, alla fine, la battaglia sarà comunque persa. So che la morte fa parte della vita e considerata la sua età, è qualcosa che avremmo dovuto aspettarci prima o poi, ma non riesco a farmene una ragione. È sempre stata così forte e indipendente; è stata sempre presente, ha fatto sempre parte della mia vita".



"Ma la zia Elroy non ci lascerà tanto presto, Bert. La terapia insulinica è piuttosto nuova e ancora non sappiamo quanto a lungo si possa combattere la malattia con il suo aiuto, ma è decisamente un’ottima possibilità rispetto al passato", disse Candy, facendo del proprio meglio per tirargli su il morale, "ma dovrà seguire la terapia scrupolosamente, specialmente per quanto riguarda l'alimentazione".



"È esattamente questo che mi preoccupa. So che il personale le è molto devoto malgrado i suoi modi arcigni, ma non sarebbe disposta a dar retta a nessuno di loro. C’è bisogno che uno di noi si accerti che segua la terapia e la metta sotto pressione nel caso in cui si rifiutasse di farlo. Sai bene che quando sono a Chicago sono sempre troppo impegnato con la banca e con le altre società della famiglia; e il resto dell’anno sono costantemente in viaggio. Pertanto, non sarei la persona più adatta. Mia cugina Janice vive all’estero e ci fa visita raramente e Sarah. . . beh, la conosci. Non penso che le si possa affidare la cura di una persona anziana. Tu vivi alla Casa di Pony e non oserei interferire con il tuo lavoro lì".

"Hai mai pensato che Annie è qui tutto il tempo, Albert?" gli chiese Candy.


Albert guardò Candy mal celando la sua incredulità.


"Non credo che Annie sarebbe abbastanza forte da opporsi a mia zia qualora decidesse di concedersi qualcosa di dolce", disse Albert, sfregandosi la nuca.


"Annie sarà sempre la stessa ragazza dolce e timorosa", obiettò Candy, "ma il matrimonio e la maternità hanno operato alcuni cambiamenti in lei. È meno egoista e insicura di prima. So che con l’aiuto del personale, sarà in grado di tenere sotto controllo la dieta della zia Elroy senza perderla di vista. Se vuoi, potrei insegnarle a misurarle la pressione ed altri segni vitali e potremmo discutere dell’intera terapia con la zia Elroy in persona. Sai bene che mi dà più ascolto dopo che mi sono presa cura di lei quando ha avuto quella terribile febbre un paio d’anni fa. Annie era con me quella volta ed è stata un valido aiuto. Sono certa che sarebbe perfettamente capace di tenere sott’occhio la zia Elroy e chiamare immediatamente un dottore nel caso in cui le cose dovessero peggiorare".


"Beh, messa così, sembra una buona soluzione", rispose, sembrando un po’ più sollevato, "hai la capacità di rendere semplici anche le cose più complicate”, aggiunse l’uomo, mentre la tensione si allontanava dal suo viso.


"Può fidarsi di questa infermiera per risolvere qualunque problema, Sig. Albert", scherzò, felice di constatare che il suo amico aveva ritrovato il sorriso. "Piuttosto, quale sarebbe l’altra cosa che ti preoccupa?" gli chiese nuovamente, intenzionata a non lasciar cadere l’argomento finché Albert non le avesse confidato tutto.



"Credo che spetti a me risolvere il secondo problema", esordì.



"Quindi ha a che fare con gli affari", suppose lei.



"Esattamente. So che odi parlare di questioni finanziarie ma tu e Archie siete gli unici due di cui mi fidi. Ne ho già parlato con lui, ma non volevo lasciarti all’oscuro delle mie intenzioni".



"D’accordo, se non puoi farne a meno, dimmi pure", disse lei con rassegnazione, sperando di riuscire a comprendere le sue motivazioni. Per lei, il mondo della finanza era un enigma che non aveva interesse a risolvere.



"Candy, ci stiamo arricchendo parecchio ultimamente, sai?" esordì.



"Ed è una novità?"



"Beh, non proprio, ma c’è qualcosa che non mi convince. Le banche guadagnano grazie ai prestiti e possono fare molto comodo, fino a un certo punto. Quando l’economia va bene, sono più accessibili e molta più gente vi fa ricorso".



"Dovrebbe essere una cosa positiva per le attività di famiglia", esclamò Candy.



"Certo, ma quando si prende in prestito più denaro di quanto non si possa restituire, le cose potrebbero mettersi male per tutti", continuò, alzandosi ed appoggiandosi alla mensola del camino, "dalla fine della guerra è scoppiata una vera e propria moda, la gente compra e chiede prestiti come mai prima d’ora. Sembrano tutti entusiasti e ottimisti rispetto all’andamento dell’economia, ma il mondo degli affari sta diventando sempre più torbido. C’è molta speculazione; troppi rischi e troppa aggressività per i miei gusti. Il marito di Sarah sta facendo soldi a palate in questo modo".



Candy notò che Albert era piuttosto teso mentre le parlava. Ne dedusse che non era affatto d’accordo con l’atteggiamento del Sig. Legan.



"Sbaglio, o non approvi?" disse Candy apertamente.



"Assolutamente no, Candy. La gente ricca, come noi, finisce per credere che si possa disporre di qualunque cosa a proprio piacimento. Dimentichiamo che il potere che ci dà il denaro, richiede anche una grande responsabilità. Centinaia di famiglie dipendono dalle nostre attività per guadagnarsi da vivere. Se pensassimo soltanto alla nostra avidità, finiremmo senz’altro per arricchirci, ma ciò significherebbe semplicemente far impoverire gli altri. Non era ciò in cui credeva mio padre. Non ho avuto la possibilità di conoscerlo come uomo d’affari, ma ha insegnato tutto quello che sapeva a George ed io sono perfettamente in grado di discernere cosa avviene intorno a me. A differenza di quello che si pensa, temo che sia impossibile sostenere a lungo la stabilità economica ed il tasso di crescita di cui godiamo al momento. Se scoppiasse una crisi, sarebbe troppo rischioso avere la maggior parte del nostro patrimonio investito in manovre speculative".


"Non stai seriamente pensando che gli Andrew possano restare a corto di risorse, vero?" chiese Candy divertita da quell’ipotesi.


"Sarebbe alquanto improbabile, viste le nostre conoscenze e la nostra influenza", rispose Albert condividendo il sorriso, "ma se la nostra fortuna subisse un duro colpo, ciò si ripercuoterebbe sulle vite di coloro che lavorano per noi. Pertanto, ho deciso di non seguire questa pericolosa moda come vorrebbero i Legan. Al contrario, cercherò di ridimensionare le nostre attività".


"Vale a dire?" chiese Candy incuriosita.


"Vale a dire che eviterò di partecipare a determinate imprese, venderò alcune delle nostre proprietà e investirò in qualcosa di sicuro, forse oro, ridimensionando il nostro bilancio per qualche anno. Voglio costituire un fondo d’emergenza per tutelare gli interessi dei nostri dipendenti e assicurarmi che il loro posto di lavoro non sia a rischio nell’eventualità di una crisi".



"Significa anche che ridurrai le donazioni alla Casa di Pony?" chiese Candy, allarmata di fronte a tale eventualità.



"Dio mio, no, cara; al contrario, il fondo dovrebbe essere abbastanza nutrito per consentirci di continuare a dare il nostro contributo, indipendentemente da tutto. Sfortunatamente, la famiglia dovrà fare qualche sacrificio rispetto ad alcuni progetti personali. La zia Elroy dovrà rinunciare all’idea di rinnovare la casa per l’ennesima volta e Archie dovrà accontentarsi di venire dopo il Principe di Galles in quanto a eleganza. Forse sono troppo apprensivo e alcuni potrebbero pensare che sia fuori di senno, ma ho un presentimento e preferisco ascoltarlo. Voglio essere preparato nel caso in cui qualcosa destabilizzasse la nostra economia. Mi sosterrai in questo?" le chiese, mentre l’ombra del dubbio velava il suo sguardo.



Candy pensò che fosse buffo vedere Albert così insicuro, sebbene fosse sempre così determinato e saggio. Fu felice di potergli offrire sostegno e consiglio. Forse non avrebbe mai compreso appieno i misteri dell’economia e del mercato azionario, ma il suo buonsenso e la sua perspicacia la spingevano a condividere i timori altruistici di Albert.



"Bert, se ritieni che sia più saggio ridimensionare le attività di famiglia anziché espanderle, in modo da tutelare chi dipende da noi, allora fai pure. Sei il capofamiglia e qualsiasi cosa farai, io ti sosterrò. Se dovessi fallire nel tentativo di proteggere coloro che si affidano alle nostre attività, almeno saprai di aver fatto quello che ritenevi giusto in tutta onestà, dedicando tutti i tuoi sforzi a quest’impresa. Inoltre, semmai diventassi povero, potresti sempre venire a vivere alla Casa di Pony con noi. Non stavamo bene nel nostro appartamentino di Chicago?" concluse, strizzandogli l’occhio.



Alle parole di conforto di Candy, il volto e le spalle di Albert iniziarono a rilassarsi.



"Eravamo piuttosto felici allora, vero?" gli chiese, spalancando le braccia per accogliere la giovane.



"Il denaro può essere d’aiuto, Bert, ma si può andare avanti anche con poco, se necessario. Sono ben altre le cose che, con la loro mancanza, ci rendono tristi e infelici", rispose, poggiando la testa sul suo petto.



Restarono così per un po’. Il silenzio che seguì fu tanto accogliente quanto necessario.



"Candy," disse lui, rompendo iI silenzio, "Io ti ho raccontato cosa mi affliggeva. Ora tocca a te. Quando mi dirai cosa c’è che non va? Non mi sei sembrata la solita Candy negli ultimi due giorni", chiese l’uomo, sollevandole il mento con la mano destra.



"Non è così semplice, Albert", esordì, sapendo che doveva al suo padre adottivo un resoconto completo degli eventi recenti. In quel momento, l’orologio della sua stanza segnò le otto in punto. "Ne possiamo parlare dopo cena? Ho bisogno di un po’ di tempo per raccontarti tutto".



"Forse hai ragione. La zia Elroy ci starà aspettando per farsi accompagnare in sala da pranzo. È meglio andare", suggerì, mentre prendeva la mano di Candy per condurla verso la porta, "dopo il caffè ed il consueto intrattenimento musicale, congedati da tutti e aspettami in biblioteca. Non appena mi sarò liberato degli ospiti, ti raggiungerò lì".



E nel dir ciò, uscirono dalla stanza verde, affidandosi alla loro salda amicizia ed al loro affetto per affrontare il branco di iene che li attendeva per cena.

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Edited by sailor74 - 28/4/2013, 18:58
 
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Da quando Priscilla Andrew era morta, la zia Elroy aveva sempre svolto il ruolo di padrona di casa in occasione di grandi eventi e riunioni di famiglia. Tuttavia, negli ultimi tre anni, aveva delegato tale responsabilità nelle giovani ma capaci mani di Annie Cornwell. La decisione era stata un’amara sorpresa per Sarah Legan, che aveva creduto che il ruolo di matriarca della famiglia sarebbe toccato a lei, perlomeno finché William Albert non si fosse sposato. Di fatto, l’unica figlia di William C. Andrew, Rosemary, era ormai morta da tempo e la cugina Janice Cornwell, che precedeva Sarah in anzianità e lignaggio – essendo una vera Andrew da parte di madre – viveva all’estero. Pertanto, la conclusione logica sarebbe stata che la figliastra della zia Elroy ricevesse tale onore. Tuttavia, Sarah aveva dimenticato che in assenza di Janice, l’erede legittima sarebbe stata sua nuora. La donna sapeva che il protocollo imponeva che fosse così, ma non riusciva affatto a sopportare l’idea che un’orfana di vent’anni più giovane avesse precedenza sociale su di lei. Pertanto, cercava sistematicamente di trovare qualcosa che non andasse in ogni evento sociale organizzato da Annie, anche se con scarso successo. La Sig.ra Brighton aveva fatto un lavoro impeccabile nell’educare sua figlia. La giovane era perfettamente in grado di gestire le consuete responsabilità di una gran dama. Annie, per quanto timida e pacifica, aveva sviluppato un gusto raffinato ed era meticolosa ed abile nella gestione della casa. Inoltre, la Sig.ra Brighton era sempre presente, sostenendo Annie in tutti i suoi sforzi, pronta a difendere sua figlia qualora fosse stato necessario. La Cena del Ringraziamento era dunque un vero e proprio campo di battaglia in cui le dame presenti si contendevano la posta in gioco, costituita da potere e status sociale, così come facevano gli uomini con le rispettive imprese finanziarie.

Quella sera gli ospiti non erano molto numerosi. Si trattava, di fatto, di una riunione familiare con sole quattordici persone della cerchia più stretta. Tuttavia, Annie aveva scelto in ogni caso di utilizzare la grande sala da pranzo con il tavolo in mogano massiccio ed i magnifici lampadari barocchi. Dato che erano presenti anche i genitori di Archie, si trattava di un’occasione piuttosto importante, che richiedeva la massima formalità ed eleganza. Erano state preparate le migliori porcellane e le più raffinate posate d’argento per offrire agli ospiti una grandiosa cena del Ringraziamento. Il menu comprendeva due zuppe, diverse portate tra cui scegliere, contorni assortiti, tre dessert, una selezione di formaggi e un vasto assortimento di vini francesi e italiani. Prima dell’inizio del Proibizionismo, la zia Elroy era stata abbastanza previdente da rifornire le cantine di tutte le proprietà degli Andrew in modo da poter disporre di vini e liquori a sufficienza per gli anni a venire senza preoccuparsi delle regole. Pertanto, Annie aveva ora la possibilità di sorprendere i suoi ospiti con un’elegante selezione di vini.

Candy, che non nutriva il minimo interesse nei confronti delle rivendicazioni sociali che Annie sembrava voler fare con ogni portata servita ai suoi ospiti, era determinata a godersi la cena. La bionda non aveva mai disdegnato il buon cibo e la zuppa di vongole con il pane fragrante imburrato erano così invitanti che dimenticò per un attimo cosa stesse avvenendo intorno a sé. A sua insaputa, più di un paio d’occhi erano puntati sulle ragazze della Casa di Pony, aspettando l’opportunità di scagliare il primo dardo della serata.

"Allora, come stanno i tuoi orfanelli?" chiese Iriza, annoiata dalla conversazione sul sorprendente volo transatlantico dalla Germania al New Jersey compiuto dallo Zeppelin il mese precedente.

"Stanno benissimo, sei molto gentile a chiedermelo", rispose Candy, prima di continuare a sorseggiare un bicchiere di vino bianco Romanee Conti.

"Non so come tu faccia a condurre una vita così tranquilla. Io non riuscirei a star lontana dalla confusione di Chicago", continuò Iriza, scuotendo il capo in modo affettato, "ma ovviamente, per una ragazza di campagna come te, non deve essere un problema", aggiunse sarcastica.

"Hai perfettamente ragione, Iriza, amo molto la nostra meravigliosa campagna del Midwest. Ogni volta che sono lontana da casa, ne sento profondamente la mancanza", rispose Candy con naturalezza, facendo cenno alla domestica che avrebbe gradito un po’ di fagiolini, zucchine e carote come contorno.

"Non sei l’unica ad avere nostalgia dei nostri verdi prati, cara Candy", intervenne la Sig.ra Janice Cornwell, che era seduta accanto a lei, “Rimpiango i giorni in cui io e Rosemary scorrazzavamo per i campi intorno alla villa di Lakewood per raccogliere fiori di campo. Ricordo che nemofile e calendule erano quelli che preferivo".

"Quali erano i fiori di campo preferiti della Sig.ra. Brown?" chiese subito dopo Candy, sempre bramosa di sapere qualcosa in più sulla madre di Anthony.

"Ovviamente, i garofani del poeta, noti anche come dolci-william", fu la spontanea risposta di Albert, seguita da una maliziosa strizzatina d’occhio a Candy, che sedeva alla sua destra.

"Sei alquanto pieno di te, William. Mi domando come mai ciò non mi sorprenda affatto", intervenne la zia Elroy, che malgrado fosse seduta all’altro capo del tavolo, aveva seguito la conversazione. Tutti risero alla sua osservazione. Non capitava spesso che la distinta signora osasse fare un commento scherzoso.

"I fiori di campo preferiti della Signorina Rosemary erano le zinnie. Sono certo che se ne trovino molti intorno alla Casa di Pony, Signorina Candice", disse George, che era accomodato alla sinistra di Albert. Candy notò che quando aveva nominato Rosemary, l’uomo non aveva sollevato lo sguardo dal suo piatto.

"Sembra tutto così poetico", intervenne Iriza, non avendo gradito il cambio di argomento, "ma ribadisco che la vita in città offre innumerevoli opportunità di svago e lavoro. Ad esempio, pochi giorni fa ho avuto la fortuna di partecipare ad un evento estremamente piacevole", continuò, assaggiando appena il petto d’anatra con glassa d’acero che aveva scelto come piatto principale.

"Saresti così gentile da raccontarci di cosa si trattasse?" chiese Candy, avendo già intuito le sue intenzioni.

"Oh beh, sai com’è Chicago, offre sempre una grande varietà di spettacoli di altissima qualità, sono stata a teatro alcuni giorni fa per assistere alla rappresentazione di un’opera di Shakespeare. Ti ricorderai certamente che sono sempre stata molto appassionata del Bardo sin dai tempi della scuola".

Candy fece un sorrisino accondiscendente. Per quel che ricordava, Iriza aveva passato la maggior parte delle lezioni di letteratura di Suor Margaret sonnecchiando e sognando a occhi aperti.

"E dicci, di grazia, qual era l’opera in questione?" la imbeccò Candy, concentrandosi sul suo tacchino arrosto in salsa di mirtilli.

"Macbeth. Sono rimasta totalmente sorpresa dall’opulenza della produzione e dalla complessità dei personaggi", rispose Iriza, soddisfatta di aver attirato l’attenzione di tutti.

"Penso che ci siano alcuni personaggi della storia con cui ti identificherai sicuramente", disse Archie incapace di resistere alla tentazione, essendo seduto proprio accanto alla scellerata cugina. "Non è Macbeth l’opera in cui ci sono tre streghe?" chiese poi, rivolgendosi ai presenti con un malizioso sorriso. Annie, che aveva seguito la conversazione in silenzio, diede un pizzicotto al marito da sotto il tavolo.

"Ti piace sempre scherzare, cugino", rispose Iriza con un finto sorriso, per poi rivolgersi nuovamente a Candy, "Non crederai mai chi recitava nella parte di Macbeth, Candy. Terence Grandchester in persona, o forse dovrei dire Terence Graham. È un vero peccato che fossi impegnata a chiedere l’elemosina per i tuoi orfanelli. So che ti avrebbe fatto molto piacere rivederlo".

A quest’ultimo maligno commento, almeno tre paia d’occhi si voltarono a guardare Iriza, pronti a interromperla ed a cambiare argomento, ma prima che Archie, Albert o Neil potessero intervenire in alcun modo, Candy, con estrema tranquillità, rispose: "Se vi recitava anche Terence, sono certa che tu abbia passato una serata piacevole a teatro e sono felice per te, Iriza. Per quanto mi avrebbe fatto estremamente piacere essere lì con te per condividere l’esperienza, devo dire che non rimpiango neppure un minuto del tempo dedicato al benessere dei miei cari bambini. Uno di questi giorni sarò lieta di invitarti ad accompagnarmi in uno dei miei viaggi. Data la tua posizione sociale, sono certa che saresti molto utile alla causa", replicò Candy, senza battere ciglio.

"Forse avresti maggior successo in quello, sorellina", intervenne Neil che era rimasto in silenzio per tutta la cena, "Per quanto ricordi, i tuoi tentativi di avvicinare Grandchester dopo lo spettacolo sono stati un fallimento totale".
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, Neil sarebbe morto stecchito a causa dell’occhiata assassina lanciatagli dalla sorella.

"Una signora del nostro rango non dovrebbe mai dimenticare che ci si aspetta da lei che si interessi dei bisogni dei meno fortunati, Iriza", commentò la zia Elroy, mentre il resto degli ospiti a tavola ascoltava in rispettoso silenzio quello che l’anziana donna aveva da dire, "Mia cognata, la compianta Priscilla Andrew, aveva dedicato la sua vita alla beneficienza. Devo ammettere che dopo di lei, le donne della nostra famiglia, inclusa me, non sono state alla sua altezza in tal senso. Fortunatamente, con i suoi sforzi Candice sta riabilitando la nostra famiglia. Tutte le dame di Chicago approvano appieno quanto sta facendo. La prossima volta faresti bene ad accettare il suo invito, Iriza".

"Sì, zia Elroy", rispose la giovane, decidendo di rimanere in silenzio per il resto della cena, mentre la conversazione veniva dirottata su altri argomenti. Sapeva che avrebbe avuto altre occasioni di torturare Candy nel corso della serata, specialmente una volta che gli uomini si fossero congedati dalle signore.

Albert lanciò uno sguardo a Candy; si stava beatamente godendo la torta di noci mentre conversava con il Sig. Cornwell e sua moglie. Non aveva notato alcuna traccia di turbamento sul suo volto dopo che Iriza aveva malignamente sollevato la questione della visita di Terence a Chicago. Era fiero del modo in cui avesse gestito la situazione e si domandò se avesse finalmente smesso di versare lacrime sulla loro dolorosa rottura. Tra sé e sé, Albert sorrise pensando che dopo così tanti anni, fosse ormai giunto il momento. Soddisfatto di come si stava evolvendo la serata, continuò a degustare la sua aragosta. Annie sapeva che Albert amava molto il pesce ed aveva esplicitamente chiesto alla cuoca di preparare l’aragosta solo per lui. La maggior parte degli ospiti erano già al dessert, ma William Albert mangiava sempre piuttosto lentamente, perché preferiva assaporare ogni boccone, deliziandosi con ogni singolo aroma che costituiva una pietanza. Dopotutto, era una sua prerogativa in qualità di capofamiglia far sì che la cena durasse finché lui non ne fosse stato del tutto soddisfatto.

Inoltre, sapeva che dopo cena gli uomini si sarebbero congedati dalle donne per riunirsi nella sala francese e intrattenersi con sigari e Cognac, mentre le signore si sarebbero trasferite nella sala da thè. Paventava il momento, sapendo che i Legan avrebbero nuovamente tentato di convincerlo a prendere parte a uno dei loro progetti.

Per il momento, si sentiva benissimo, si stava godendo la cena, Candy era seduta alla sua destra e George alla sua sinistra. Pensò che fosse alquanto buffo che le due persone a cui era in assoluto più legato in seno alla famiglia non condividessero il suo stesso sangue. Inoltre, la giovane donna e l’uomo accanto a lui erano disprezzati dalla maggior parte dei suoi parenti, che non li ritenevano alla loro altezza. Sapeva che alcuni membri della sua famiglia chiamavano George "l’Intruso" e non accettavano che quest’ultimo avesse una così grande influenza su di lui. Sapeva anche che i Legan continuavano ad odiare Candy, malgrado l’apparente cortesia che cercavano di dimostrarle. In fondo ai loro cuori, Sarah e Iriza avrebbero sempre considerato Candy la "Stalliera". Ma non gliene importava nulla. I suoi parenti potevano pensarla come volevano, purché tenessero le proprie opinioni per sé senza fare del male alle persone che amava. Per il momento, era grato ad Annie per l’assegnazione dei posti a tavola quella sera, avendolo fatto accomodare a capotavola accanto alle persone a lui più care, seguite dai Cornwell, senior e junior, ed aver lasciato i Brighton ed i Legan vicino alla zia Elroy. Cos’altro avrebbe potuto desiderare?

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Dopo la biblioteca, la sala francese era stata la stanza preferita da William C. Andrew. Era stato proprio lì che aveva concluso gli accordi e le collaborazioni finanziarie di maggior successo durante le sontuose feste e cene che organizzava. Era arredata in stile Beaux-Arts, con boiserie che ornava le pareti, tappeti verde scuro adagiati sul parquet e mobili francesi in sfumature dorate. I divani e le poltrone in solida betulla erano decorati da listelli in ciliegio intarsiati con conchiglie e foglie d’acanto. La tappezzeria era prevalentemente di colore verde con alcuni tagli recanti il disegno del tartan della famiglia.

Il Sig. Legan si ricordò che era stato in quella stessa sala che aveva chiesto la mano di sua moglie Sarah. Dato che suo padre era passato a miglior vita alcuni anni prima, toccava al Sig. Andrew, in qualità di capofamiglia, decidere del futuro della figliastra di sua sorella. Ricordava perfettamente quanto si fosse sentito nervoso e insicuro inizialmente davanti alla figura imponente del biondo Sig. Andrew, consapevole della sua inferiorità in termini di rango e patrimonio. Con sua grande sorpresa, William Andrew, per quanto estremamente serio e riservato, non era affatto un tipo altezzoso e gli aveva dato subito la sua benedizione. Il suo matrimonio con Sarah era stato il primo passo della sua ambiziosa ascesa ai vertici della società di Chicago.

Sempre astuto e aggressivo quando si trattava di affari, Legan aveva da subito sfruttato al meglio la nuova posizione acquisita tramite il matrimonio. Attraverso le conoscenze garantitegli dai familiari di sua moglie, nel corso degli anni la sua fortuna era cresciuta in maniera esponenziale. Ora, dopo il grande successo della sua catena di alberghi a Miami, era pronto a espandere le proprie attività all’estero.

Quella sera il suo principale obiettivo era di convincere William Albert a finanziare il nuovo progetto che aveva intenzione di avviare a Cuba. Sapeva che non sarebbe stato facile, specialmente perché il giovane magnate non aveva mai mostrato grande interesse nei confronti delle sue proposte d’affari fino ad allora, ma doveva comunque tentare. Legan rimpiangeva ancora che suo figlio non fosse riuscito a sposare Candice. Se ciò fosse avvenuto, ora non si troverebbe lì aspettandosi di convincere William a sostenerlo in quella nuova avventura. Aveva creduto che lui e suo figlio avrebbero potuto trarre vantaggio dalla fiducia di Candy, ottenendone un enorme profitto. Tuttavia, era stato costretto ad abbandonare quel piano.

Ad essere onesti, l’idea non era stata sua. No, per quanto il piano sembrasse valido, doveva dar merito a sua figlia ed a sua moglie per aver suggerito tale possibilità. Nell’ambito dell’intera strategia, il fatto che suo figlio Neil fosse sinceramente innamorato di Candy all’epoca era solo una fortunata coincidenza. Ovviamente, Legan e sua moglie non avrebbero mai potuto prevedere che il padre adottivo di Candice si sarebbe opposto alla cosa con tale risolutezza. Gli bruciava ancora l’umiliazione che lui e la sua famiglia avevano subito quando William Albert Andrew aveva finalmente rivelato la sua identità di nuovo capofamiglia, annullando il fidanzamento.

Paradossalmente, da quella storia imbarazzante era comunque venuto fuori qualcosa di buono. A causa di quella delusione, suo figlio Neil era profondamente cambiato, interessandosi per la prima volta agli affari di famiglia. Da allora, il giovane aveva dimostrato una certa genialità dal punto di vista commerciale e ne aveva fatto il suo marchio distintivo. Legan era fiero che suo figlio fosse diventato un uomo d’affari talmente scaltro e astuto. Come lui, Neil non si faceva condizionare dagli scrupoli che sembravano essere la regola alla base di ogni decisione di William Albert Andrew, così come del suo discepolo, Archibald Cornwell. Legan credeva che le considerazioni di natura etica non fossero che una debolezza nel mondo degli affari e per questo disdegnava il comportamento di Albert. Eppure, questa volta sperava di riuscire a persuaderlo affinché lo sostenesse nella sua iniziativa con un prestito. Forse il cognac gli avrebbe dato un aiutino in tal senso.

Il Courvoisier era stato versato generosamente quella sera, accompagnato da sigari cubani che Legan aveva portato direttamente dall’isola. Durante i suoi studi alla Cornell, Legan aveva fatto amicizia con Mario García Menocal, divenuto successivamente presidente di Cuba, essendo entrambi membri della stessa confraternita Delta Kappa Epsilon. Nel 1920, quando García Menocal era ancora al governo, aveva organizzato la riunione della Confraternita nel suo paese, con lusso e generosità tali che avevano fatto storia. Da allora, gli era venuta l’idea di aprire una catena di locali notturni a L’Avana. Ora, sulla falsariga del successo dei suoi alberghi, sentiva di avere l’esperienza e la posizione finanziaria necessarie per fare fortuna a Cuba.

"Ho sentito che quel tuo amico, García, si era candidato nuovamente alla presidenza quest’anno, ma ha perso contro un certo liberale di nome Machado", disse il Sig. Cornwell Sr., dopo che Legan gli aveva illustrato l’idea, "Senz’altro non è una cosa positiva per quello che hai in programma. Machado non ama gli stati Uniti".

"Si era detta la stessa cosa quando il Presidente Zayas entrò in carica dopo Mario García, ma malgrado le idee liberali di Zayas, gli interessi americani nell’isola non sono stati intaccati durante il suo mandato. Non credo che le cose cambieranno durante l’amministrazione Machado. Non c’è nulla da temere in tal senso. I locali notturni a L’Avana sono tutti molto redditizi e anche nel caso in cui il nuovo presidente aumentasse le imposte, sarebbe comunque un affare vantaggioso", disse Neil gustandosi il suo sigaro.

"Che ne dici, William, ti unisci a noi? Se non lo facessi, sono certo che te ne pentiresti più avanti", insistette il Sig. Legan.

"Temo che ti deluderò ancora una volta, amico mio", rispose Albert con calma, "Le mie esperienze in America Latina non sono state affatto positive. Dopo i miei viaggi in Brasile e Messico sono giunto alla conclusione che noi americani dovremmo lasciare che quei paesi risolvano i loro problemi prima di pensare di fare affari con loro. Quando sono stato in Brasile due anni fa a visitare le miniere di ferro e le piantagioni di caffè di proprietà della famiglia sono rimasto inorridito davanti alle condizioni disumane in cui i miei stessi dipendenti erano costretti a lavorare e ho provato una profonda vergogna. Poi c’è stata la rivolta tenentista. Il Presidente Pessoa non è affatto riuscito a gestire la situazione e il risultato è stato il peggiore caos sociale che abbia mai visto. Non ce l’ho fatta a sopportare lo spargimento di sangue che ne ha fatto seguito. Pertanto, mi sono sentito molto sollevato quando ho finalmente trovato degli acquirenti interessati alle nostre proprietà".

"Avresti potuto mantenere le tue attività in Brasile e migliorare le condizioni dei lavoratori, se eri così interessato ad aiutarli”, suggerì il Sig. Brighton, che non aveva alcuna esperienza di investimenti all’estero.

"Non è così semplice", rispose Albert, con un pizzico di malinconia nella voce, "I governi latinoamericani non fanno quello che dovrebbero, ovvero tutelare gli interessi della gente. Al contrario, permettono che il nostro denaro controlli le loro decisioni e, incoraggiando i nostri investimenti, finiscono per promuovere un oltraggioso sfruttamento dei poveri, con la scusa di voler favorire il progresso, o almeno così dicono. Mi ero reso conto che qualsiasi cosa avessi fatto per cambiare le cose e tutelare i minatori ed i braccianti che lavoravano per noi, sarebbe durata solo finché fossi stato lì. Una volta tornato negli Stati Uniti, la corruzione del sistema, anche tra i sindacati e le forze di polizia, avrebbe ripristinato il caos di prima. Dato che non avevo in programma di trasferirmi in Brasile e vigilare sull’intera operazione restando lì a tempo indeterminato, ho deciso che sarebbe stato meglio vendere. Ho fatto la stessa cosa con la fattoria e la fabbrica che avevamo in Messico. E non me ne pento neanche un po’".

"Mi dispiace che tu la pensi così", fu la fredda risposta del Sig. Legan, "Quindi dovrò cercarmi un altro socio, forse tu, Cornwell".

"Mi dispiace, ma non sono la persona più adatta", rispose il padre di Archie, "Anche io sto vendendo le mie attività in Arabia. Penso di avere tutto il denaro che mi servirà per il resto della vita. Janice e io abbiamo passato fin troppi anni lontano da casa, e come hai sentito proprio da lei durante la cena, desidera tornare in Illinois e godersi nostro nipote. A partire dal prossimo anno, toccherà ad Archie decidere se vorrà correre il rischio di investimenti all’estero", concluse il Sig. Cornwell cingendo le spalle di suo figlio con il braccio destro in un gesto di orgoglio paterno.

"Anch’io sono d’accordo con lo zio William", disse Archie, "ma ti auguro di avere successo con il tuo progetto. Sono certo che nelle mani di Neil, i vostri locali notturni diventeranno estremamente redditizi", concluse, sforzandosi di essere il più cortese possibile. Dentro di sé, si sentiva torcere le budella alla vista dello sguardo di condiscendenza di suo zio. Per fortuna Archie aveva imparato qualcosa di fondamentale da Albert e George, ovvero che l’autocontrollo ed il tatto erano fondamentali nel mondo degli affari.
Albert era ben consapevole del grande sforzo di cortesia profuso da suo nipote, il cui temperamento era sempre piuttosto acceso, e fu fiero di lui. Non sopportava questa consuetudine di parlare di affari anche nel giorno del Ringraziamento, ma se le cose dovevano proprio andare così, avrebbe voluto quantomeno evitare di avere una discussione con i suoi parenti in una giornata come quella.

Il Sig. Legan si maledisse interiormente per aver insistito su una causa persa. D’ora in poi, pensò, i Legan non avrebbero più chiesto aiuto agli Andrew. Presto sarebbe diventato ben più ricco di tutti loro messi insieme e quella volgare arrivista di nome Candice White Andrew si sarebbe pentita amaramente di aver avuto l’arroganza di respingere suo figlio.


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Come era consuetudine, dopo il tempo dovuto uomini e donne si erano ritrovati nella sala della musica per l’ultima parte della serata. Candy, che ne aveva avuto abbastanza delle osservazioni caustiche di Iriza e di Sarah mentre erano sole, accolse con sollievo il ritorno dei gentiluomini. Doveva ammettere che la zia Elroy aveva tenuto le Legan sotto controllo, ma malgrado il suo intervento, le due donne erano comunque riuscite ad indirizzarle qualche commento spiacevole. In una certa misura, però, assistere al botta e risposta tra la Sig.ra Brighton e la Sig.ra Legan riguardo all’organizzazione della cena era stato piuttosto divertente. D’altra parte, anche Candy aveva avuto la sua piccola rivincita, mentre ascoltava Iriza raccontarle nei minimi dettagli dello spettacolo di Terence, con il deliberato intento di ferirla. Per tutto il tempo Candy aveva sorriso di nascosto da dietro la sua tazza da thè, gioendo in segreto dell’attuale stato di cose tra lei e l’attore.

Malgrado queste innegabili fonti di divertimento, Candy fu felice di rivedere Albert, George e Archie e fu sollevata di sapere che Neil aveva porto le sue scuse per ritirarsi. Negli ultimi anni si era abituata ad essere evitata da Neil in maniera alquanto scortese ogni volta che erano costretti ad incontrarsi in occasione di riunioni di famiglia. In un certo senso, a Candy non dispiaceva affatto questo atteggiamento, ma provava pena per lo sconforto che esso celava. Per questa ragione, e anche perché non aveva trovato il modo di distendere le cose tra di loro, si sentì più a suo agio quando seppe che se n’era andato.

Per l’ultima parte della serata, si erano tutti riuniti intorno al pianoforte a coda per ascoltare la Sig.ra Brighton e Annie mentre mettevano in mostra il proprio talento a beneficio della famiglia. Prima di iniziare, i presenti avevano avanzato alcune richieste musicali e le gentildonne furono felici di accontentarli. Candy sedeva accanto alla zia Elroy, proprio di fronte al pianoforte, mentre Albert aveva preferito la sua poltrona vicino al caminetto, esattamente dall’altro lato della stanza. Da lì, sperava di potersi godere in tranquillità le reazioni dei suoi parenti.

La prima a suonare fu la Sig.ra Brighton, che era forse meno abile di sua figlia, ma compensava eventuali carenze tecniche con una spiccata sensibilità musicale. Eseguì due invenzioni di Bach e un pezzo di Albinoni, molto apprezzato dal Sig. Brighton.

Poi, quando fu il turno di Annie, Candy azzardò una richiesta.

"Ti prego, Annie, suonami la Ninnannana di Mozart", le chiese, porgendole lo spartito corrispondente dalla selezione scelta da Annie per la serata.

"Certamente, Candy".

I presenti sedevano comodamente ognuno al suo posto, godendosi i tre pezzi suggeriti. Come prima cosa, Annie suonò la Gymnopedie No. 1 di Satie, richiestale da Archie, poi il primo movimento della sonata per pianoforte in do diesis minore di Beethoven, che era il preferito della zia Elroy.

Dalla sua poltrona vicino al camino, Albert riusciva a scorgere i volti della maggior parte dei suoi ospiti. Notò l’orgoglio materno sul viso della Sig.ra Brighton, mentre la figlia dimostrava la propria abilità al piano. Allo stesso modo, lo sguardo d’amore e tenerezza che le rivolgeva Archie era visibile a tutti. Poi, Albert si voltò verso Iriza, scrutando l’evidente espressione di fastidio sul suo volto, tipica di una persona che non aveva né gusto né sensibilità artistica. Infine, mentre le note del Chiaro di Luna risuonavano nella stanza, pensò per un fugace momento di aver percepito un’ombra di tristezza sul volto di sua zia. Immaginò che quel pezzo le avesse riportato alla memoria ricordi del passato.

Albert chiuse gli occhi per un attimo, godendo della bellezza della melodia magistralmente intrecciata nella sonata. Quando li riaprì, Annie stava per eseguire la Ninnananna.

L’uomo si voltò verso Candy, dato che era stata lei a richiedere quel pezzo. Quello che vide sul suo volto, mentre la musica deliziava i presenti, lo colse del tutto di sorpresa. Notò una luce particolare nei suoi occhi, un lieve rossore ad imporporarle le guance ed un sorriso che segretamente le incurvava le labbra. Albert non vedeva Candy così raggiante da molti anni. Frugò tra i suoi ricordi e rammentatosi dell’ultima occasione in cui le aveva visto quell’espressione di gioia assoluta, comprese che Candy si era nuovamente innamorata.

Ora capiva perché gli era sembrata così assente il giorno prima. Tuttavia, ora che aveva scoperto la causa delle sue stranezze, sentì il bisogno di scoprire a chi fosse dovuta tanta felicità. Le esperienze di Candy con l’amore erano state talmente traumatiche che per molto tempo non aveva mostrato interesse nei confronti di nessuno. Per quanto desiderasse tutta la felicità di questo mondo per la sua protetta, Albert non poté evitare di percepire la naturale apprensione condivisa dalla maggior parte degli uomini la cui pupilla si trovi in una condizione di vulnerabilità. Ricordava ancora le dolorose lacrime e la profonda depressione conseguenti alla rottura con Terence Grandchester, anni prima. L’ultima cosa che avrebbe voluto per Candy era un’altra amara delusione. Era deciso a scoprire chi fosse quell’uomo ed a fare qualsiasi cosa in suo potere per proteggere Candy, nel caso in cui quest’ultimo si fosse rivelato immeritevole del suo affetto. Con questa risolutezza in mente, si voltò nuovamente ad osservare Annie, facendo del proprio meglio per mantenere la padronanza di sé.


Ignara delle preoccupazioni fraterne di Albert, la mente di Candy era fuggita dalle quattro mura della Sala della Musica ed era tornata nei boschi della Saint Paul School. Era l’ora del crepuscolo e il cielo tingeva le nuvole di varie sfumature di arancio, oro e rosso. Mentre ricordava, poteva persino sentire la rugiada inumidirle la pelle, mentre la ninnannana di Mozart risuonava nell’aria. Poi, seguendo il percorso dettatole dalla melodia, aveva scoperto che era Terence a suonare il piano nella sala della musica ormai deserta.

Per un breve momento, prima che si accorgesse di essere osservato, era riuscita a scorgere un’espressione nuova sul suo volto solitamente così indifferente. Candy chiuse gli occhi, ricordando come gli ultimi raggi del sole che filtravano attraverso la finestra gli avevano illuminato il viso con tutte le sfumature d’oro. Sembrava sereno e persino addolcito, come trasfigurato dalla musica. Un volto come quello, aveva pensato allora, non poteva che essere lo specchio di un animo dolce e sensibile.

"Non mi sbagliavo", pensò in quel momento Candy, "quel ragazzo nella sala della musica è diventato un uomo meraviglioso. E pensare che quello stesso uomo mi stringeva tra le sue braccia appena qualche giorno fa; baciandomi con infinita tenerezza. . . Non puoi nascondermi il tuo cuore nobile, Terence. In cambio, il mio cuore è proprio lì davanti a te, cosicché i tuoi occhi lo vedano, amore mio".

L’applauso degli ospiti destò Candy dai suoi piacevoli ricordi. Il momento musicale era giunto alla fine, così la giovane presentò le sue scuse alla famiglia, come aveva promesso ad Albert. Dopo aver augurato la buonanotte a tutti i presenti, la bionda si incamminò su per le scale in direzione della biblioteca.

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La biblioteca di William C. Andrew era in semioscurità quando Candy entrò nell’imponente stanza. Accese il monumentale lampadario che illuminò l’ambiente con i suoi splendenti prismi e le sue brillanti gocce di cristallo Baccarat. La giovane iniziò ad ispezionare la stanza in cerca di un libro da leggere prima di coricarsi. Dopo la sessione musicale, era dell’umore giusto per un po’ di poesia; quindi, pensò di scegliere Elizabeth Barrett Browning. Tuttavia, mentre cercava sotto la B, il suo sguardo cadde su un volume dei Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza di William Blake.

Candy prese il libro, quando un rumore che pensò provenisse dal camino la fece sussultare.

"Ti dispiacerebbe lasciarmi in pace?" le intimò con voce roca Neil, che era seduto sul divano di fronte al caminetto.

“Non sapevo che fossi qui", rispose Candy, ancora imbarazzata dalla presenza inattesa del giovane.

"Beh, ora lo sai. Ti prego, vattene", insistette.
Candy notò che aveva bevuto. Sul tavolino davanti al divano c’era una caraffa pressoché vuota e la sua voce tremula tradiva una certa ubriachezza.

"Mi dispiace, ma non posso accontentarti, Neil. Lo zio William mi ha chiesto di aspettarlo qui", gli spiegò lei.

"Oh, beh, presumo che essendo casa tua, tu sia libera di fare quello che vuoi. Dunque me ne andrò io", disse, alzandosi in piedi e portando con sé caraffa e bicchiere.

"Mi dispiace, Neil", si scusò lei, evitando istintivamente il suo sguardo.

All’improvviso, la risata del giovane risuonò nell’aria.

"Ti dispiace per cosa, Candy?" le chiese, visibilmente alterato, "Per tutti gli spiacevoli incontri a cui siamo costretti di quando in quando?"

"So che la mia presenza ti disturba, Neil; ma non posso scusarmi per essere semplicemente quella che sono", rispose lei, la tensione evidente sulle sue tempie, "Mi dispiace solo averti fatto soffrire un tempo".

"Pietà!" sbottò lui, diventando improvvisamente triste, "È proprio quella che non sopporto; la pietà dipinta sul tuo volto, mentre ostenti la tua indifferente bellezza davanti a me. Se quello è l’unico sentimento che riesco a ispirarti, ti prego di risparmiarti le tue inutili scuse, Candy. Abbiamo da tempo oltrepassato il limite della civiltà. Ma non preoccuparti. Ti lascerò in pace".

Prima che Candy potesse pensare a una qualunque risposta alle spiacevoli osservazioni di Neil, il giovane aveva repentinamente abbandonato la biblioteca, lasciandola con la triste consapevolezza della sua ancora profonda delusione. Candy avrebbe voluto dirgli che sapeva cosa significava amare quando ogni speranza sembrava perduta; offrirgli sincera comprensione, al posto della condiscendente pietà per la quale si era sentito così profondamente offeso. Ma la giovane capì che qualsivoglia tentativo di riconciliazione con Neil sarebbe stato inutile. Era sinceramente dispiaciuta per lui.

Tirando un profondo sospiro, Candy decise di gettarsi alle spalle la spiacevole scena, non volendo soffermarsi troppo a tentare di comprendere gli atteggiamenti contorti dei Legan. Aveva di meglio a cui pensare. Guardò il libro che aveva scelto e si sedette per esaminarlo meglio. Inevitabilmente, le sue dita sfogliarono le pagine fino a soffermarsi su una poesia in particolare. Una volta trovata, la lesse in silenzio, assaporandone ogni parola:

Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l’immortale mano o l’occhio
Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?

In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
Quali spalle, quale arte
Poté torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?

Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne i terrori funesti?

Mentre gli astri perdevano le lance tirandole alla terra
e il paradiso empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando compiuto il suo lavoro,
Chi l’Agnello creò, creò anche te?

Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?



La giovane chiuse gli occhi. Visualizzò nella sua mente i movimenti felini dell’unico uomo che potesse reggere il confronto con una tigre. Pensò che le parole della poesia descrivessero perfettamente bene la sua meraviglia di fronte all’esistenza di una tale creatura, in grado di affascinarla allo stesso modo in cui una falena è attratta dalla luce. Anche quand’erano alla Saint Paul School, mentre lottava con tutte le sue forze contro quell’attrazione, lui aveva esercitato un fascino irresistibile su di lei. Ormai il Terence che aveva rivisto a Pittsburgh non era più il ragazzino sedicenne di allora e, soprattutto, Candy sapeva che lei stessa non era più la ragazzina sprovveduta di una volta. D’istinto capì che al prossimo incontro con la tigre sarebbe andata direttamente e consapevolmente incontro al suo divampante fulgore. Non aveva alcun dubbio in proposito, perché il fuoco dei suoi occhi, forgiati in qualche misterioso abisso, come suggeriva la poesia, non le concedeva una notte di riposo da settimane ormai.

Il cigolio della porta ed il passo deciso di un uomo annunciò l’arrivo di Albert. Candy chiuse il libro e lo mise da parte.

"Ti ho fatto aspettare molto?" le chiese, prendendo posto di fronte a lei.

"Assolutamente no, ci sono tantissimi amici qui con cui passare il tempo", rispose lei lanciando uno sguardo agli innumerevoli libri sugli scaffali e cercando di acquietare lo scombussolamento causatole dai suoi pensieri.

"Beh, i Brighton si sono congedati, così come il Sig. Legan, che sembra avesse ancora della corrispondenza da sbrigare a casa. Il resto della famiglia resterà qui e se ne andrà domattina dopo colazione. Temo che dovrai sopportarli ancora un po’. Ti dispiace?" le chiese.

"Confesso che non sono tra i miei più cari amici, ma penso che qualche ora in più non sarà un problema", disse con un sorriso. Candy decise di non raccontare ad Albert del breve incontro avuto con Neil proprio un minuto prima.
Albert annuì e la guardò dritto negli occhi. Era ora di affrontare la questione. Si protese verso di lei, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, in modo da poter essere alla sua altezza.

"Candy, dimmi, sei molto innamorata?"

La donna spalancò i grandi occhi verdi per la sorpresa.

"Sono così trasparente?" fu la sua candida risposta, strappando un sorriso ad Albert.

"Dunque avevo ragione. Devo ammettere che ti sei comportata alquanto stranamente di recente, ma non ne avevo compreso la ragione fino a qualche minuto fa, quando eravamo nella sala della musica. Eri raggiante. Non ti vedevo con quel sorriso inebetito da anni", scherzò, cercando di dar respiro al nervosismo di Candy.

"Sapevo che avrei dovuto parlartene prima o poi, ma ero piuttosto riluttante a farlo, sapendo che mi avresti preso in giro all’infinito", gli disse annuendo e sorridendo apertamente, mostrandogli così le sue ben note fossette.

"Non c’è nulla di male ad essere innamorati, Candy. Temo solo che questa persona possa farti soffrire. Dimmi, chi è? Posso fidarmi di lui e affidargli la mia cara Candy?"

Questa volta Candy divenne improvvisamente seria e abbassò lo sguardo. Albert non poté nascondere la confusione davanti a quel repentino cambio d’umore. Immediatamente, il suo istinto protettivo scattò come una molla. Candy era forse coinvolta in una relazione disdicevole? Il suo amore non era corrisposto? L’oggetto del suo amore era immeritevole del suo valore? Era forse un paziente affetto da una malattia incurabile?

"Lo conosci bene", disse finalmente senza guardarlo, "e non mi sono appena innamorata, Albert. Lo amo da molti anni. Ma ora ho delle nuove ragioni per sperare".

L’espressione di Albert passò da angoscia a sorpresa, infine aggrottò la fronte incredulo.

"Stai parlando di Terence!" esclamò ancora piuttosto sorpreso, "ma lui. . ."

"La sua fidanzata è morta due anni fa, Albert. Mi ha scritto una lettera la scorsa primavera mentre era in tournée in Inghilterra e siamo in contatto da allora. L’ho incontrato durante il mio viaggio".

"E ti ha dimostrato di essere interessato a te come in passato?" le chiese, riluttante ad accantonare le sue riserve.

Prima di rispondere ad Albert con le parole, le fossette comparse ancora un volta sul viso di Candy, risposero per lei.
"Me l’ha fatto capire con i suoi soliti modi irriverenti", rispose alzando gli occhi al cielo. A quel punto, la tensione sulle spalle di Albert si allentò.

"Non riesco a crederci, Candy. Io . . . io pensavo che tu, che tu l’avessi dimenticato", disse poi, rendendosi conto di aver sbagliato nell’interpretare la sua solita energia e gioia di vivere come segno che avesse finalmente superato tutto.

"Ho cercato di convincermi della stessa cosa, Albert; ma non si ricorda nelle proprie preghiere ogni sera una persona che si è veramente dimenticata, non si conserva ogni ricordo e non si rammenta ogni compleanno di una persona per la quale non si prova più nulla".

"Temo di essere stato un pessimo amico", disse Albert con rimpianto.

"Non torturarti così, Bert", disse lei poggiando la sua mano su quella di lui, "Ho voluto nasconderlo a tutti. Forse solo Miss Pony e Suor Maria con cui vivo da anni potrebbero aver sospettato qualcosa. La cosa importante è che adesso sono felice".
Albert tirò un sospiro, rendendosi conto che Candy aveva ragione. Qualsiasi cosa fosse successa in passato, l’unica cosa che contava veramente al momento era che lei e Terence stessero cercando di riparare agli errori commessi. Sapeva per esperienza che non capitava spesso che la vita offrisse una tale opportunità.

"Quindi non mi resta che augurarti tanta felicità?" le chiese, non potendo evitare di percepire un senso di perdita, come sarebbe accaduto ad ogni padre.

"Sei peggio di Annie!" rise Candy, "Terence ed io dobbiamo ancora parlare di molte cose prima di chiarirci del tutto. Al momento temo che ciò non avverrà prima dell’anno nuovo. È in tournée per il paese, come avrai saputo da Iriza questa sera".

Improvvisamente, Albert comprese l’atteggiamento sereno di Candy quando Iriza aveva cercato di infastidirla durante la cena. Scoppiò a ridere ripensando al lato comico della situazione.

"Ed Iriza che si vantava di aver visto recitare Terence, mentre tu avevi motivo di credere di possedere ancora il suo cuore. E sei persino riuscita a restare imperturbabile senza proferire parola. Cara Candy, credo proprio che tu sia diventata una brava attrice ormai", scherzò.

"Beh, ti confesso che mi sono goduta ogni singolo momento passato con Iriza questa sera", rispose Candy, per poi interrompersi come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa di importante, "Albert, ora che le cose stanno cambiando per me, c’è qualcosa che desidero chiederti".

"Chiedimi pure qualunque cosa, Candy. Di cosa si tratta?"

"Potresti restituirmi il mio vecchio diario…e anche le lettere di Terence? Penso di non correre più alcun pericolo a tenerli con me ormai".

Albert capì immediatamente che il diario dei giorni passati alla Saint Paul School non costituiva più un doloroso ricordo del passato.

"Certo, capisco perfettamente; ma temo che dovrai aspettare che vada a Lakewood. Il diario e le lettere si trovano lì in cassaforte. Prometto di andarli a prendere quanto prima e di portarteli alla Casa di pony".

"Ti ringrazio, Albert".

"Ma ora devi dirmi come hai trovato Terence quando l’hai incontrato. Non lo vedo da così tanto tempo che temo che non lo riconoscerei. Deve essere più grande di quanto non fossi io quando ci siamo incontrati la prima volta".
Candy fu più che felice di soddisfare la curiosità di Albert. Era molto tardi ormai quando finalmente si ritirarono nelle proprie stanze. Candy prese con sé il libro di William Blake, sperando che la poesia intitolata "L’Agnello" potesse restituirle un po’ di tranquillità. Tuttavia, quando finalmente si addormentò, fu ben altra la creatura di Dio che popolò i suoi sogni.

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Le colline erano imbiancate dalla fitta neve che ogni sera degli ultimi tre giorni non aveva smesso di cadere incessantemente. Le strade erano sdrucciolevoli per via del ghiaccio, pertanto Candy guidava con prudenza. Era avvolta in una pesante mantella con una sciarpa che le copriva il viso fino al naso, ma malgrado ciò continuava a sentire freddo. Erano circa le cinque del pomeriggio, ma il crepuscolo iniziava già a scendere sul paesaggio nevoso. Quando finiva il suo turno alla clinica, Candy adorava mettersi alla guida della sua Chevrolet Sedan del 1923. La rilassava e la metteva di buon umore per la cena. Tuttavia, quella sera era ansiosa di tornare a casa al più presto. Natale era alle porte e c’erano ancora tante cose da fare alla casa di Pony. Purtroppo, la condizioni delle strade non le consentivano di accelerare quanto avrebbe voluto.
Rassegnandosi al suo destino, cercò di distrarsi con la radio. Le note di Astro del Ciel risuonarono nell’aria, mentre lei cercava di fischiettarne la melodia.

"Non indovini una nota neppure quando fischi, Candy", pensò deridendo la sua totale mancanza di talento musicale, "Per fortuna al piccolo Alistair non importa che io sia stonata e continua a chiedermi di cantare con lui".

Candy rammentò i pianti disperati del bambino quando era stata in procinto di partire da Chicago la settimana precedente. Alistair non si rassegnava all’idea che Candy tornasse alla casa di Pony senza di lui e dopo infinite lacrime, aveva convinto i suoi genitori a lasciarlo andare con zia Candy a passare qualche giorno con lei.

Il piccolo Stair aveva compiuto quattro anni proprio all’inizio di novembre e non era mai stato lontano da sua madre prima di allora. Pertanto, era comprensibile che gli adulti fossero alquanto scettici a lasciarlo partire per quell’avventura, sebbene si trattasse solo di pochi giorni. Incredibilmente, il bambino non aveva versato una sola lacrima da quando era salito in treno e per tutta la durata della sua visita non aveva fatto che ridere e divertirsi. Candy pensò che gli facesse bene iniziare ad acquisire un po’ più di indipendenza.

Erano le cinque e mezza quando finalmente la giovane arrivò a casa. Entrò nella proprietà dal giardino sul retro, proprio vicino al fienile che fungeva da garage per la sua auto. Quando aprì il cancello, i cavalli e la mucca le diedero il benvenuto con il loro amichevole verso. Salutò gli animali chiamandoli dolcemente per nome. Una volta parcheggiata l’auto, frugò nelle tasche cercando le zollette di zucchero per Cesare e Cleopatra. I cavalli le si avvicinarono pregustando il premio.

"Ecco a voi, amici miei", disse con affetto, togliendosi i guanti per dar loro da mangiare "Sapete bene che non potrei mai dimenticarmi di voi due".

Candy passò qualche minuto a coccolare i cavalli e ad accarezzare la mucca, prima di entrare in casa dalla porta sul retro. Una volta dentro, il calore della sua casa le riempì il cuore. Si tolse mantella, sciarpa e cappello, rivelando la sua uniforme da infermiera. Il grembiule bianco ancora impeccabile era legato intorno alla sua vita minuta. Il tessuto a righe di cotone della sua uniforme non era di certo adatto alla stagione, ma non poteva farne a meno. La maggior parte delle infermiere vestivano nello stesso modo per tutto l’anno. In ogni caso, una volta in casa non aveva granché importanza.

Avendo il pallino della pulizia, come prima cosa si lavò le mani nel lavandino, domandandosi come mai sembrasse tutto così tranquillo. Per una casa con ventiquattro bambini, si trattava di un vero miracolo. Mentre si asciugava le mani, la giovane uscì dalla cucina cercando invano gli abitanti della casa.

"Miss Pony?" chiamò senza ricevere risposta, "Suor Maria?"

Candy si incamminò per i corridoi della nuova ala. In virtù delle ultime migliorie, la casa si era trasformata in un vero e proprio labirinto.

"Siamo qui, Candy!" chiamò infine Miss Pony dal salotto. Quando finalmente la giovane entrò nella stanza, rimase a bocca aperta alla vista di Miss Pony beatamente accomodata su una pregiata sedia a dondolo, con Suor Maria che badava ad una bambina e tutti i bambini stranamente tranquilli intorno all’albero di Natale, mentre il piccolo Alistair dondolava felicemente le sue gambine accoccolato in braccio a Terence Graham.

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view post Posted on 28/4/2013, 18:25     +3   +1   -1

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Capitolo 5
Distanza



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Stair, Rick, Peter e Larry emettevano ogni verso possibile per tentare di imitare il rombo dei motori. I disegni del tappeto della sala da pranzo erano divenuti il circuito ideale per la collezione di macchinine del piccolo Stair, mentre le gambe di tavolo e sedie creavano un intricato labirinto dove si verificavano gli incidenti più spettacolari. I bambini erano impegnati in questo gioco già da un po’.

Ogni volta che una macchinina si schiantava, Stair la portava dal meccanico per farla aggiustare. Una scatola in cui teneva la sua intera collezione fungeva da officina, per cui lasciava lì la macchinina ‘rotta’ per prelevarne un’altra e continuare a giocare. Fu proprio così facendo che il bambino si accorse che mancava la sua macchinina preferita. Aveva un debole per la sua Model T blu cobalto, perché le portiere e il cofano si aprivano e si chiudevano e le ruote erano dotate di veri pneumatici in miniatura. Ora, però, non la trovava da nessuna parte.

Suor Maria era intenta a lavorare a maglia, mentre teneva sotto controllo i più piccoli che giocavano. Accanto a lei, una bambina, avvolta in morbide coperte, dormiva tranquillamente nella culla. Gli altri bambini erano a lezione con Miss Pony. La suora era intenta ad osservare il visino preoccupato di Stair quando si udì un colpo deciso alla porta principale.

"Vado io, Suor Maria!" si offrì, Stair, alzandosi di scatto dal tappeto.

Pensando che si trattasse del postino, la donna concesse al bambino di andare ad aprire. Abitando in una villa la cui servitù si occupava sempre di espletare tali mansioni, Stair era ingenuamente affascinato dalla possibilità di fare una cosa che sembrasse essere riservata solo ai grandi.

Il bambino corse alla porta e, sollevandosi sulle punte dei piedi, riuscì a raggiungerne la maniglia. Una volta aperto, si trovò davanti un uomo, che dall’altezza gli ricordava Zio Bert. L’uomo si inchinò leggermente per rivolgersi a lui.

"Buon pomeriggio, signore. È questa la Casa di Pony?" chiese l’uomo con una voce talmente profonda, che Stair pensò avesse ingoiato un rospo.

Inizialmente, Stair non rispose, limitandosi a ridacchiare ed a scuotere la testa.

"No", disse finalmente il bambino con un sorriso.

"È sicuro che questa non sia la Casa di Pony, signore?" chiese nuovamente l’uomo, facendo del proprio meglio per restare serio.

"No. Io non sono un ‘signore’. Sono un bambino!" rispose il piccolo e subito dopo il suo sguardo fu rapito da una sagoma blu proprio alle spalle dell’uomo.
Il bambino inclinò la testa verso destra e l’uomo si voltò seguendo il suo sguardo, consentendo a Stair di avere una visione completa dell’oggetto della sua curiosità. Gli occhi del bambino si spalancarono per la sorpresa quando scoprì che alle spalle dell’uomo, nel parcheggio del cortile principale, c’era una Ford Model T Coupé blu cobalto che era la copia esatta della sua macchinina preferita. Il fatto che fosse a grandezza naturale era irrilevante per la fervida immaginazione del bambino.

"La mia macchina!" esclamò sorpreso.

"Come, prego?" chiese l’uomo divertito.

"Mi hai riportato la macchina! Crazie(1)!" spiegò il bambino con un largo sorriso mentre, in preda all’emozione, si aggrappava alle lunghe gambe dell’uomo.

"Hey! Giovanotto! Vacci piano. È solo un auto a noleggio!" rise l’uomo.

"Sei uno degli aiutanti di Babbo Natale?" chiese Stair, ignorando la spiegazione che gli era stata data.

"Dio mio, no!", rispose l’uomo scoppiando a ridere di tutto cuore, dopodiché, ritenendo opportuno presentarsi, si tolse il cappello, si accucciò per mettersi alla stessa altezza del bambino e disse: "Mi chiamo Terence Graham. Piacere di conoscerti, giovanotto" disse, offrendogli la mano destra.

Stair, che non era abituato ad essere trattato come un adulto, trovò l’intera situazione estremamente divertente.

"Ciao, Sig. Cram" rispose Stair, stringendo la mano di Terence, ridacchiando ancora un po’.

"No, non Cram, Graham" ripeté lentamente l’uomo.

"Craaam" disse nuovamente il bambino, scatenando ancora una volta l’ilarità dell’uomo.

"Graham, con la G" spiegò, ma uno sguardo all’espressione perplessa del bambino gli bastò per rendersi conto che questi non era ancora in grado di riconoscere le lettere.

"G? Sig. G?" chiese il bambino aggrottando la fronte, continuando a sorridere con gli occhi.

"D’accordo! Puoi chiamarmi Sig. G. se preferisci, amico", si rassegnò l’uomo.

"Santa Maria, Madre di Dio!" esclamò sorpresa una voce femminile avvicinandosi all’ingresso, "Sig. Grandchester!"

"Suor Maria, Le chiedo perdono per essermi presentato qui senza preavviso", disse il giovane facendo un breve inchino in segno di cortesia.

"Oh Dio mio! Non è affatto un disturbo, figliolo. La prego, entri", gli disse con cordialità Suor Maria, offrendogli la mano. Tuttavia, anziché stringergliela, Terence si inchinò e le fece un galante baciamano; se il giovane non fosse stato nella grazie della donna – come di fatto già era – si sarebbe sicuramente conquistato il suo favore con quel gesto.

Seguito da Stair, il giovane entrò in casa, che di primo acchito gli sembrò parecchio cambiata. Il vecchio salotto era stato trasformato in un ingresso, la porta interna era aperta consentendogli di scorgere un salotto piuttosto spazioso con un grande albero di Natale. La suora lo fece entrare in salotto, ma anziché farlo accomodare lì, lo guidò in una sala da pranzo altrettanto grande, dove altri bambini erano intenti a giocare con una pila di giocattoli sparsi sul tappeto.

"Deve scusarmi se l’ho condotta qui anziché riceverLa nel salotto come avrei dovuto, Sig. Grandchester", spiegò Suor Maria, "ma non posso lasciare i piccoli soli a lungo".

La suora si sedette accanto alla culla, invitando Terence a prendere posto di fronte a lei.

"Posso offrirLe qualcosa da bere Sig. Grandchester, magari una tazza di caffè o di cioccolata?"

"È da parecchio che non gusto una buona tazza di cioccolata, signora. La ringrazio per la premura, la gradirei molto volentieri".

"Le dispiacerebbe dare un’occhiata ai bambini durante la mia assenza?" gli chiese, lanciando un eloquente sguardo in direzione dei piccoli.
Terence si voltò verso i bambini che giocavano accucciati sul pavimento.

"Penso di potercela fare, signora", rispose educatamente, seppur leggermente dubbioso rispetto alle sue capacità di supervisore.

"Perfetto! Sarò di ritorno tra un attimo. Spero che Isabella non si metta a piangere nel frattempo", disse Suor Maria affrettandosi in direzione della porta.

"I-Isabella?"chiese Terence confuso, rendendosi conto che c’erano solo bambini nella stanza; tuttavia, Suor Maria si era già eclissata dietro la porta della cucina e non poté sentirlo.

"Isabella è lì!" disse il piccolo Alistair indicando la culla. Il giovane si alzò e si avvicinò alla culla, realizzando che era occupata da un neonato che dormiva beatamente.

"Capisco. Sembra piuttosto tranquilla. Piange spesso?" chiese Terence ai bambini.

"Tutto il tempo!" rispose uno degli amichetti di Stair.

"Davvero?" chiese il giovane, lanciando uno sguardo alla porta della cucina sperando che la suora fosse di ritorno quanto prima, "Povero me, e cosa dovremmo fare se iniziasse a piangere?"

"Non lo so!" disse un secondo bambino con un’alzata di spalle.

"La zia Candy la tiene così", disse Stair stringendo una delle sue macchinine e cullandola come se fosse un bambino.

"La zia Candy?" ripeté Terence, guardando attentamente il piccolo. Scrutò il suo volto con maggior attenzione, sorridendo tra sé e sé mentre riconosceva il sorriso aperto ed i luminosi occhi scuri dietro gli occhiali, "Deve essere il figlio del Damerino", pensò, allarmandosi subito dopo al pensiero che potesse esserci anche il padre. L’ultima cosa che desiderava in quel momento era un caustico incontro con Cornwell. Si sentiva dell’umore per incontri decisamente più piacevoli; pertanto, sebbene sapesse che avrebbe dovuto affrontare i parenti di Candy prima o poi, sperava di poter rimandare l’evento il più possibile.

"Stair", disse rivolgendosi al bambino, che reagì immediatamente girandosi a guardarlo e confermando i suoi sospetti, "Dove sono la tua mamma e il tuo papà?" chiese casualmente.

"A casa", fu la candida risposta di Stair.

"Sei qui da solo?" chiese Terence, accucciandosi sul tappeto accanto ai bambini, che avevano ripreso a giocare.

Stair sorrise nuovamente. mentre scuoteva la testa con decisione.

"Sono con la zia Candy, e Miss Pony, e Suor Maria, e Peter, e Rick e Larry e Cesare e Cleopatra", spiegò, annuendo al suono di ogni nome.

"E dov’è la zia Candy?" chiese l’uomo inarcando il sopracciglio, con una luce particolare nello sguardo.

"A lavoro", rispose il bimbo con naturalezza e, dopo una pausa, aggiunse con il tono di una persona che ha qualcosa di molto importante da dire, "Lo sai che la zia Candy ti sa cucire la pelle con un ago quando cadi?"

"Mi ha messo i punti e non ho pianto", disse il terzo bambino che finora era rimasto in silenzio, mostrandogli la gamba fasciata.

"Sono colpito", rispose Terence reprimendo un sorriso. L’abitudine dei bambini a cambiare argomento improvvisamente era una cosa del tutto nuova per lui.

Finalmente, in quel momento la porta della cucina si aprì e Terence si precipitò a dare una mano a Suor Maria con il vassoio. Ben presto, tutti i partecipanti a quella inaspettata riunione erano intenti a godersi una buona tazza di cioccolata calda, mentre Suor Maria riprendeva la conversazione che aveva iniziato prima di allontanarsi.

"Devo dire che la Sua visita è davvero molto gradita, Sig. Grandchester. Ma temo che la persona in particolare che sono certa Lei vorrà vedere non sia qui al momento".

"Sebbene non possa negare di essere venuto qui con il preciso intento di vedere Candice, vi sarebbe anche un altro motivo che mi ha indotto a infrangere le regole della buona educazione presentandomi al vostro cospetto senza preavviso, signora".

"Davvero? E posso chiederLe quale sarebbe tale motivo", chiese la suora, divertita dalla cerimoniosità dell’uomo.

"In una della sue lettere Candice aveva espresso il desiderio di regalare a Miss Pony qualcosa di speciale per Natale ed io mi sono offerto di provvedere all’acquisto del regalo in questione durante la mia tournée. Dunque, mi trovo qui in qualità di messaggero e di corriere".

"È stato davvero generoso da parte Sua, Sig. Grandchester, ma Candy non avrebbe dovuto darLe tutto questo disturbo".

"Non è stato affatto un disturbo, Suor Maria, mi sono offerto di occuparmi personalmente della transazione, specificando che le avrei fatto recapitare il regalo su consegna speciale. Ho semplicemente omesso di specificare quanto speciale”, disse con un mezzo sorriso ed una luce maliziosa negli occhi.

"Dunque, immagino che non sarà solo Miss Pony a ricevere una bella sorpresa questa sera", disse la donna, rivolgendogli un intenso sguardo.
Rendendosi conto di avere tutto il tempo necessario a disposizione, Suor Maria colse l’occasione per chiedergli notizie della tournée. Il giovane non era abituato ad intrattenere lunghe conversazioni con altri che non fossero sua madre, ma per qualche strana ragione, si sentiva abbastanza a proprio agio in compagnia della suora. Nei modi affabili di Suor Maria rivedeva traccia del sincero interesse che Candy nutriva sempre nei confronti degli altri, cosa che gli fece mettere da parte le sue consuete riserve. Pertanto, le fece un dettagliato resoconto della sua tournée, accennando appena al suo incontro con Candy, senza scendere in particolari troppo personali.

Ad eccezione di quest’omissione, si premurò di infarcire il suo racconto di così tanti dettagli interessanti da monopolizzare completamente l’attenzione di Suor Maria. La donna ne fu talmente assorta da aver quasi dimenticato di dondolare la culla di Isabella, che iniziò ad agitarsi nel sonno. Persino i bambini che erano impegnati poco lontano a giocare tra di loro, finirono per prestare attenzione ad alcuni particolari del racconto.

Prima che entrambi potessero rendersi conto di quanto tempo fosse trascorso, il suono di una campanella, le risate argentine dei bambini ed il trambusto di vivaci passi annunciarono la fine delle lezioni. Nel giro di qualche secondo, circa venti bambini si riversarono in massa nella sala da pranzo, che a quel punto non sembrò più così grande, vista la presenza di tanti bambini inquieti. Alcuni istanti dopo l’arrivo dei bambini, Miss Giddings fece il suo ingresso con la sua morbida figura ed il suo allegro sorriso. Terence pensò che ad eccezione dei suoi capelli, che erano ormai quasi completamente bianchi, l’anziana donna non fosse cambiata poi tanto dalla sua prima visita nell’inverno del 1913.

Quando si rese conto di chi fosse la persona davanti a lei lì nella sala da pranzo, l’anziana donna restò a bocca aperta per la sorpresa. Si tolse gli occhiali per un secondo per poi inforcarli nuovamente. Infine, si prese il volto tra le mani, ancora incapace di proferire parola.

"Buon pomeriggio, signora, è un piacere rivederLa", disse Terence con un inchino, reagendo per primo dopo un iniziale momento di mutuo riconoscimento.

"Oh Signore! Ma è proprio Lei, Sig. Grandchester?" chiese la donna avvicinandosi alla figura slanciata dell’uomo con la mal celata curiosità di chi ha vissuto abbastanza a lungo da non curarsi delle convenzioni sociali. "È cresciuto un bel po’ figliolo! Si lasci guardare, è proprio un adulto adesso. Benvenuto alla Casa di Pony", gli disse accogliendolo con grande spontaneità e abbracciandolo con il suo ben noto calore materno.

Colto alla sprovvista, Terence accettò l’abbraccio affettuoso dell’anziana donna senza dire una parola. Essere trattato con una tale dolcezza innocente da qualcuno che non fosse sua madre era una bizzarra novità per il giovane. Ricordò che anche in occasione della sua prima visita, le donne erano state entrambe molto gentili e affettuose con lui. Eppure, all’epoca erano state colte di sorpresa, essendo state all’oscuro della sua esistenza, finché non si era presentato alla loro porta; pertanto, nel corso del colloquio che ne seguì, si erano limitate a mantenere una certa riservatezza. Tuttavia, ora Miss Pony lo accoglieva come un figlio che tornava a casa dopo una lunga assenza. Era una sensazione travolgente, ma anche inaspettatamente piacevole.

"Questa è davvero una bella sorpresa, figliolo" , disse l’anziana donna una volta scioltasi dall’abbraccio, "ma non dovrebbe fare di queste cose a una povera anziana come me, potrei non farcela a reggere l’emozione, capisce?"

"In tal caso, Le chiedo perdono, signora, ma mi trovo qui per sbrigare un’importante commissione per conto di Sua figlia", le spiegò, "Ho un pacco da consegnarLe da parte sua".

"Intende dire Candy?" chiese lei, incuriosita.

"Candy ha chiesto al Sig. Grandchester di portarLe un regalo, Miss Pony, o qualcosa del genere", intervenne Suor Maria, sapendo che Miss Pony non era certo il tipo da aspettare fino alla mattina di Natale per aprire un regalo e avrebbe sicuramente provveduto in anticipo.

"Davvero? È stato veramente gentile a fare una cosa del genere per me, Sig. Grandchester!" disse la donna con stupore. Poi, dopo una pausa, si rivolse nuovamente al giovane e, cambiando tono, gli disse "Pensa che potrei vedere il mio regalo adesso?", strizzandogli l’occhio con fare birichino.

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Candy non credeva ai propri occhi. Sebbene avesse desiderato con tutta sé stessa di rivedere Terence, si era rassegnata all’idea che avrebbe dovuto attendere fino alla fine della sua tournée per riprendere la corrispondenza con lui. In un certo senso, era rimasta un po’ delusa dal fatto che egli non avesse espresso il desiderio di incontrarla durante le feste, sebbene lei gli avesse esplicitamente chiesto dei suoi programmi dopo la tournée. Si era convinta che la loro relazione si trovasse in un momento di incertezza e forse lui aveva sentito il bisogno di un po’ di tempo – e di distanza – per comprendere appieno i propri sentimenti, prima di fare il prossimo passo. Malgrado l’emozione suscitatale dalla sua ultima lettera e dalla fotografia ad essa allegata, ultimamente il suo cuore aveva iniziato a dubitare. Il furtivo pensiero che il suo interesse potesse essere scemato con il passare delle settimane non le concedeva un’intera notte di riposo da tempo ormai.

"Cosa mi fa credere che un uomo come lui, raffinato ed elegante, possa avere intenzioni serie nei confronti di una ragazza di campagna senza pretese come me, che si dà il caso fosse la sua ragazza a scuola un milione di anni fa?" le aveva più volte sussurrato nell’orecchio quella vocina durante le sue notti insonni, risvegliando in lei le sue ben radicate insicurezze, "E se nelle ultime settimane della tournée avesse conosciuto qualcun’altra a cui dedicare le sue attenzioni?"
Eppure, nonostante questi allarmanti pensieri, Terence era lì, proprio davanti a lei, beatamente accomodato nel suo salotto e intento a fissarla con quei suoi occhi cangianti. Il suo sorriso malizioso indicava chiaramente che si stava godendo ogni istante della sua reazione di smarrimento. Ed a peggiorar le cose, quel furfante sembrava aver affascinato l’intera casa, perché tutti l’avevano accolto come se fosse stata casa sua.

"Candy, non sei felice di vedere che il Sig. Grandchester è venuto a trovarci dopo una tournée così estenuante? Il poverino è arrivato appositamente da San Francisco per consegnarmi questo meraviglioso regalo", disse Miss Pony, divertendosi alle spese di Candy. Un’espressione di sconcerto mista a totale felicità, condita da un pizzico di rabbia, si era chiaramente diffusa sul volto di Candy ed era perfettamente leggibile all’anziana donna.

La bionda, sforzandosi di distogliere lo sguardo da quello di Terence, guardò l’oggetto indicato da Miss Pony. Doveva ammettere che si trattava di un pezzo davvero pregiato. Calle e rose erano state magistralmente intagliate lungo la cornice dello schienale e sui braccioli. Le assi ricurve erano in solida quercia, offrendo un’immagine di stabilità e forza, mentre la seduta e lo schienale erano rivestiti in morbida pelle.

"Credo di dover ringraziare voi due per questo regalo. Avevo in mente di sostituire la vecchia sedia, ora che abbiamo questo nuovo salotto, ma non avevo trovato il tempo di comprarne una nuova. Siete stati entrambi molto premurosi", li ringraziò sinceramente Miss Pony.

"Anch’io devo ringraziarti per il mio regalo di Natale, Candy", aggiunse Suor Maria, indicando una scatolina quadrata posta sotto l’albero, "ma penso che io aspetterò fino a Natale prima di aprirlo".

Candy lanciò uno sguardo in direzione di Terence e capì immediatamente che il regalo per Suor Maria era stata tutta opera sua.

"Dovete ringraziare Terence per essersi preso il disturbo di acquistare i regali per mio conto. Devo ammettere che è stato lui a coprirne le spese, perciò non ringraziatemi finché non l’avrò ripagato".

"Non c’è di che, Candy", disse il giovane e per un secondo Candy pensò di aver notato un lieve rossore sulle sue guance.

"Il Sig. G. ha portato un recalo(2) anche a me, zietta", intervenne Stair sorprendendo i presenti. "La mia macchina blu è crande(3) come la tua adesso". "Che vuoi dire, Stair?" chiese Candy confusa e stupita dal nomignolo che il bambino aveva dato a Terence.

"È una lunga storia", disse il giovane, ridendo di soppiatto.

"Possiamo rimandare le lunghe storie al dopocena, che ne dite?" li interruppe Miss Pony, per poi aggiungere, "Candy, sappi che il Sig. Grandchester ha accettato il nostro invito a passare le feste qui da noi. All’inizio non voleva, ma ho insistito parecchio. Ci credi che non aveva ancora fatto programmi?"

"Oh, davvero? Chi l’avrebbe mai immaginato! Una celebrità talmente impegnata come lui", commentò la giovane con un pizzico di ironia nella voce.

"Proprio così! E ora possiamo monopolizzare la sua attenzione per qualche giorno. Saresti così gentile da mostrargli la stanza degli ospiti, mentre noi prepariamo la tavola per la cena, cara?"

A quello spunto, Terence prese Stair e lo depositò sul pavimento, trattandolo con la massima cura. Per un istante, il cuore di Candy si sciolse quando vide l'uomo di cui era innamorata interagire con il bambino. Tuttavia, doveva ancora decidere se dargli apertamente il benvenuto o rimproverarlo per averle dato l’impressione sbagliata solo per prendersi gioco di lei.

"Che uomo insopportabile! Se avessi saputo che teneva abbastanza a me da fare tutta questa strada per venire a trovarmi, avrei dormito sonni tranquilli negli ultimi giorni…non è così?" pensò, mentre la sua stizza cresceva di minuto in minuto notando il luccichio malizioso negli occhi di lui. Chiaramente si stava godendo il successo della sua bravata.

"Ti dispiacerebbe seguirmi?" gli chiese con un cenno del capo, voltandogli prontamente le spalle per fargli strada lungo i corridoi della casa.

Terence si congedò dalle signore presenti e, una volta recuperate le sue valigie che si trovavano in un angolo della stanza, seguì la giovane. Sapeva che ce l’aveva con lui per essersi presentato senza preavviso e sebbene non conoscesse la misura della sua rabbia, aveva deciso di godersi la vista dei suoi fiammeggianti occhi.

Ben presto giunsero davanti a una porta nella nuova ala della casa, che Candy aprì senza tante cerimonie. La stanza, seppur senza pretese, profumava di cedro, biancheria pulita e fiori di lavanda secchi, che ornavano un vaso posto sul comodino. Terence pensò che non avrebbe potuto desiderare un ritiro più invitante dopo una tournée così estenuante. Il letto coperto da una trapunta patchwork fatta a mano gli fece ricordare che non dormiva per una notte di fila da due giorni ormai.

Troppo arrabbiata per notare gli evidenti segni di stanchezza sul volto del giovane, Candy attese finché Terence non ebbe posato le valigie sul pavimento prima di affrontarlo.

"Potresti smetterla con i tuoi giochetti, Terence? Perché non mi hai detto che avevi intenzione di venire qui?" gli disse bruscamente, preparandosi a dargli una bella lezione, quando fu improvvisamente interrotta da un suo repentino movimento. Prima che potesse impedirglielo, le si era avvicinato pericolosamente, al punto che riusciva a sentire il suo respiro sul volto.

"E perdermi l’opportunità di vedere questi occhi da gattina accesi da un ardente fuoco? Non credo proprio", le sussurrò all’orecchio, piegandosi sulla sua figura minuta. "Tra l’altro, ti sta bene per avermi fatto credere che il signorino con gli occhiali potesse essere un mio rivale".

"Intendi. . .intendi dire . . . Stair?" chiese Candy, sconcertata.

"Esattamente, il tuo spasimante che non si lamenta dei tuoi tanti impegni, milady. Vedi, noi attori shakespeariani sappiamo sempre come goderci una vendetta ben meditata", confessò lui con un sorrisetto compiaciuto.
Finalmente Candy si rese conto che non l’aveva perdonata per essersi presa gioco di lui quella sera a Pittsburgh.

"Quello. . . quello era uno scherzo innocente!" si difese, puntando l’indice per ribadire il punto. La rabbia nei suoi occhi aveva ormai lasciato spazio al panico, quando si accorse di essere con le spalle al muro. Terence non riusciva a decidere quale delle due espressioni trovasse più provocante. D’istinto, si avvicinò ancora un po’.

"Te- Terence! Non. . ." mormorò lei, poggiandogli entrambe le mani sul petto in un flebile tentativo di resistergli.
"Dunque ora sono Terence per te?" le chiese, mentre le sue labbra le accarezzavano il lobo dell’orecchio, scatenandole brividi in tutto il corpo, "A Pittsburgh mi chiamavi ancora Terry. Non è vero?"

Candy poteva chiaramente sentire il proprio cuore accelerare il battito attimo per attimo. Senza grandi sforzi, lui l’aveva circondata con le sue braccia, stringendola sempre più. Candy sapeva che ormai le sarebbe stato impossibile reagire e lui, accorgendosi della sua resa, divenne più audace. Le sue labbra iniziarono a infiammarle le tempie e le guance con leggerissimi baci.

"Mi sei mancata!" le confessò con un sospiro, cambiando completamente tono, mentre il suo respiro lasciava una scia incandescente sul suo volto.
"Anche tu mi sei mancato, Terry", mormorò lei con un sospiro, chiudendo gli occhi e dimenticando all’istante tutti i suoi dubbi e la sua insonnia.
"Così va meglio", disse lui con un sorriso, proprio un secondo prima che le sue labbra prendessero possesso di quelle di lei.

Questa volta fu un bacio vero e proprio. Le labbra del giovane reclamarono quelle di lei lambendole con avvolgente decisione, diventando sempre più avide ad ogni morbida contrazione, finché lei non rispose schiudendo inconsapevolmente le sue. Per un fugace momento lui dubitò, ma reso più audace dalla sua passione, si fece finalmente strada nella bocca di lei, assaporandola appieno per la prima volta.

Per Candy, quell’iniziale invasione del proprio corpo fu tanto inaspettata quanto seducente. Non aveva mai immaginato che un bacio potesse trasformarsi in uno scambio così intimo. Tuttavia, malgrado la sua mancanza di esperienza, i sentimenti che nutriva nei confronti di Terence le erano così chiari e definiti che non si oppose a quelle effusioni decisamente più ardite. Come posseduta da una strana forza che non aveva mai sentito prima, le sue braccia risposero al bacio cingendogli la nuca, mentre la lingua di lui accarezzava la sua. Lui la stringeva in un abbraccio talmente stretto che i suoi seni ed i suoi fianchi erano fermamente schiacciati contro il corpo di lui, rendendo impossibile una vicinanza ancora maggiore. Fu in quel momento che percepì uno strano brivido che le attraversò il corpo e le infiammò il ventre. Con il respiro sempre più affannoso, si lasciò sfuggire un lieve gemito, che lo eccitò ancora di più. Per quanto Terence si stesse godendo le reazioni suscitate in lei, si rese conto che avrebbero dovuto fermarsi presto. Aveva il cuore a mille e ben presto il resto del suo corpo avrebbe iniziato a reagire al suo dolce abbandono in un modo tutt’altro che casto; quando l’aveva baciata non aveva previsto che l’atmosfera potesse surriscaldarsi a tal punto in così breve tempo. Tuttavia, non volendo staccarsi da lei bruscamente, decise di sciogliersi dall’abbraccio dolcemente, allentando la presa e alleggerendo i suoi baci poco a poco.

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Quando finalmente le lasciò libere le labbra, poggiò la fronte sulla sua, tenendo ancora gli occhi chiusi e assaporando la dolcezza del respiro affannoso di lei sul suo volto. Quell’aperta accettazione dell’espressione fisica dei suoi sentimenti era per lui una sensazione meravigliosamente nuova. Si rese conto che si trattava solo del preludio di quello che li aspettava. Inconsapevolmente, sorrise e aprì gli occhi per guardarla.

"Allora, Signorina Andrew, pensi che avrò bisogno della mia maschera da scherma?" scherzò, mentre lei, per tutta risposta, scoppiò in una risatina scrollando il capo all’indietro. Terence pensò che non esistesse nulla di più ammaliante della sua risata argentina.

"Credo che tu sia ben consapevole del fatto che abbiamo da tempo oltrepassato quella fase, Sig. Graham", rispose lei, guardandolo nuovamente negli occhi e ritrovando quell’intensa luce che aveva notato per la prima volta a Pittsburgh. D’istinto, le tornò alla mente la poesia di Blake e dovette abbassare lo sguardo insicura delle reazioni che avrebbe potuto avere se avesse continuato a fissarlo, "Credo che sia meglio andare adesso, Miss Pony e Suor Maria ci staranno aspettando per la cena", aggiunse poi, sapendo che non avrebbero potuto restare soli in quella stanza ancora a lungo.

"Credo che tu abbia ragione", concordò lui con riluttanza.

Mentre la liberava lentamente dalla sua presa, le sue mani percorsero le braccia di lei in una prolungata carezza. Anche se coperta dalle maniche lunghe della sua uniforme, la sua pelle tremò al suo tocco. Poi, le prese la mano e la condusse fuori dalla stanza. Mano nella mano, percorsero in silenzio il corridoio della casa verso la sala da pranzo.


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Quando la coppia raggiunse la porta della sala da pranzo, Candy lasciò discretamente la mano di Terence, mentre lui si sforzava di reprimere un sorriso alla vista del suo tenero rossore. Malgrado ciò, era impossibile nascondere la luce che brillava nei suoi occhi e che tradiva la sua felicità. Miss Pony, che aveva l’età e l’esperienza per capire cosa stesse accadendo, rise tra sé e sé.

L’ora dei pasti alla Casa di Pony era una questione alquanto complicata, ben più di quanto avrebbe potuto immaginare Terence. Dar da mangiare contemporaneamente a ventiquattro bambini e ad un neonato era un compito decisamente arduo. Tuttavia, sembrava che le tre donne riuscissero in qualche modo a farcela senza troppe difficoltà, tenendo tutto sotto controllo per evitare che scoppiasse il caos più totale.

Sforzandosi di sembrare padrona di sé, Candy si dedicò alle sue solite mansioni e, dopo un attimo, era già impegnata a servire la zuppa, a pulire il naso ai bimbi ed a fare le smorfie a Isabella. La bambina era sveglissima e beveva avidamente dal biberon beatamente accoccolata tra le braccia di Suor Maria.

Su sua richiesta, Terence aveva preso posto accanto a Miss Pony ed era impegnato in una fitta conversazione con l’anziana donna. Malgrado ciò, i suoi occhi non smettevano di seguire Candy, stregato da ogni suo minimo movimento. Avendo notato l’intera scena, Miss Pony e Suor Maria si erano scambiate uno sguardo di intesa.

"È stata sempre qui la felicità, accanto a lei? Era così a portata di mano?" si chiese, osservandola in silenzio curarsi dei bambini, mentre era impegnata a tagliare il pane con destrezza ed a parlare con Stair che era un vero chiacchierone.

Terence si rese conto che il bambino era effettivamente un vero tesoro e avendo ereditato dal suo compianto zio non soltanto l’aspetto, ma anche la gestualità ed i modi, era davvero molto caro a Candy. Il bambino sembrava corrisponderla in tutto e per tutto, dato che era ovvio che stravedesse per sua Zia Candy, così come suo zio e suo padre prima di lui.

Il giovane non poté evitare di pensare che se non fosse stato per le disastrose decisioni maturate a New York dieci anni prima, in quel momento in braccio alla sua amata Candy avrebbero potuto esserci i loro bambini, anziché il piccolo di Archibald e Annie Cornwell; i figli che lui avrebbe dovuto darle tanto tempo fa. Un’improvvisa fitta di rimorso gli trafisse il cuore, mentre si rendeva conto del tempo che avevano perso soffrendo inutilmente.

"Ho commesso un imperdonabile errore a lasciarti andare, amore mio", pensò, "Ne ho pagato le conseguenze per tutti questi anni, ma era giusto così perché era stata tutta colpa mia; ma tu? Cosa avevi fatto tu per meritare il mio abbandono? Ti ho fatto soffrire terribilmente, Candy! E ora, mi accogli senza un rimprovero. Un bastardo come me merita davvero una seconda opportunità? "

Inconsapevole dei suoi malinconici pensieri, lei gli sorrise dall’altro lato del tavolo e una sensazione di tenero calore si diffuse nel suo petto, allontanando la tristezza per un momento.

"Dobbiamo parlare", le disse, muovendo le labbra ma senza emettere alcun suono.

"Dopo", gli rispose lei nello stesso modo, regalandogli un altro sorriso.

La cena si svolse con il suo caratteristico trambusto e la consueta confusione. Le pietanze erano semplici, ma gustose e abbondanti. I più piccoli avevano mangiato solo della pasta in brodo con le verdure, pane e latte caldo, mentre ai bambini più grandi ed agli adulti era toccato anche un po’ di brasato ed un’insalata. Verso la fine del pasto ci fu grande alacrità riguardo al dolce, una torta di mele che apparentemente era la preferita dei bambini.

Candy si alzò in piedi per tagliare a fette due grandi torte, mentre Miss Pony si occupava di servire le bevande calde.

"Thè o caffè?" chiese l’anziana donna a Terence con la sua solita gentilezza.

"Thè", rispose Candy prima che potesse farlo il giovane. In un attimo, Candy passò a Miss Pony mezzo limone e una zolletta di zucchero, per poi riprendere immediatamente e senza battere ciglio a servire la torta, iniziando dai più piccoli. Terence, felice di sapere che lei ricordava perfettamente i suoi gusti, non fece alcun commento, ma la convinzione che lei tenesse a lui si radicò ancor più nel suo cuore.

Ignara delle riflessioni del giovane, Candy continuò il suo lavoro. Mentre si concentrava sul suo compito, si ricordò di una delle lettere di Terence in cui lui l’aveva presa in giro dicendole che non le sarebbe servito alcun costume per sembrare una strega. Guardando la torta che aveva preparato la sera prima, le venne un’idea.

Quando giunse il momento di servire Terence, gli fece un sorriso impertinente e, abbassando la voce, gli disse:

"Guardati dalla torta di una strega, Lord Macbeth; potresti soffocare a causa di una mela avvelenata".

Il giovane le lanciò uno sguardo e ricordandosi del divertente battibecco che avevano avuto tramite lettera, capì che era stata lei a preparare la torta. L’ultima volta che aveva parlato con Candy delle sue abilità culinarie, ormai molti anni prima, la giovane gli aveva confessato che nell’appartamento di Chicago che condivideva con Albert era lui ad occuparsi della cucina, perché lei non ne era assolutamente in grado. Pertanto, fissò con diffidenza la fetta che gli era stata servita.

Una volta accomodatasi nuovamente al suo posto, Candy notò la riluttanza di Terence ad assaggiare il dolce e riuscì a malapena a soffocare una risata quando si accorse del modo estremamente cauto con cui aveva infilzato il primo boccone. Miss Pony e Suor Maria avevano seguito l’intera schermaglia, facendo del proprio meglio per fingere di non aver capito.

La bionda sedeva proprio di fronte a lui e con grande sicurezza si portò un boccone alla bocca. Il giovane si stava ancora guardando intorno e avendo notato che tutti sembravano giudicare la torta commestibile, aveva deciso di rischiare e assaggiarne un boccone. Con sua grande sorpresa, il dolce era veramente squisito. La sua espressione tradì il suo sconcerto.

"Oh uomo di poca fede", disse lei scuotendo la testa. "Dubiti del fatto che un maschiaccio possa imparare a fare una torta?"

Questa volta Miss Pony e Suor Maria non poterono evitare di scoppiare a ridere, seguite subito dalla stessa Candy. Essendosi reso conto di essere stato vittima dell’insaziabile sete di scherzi della giovane, anche Terence si unì a loro ridendo di tutto cuore.

Pensò che era da tantissimo tempo che non si godeva una cena con una compagnia così piacevole.

In quel momento, l’ilarità generale fu interrotta dallo squillo del telefono. Candy schizzò letteralmente in piedi per correre a rispondere. Ancora una volta, Terence la seguì con lo sguardo.

"Pronto"
……
"Oh, Albert! Aspettavo la tua chiamata da ieri". "D’accordo, d’accordo; ti perdono, ma sai bene che mi ingelosisco quando mi trascuri", disse con una risatina, "Stanno tutti bene?
……
"Annie si prende cura della dieta della zia Elroy?
……
"Fantastico! Te l’avevo detto che in questo modo le cose si sarebbero sistemate. Devi solo fidarti della tua Candy e vedrai che tutti i tuoi problemi saranno magicamente risolti, Bert".
……
"Certo, Stair sta bene. Di’ pure ad Annie di non preoccuparsi. Sta facendo nuove amicizie e si comporta benissimo. Quando verrai a prenderlo?"
……
"Perfetto! Tutti qui non vedono l’ora di rivederti, sai che sei il loro preferito. E poi, ho una sorpresina per te per quando arriverai. Sono certa che ti piacerà".
……
"Lo so, lo so...., ma sono certa capirai che devo passare il Natale qui, Bert. È una giornata molto importante per la Casa di Pony. Non possono fare a meno di me. Ma ti prometto che tornerò a Chicago dopo le feste, così potrai viziarmi quanto vorrai".
……
"D’accordo. Darò loro i tuoi saluti. Salutami Annie e Archie".
……
"Ti voglio bene anche io, Bert".
……
Mentre Candy parlava al telefono, Miss Pony notò come il volto di Terence si fosse trasfigurato. Improvvisamente, il caldo e vivace scintillio dei suoi occhi era scomparso ed il suo volto aveva assunto un’espressione austera.

"Albert arriverà il 21", annunciò lei dopo aver riagganciato, "Verrà a prendere Stair per riportarlo a casa. La tua mamma sente tanto la tua mancanza, Stair", aggiunse lanciando un intenso sguardo al bambino.

Terence restò in silenzio, concentrando la sua attenzione sulla tazza di thè.

"Sarà davvero sorpreso di trovarti qui", aggiunse lei rivolgendosi al giovane.

"Immagino di sì", rispose lui seccamente.

Candy percepì il suo cambiamento. Sapeva bene che non era una novità per Terence avere questi repentini sbalzi d’umore, ma erano passati anni dall’ultima volta che una cosa del genere era accaduta davanti a lei, perciò l’aveva colta impreparata. La conversazione, poi, si era indirizzata su altri argomenti e Terence aveva ritrovato la padronanza di sé. Tuttavia, il suo volto iniziava a mostrare segni di stanchezza.

Avendo notato tutto, Suor Maria e Miss Pony suggerirono discretamente al loro ospite di ritirarsi per riposarsi un po’ dopo il lungo viaggio. Il giovane apprezzò la premura delle donne e presentò le sue scuse, lasciando la sala da pranzo per dirigersi verso la camera degli ospiti. Candy, che si aspettava di poter parlare un po’ con lui prima di coricarsi, era rimasta sbigottita davanti al suo frettoloso congedo, soprattutto perché lui non le aveva lanciato neppure uno sguardo.

Incapace di dare una spiegazione al suo comportamento e confidando nel fatto che avrebbero avuto modo di chiarirsi più avanti, la giovane si dedicò alle sue abituali mansioni. Decise che c’erano così tante ragioni per essere felice dopo una giornata come quella che non avrebbe perso tempo a torturarsi senza un valido motivo.


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Terence si asciugò i capelli appena lavati strofinandoli con forse fin troppa energia. Aveva creduto che una doccia prima di andare a letto l’avrebbe aiutato a riordinarsi le idee, ma chiaramente quella strategia non stava affatto funzionando. Con indosso solo i pantaloni del pigiama e un asciugamano intorno al collo, il giovane si sedette sul letto. Si tirò su distrattamente sui cuscini, puntellandosi sui gomiti, il volto assorto nella confusione dei suoi pensieri.

Si guardò intorno e ritrovò il punto della stanza in cui lui e Candy si erano abbracciati e baciati solo qualche ora prima. Ebbe un tuffo al cuore ripensando alle sensazioni che aveva provato mentre la stringeva tra le braccia.

In tutta la sua vita, non aveva mai baciato nessuna né era stato mai baciato con tale assoluta e inconfondibile passione. Era stato tutto come l’aveva da tempo sognato, con Candy che non solo l’aveva accettato completamente, ma aveva risposto alle sue pulsioni con uguale intensità. Anche se nessuno dei due aveva ancora dato voce ai propri sentimenti, il fatto che lei gli si fosse offerta con tale arrendevolezza era per lui equiparabile alla più tenera delle dichiarazioni d’amore. Sapeva che in quel momento avrebbe fatto o detto qualsiasi cosa che lei avesse osato chiedergli. Ma lei non gli aveva chiesto nulla.

Durante tutta la cena – ne era ben consapevole – aveva dovuto far ricorso a tutte le sue abilità d’attore per non sembrare un perfetto idiota e riuscire a coordinare le proprie idee per sostenere una conversazione civile. Poi, verso la fine, proprio quando era riuscito a raggiungere un beato equilibrio, la telefonata di Albert – o meglio, l’interazione di Candy al telefono con Albert – aveva rinfocolato le sue vecchie insicurezze.

Solo un filino di razionalità gli era venuto in soccorso per mantenere il controllo sui suoi furibondi impulsi. Sebbene fosse ancora giovane e passionale, anni di sofferenze e delusioni gli avevano insegnato a dominare le proprie reazioni in pubblico. Quindi, era riuscito a soggiogare la violenza dei suoi sentimenti trincerandosi nel silenzio. Sapeva che il suo repentino cambiamento d’umore doveva aver spiazzato Candy, causandole confusione, ma era stato senz’altro preferibile ad una scenata davanti alle signore della casa. Per quella ragione, aveva accolto con favore l’invito di Miss Pony e Suor Maria a ritirarsi, perché gli avrebbe dato il tempo di acquietare la sua ansia.

Pensare non gli era d’aiuto. Il suo lato razionale gli diceva che stava esagerando. Terence si ripeté ancora una volta che Albert era il padre adottivo, nonché il migliore amico di Candy. Tra l’altro, in tutti quegli anni era rimasto sempre e solo un amico. Se avesse nutrito sentimenti di altra natura nei suoi confronti, avrebbe certamente corteggiato Candy molto prima, giusto? E per quanto riguardava i sentimenti di lei, non gli aveva dimostrato chiaramente proprio quella sera a chi appartenesse il suo cuore?

"Eppure. . . non riesco a mandar giù il fatto che si sia definita la "sua" Candy, quando ha detto che stava aspettando la sua chiamata e che si era ingelosita, anche se stava solo scherzando”, pensò Terence, che nel frattempo si era sdraiato sulla schiena; i suoi occhi assunsero una sfumatura grigiastra, mentre sentiva ancora una volta montare l’ira dentro di sé, "È stato talmente disgustoso sentirla ripetere mille volte "Bert", che ho pensato di alzarmi e andarmene seduta stante!"

Animato da quello spiacevole ricordo, il giovane si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra. Fuori la notte era già calata sul quieto panorama innevato.

"Ma la cosa peggiore di tutte", continuò con le sue riflessioni, “è stata quando gli ha detto "Ti voglio bene anch’io". Temo che se fosse stato qui l’avrei strangolato. Sono veramente un mostro!" si rimproverò Terence, coprendosi il volto con una mano, come se provasse vergogna dei suoi sentimenti. "Quel pover’uomo merita la mia gratitudine per tantissime ragioni ed invece io sono qui a fare pensieri omicidi su di lui".

Terence si ricordò chiaramente che una volta Albert gli aveva salvato la vita e, per di più, era stato proprio lui a mandare Candy a studiare in Inghilterra; quindi, tecnicamente gli era debitore per averla conosciuta. Inoltre, in tutti questi anni le aveva offerto amicizia e protezione, mentre Terence era legato ad un’altra. Sapeva bene che tutta quella gelosia era assolutamente irrazionale e fuori luogo.

"È. . . è solo che non sopporto l’idea che tu possa amare un altro uomo, Candy", mentre nella sua mente riviveva ancora una volta il ricordo del sapore delle sue labbra sotto le sue appassionate carezze, "se fossi qui con me adesso…e mi dicessi con quelle tue stesse labbra che è me che ami, che sono io il tuo uomo e tu la mia donna, solo allora mi sentirei totalmente rassicurato".

In quel preciso istante si rese conto di una cosa: non avevano mai parlato apertamente dei loro sentimenti; né ai tempi della scuola, né dopo che si erano ritrovati.

"Sì, è proprio questo il punto! Devo sentirti dire che mi ami e dirti senza mezzi termini quello che provo per te! Devo trovare il tempo e il modo di sistemare le cose tra di noi e chiarire tutto prima che arrivi Albert, altrimenti impazzirò".
Con questa nuova risolutezza, finalmente si coricò e scivolò lentamente in un sonno profondo popolato dai sogni di lei.

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Non era ancora spuntato il giorno e tutti in casa dormivano ancora profondamente quando il rumore degli stivali di Candy riecheggiò nella cucina. Cercando di non fare il minimo rumore, la giovane iniziò a prepararsi una leggera colazione a base di farinata d’aveva e caffè caldo. Mentre versava l’acqua nella caffettiera, Candy ripensò per la centesima volta a quello che era accaduto il giorno prima. Non riusciva ancora a credere che lei e Terence avessero dormito sotto lo stesso tetto. Per anni, si era rassegnata all’idea che non l’avrebbe più rivisto. Solo a volte, in quei furtivi momenti quando la solerte guardia che teneva a bada i suoi pensieri vacillava, aveva osato sognare che forse…chissà…un giorno, la vita avrebbe potuto offrirle l’opportunità di tornare a sperare. Ma bastava un attimo e la sua razionalità la obbligava a rifuggire da tali improbabili considerazioni. Ora, però, quei suoi sogni impossibili si erano incredibilmente tramutati in realtà e Terence era lì, in carne ed ossa, che riposava nella stanza degli ospiti.

"Ed ora non ci sono più dubbi sulle sue intenzioni nei miei confronti", pensò, arrossendo violentemente al ricordo dell’abbraccio che si erano scambiati solo poche ore prima, "Oh povera me! Non posso credere di essermi comportata in modo talmente sconsiderato!"

Candy sapeva che non sarebbero potuti andare avanti così per sempre, fingendo di ricominciare da dove si erano lasciati tanto tempo addietro. Dovevano assolutamente parlarne, a lungo e seriamente, ma paventava il momento in cui avrebbero dovuto riaprire vecchie e dolorose ferite.

Miss Pony era stata molto chiara la sera prima, quando ne avevano parlato prima di coricarsi. Non era abitudine dell’anziana donna intromettersi nella vita di Candy, ma in questo caso in particolare si era permessa di affrontare l’argomento.

La giovane ricordò di essere rimasta sorpresa dalla visita di Miss Pony nella sua stanza quella sera.

"Candy, sai bene che Suor Maria ed io abbiamo sempre rispettato le tue decisioni riguardo alla tua relazione con il Sig. Grandchester, sia in passato che nel corso degli ultimi mesi", aveva esordito l’anziana donna, guardandola con l’amore di una madre, "ma se questa volta me lo consenti, vorrei sapere a che punto è adesso la vostra amicizia".

"Beh. . . ehm. . . non ne abbiamo ancora parlato nei dettagli. . . per ora", aveva balbettato la giovane abbassando lo sguardo.

"Ma non crederai davvero che sia interessato a te soltanto come amica, non è vero Candy?" chiese Miss Pony, prendendo posto sul letto accanto a lei.

"No, Miss Pony, ora credo di poter affermare con certezza che Terence nutra interesse nei miei confronti come donna e non solo come amica", aveva confessato, tenendo lo sguardo fisso sulle mani, che agitava nervosamente. "Ma ti ha detto con chiarezza quali siano i suoi sentimenti?"

"Non a parole, se è questo che intende. L’ho capito dal suo comportamento", riuscì a spiegare Candy, sperando che Miss Pony non desiderasse approfondire oltre la questione.

"Beh, quello è chiarissimo anche a me", sottolineò Miss Pony con un sorriso, "quel poverino è innamorato cotto ed è proprio questo che mi preoccupa, Candy".
"Non…non sono sicura di aver capito cosa intende dire", aveva chiesto Candy, confusa dall’enigmatica espressione di Miss Pony, oltre che dalle sue parole.

"Oh Candy!" rispose Miss Pony, tirando un profondo sospiro, "Un uomo innamorato può essere alquanto impacciato a dar voce ai propri sentimenti, persino nelle condizioni più incoraggianti. E considerata la posizione piuttosto difficile in cui si trova il Sig. Grandchester al momento, sapendo di averti fatto soffrire così tanto in passato, sebbene involontariamente, sono certa che sia molto combattuto e stia cercando di trovare il coraggio di parlarti. Il suo cuore sarà senz’altro gravato da insicurezze e dubbi riguardo ai tuoi sentimenti per lui".

"Lo crede davvero?" riuscì a chiedere Candy, con gli occhi spalancati per la sorpresa.

"Non hai notato il suo cambiamento d’umore questa sera a cena?"

"Oh, beh, sì . . . ma per certi versi è sempre stato un tipo un po’ lunatico", disse Candy nel tentativo di trovare una giustificazione al suo comportamento.

Miss Pony non contraddisse la giovane, ma la fissò intensamente prima di porle un’altra domanda.

"Candy, hai chiarito con il Sig. Grandchester la natura del tuo rapporto con il Sig. Andrew?" chiese la donna, stringendo le palpebre.

"Il mio rapporto con Albert?" aveva chiesto a sua volta la bionda, non capendo dove volesse arrivare Miss Pony. "Certo, Terence sa bene che Albert è il mio padre adottivo. Tra l’altro, lui e Albert si conoscono benissimo. Quando eravamo a Londra erano diventati grandi amici".

"Forse lo sa qui", disse Miss Pony portandosi un dito alla tempia, "ma nutre ancora dei forti dubbi qui", aggiunse poi, toccandosi il petto all’altezza del cuore.

Candy restò a bocca aperta, incredula.

"Non vorrà forse lasciarmi intendere che Terence sia geloso di Albert!"

"Per una volta, cerca di metterti nei suoi panni. È stato lontano da te….per quanto? Nove, dieci anni, giusto? In tutto questo tempo, il rapporto tra te e il Sig. Andrew è diventato molto più intimo; come fratello e sorella, intendo. Ma il tuo Sig. Grandchester non ha assistito a nulla di tutto ciò. Improvvisamente, ti sente parlare al telefono con il Sig. Andrew, mentre ti rivolgi a lui in termini estremamente affettuosi, dicendogli persino che gli vuoi bene. Credi che un uomo la prenderebbe alla leggera se la donna di cui è innamorato mostrasse affetto apertamente nei confronti di un altro uomo? Il Sig. Andrew è stato il tuo tutore legale fino alla tua maggiore età, ma ora sei una donna adulta e lui è ancora giovane e peraltro scapolo. Ci hai mai pensato?"

Candy restò in silenzio per un po’. Immediatamente, iniziò a frugare tra i suoi ricordi. Rammentava chiaramente che nei mesi passati alla Saint Paul School, Terence si era dimostrato geloso in più di un’occasione. Di fatto, ora che ci pensava, la sua gelosia era stata spesso del tutto irrazionale e ingiustificata. Innanzitutto, sebbene fossero solo amici all’epoca – sempre che le loro costanti litigate potessero essere equiparabili ad un’amicizia – andava su tutte le furie ogni volta che lei nominava Anthony, come avrebbe fatto un qualunque marito tradito. All’epoca, Candy non aveva capito che le reazioni di Terence fossero in realtà vere e proprie scenate di gelosia, ma adesso era in grado di giudicare. Aveva avuto un atteggiamento possessivo nei suoi confronti sin da quando si erano conosciuti. Anche i suoi assurdi litigi con Archibald erano stati un’ulteriore prova della sua propensione alla gelosia e, per essere del tutto onesta, doveva ammettere che era sempre stato alquanto diffidente nei confronti di ogni ragazzo che le si avvicinava.

Il flusso dei pensieri di Candy si interruppe nel momento in cui le tornò alla mente un altro ricordo.

"Come hai conosciuto Albert?" le aveva chiesto una volta, con un certo nervosismo nella voce, mentre i suoi occhi assumevano una sfumatura blu-grigiastra; esattamente come quando avevano litigato per via di Anthony.

Candy ricordò vagamente di aver notato la tensione sulle sue spalle allentarsi quando gli aveva raccontato la storia di come aveva conosciuto Albert, riferendosi a lui come suo migliore amico sulla cui spalla aveva pianto molte volte in passato. Dopo quella volta, l’amicizia tra Terence e Albert era divenuta così stretta da fugare completamente ogni suo dubbio. Anni dopo, aveva persino acconsentito alla sua convivenza con Albert nel periodo in cui questi aveva sofferto di amnesia. Tuttavia, doveva ammettere che il ragionamento di Miss Pony non faceva una piega; tutte queste cose erano accadute tanto, tanto tempo fa. La fiducia che Terence nutriva nei confronti di Albert sarebbe potuta svanire con il passare del tempo. Tra l’altro, malgrado i baci che lei e Terence si erano scambiati, non avevano ancora parlato dei rispettivi sentimenti. Data la sua natura, quindi, era molto probabile che Terence, in quel preciso istante, proprio mentre lei era intenta a chiacchierare con Miss Pony, si stesse rodendo il fegato nella sua stanza, facendo i ragionamenti più assurdi.

"Vedo che inizi a capire cosa intendo", disse Miss Pony, leggendo l’espressione sul volto di Candy come se si fosse trattato di un libro aperto, "Candy, cerca di fare al più presto possibile una bella chiacchierata con il Sig. Grandchester e, nel frattempo, non parlare troppo del Sig. Andrew in sua presenza. Le cose non migliorerebbero se ti sentisse tessere le lodi del Sig. Andrew come spesso tendi a fare".

"Farò del mio meglio per incoraggiare Terence a parlare, Miss Pony, glielo prometto", le aveva poi detto per rassicurare l’anziana donna.

Dopodiché, la loro conversazione non si era protratta ancora a lungo, ma l’argomento di cui avevano parlato l’aveva tenuta sveglia fino a tardi. Per questo motivo, quella mattina avrebbe avuto bisogno di una dose maggiore di caffeina per rimanere vigile al lavoro. Il sibilo della caffettiera invase la cucina, facendole intendere che il caffè era pronto. La giovane versò la bevanda scura nella tazza più grande che riuscì a trovare ed era ancora in piedi davanti al lavandino intenta a cercare lo zucchero, quando percepì una presenza familiare alle sue spalle.

"Sempre mattiniera, eh?" le chiese Terence con la sua voce baritonale, ancora più profonda del solito.

"Sempre", rispose lei voltandosi a guardarlo, "So che non ami il caffè, ma ti andrebbe di farmi compagnia? Magari un po’ di farinata d’avena?" gli disse, notando che era vestito di tutto punto e apparentemente pronto a iniziare la giornata.

"Mi farebbe molto piacere, grazie".

La giovane si voltò di nuovo per servire i cereali e filtrare il caffè al suo ospite, ponendogli le domande che si fanno solitamente al mattino quando ci si saluta. Lui le rispose un po’ frettolosamente, distratto dalla figura di lei fasciata dalle semplici linee dell’uniforme da infermiera.

In base alla moda dell’epoca, era piuttosto comune per le donne indossare abiti dalle linee alquanto morbide e maschili. Ma l’uniforme di Candy era ancora molto aderente sul punto vita e la curva naturale dei suoi fianchi e del suo fondoschiena era delicatamente accentuata dalla gonna dritta. Terence pensò che non gli sarebbe dispiaciuto affatto se Candy se si fosse vestita così ogni giorno, sebbene fosse uno stile un po’ démodé.

"Per iniziare bene la giornata, però, sarebbe persino meglio se non si vestisse affatto", disse fra sé e sé, dando ancora una volta libero sfogo alla sua immaginazione.

"Ecco qui", disse la giovane passandogli il caffè, "Fai attenzione, è bollente". "Grazie", rispose lui, sfiorandole la mano mentre afferrava la tazza.

D’istinto, Candy si ritrasse. Notò che gli occhi lui erano ancora una volta accesi da quel fuoco che aveva ormai imparato a conoscere. Se voleva cogliere l’occasione di parlargli, non doveva consentirgli di coinvolgerla in un altro silenzioso scambio di carezze.

"Sarò alla clinica per tutta la mattina", lo informò, nel tentativo di fare conversazione, mentre gli serviva la farinata d’avena e si accomodava al tavolo.

"Pensavo che non lavorassi lì tutti i giorni".

"Infatti è così. Il Dott. Martin ha un’altra infermiera che lo aiuta a giorni alterni. Ma oggi mi ha chiamata per chiedermi aiuto con un parto cesareo. La mia collega della clinica non ha alcuna formazione chirurgica, così ha bisogno che lo assista durante l’intervento. Sarà qui da un momento all’altro per venire a prendermi".

"Ieri Miss Pony mi ha detto che solitamente prendi la tua macchina”, puntualizzò lui, ritenendo che la premura del medico fosse eccessiva.

"Oh, beh, la paziente abita in una fattoria qui vicino ed il Dott. Martin era stato chiamato per il parto. Sfortunatamente le cose non sono andate come pensava e sta portando la madre ed il marito alla clinica in paese. Ha pensato che fosse il caso di venire a prendere anche me lungo la strada e riaccompagnarmi una volta assicuratosi che la madre e il bambino stessero bene. Diciamo che non è mai tranquillo quando mi metto alla guida da sola, specialmente con questo tempo e con tutto il ghiaccio che c’è sulle strade".

"Gentile da parte sua", disse Terence con un pizzico di irritazione nella voce.

Candy fu sorpresa dal suo tono.

"Potrebbe essere che se la sia presa perché devo allontanarmi per qualche ora? Oppure è. . .?" pensò, cercando di interpretare il suo umore.

"Oh beh, lavoriamo insieme da così tanti anni ormai che il Dott. Martin mi considera più una figlia, che una dipendente, ed anche per me è come se lui facesse parte della famiglia", aggiunse casualmente, notando che la sua espressione si era rilassata un bel po’ subito dopo il suo commento.

"Oh mio Dio! Dobbiamo assolutamente parlare al più presto, altrimenti mi terrà in ostaggio per assicurarsi che non entri in contatto con nessun uomo là fuori", pensò, tra il serio e il faceto.

Cercando di alleggerire la tensione, Candy cambiò argomento. Iniziò a parlare del paese e dei suoi abitanti, facendo a Terence un resoconto dettagliato del luogo dove lavorava. Entrambi sapevano di dover affrontare la fondamentale questione della loro relazione. Tuttavia, la gioia di far colazione insieme in un contesto così tranquillo era assolutamente travolgente nella sua ammaliante bellezza per rischiare di sciuparla con dolorosi ricordi del passato.

"È un’atmosfera così intima", pensò Candy. "È come se fossimo sposati da anni e stessimo facendo colazione in un giorno come un altro".

Dunque, incapace di trovare il coraggio di lasciare che fossero i loro cuori a parlare, entrambi si aggrapparono alla sicurezza che dava loro una semplice chiacchierata.

"Che ne diresti se venissi a prenderti dopo l’intervento? Potresti mostrarmi il paese", azzardò lui dopo aver finito di fare colazione, con una luce diversa che gli brillava negli occhi.

"Beh, farà sicuramente comodo al Dott. Martin, ma temo che il nostro paesino non abbia granché da offrire, specialmente a un uomo di mondo come te".

"I miei gusti sono molto più semplici di quanto tu creda. Una semplice passeggiata sarà più che sufficiente".

"In tal caso, potresti accompagnarmi a fare la spesa. Miss Pony vuole che compri alcune cose per il ripieno del tacchino che ha in mente di cucinare a Natale", disse, alzandosi e riponendo tazze e ciotole vuote nel lavandino, "Prometto che non ci vorrà molto. In ogni caso, non ci saranno giornalisti a importunarti", continuò, mentre gli voltava le spalle per lavare i piatti.

"Non sono io a dovermi preoccupare dei giornalisti", rispose lui, alzandosi silenziosamente dalla sedia.

"Che vuoi dire?" chiese lei, senza ricevere alcuna risposta.

Prima che potesse ripetere la domanda una seconda volta, percepì il calore del corpo di lui lungo la schiena. Aveva poggiato entrambe le mani sul lavandino, intrappolandola in una posizione alquanto compromettente.

"Voglio dire che non mi interesserebbe affatto se mi fotografassero mentre passeggio in un paesino del Midwest in compagnia di questa affascinante infermiera, ma non sono certo che a te farebbe piacere vedere il nome della tua altolocata famiglia associato pubblicamente al mio", le sussurrò in un orecchio.

"Terence. . . ti prego, allontanati", riuscì a protestare con un debole filo di voce. "Perché?" le chiese lui con tono insolente, "Mi trovi così ripugnante?"

"Sai perfettamente che non è così. È solo che…non è opportuno", ribadì lei.

"Allora avresti dovuto fare maggiore attenzione e abbottonarti per bene la camicetta”, le rispose lui con voce roca.

Prima che Candy potesse reagire, aveva iniziato ad accarezzarle la nuca con un dito, tracciando una linea immaginaria fin dove glielo consentiva la scollatura della camicetta. Subito dopo, percepì l’ormai familiare tocco delle sue labbra sulla sua pelle, mentre con una mano le cingeva la vita, attirandola a sé. I brividi che sentiva lungo la schiena erano diventati insopportabili.
Il semplice profumo di miele e camomilla lasciatole sulla pelle dal sapone che aveva usato durante il bagno gli invadeva le narici. Quindi, sebbene sembrasse avere il controllo della situazione, Terence era dolorosamente consapevole di essere prigioniero del suo stesso desiderio.

"Mi stai facendo impazzire!" le sussurrò tra i baci, mentre lottava contro il suo stesso impulso di lasciarsi andare.

Incerti della loro incapacità di controllarsi, non seppero se ringraziare o maledire quell’interruzione, quando qualche secondo dopo il suono di un clacson obbligò Terence a fermarsi.

"Deve essere il Dott. Martin", disse lei quasi ansimando, "Devo andare".

"Lo so", rispose lui, mentre con riluttanza le abbottonava la famigerata camicetta.

In un secondo, la giovane si sciolse dal suo abbraccio per indossare la mantella ed il cappello da infermiera e prendere la sua borsa. Quando si voltò, Terence riuscì a intravedere il rosso fuoco che le coloriva le guance.

"A che ora devo venire a prenderti?" le chiese, visibilmente compiaciuto dal suo affascinante rossore.

"Alle undici va benissimo. Miss Pony o Suor Maria ti indicheranno la strada", aggiunse, prima di uscire di corsa dalla porta sul retro.

Assaporando ancora il profumo della sua pelle, Terence decise di finire di lavare i piatti che Candy aveva lasciato nel lavandino, ripromettendosi di trovare il coraggio di porle "la fatidica domanda" entro quella sera.

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Il paese era tanto piccolo quanto pittoresco. Grazie alle precise indicazioni di Suor Maria, Terence non impiegò molto a trovare la Clinica Felice. Era ovvio che l’edificio fosse stato in precedenza un’abitazione privata su cui era stato fatto un lavoro certosino per trasformarla in una più che dignitosa piccola clinica. L’ingresso era occupato dal banco dell’accettazione, mentre il salone fungeva da sala d’aspetto.

Quando Terence arrivò alle undici in punto, fedele alla sua caratteristica ossessione per la puntualità, fu accolto da un’infermiera di mezz’età che era talmente impegnata a riordinare le cartelle che non sollevò neppure lo sguardo quando lui le rivolse la parola.

"Buongiorno, signora", esordì.

"Buongiorno. La prego, si accomodi finché non verrà chiamato", rispose la donna piuttosto frettolosamente. "Mi scusi, temo non abbia capito", insistette lui.

"Certo che sì, signore. Immagino che il suo sia un caso urgente, ma oggi siamo un po’ in ritardo con gli appuntamenti, perché il dottore sta terminando un intervento. La prego, si accomodi e verrà chiamato al più presto", ripeté la donna, indicandogli la sala d’attesa. Terence, che non era abituato ad essere obbligato ad aspettare, restò un po’ deluso. Tuttavia, avendo sentito che l’intervento era quasi concluso, pensò che avrebbe dovuto comunque attendere che Candy finisse il suo lavoro.

Una giovane coppia afroamericana con una bambina, un’anziana signora ed un uomo sulla trentina erano anch’essi in attesa. Terence si accomodò accanto all’anziana donna, si tolse il cappello e accavallò le gambe.

L’anziana, che era intenta a lavorare a maglia, sollevò lo sguardo per osservare il nuovo arrivato. L’elegante cappello in pelliccia di feltro ed il soprabito dal taglio pregiato perfettamente in tinta con il completo che indossava, le fecero pensare che quello straniero fosse sicuramente nato con la camicia. Aveva altresì notato la sicurezza del suo contegno ed il suo aspetto sano, cosa che la indusse a chiedersi per quale motivo si trovasse lì alla clinica.

Alcuni minuti dopo il suo arrivo, la porta della stanza adiacente si aprì e un uomo corpulento di quasi sessant’anni, con i capelli grigi ed un camice bianco, fece il suo ingresso in sala d’attesa salutando tutti i presenti.

"Buongiorno a tutti", disse il Dott. Martin, rivolgendosi ai suoi pazienti con entusiasmo, "Mi dispiace avervi fatto attendere così a lungo, ma questa è una giornata memorabile per il nostro paese. Abbiamo una nuova vicina! Gli Stewart hanno appena avuto una bellissima bambina".

"Sono felice per loro, Dottore. La Sig.ra Stewart sta bene?", chiese la donna di colore.

"Oh sì, sta benissimo, Sig.ra Johnson. La sua famiglia dovrà prendersi cura di lei un po’ più a lungo rispetto a quanto ci aspettassimo, perché abbiamo dovuto operarla, ma si riprenderà perfettamente. Ora, suppongo di potermi dedicare a tutti voi", spiegò il dottore e poi, rivolgendosi all’infermiera all’accettazione, chiese, "Cynthia, chi è il primo?"

"Il Sig. e la Sig.ra Johnson sono qui con la piccola Paulette che ha un po’ di febbre, Dottore. Poi toccherebbe alla Sig.ra Donnel ed al Sig. Kennedy, e da ultimo il gentiluomo laggiù”, rispose l’infermiera.

Il Dottor Martin rivolse lo sguardo verso l’uomo dalla figura slanciata e dall’aspetto distinto del nordest e un largo sorriso gli illuminò il volto.

"Questo giovane non è un mio paziente, bensì un ospite molto gradito”, disse il medico, offrendo la mano a Terence, "È un onore conoscerla, Sig. Graham".

"Anche per me, signore", rispose Terence, alzandosi in piedi e ricambiando la stretta con decisione, "Candy mi ha parlato benissimo di Lei".

"Sono certo che avrà esagerato. Lei, al contrario, è esattamente come L’ha descritta. Ma venga, La sta aspettando al piano di sopra. La troverà nella seconda stanza a sinistra”, disse l’uomo, indicandogli le scale che portavano al primo piano. Terence capì di essere libero di andare da lei.

"La ringrazio, dottore, e La prego di accettare le mie scuse se rapisco la Sua infermiera per il pomeriggio".

"Sciocchezze! Sono io che approfitto del suo buon cuore anche quando non è di turno. Vi auguro di passare un buon weekend!"

E nel dire ciò, il Dott. Martin rivolse la sua attenzione alla coppia con la bambina febbricitante, lasciando Terence libero di andare a cercare Candy. Il giovane, ovviamente, non necessitava di ulteriori incoraggiamenti.

Quando arrivò in cima alle scale, imboccò il corridoio e bussò con decisione alla porta che gli era stata indicata.

"Avanti", rispose Candy con voce squillante.

Terence fece dunque il suo ingresso in una stanza dalle pareti immacolate, arredata con grandi vetrinette ricolme di medicine, boccette e bende. Sul tavolo giacevano un paio di vassoi di metallo dove alcuni strumenti chirurgici erano ordinatamente riposti. Accanto al tavolo, notò un cesto della biancheria. Terence si accorse che il grembiule bianco che Candy indossava quella mattina era poggiato proprio lì, macchiato di sangue.

Quello che vide lo lasciò piuttosto sorpreso. Non aveva mai riflettuto seriamente su quanto fosse duro il lavoro di Candy. Ricordava di come si fosse presa cura di lui, medicandogli la ferita, quando era entrato nella sua stanza per errore. Sebbene all’epoca fosse giovane ed inesperta, Candy non aveva battuto ciglio alla vista del sangue. Aveva capito subito che avrebbe dovuto fermarne il flusso e non aveva esitato un attimo mentre gli fasciava la gamba.

"La mia donna non è una fragile donzella che sviene alla vista del sangue", pensò con orgoglio.

Non v’era dubbio che il lavoro di infermiera strumentista non fosse adatto a chi aveva il cuore debole, ma il carattere impavido di Candy, unito alla sua indole dolce ed al suo buon cuore, la rendevano perfetta per quel ruolo. Pensò che erano stati proprio quei tratti del suo carattere a suscitargli la profonda ammirazione che sentiva nei suoi confronti.

"È come un fuoco in una notte d’inverno; caldo e accogliente, ma allo stesso tempo, divorante come il desiderio!"

"Mi dispiace averti fatto attendere", si scusò Candy, rivolgendosi a lui dalla stanza da bagno adiacente, un secondo prima di entrare nella stanza. Terence notò che si era tolta l’uniforme ed aveva indossato un vestito color arancio con gonna plissé che le arrivava alle caviglie. La tonalità del vestito le illuminava meravigliosamente il viso.

Una volta nella stanza, la giovane si accorse del grembiule e si affrettò a riporlo nel cesto della biancheria.

"Scusa il disordine", gli disse imbarazzata.

"Stai scherzando? Questo posto è talmente pulito e ordinato che ho l’impressione di contaminarlo solo con la mia presenza", rispose lui, con un accenno di sorriso.

"Avresti dovuto vedere l’ospedale Mary Jane. Era talmente immacolato che questa stanza al confronto sembrerebbe una discarica", rise, mentre allungava la mano per prendere la sua mantella. Tuttavia, prima che potesse farlo, lui la anticipò mettendogliela sulle spalle.

"Credo che tu mi debba un giro del paese", le ricordò dolcemente.

"Ed intendo mantenere la parola, Sig. Graham. Vogliamo andare?"

Scesero le scale e Candy si congedò dalla sua collega e dai pazienti in sala d’attesa con il sorriso solare che tutti conoscevano, augurando a tutti buone feste. Il Dott. Martin, nel frattempo, era impegnato con i pazienti nel suo studio; pertanto, la coppia se ne andò senza poterlo rivedere.

Una volta in strada, Candy poggiò delicatamente la mano nell’incavo del braccio che Terence le aveva offerto. Si domandò cosa avrebbero pensato i vicini vedendoli passeggiare a braccetto per il paese; ma poi, si rese conto che non le sarebbe affatto importato se avessero creduto che ci fosse qualcosa tra lei e quell’uomo affascinante. Tra l’altro, per essere del tutto onesti, quello che era accaduto tra di loro la sera prima e quella stessa mattina non poteva essere inteso diversamente. Pertanto, sorrise tra sé e sé e si aggrappò al suo braccio con maggiore fermezza.

Sebbene facesse piuttosto freddo, c’era un bel sole e l’atmosfera era alquanto effervescente. Con le feste alle porte, quella mattina molti degli abitanti del paese erano impegnati a fare le ultime compere natalizie. Terence e Candy fecero un giro per gli affascinanti negozietti, per poi andare dal droghiere, dove Candy doveva acquistare alcune erbe e delle noci per il ripieno del famoso tacchino di Miss Pony.

Mentre Candy sceglieva con attenzione cosa comprare, Terence assaporava la semplice gioia di condividere con lei anche le cose più banali. Inevitabilmente, la sua mente ritornò ad alcuni anni prima. Anche in quel caso aveva aspettato in un negozio, decisamente più elegante e costoso, mentre un’altra donna terminava di acquistare dei regali alcuni giorni prima di Natale. Si ricordò della sensazione di estrema irritazione e di insopportabile malumore che lo aveva attanagliato, mentre Susanna e sua madre lo trascinavano in giro per B. Altman (2).

Di fatto, se doveva essere onesto, la maggior parte dei ricordi della sua vita con Susanna erano macchiati da un senso di disagio, di frustrazione o di disprezzo. Sebbene avesse imparato a nutrire un certo rispetto per Susanna, era stato perlopiù a causa della pietà e della preoccupazione generate dalle sue sofferenze, la più grande delle quali era stata la sua sventurata famiglia.
Nel corso degli anni aveva capito che la disgrazia più grande per Susanna era stato il suo rapporto con la madre. Dipendevano l’una dall’altra in modo malato e perverso. Anche quando la carriera di Susanna era solo agli inizi, la Sig.ra Marlowe aveva fatto interamente affidamento sui guadagni della figlia per sopravvivere, come se i ruoli di madre e figlia si fossero invertiti anzitempo. Eppure, la Sig.ra Marlowe controllava le decisioni e la vita della giovane con una tale tirannia da lasciare atterrito Terence. Allo stesso tempo, la donna viziava la figlia assecondando ogni suo capriccio, anche laddove avesse dovuto darsi una gran pena per soddisfare le spesso irrazionali richieste di Susanna. Era come un vicolo cieco in cui si ingiuriavano, si manipolavano e si coccolavano a vicenda, incapaci di spezzarne il circolo vizioso. Era chiaro, dunque, il perché Susanna avesse sviluppato una personalità debole, terribilmente egoista e totalmente incapace di vivere la propria vita da sola. Terence non riusciva a dimenticare quanto avesse trovato ripugnante e spregevole il suo carattere debole e immaturo.

In breve, sebbene Terence fosse sinceramente dispiaciuto per la sua situazione ed avesse fatto del proprio meglio per offrirle una qualche consolazione, la sopportava a malapena. A volte, malgrado gli sforzi profusi per comprenderla, Terence finiva per perdere la pazienza e per discutere con lei, esortandola a rimettersi in sesto ed a superare la sua infantile dipendenza. Tuttavia, questi litigi non facevano che inasprire la loro già precaria relazione, avvelenando l’atmosfera che erano costretti a condividere.

Per questo motivo, aveva accolto con favore la sua decisione di intraprendere una nuova carriera, con la speranza che potesse finalmente trovare un modo di acquisire una sorta di indipendenza, concedendogli allo stesso tempo un po’ di tregua dalla sua soffocante presenza. Sfortunatamente, le sue imprese nel campo della drammaturgia erano state inaspettatamente interrotte dalla sua improvvisa malattia, che aveva finito per inasprire ulteriormente il suo carattere immaturo e capriccioso.

Nel corso di tutti quegli anni, Terence non aveva potuto evitare di paragonare Susanna a Candice. Conservava l’indelebile ricordo della contagiosa passione di Candy per la libertà a della sua sorprendente capacità di decidere per sé, spesso con un’audacia ed una forza che non corrispondevano al suo aspetto dolce e alquanto fragile. A quindici anni era talmente minuta e magrolina da far risultare quasi incredibile che un involucro talmente piccolo potesse contenere una mente così volitiva.

Quindi, quando Terence ripensava a lei, nei momenti che ritagliava per sé, si domandava come fosse diventata quella sorprendente e indipendente ragazzina che aveva conosciuto una volta. E adesso lei era proprio davanti a lui, nel seducente corpo di una donna, sempre snella ma non propriamente alta, che emanava sicurezza in ogni suo gesto ed in ogni sua interazione.

Nella piccola clinica, per le strade del paese che gli aveva mostrato, nella sua casa circondata da bambini rumorosi, ovunque andasse e con chiunque parlasse, Candy mostrava una vitalità contagiosa. D’istinto, Terence capì che era proprio lei l’unica donna sulla faccia della terra che potesse toccare le giuste corde del suo cuore per farlo vibrare ed allontanare una volta per tutte le tenebre del suo passato. Per certi versi, l’aveva sempre saputo e per questa ragione non riusciva a capire perché l’avesse lasciata andare.

"Ti vanno un po’ di noci, Terence?" gli offrì lei, distogliendolo dai suoi pensieri.
Terence notò che durante la passeggiata, a causa del freddo del mattino, le sue guance avevano acquisito un colorito rosaceo. Era veramente una visione, pensò.

"È il caso di sgranocchiare dolciumi prima di pranzo, Infermiera Andrew?" chiese, mentre prendeva una manciata di noci glassate che lei gli aveva offerto.

"Giusto un paio non ci faranno male. Dopotutto, ci vorrà almeno mezzora per arrivare alla Casa di Pony".

"In tal caso, dovremmo avviarci adesso, perché dobbiamo ritornare alla clinica. Ho parcheggiato la macchina lì. Ti posso aiutare?" le disse, indicando le buste della spesa che aveva in mano.

"Certo! Grazie!"

Uscirono dal negozio e si incamminarono in direzione della Clinica Felice. Una volta arrivati, Terence guidò Candy verso il luogo dove aveva lasciato l’auto e stava per aprirle la portiera quando notò che si era incantata a fissare il veicolo.

"Che succede?" le chiese, incuriosito dalla sua espressione.

"Quest’auto! È dello stesso colore e dello stesso modello di una delle macchinine di Stair", rispose lei.

"Davvero? Questo spiega il suo entusiasmo quando sono arrivato ieri pomeriggio. Mi ha aperto lui la porta e ha visto la macchina”, rifletté.
Candy sollevò gli occhi al cielo come se stesse cercando di risolvere un enigma.

"Terence, credo che Stair creda seriamente che quest’auto sia il suo giocattolo. Intendo dire che probabilmente si è convinto che la sua macchinina sia cresciuta fino a diventare grande come una macchina vera".

"Lo pensi davvero?" le chiese lui con una risatina, mentre la aiutava a entrare in macchina.

"So che ti sembra assurdo", continuò dopo che lui si fu accomodato al posto di guida ed ebbe avviato il motore, "ma Stair ha un’immaginazione sorprendente per un bambino della sua età. Ti ha detto niente della macchina quando l’ha vista?"

"Beh, sì! Mi sembra che mi abbia ringraziato per avergli riportato la "sua" macchina. Ovviamente, gli ho detto che era solo un’auto a noleggio, anche se non sono certo che abbia capito cosa intendessi".

"Sicuramente non ha la minima idea di cosa significhi noleggiare qualcosa. Credo sia meglio fargli qualche domanda quando saremo a casa".

"Ha veramente preso da suo zio; idee assurde e passione per le macchine in generale, eh?" sottolineò con un sorriso.

"Puoi dirlo forte", rispose lei e entrambi scoppiarono a ridere.

Terence guidò l’auto fuori dal paese, ma quando stava per imboccare la stessa strada che aveva percorso all’andata, Candy gli suggerì una via alternativa.

"Prendi la prossima a sinistra. Preferisco fare questa scorciatoia, ci condurrà direttamente al cortile posteriore della Casa di Pony, è molto più veloce; anche se il Dott. Martin dice sempre che è una strada troppo isolata e non dovrei percorrerla da sola", spiegò con un sorriso birichino.

"Il buon vecchio dottore sembra piuttosto affezionato a te, mentre tu sei talmente impudente da non seguire il suo consiglio. Molto male, ragazza mia", replicò scherzosamente lui, mentre svoltava nella direzione indicatagli da Candy.

"Lo so! Ma è un uomo talmente dolce da non offendersi", rispose lei con una risatina.

"Lo conosci da quand’eri piccola?" le chiese per pura curiosità, dato che la sua gelosia era ormai svanita dopo aver conosciuto l’uomo in questione.

"Oh, in realtà no! L’ho conosciuto a Chicago. Ero già un’infermiera e stavo cercando un nuovo lavoro. Lui aveva una piccola clinica in un quartiere del centro. Ho lavorato per lui per circa un anno prima di tornare alla Casa di Pony".

"Ma prima lavoravi in un grande ospedale, non è vero?" le chiese, incuriosito. Fino a quel momento, nessuno dei due aveva parlato granché di cosa fosse accaduto nelle loro vite dopo la rottura.

"Sì, ma sono stata licenziata", rispose lei, facendo un buffo muso lungo.

"Sei stata licenziata?" ridacchiò lui, "Cosa avrai mai fatto per meritarlo?"
Candy tirò un profondo sospiro, incerta se avrebbe dovuto raccontargli tutta la storia.

"Andiamo, Candy, raccontami cosa è successo", le domandò, percependo la sua reticenza.

"O.K., ma devi promettermi di non dimenticare che tutto quello che sto per dirti è accaduto molti anni fa, è acqua passata ormai. D’accordo?" gli disse lei, agitando un dito per ammonirlo.

"Mi stai spaventando! Ma va bene, te lo prometto. Allora, cosa è successo?"
Candy lo fissò dritto nei suoi profondi occhi blu, valutando ancora quanto della sua storia avrebbe potuto rivelargli. Qualcosa nel suo intenso sguardo le fece intendere che aveva parlato seriamente, così decise finalmente di essere onesta con lui.

"Circa undici o dodici anni fa, per una ragione ancora del tutto inspiegabile, Neil Legan ha iniziato a nutrire…una specie di…simpatia nei miei confronti", esordì scegliendo con cura le parole, "ha cominciato a fare cose che avrei ritenuto impossibili, come mandarmi fiori e. . . ", d’istinto abbassò lo sguardo, "invitarmi a uscire…con lui".

A quel punto Terence schiacciò i freni con forza, arrestando improvvisamente l’auto.

"Mi stai dicendo che quel maledetto figlio di puttana ha avuto il coraggio di corteggiarti?" le chiese alzando la voce, con il volto alterato dall’indignazione, "Ovviamente non hai accettato le sue avances, vero?"

"Certo che no, ho chiarito subito che non ero interessata, ma questa non è una scusa per usare quel linguaggio volgare davanti a me, Terence", lo rimproverò, "Ti ho già detto che è successo tutto molto tempo fa, non c’è alcun motivo di arrabbiarsi tanto adesso!"

Il giovane tirò un profondo respiro. Il tormento che lo attanagliava dentro era visibile attraverso i suoi occhi.
Candy, non sapendo cos’altro dire o fare, continuò a osservarlo in silenzio per un po’.

"Ti chiedo scusa, ti prego continua", le disse lui, una volta recuperata la padronanza di sé.

"Beh... quando ho respinto Neil, lui e sua sorella hanno fatto leva sulla loro influenza per farmi licenziare, impedendomi di trovare lavoro in qualsiasi altro ospedale di Chicago. Credevano che se avessero potuto mettermi con le spalle al muro, prima o poi avrei acconsentito a sposare Neil. Ma si sbagliavano di grosso", disse lei con un pizzico di orgoglio nella voce.
Candy fece una breve pausa, osservando la reazione di Terence. Il giovane era in silenzio e aveva la sua solita espressione impenetrabile. Decise di continuare.

"È stato allora che mi sono imbattuta nel Dott. Martin e nella sua Clinica Felice. Non aveva quasi più pazienti e lui stesso non era al meglio della forma, ma fu così gentile da assumermi e darmi uno stipendio decente. Per certi versi, credo che sia stato Dio a farci incontrare. Lui mi ha aiutata dandomi un lavoro ed io, quando ho scoperto del suo problema con l’alcool, mi sono sentita di aiutarlo a mia volta".

"Dunque. . . era un. ..alcolizzato", disse Terence, quasi stritolando il volante con la mano sinistra.

"Sì, aveva da poco perso sua moglie e aveva iniziato a bere per affrontare il dolore. Era un peccato vedere il suo talento sprecato in questo modo, perché è davvero un bravo medico. Fortunatamente, da quando mi ha assunta, si è sentito responsabile per me e si è rimboccato le maniche per risolvere il suo problema. Grazie alla ritrovata sobrietà, sono aumentati anche i pazienti ed è tornato a sentirsi utile".

"Sono certo che la tua presenza l’abbia aiutato molto", mormorò Terence, distogliendo lo sguardo da lei.

"Ci siamo aiutati a vicenda", disse lei, notando che il giovane si era incupito.

"Sono stati tempi duri anche per me e avere un amico è sempre d’aiuto. Dopo un po’, ho deciso di tornare alla Casa di Pony e il Dott. Martin è rimasto a Chicago. Vivevo qui da qualche mese, quando morì l’unico dottore della zona. Ho pensato che il Dott Martin potesse essere interessato a prendere il suo posto e così gli scrissi facendogli intendere che ci sarebbe stato bisogno di lui qui".

"E lui ovviamente ha accettato il tuo invito", disse Terence riavviando il motore.

"Come vedi, sì; vive in paese da circa otto anni ormai. Gode del rispetto e della fiducia di tutti. Per non parlare del fatto che essendo un uomo di buon cuore, spesso dimentica di farsi pagare. Se capisci cosa intendo".
Candy continuò a parlare per un altro po’, ma Terence restò perlopiù in silenzio, finché non arrivarono alla Casa di Pony. A volte, se interpellato, le rispondeva a monosillabi, ma nulla di più. Sebbene la giovane si fosse sforzata di trattare argomenti più piacevoli, cercando di restare allegra, tutto risultò inutile. Nulla sembrava fargli cambiare umore.

Quando finalmente arrivarono alla casa di Pony, Candy, che era profondamente frustrata dall’improvvisa cupezza di Terence, ringraziò Dio per l’opportunità di interagire con altre persone. Forse grazie a loro l’umore del giovane sarebbe migliorato.

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Alla Casa di Pony era praticamente impossibile passare un minuto lontano dagli onnipresenti bambini. Nel corso del pomeriggio, l’umore di Terence era decisamente migliorato, in parte perché interagire con i bambini era una novità per lui ed in parte perché, essendo una persona sensibile, si lasciava trascinare dalla loro sincerità. Dopo essersi accorta che si era nuovamente liberato della sua ben nota maschera di impenetrabilità, Candy si rilassò godendosi il pomeriggio libero, malgrado il freddo che non consentiva loro di passare del tempo all’aria aperta.

Passarono il pomeriggio a fare ogni gioco possibile con i bambini. Dopo cena, si riunirono tutti davanti al fuoco per leggere ad alta voce alcune storie di Mamma Oca. Suor Maria, Candy e Terence si alternavano per imitare le voci dei personaggi, mentre Miss Pony svolgeva il ruolo del narratore. I bambini seguivano la storia con grande partecipazione, ridendo e battendo le mani di tanto in tanto, quando gli eroi riuscivano ad averla vinta sui cattivi.

Il piccolo Alistair, che si era affezionato molto a Terence, passò la maggior parte della serata seduto sulle sue ginocchia, finendo per addormentarsi tra le sue braccia. Quando gli altri bambini iniziarono a sbadigliare, Miss Pony capì che era giunta l’ora di congedare i presenti e mandare i bambini a letto.

Candy chiese a Terence di seguirla per aiutarla a mettere Alistair a letto. Si incamminarono lungo un corridoio della casa che il giovane non aveva mai visto prima, finché non raggiunsero la camerata dove dormivano i bambini. Terence diede una rapida occhiata ai letti a castello, riconoscendo il classico chiacchiericcio dei bambini che si preparano a dormire. Con sua grande sorpresa, però, non si fermarono lì, ma continuarono a camminare finché non raggiunsero un’altra camera da letto, dove finalmente entrarono.
Quando Candy accese una delle lampade, consentendogli di scrutare l’ambiente, capì dai tratti chiaramente femminili degli arredi che si trovavano nella camera di Candy. La giovane sollevò le coperte e chiese a Terence di depositare il bambino sul letto.

Con tocco veloce ed esperto, la giovane tolse le scarpe ed i vestiti di Stair senza disturbarne il sonno. Infine, gli infilò il pigiama e lo coprì con una morbida coperta. Quando si voltò verso il giovane, si accorse che la stava guardando con un’espressione di estrema dolcezza.

Si sentiva profondamente commossa dalla sua indifesa tenerezza, ma non volendo svegliare il bambino, si portò un dito alle labbra facendogli segno di uscire dalla camera in silenzio. Terence la seguì senza dire una parola, ancora troppo frastornato dal vortice di sentimenti che lo avevano travolto nel corso del pomeriggio e della serata appena trascorsi.

Una volta tornati in salotto, Miss Pony e Suor Maria si intrattennero ancora un po’ a chiacchierare con la giovane coppia, quando Candy disse:

"Ho chiesto a Stair della macchina blu e ho la certezza che sia sinceramente convinto che la macchina di Terence sia la sua".

"Come gli è venuta un’idea simile?" chiese Suor Maria con una risatina.

"Credo che sia nato tutto dal fatto che non riesca a trovare la sua macchinina blu e la macchina di Terence è esattamente dello stesso modello e dello stesso colore. Dopo pranzo, ho cercato la macchina nella scatola dove tiene tutte le altre ed anche nella mia camera, ma non sono riuscita a trovarla", rispose la giovane.

"Pensi che possa averla lasciata allo chalet?" suggerì Miss Pony, mentre si dedicava al suo ricamo.

"Chalet?", intervenne Terence.

"Mi lasci spiegare, Sig. Grandchester", rispose Miss Pony, "il Sig. Andrew, che è un amante della natura, è particolarmente legato alle montagne intorno alla Casa di Pony ed alcuni anni fa ha acquistato uno chalet a ventiquattro o venticinque miglia da qui, sul Monte MacIntyre. Il Sig. Andrew lo usa come rifugio una o due volte l’anno quando è troppo stanco a causa del lavoro o degli impegni sociali. Solitamente resta qualche giorno lì da solo per poi fare ritorno alla solita vita. Candy si prende cura della casa durante l’anno. Una settimana fa, Candy è stata lì per fare le pulizie e lasciare delle provviste; ha portato con sé alcuni bambini, perché avevano espresso il desiderio di giocare un po’ nella neve. C’era anche Stair con tutti i suoi giocattoli".

"Quindi, Miss Pony, Lei pensa che la macchinina possa essere rimasta lì", concluse Suor Maria, "Pensi sia possibile, Candy?"

"È probabile. Mi ricordo di aver visto Stair e Larry giocare con la macchinina blu nel salotto dello chalet. Di fatto, ora che me lo fa notare, mi sembra sia stata l’ultima volta che l’ho vista".

"Forse sarebbe una buona idea andare a cercarla lì. Se troviamo la sua macchinina, capirà di essersi sbagliato. Non vorrei vederlo piangere quando me ne andrò portandomi via quello che crede suo", propose Terence con tono serio. Il fatto che avesse parlato della sua ‘partenza’ con un’espressione così austera fece nascere delle preoccupazioni in Candy.

"Perché non ci andate domani?" disse Miss Pony, rivolgendosi alla giovane coppia, "Oggi non è nevicato ed a dire il vero, fa un po’ meno freddo. Sono certa che la strada per lo chalet sarà ancora in buone condizioni, purché si guidi con cautela. Non avrei mai fatto una proposta del genere se non ci fosse stato Lei, Sig. Grandchester, ma dato che è qui, ci farebbe il favore di accompagnare Candy?"

"Miss Pony, sta forse insinuando che io non guidi con cautela?" chiese Candy con tono riprovatorio.

"Diciamo che hai una guida un po’ troppo frizzante, mia cara", rispose Miss Pony ed a questo ultimo commento, Suor Maria non riuscì a contenere una risata.

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Candy sedeva vicino alla finestra. La sua stanza era illuminata appena dalla flebile luce dell’abat-jour. Tra le mani, stringeva il suo vecchio rosario e il libro delle preghiere. C’era una chiara ragione per cui quella sera non riusciva a concentrarsi sulle sue preghiere. Non poteva fare a meno di ripensare a quanto era accaduto negli ultimi due giorni, cercando di risolvere quell’enigma chiamato Terence.

Un minuto prima era un amante appassionato ed un minuto dopo si allontanava evitando di rivolgerle lo sguardo come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Candy sapeva perfettamente che Terence era sempre stato così. Ogni volta che si sentiva insicuro o temeva che qualcosa potesse ferirlo, diventava improvvisamente freddo e distaccato, come se stesse recitando.
Tuttavia, la giovane era convinta che avessero superato la fare di sfiducia iniziale già molti anni prima. Era vero che erano stati lontani a lungo, ma Candy aveva creduto che grazie alle loro lettere e dopo l’incontro a Pittsburgh, il loro rapporto stesse sbocciando nuovamente. Contrariamente ad ogni logica, nelle ultime ventiquattro ore, lui era tornato ai suoi fuorvianti sbalzi d’umore, causandole profonda confusione.

"Perché mi bacia come se non ci fosse un domani e subito dopo non si degna neppure di rispondere alle mie domande? Prima si ingelosisce senza una valida ragione; poi fa un sacco di storie per una cosa accaduta secoli fa, quando eravamo lontani e senza legami. La smetterà mai di comportarsi così? E poi, quando avremmo potuto cogliere l’occasione del tragitto per parlare, si rifiuta semplicemente di farlo. Allora perché si è preso il disturbo di fare tutta quella strada, se aveva intenzione di restare in silenzio e rimuginare?"

"A volte, Terence, mi sembra di odiare questa tua insopportabile abitudine ad allontanarti, almeno quanto ti abbia sempre amato. È impossibile per noi giungere a un chiarimento, Terence? O la distanza che ci ha diviso in questi dieci anni è troppo grande da colmare?"

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(1)Crazie = Il piccolo Alistair intendeva "grazie", ma ha problemi a pronunciare la “g”, suono prodotto dal palato posteriore (velare), come nelle parole ‘regalo, ‘grande’ e ovviamente ‘Graham’. Tuttavia, non ha difficoltà a pronunciare il suono ‘gi’, essendo generato dalla vibrazione della lingua sotto l’arcata dentale.
(2)Benjamin Altman: era un famoso grande magazzino sulla 5a strada. inaugurato nel 1865. Chiuse i battenti nel 1989.
 
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view post Posted on 28/4/2013, 18:58     +4   +1   -1

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Capitolo 6
Lo Chalet



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Si era deciso che Terence e Candy sarebbero partiti molto presto al mattino, prima che si fossero svegliati i bambini. Miss Pony era stata particolarmente insistente su questo punto, ribadendo che avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di Candy più in là nel corso della giornata.

Per questa ragione, la giovane rimase alquanto sorpresa quando la donna le consegnò un cestino pieno di provviste, come se avessero dovuto star fuori per l’intera giornata.

"Ma ci metteremo solo un paio d’ore ad arrivare lì, cercare il giocattolo e tornare. Potremmo essere a casa in tempo per il brunch", disse Candy, lanciando un’occhiata dubbiosa all’enorme cestino.

"Sono certa che tu non voglia far morire di fame il nostro ospite, cara. Tra l’altro, sembra che oggi ci sarà il sole, potresti portare il Sig. Grandchester a fare una passeggiata nei dintorni dello chalet", spiegò Miss Pony, mentre copriva il cestino con una delle sue tovaglie ricamate.

"Il bosco vicino allo chalet è stupendo in questo periodo dell’anno. Sembra una cartolina di Natale, non è vero? Non credi che sia un’ottima occasione per fare un’escursione sulla neve, Candy?" aggiunse Suor Maria, dando man forte a Miss Pony.

Candy alzò gli occhi al cielo incapace di contraddire Miss Pony e Suor Maria quando decidevano di coalizzarsi a sostegno di una causa. Pertanto, la giovane si limitò a stringersi nelle spalle ed a portare il cestino fuori, dove Terence la stava già aspettando. Quando la vide, il giovane le andò immediatamente incontro.

"Stiamo partendo per l’Alaska?" le chiese, con un mezzo sorriso.
"Lasciamo perdere. Una volta che si mettono in testa una cosa, non c’è modo di far cambiare loro idea", gli sussurrò. Lui afferrò il cestino per poggiarlo sul sedile posteriore, ignaro dei brividi che aveva scatenato in lei quando la sua mano inguantata aveva sfiorato la sua.

Senza commentare oltre, Candy e Terence si congedarono dalle signore della casa e si misero in viaggio. Mentre l’auto si allontanava, Miss Pony e Suor Maria restarono per un po’ sull’uscio salutandoli con la mano.

"Siamo certe di aver fatto la cosa giusta?" chiese Suor Maria alla sua vecchia amica.

"Assolutamente sì! Hanno bisogno di passare un po’ di tempo da soli per chiarirsi", rispose Miss Pony con un sorriso, "Tra l’altro, sembra proprio che sarà una bella giornata di sole. Questo pomeriggio quando saranno di ritorno, potremo iniziare a pensare a dove trovare dei fiori bianchi in questo periodo dell’anno. Si fidi di me, Suor Maria".

Le donne condivisero un sorriso complice, mentre osservavano la macchina sparire dietro l’ultima curva.

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Lo sguardo di Candy era perso nella chioma sempreverde degli alberi circostanti. Come soldati in parata, i pini e le querce sembravano sfilare davanti ai suoi occhi, mentre l’auto avanzava sulla strada. Non osava rivolgere lo sguardo al guidatore, timorosa di incrociare il suo. Non riusciva a trovare le parole giuste da dire, pertanto decise di rimanere in silenzio, guardando distrattamente il panorama che scorreva davanti ai suoi occhi. Per più di venti minuti dopo che ebbero imboccato la strada, l’unica cosa che riuscì a sentire fu il battito del suo cuore.

"È assurdo!", si disse Candy, "Perché mi comporto come una ragazzina timida?. . . Oh Signore! Le mie guance sono in fiamme! Sto forse arrossendo?"

La giovane chiuse gli occhi per un attimo, cercando di tirare un profondo respiro nel tentativo di controllare le proprie emozioni. Infine, quando credette che il suo cuore avesse rallentato un po’ il suo battito, osò voltarsi per rivolgere lo sguardo verso Terence.

Indossava un maglione blu scuro a collo alto sotto un trench di pelle. Per cambiare, al posto di un cappello più formale portava un berretto con visiera in tinta con il suo soprabito. Candy pensò che quello stile più disinvolto le ricordasse un Terence più giovane, in una mattina d’inverno simile a quella, ma di molti anni prima, quando l’aveva portata in giro per Manhattan. Candy non poté fare a meno di ammirare ancora una volta i suoi lineamenti. Mentre lo osservava, una sensazione di felicità le scaldò il cuore.

"Perché sorridi?" le chiese lui, rompendo il silenzio.

"Davvero?. . . Io. . . Io non me n’ero accorta! Deve. . . essere stata questa bella giornata ad avermi messo di buonumore", rispose lei, riuscendo ad improvvisare una spiegazione.

"È sempre stata una tua dote", ribatté lui, con lo sguardo fisso sulla strada.

"Sorridere?"

"Intendevo dire la tua solarità, indipendentemente dalle circostanze", le disse lui, con un pizzico di malinconia.

"E la tua è sempre stata quella di prenderti gioco di tutto e tutti", disse la giovane con una strizzatina d’occhio, cercando di sollevargli il morale.

"E sarebbe una dote?"

"Oh guarda!" lo interruppe lei, "Siamo già arrivati! Non trovi che la vista da qui sia meravigliosa?"

Terence doveva ammettere che Candy aveva ragione. La casa si ergeva in cima a una collina interamente ricoperta di neve. Un ventaglio di pini circondava lo chalet da ambo i lati, spezzando la monotonia dello sfondo bianco con chiazze di verde.

Il giovane parcheggiò l’auto proprio davanti al portico e si attardò un po’ prima di scendere, osservando Candy che correva verso la porta. Indossava dei pantaloni, una redingote e un basco alla francese. Pensò che fosse incredibile come riuscisse a sembrare femminile anche con quell’abbigliamento maschile. Capì che c’era qualcosa di terribilmente seducente nel suo sguardo, nei suoi riccioli ribelli o forse nel suo portamento che l’avrebbe resa sempre e comunque attraente ai suoi occhi, anche se avesse indossato un sacco.

Terence uscì dall’auto e seguì Candy in casa.

Di certo non era paragonabile a una villa, ma la casa era arredata con gusto e qui e là era ricca di dettagli interessanti. Le tonalità scure e le naturali venature del legno conferivano calore e profondità all’ambiente, illuminato magnificamente dal sole che filtrava attraverso le numerose finestre. Il salone era spazioso, arredato semplicemente con un grande e invitante divano e due poltrone in tinta poste intorno ad un focolare in pietra. Alcune fotografie in bianco e nero facevano bella mostra sulla parete principale, tutte raffiguranti panorami esotici, sicuramente scattate durante le molteplici avventure di Albert all’estero. Uno spesso tappeto di lana color avorio ricopriva il pavimento, contrastando con la tonalità marrone scuro dei mobili. In un angolo, una piccola libreria con strani oggetti ed una serie di libri la diceva lunga sul proprietario. Ad un rapido sguardo, Terence notò alcuni romanzi di Verne, la biografia di Livingstone ed i resoconti di Darwin dei viaggi in Sudamerica, a Tahiti ed in Australia sulla HMS Beagle.

"Decisamente tipico di Albert", pensò.

Il salone fungeva anche da sala da pranzo grazie a un solido tavolo di cedro in stile rustico posto in un angolo. La variopinta tovaglia che lo ricopriva ed i fiori secchi di lavanda disposti in un cestino erano l’unico tocco femminile nella stanza, un ovvio segno del passaggio di Candy. La cucina era perfettamente attrezzata e c’era un’altra stanza sul retro; una scala portava al piano di sopra, dove c’era l’unica camera da letto.

"Allora, Le piace il rifugio di mio zio, Sig. Graham?" chiese Candy con il suo solito tono spensierato, "Viene qui per fuggire dalle pressioni di Wall Street e dall’instabilità del Dow Jones. E per un po’ torna a essere l’Albert che hai conosciuto una volta".

"Ci viene da solo?" le chiese incuriosito, ma allo stesso tempo riluttante a parlare del suo vecchio amico.

"Oh sì, assolutamente, e non consente a nessuno di disturbarlo durante le sue meditazioni. Neppure a George od a me".

"George?" disse Terence, sollevando un sopracciglio con sguardo interrogativo.

"George Johnson, il suo assistente personale nonché migliore amico. Credo che tu l’abbia visto una volta. È stato lui ad accompagnarmi in Inghilterra quando mi hanno mandata a studiare alla St. Paul School".

"Credo di ricordarlo vagamente", concluse, mentre il suo sguardo si posava su un paio di damigiane in vetro piene d’acqua potabile che si intravedevano in cucina.

"Quando sono stata qui la settimana scorsa ho rifornito la dispensa", gli spiegò, anticipando la sua domanda, "nel caso in cui Albert avesse voglia di venire allo chalet uno di questi giorni, ora che è tornato a Chicago. È molto stressato ultimamente".

"Immagino che la vita di un magnate sia dura", commentò lui casualmente.

"Proprio così. . . ma adesso credo sia il caso di cercare la macchinina. Che ne dici?" suggerì cambiando argomento, memore del consiglio di Miss Pony.

"D’accordo, allora dimmi, da dove cominciamo?"

"Io pensavo di cercare nella camera da letto al piano di sopra e, se non ti dispiace, tu potresti controllare in cucina e in salotto".

"E la stanza sul retro?"

"Quella è la camera oscura di Albert. Non lascio mai che i bambini giochino lì dentro, perché ci sono delle sostanze chimiche tossiche e alcune attrezzature che non dovrebbero toccare. L’ho chiusa a chiave quando sono venuta con loro".

"Allora cercherò qui intorno".

Dunque, si separarono per mettersi in cerca dell’oggetto smarrito e furono ben presto premiati con il successo. Alistair aveva lasciato la macchinina blu ed un libro per colorare in un baule fatto a mano dove veniva riposta la biancheria. Una volta raggiunto l’obiettivo della spedizione, Candy suggerì di fare uno spuntino e Terence si offrì di andare in macchina a prendere il cestino con le provviste.

Una volta fuori, notò con sorpresa che il cielo si era ingrigito e si era alzato un timido vento. Pensò che oltre al rischio legato ad un possibile cambio del tempo, per il suo bene e per quello di Candy sarebbe stato meglio non fermarsi a lungo allo chalet. Aveva sognato per mesi di avere l’opportunità di stare solo con lei; per ironia della sorte, ora che ne aveva l’occasione, non aveva la lucidità per coglierla. Le cose si erano rivelate più complicate del previsto. Sentiva di aver bisogno di più tempo per valutare la questione prima di poterne parlare con lei.

Di fatto, la notte precedente Terence non era riuscito a dormire, perché aveva pensato e ripensato al passato ed a come questo sembrasse improvvisamente gettare delle ombre sul suo futuro. Allo spuntare dell’alba era ancora combattuto se raccontare a Candy del periodo più buio della sua vita oppure no. Aveva sempre creduto che dopo la delusione iniziale conseguente alla loro rottura, Candy avrebbe ripreso in mano le redini della sua vita senza grandi problemi. Ma il giorno prima gli aveva parlato dei tempi duri che aveva vissuto e persino delle minacce che aveva ricevuto da coloro che l’avevano sempre odiata. Non riusciva assolutamente a perdonarsi per non essere stato lì presente a proteggerla da quelle sofferenze. Se avesse saputo che vita aveva condotto lui proprio in quello stesso periodo, sarebbe stata capace di perdonarlo? Avrebbe dovuto nasconderglielo?

Ignara del suo oscuro passato, Candy era stata aperta e disponibile rispetto al suo corteggiamento. Solo il giorno prima non nutriva alcun dubbio che lei avrebbe accettato la sua proposta di matrimonio. Altrimenti non gli avrebbe concesso determinate libertà. Ma cosa sarebbe accaduto se avesse scoperto dei suoi problemi con l’alcool? Lo avrebbe respinto, se gliene avesse parlato? Cosa avrebbe dovuto fare? Se doveva prendere una decisione, era essenziale che avesse la mente lucida ed essere solo con lei non gli era affatto d’aiuto. Un piccolo errore avrebbe potuto mandare ancora una volta in frantumi i suoi sogni più preziosi.

Mentre Terence era fuori, la giovane, con l’aiuto di una piccola scala, era intenta a cercare qualcosa nella dispensa, pertanto non si accorse che Terence era rientrato. Si era tolta la redingote consentendo a Terence di apprezzare le morbide curve del suo corpo, audacemente accentuate dai pantaloni. A quei tempi non era una cosa consueta vedere una donna in pantaloni e dunque, sebbene non fossero aderenti, il solo fatto di indossarli avrebbe comunque attirato l’attenzione di un uomo.

"Pantaloni!" pensò con frustrazione, "Perché doveva indossare dei pantaloni proprio oggi che siamo soli e devo mantenere il sangue freddo?"
"Cosa stai cercando?" le chiese, dopo aver dato un colpo di tosse per schiarirsi la voce.

"Un barattolo di marmellata. . . sì. . . eccolo!" disse trionfante, "Miss Pony ha messo nel cestino un po’ di pane fresco e ho pensato che sarebbe stato perfetto con questa marmellata di albicocche".

Mentre scendeva dalla scala, Candy si voltò a guardare il giovane ma, inspiegabilmente, mancò un gradino e si ritrovò ad agitare le braccia in aria per tentare di recuperare l’equilibrio.

Un secondo dopo era tra le braccia di Terence che era corso in suo aiuto, afferrandola prima che potesse farsi male.

"Chi l’avrebbe mai detto che Tarzan Tuttelentiggini potesse cadere da una scala con soli tre gradini? Hai perso l’allenamento, scimmietta?" disse lui con voce roca, prendendo il barattolo di marmellata e riponendolo sul bancone della cucina senza mai staccare gli occhi da lei.

Candy non riuscì a rispondere. Sapeva perfettamente che non c’era bisogno di continuare ad abbracciarsi, perché i suoi piedi ormai poggiavano saldamente sul pavimento, ma non riusciva a staccarsi da lui né dalle sue braccia. Per un secondo, fu combattuta tra l’impulso naturale di cedergli e la sua determinazione a non concedergli ulteriori libertà finché non avessero parlato. In quel momento, lui la stringeva saldamente contro il suo corpo e lei non voleva allontanarsene.

Dimenticando in un istante tutti i suoi propositi, Terence si era perso ancora una volta nei suoi occhi verdi. Con un dito le sfiorò un labbro con delicatezza tale, che lei lo sentì appena. Tuttavia, quella lieve carezza bastò a farla fremere.

"Queste labbra sono state fatte apposta per essere ardentemente baciate il più spesso possibile", le sussurrò, intenzionato ancora una volta a reclamare la sua bocca.

"Terence. . . ti prego", lo implorò debolmente lei, distogliendo il viso, "non ricominciare".

"Ti sto mancando di rispetto?" le chiese lui, deluso.

"Non è per questo. . . è solo. . . è solo che non trovo giusto che tu ti avvicini ora, se poi intendi allontanarti di nuovo. Non capisci?" gli disse, riuscendo finalmente ad affrontare l’argomento, mentre si liberava dalla sua presa.

Alle parole di Candy, un’ombra attraversò il volto di Terence. Subito dopo, anche lui si allontanò da lei, stringendo i pugni.

"Capisci cosa intendo?" lo incalzò, "Per una ragione a me sconosciuta, decidi che ho fatto o detto qualcosa di sbagliato e interrompi ogni comunicazione, proprio quando avremmo così tante cose da dirci".

"È questo che credi? Che sia arrabbiato con te al punto di punirti con il silenzio?" le chiese, sorpreso dall’interpretazione che aveva dato alle sue reazioni.

"Non è così, Terence? Non eri arrabbiato con me l’altra sera per via della mia telefonata con Albert?"

Terence impallidì per un secondo. Poteva negare di essere stato verde di gelosia?

"Dunque non sono un attore bravo come dicono", ammise con riluttanza.

"Forse solo quando sei insensatamente geloso, Terence", sbottò lei, incrociando le braccia al petto.

"Non è così semplice come credi, Candy".

"Allora perché non me lo spieghi? Parlami, Terence! Ti sembro così irrazionale da non voler neppure tentare di capire il tuo punto di vista? Dimmi, in che modo ti ho offeso ieri? Che cosa ho fatto?"

Terence si sentì colpevole e confuso. Senza volerlo, il suo tormento interiore le aveva fatto credere che ce l’avesse con lei.

"Le cose non stanno così, Candy. Io. . . ti chiedo scusa se ti ho dato. . . un’impressione sbagliata", le disse, mal celando la vergogna. "È vero, l’altra sera ero geloso", ebbe il coraggio di ammettere, mentre i suoi occhi cercavano disperatamente quelli di lei, implorandola di dargli conferma dell’infondatezza delle sue paure.

Non vedendo altro che puro amore negli occhi di lei, prese il coraggio a due mani e decise di continuare.

" . . . ma ieri, le cose sono andate diversamente, Candy. Non ero arrabbiato con te, ma con me stesso". "Che vuoi dire?" insistette lei, confusa dalle sue parole.

Terence chiuse gli occhi. Aveva riconosciuto quello sguardo sul volto di Candy e sapeva che non gli avrebbe consentito di chiudere l’argomento finché non avesse ottenuto una risposta chiara. A quanto pare, sebbene avesse deciso di attendere ancora qualche giorno per riflettere sulla sua situazione, Candy non aveva alcuna intenzione di aspettare. Non c’erano alternative. Non poteva nasconderle il suo passato. Avrebbe insistito per sapere tutto…l’avrebbe scoperto prima o poi…doveva parlargliene adesso.

"Ieri", iniziò con esitazione, "quando mi hai raccontato di quando hai conosciuto il Dott. Martin…mi sono reso conto…di aver mancato nei tuoi confronti ben più di quanto pensassi…forse fino al punto di non potermi riscattare…rendendo impossibile il nostro stare insieme…temo che alla fine le mie colpe finiranno per mettersi tra noi".

"Mancato nei miei confronti? Terence, non dire così. Quando avresti mancato nei miei confronti? E cosa potrebbe mettersi tra noi?" replicò lei, mentre il suo nervosismo e le sue paure crescevano attimo dopo attimo.

"Non capisci? Non mi hai detto di aver conosciuto il Dott. Martin subito dopo che ci siamo lasciati?" le chiese.

Candy restò per un attimo senza parole. Era la prima volta che lui faceva riferimento apertamente alla loro precedente relazione.

"Beh. . . sì. . .è così", balbettò, sempre più confusa e nervosa, "ma non capisco in che modo. . ."

"Candy, ma non vedi le mie colpe?" le domandò, finché, dopo aver tirato un profondo sospiro, non trovò il coraggio di spiegarsi meglio. ". . . . Per molto tempo ho dovuto portare sulle mie spalle il peso dei miei errori. Credimi, in dieci anni ho avuto tempo a sufficienza per rimpiangere la nostra separazione. Ormai, non ho alcun dubbio che la mia mancanza di coraggio quella sera a New York mi abbia spinto a commettere il più grande errore della mia vita. . . non avrei mai dovuto lasciarti andare. . . malgrado questa certezza, è stato solo ieri che ho capito realmente quali conseguenze avessero avuto le mie sconsiderate decisioni sulla tua vita. Avrei dovuto lottare per…noi…non solo per il mio bene, ma anche per il tuo".

"Ma, Terence, sai bene che non c’erano alternative. Se ci fosse stata un’altra soluzione, pensi che avrei acconsentito a rinunciare a te?" rispose Candy, sentendo che le sue certezze si scontravano con la veemenza delle sue parole, "Susanna . . . lei. . . lei aveva bisogno di te! Era tuo dovere!" insistette, ricorrendo all’unica spiegazione che avesse una parvenza di razionalità ed a cui si era aggrappata per tutto quel tempo.

"Oh, Candy, non parlarmi di dovere! Detesto quella parola! Per colpa di un ingiusto senso del dovere ho rovinato la mia vita e la tua", le disse, alzando la voce e voltandosi verso la finestra.

"Come puoi dire così? Lei ti amava, Terence! Era impossibile per noi stare insieme sapendo che avremmo causato l’infelicità di una persona che aveva sacrificato tutto per te", rispose lei, rifiutandosi di lasciar andare l’unica convinzione che le era servita a giustificare le sue decisioni.

Terence esitò per un secondo. Si domandò quanto ancora avrebbe potuto rivelarle della verità su Susanna. Sapere come erano andate effettivamente le cose l’avrebbe fatta soffrire ancora di più? Sarebbe stato meglio risparmiarle un altro duro colpo? O avrebbe dovuto essere del tutto onesto? Per la prima volta da quando era iniziata quell’accesa discussione, il giovane abbassò lo sguardo, cercando le parole giuste per continuare.

"Per anni ho cercato di convincermi della stessa bugia, Candy", esordì finalmente, rivolgendo ancora una volta lo sguardo verso di lei. "Ma nell’esatto momento in cui ti ho rivisto a Pittsburgh, quando ti ho stretto di nuovo tra le mie braccia, ho scacciato anche l’ultima di quelle assurde fantasie. Quella sera, mi hai chiesto se lei era stata felice e ti assicuro che lo è stata davvero; ma solo una persona egoista come lei avrebbe potuto accontentarsi delle briciole di affetto che nutrivo nei suoi confronti. Solo una persona priva di generosità e compassione avrebbe potuto essere felice pur sapendo che io, l’uomo che diceva di amare così profondamente, vivevo nella più dilaniante infelicità. Se solo avesse avuto pietà di me, lasciandomi libero di correre da te…ma lei non ha mai tenuto realmente a me. Le importava solo di sé stessa".

"Terence, non può essere vero!" disse Candy con orrore, restando senza fiato. Ai suoi occhi, Susanna era sempre stata la quintessenza dell’altruismo e del sacrificio. Le parole di Terence le svelavano l’immagine di una donna completamente diversa.

Candy si avvicinò esitante al tavolo da pranzo e vi si aggrappò con mani tremanti, prima di trovare la forza di mettersi a sedere. Per molto tempo, l’unica cosa che l’aveva sostenuta nella sua decisione era stata l’idea che lui avrebbe potuto essere felice con Susanna. A Pittsburgh le aveva confessato di non essere addolorato dalla sua morte, perché i sentimenti che aveva nutrito per lei erano sempre stati piuttosto freddi. E scoprirlo era stato uno choc per Candy. Tuttavia, sapere che era stato sempre infelice in tutti questi anni e che Susanna era stata talmente egoista da ignorarlo, era un altro paio di maniche.
Terence si accorse dell’ombra che aveva attraversato il suo sguardo, mentre i suoi occhi vagavano nervosamente da un punto all’altro della stanza. Si rese conto del suo choc e decise di concederle un attimo di tempo, prima di riprendere il suo triste racconto.

"Lei ha sempre saputo che tu eri. . . infelice? . . . Per tutto questo tempo? . . .Non riesco ancora a credere…che lei…possa…esserne stata consapevole…e non aver mosso un dito!" mormorò, con la voce ridotta a un flebile sussurro.

Avvolta nella nebbia della sua stessa confusione, Candy ricordò vagamente la lettera che Susanna le aveva scritto diversi anni prima. Ora, sotto quella nuova luce, le sue parole assumevano un significato completamente diverso. Candy sentì per la prima volta di essere stata ingannata.

"Non può essere vero!" bisbigliò, sentendo un improvviso senso di nausea.

"Invece è così, anche se non vuoi crederci, Candy", continuò lui, in piedi davanti a lei, "Avevo pensato di nasconderti la verità, perché so che l’hai sempre considerata una santa e hai sinceramente creduto che potessi essere felice al suo fianco. Ma, Candy, ho imparato la lezione nel peggiore dei modi. Quando dopo l’incidente non ti ho detto come stavano le cose, è andato tutto storto. Mi hai chiesto di parlare. Beh, devo confessarti onestamente che in tutto questo tempo non sono mai stato felice".

Candy sollevò lo sguardo verso di lui. Ora i suoi occhi erano pieni di lacrime.
"Non ho mantenuto la promessa che ti avevo fatto", continuò abbassando la voce, "perché la felicità mi è sempre sfuggita. Quando ti ho lasciato andare, ho vissuto le pene dell’inferno per mesi. Solo Dio, forse mosso dalle tue preghiere per me, mi ha salvato dal farla finita. Tuttavia, soffrivo per mia stessa mano. Ecco perché ho accettato il mio destino ed ho persino perdonato Susanna per tutte le sue mancanze e per il suo ruolo in questa triste e torbida storia. Per certi versi, ero degno di lei e dei suoi modi perversi e macchinosi, così come avevo meritato ogni anno di infelicità e solitudine. . . ma non tu. Se hai sofferto o versato lacrime per quest’uomo indegno, è stata solo colpa mia, io. . ."
"No, Terence, non te lo permetto!" lo interruppe con veemenza, guardandolo nuovamente negli occhi. "Non lascerò che ti prenda tutta la colpa. Se lasciarci è stato un errore, allora sono da biasimare anch’io. Sono stata io ad andarmene quella sera; sono stata io a non voltarmi indietro quando hai cercato di fermarmi. Tu parli solo delle tue colpe; ma che ne è delle mie? Ti ho spinto io a prendere quella decisione. Sono stata io il tuo carnefice. Non lo capisci?" ribatté lei e poi, rendendosi conto del peso delle sue stesse parole, esclamò: "Oh mio Dio! Che cosa ho fatto?" E si nascose il volto tra le mani.
Tuttavia, Terence non intendeva permetterle di addossarsi la colpa di quanto era accaduto. Una tale eventualità non gli era mai passata per la testa.

"No, Candy, avrei dovuto fare di più, avrei dovuto insistere, io. . . sarei dovuto correre alla stazione e fermarti. E invece cosa ho fatto? Sono rimasto in quel maledetto ospedale…paralizzato…scioccato…ed ho offerto la mia protezione a lei, lasciandoti sola. Dimmi, Candy, dov’ero io quando Neil Legan ti ha molestato?"

"Terence. .. .lui. . . lui non. . . non mi ha molestato.. . Stai esagerando", gli rispose, mal celando un certo nervosismo.

"Davvero? Allora perché balbetti?" le chiese, impietoso, "Non ti credo, Candy. Non sei mai stata brava a mentire. Ieri ho avuto la netta sensazione che mi avessi raccontato solo una minima parte delle cose che hai dovuto subire. E comunque, credo di conoscere abbastanza bene la mente malata di Legan per colmare le lacune del tuo racconto. Stai cercando di sminuire qualcosa di estremamente serio che ti ha lasciato senza lavoro con il chiaro obiettivo di costringerti a piegarti alla volontà altrui e metterti con le spalle al muro. Tu parli di dovere? Ebbene, ora mi rendo conto che anziché restare al fianco di un’altra donna, il mio posto era accanto a te ed il mio primo dovere era di proteggerti da tutte quelle sofferenze. Ho mancato nei tuoi confronti in questo".

"Ti stai addossando troppe colpe, Terence. Non avresti potuto aiutarmi in alcun modo. Tra l’altro, non ero affatto sola. Ti ho già detto di come il Dott. Martin ed io ci siamo sostenuti l’un l’altra all’epoca. . . e poi c’erano Albert e Archie . . ."

"E pensi che mi consoli il fatto che altri uomini ti siano venuti in aiuto, perché io ti avevo abbandonata?" sbottò con rabbia, "Persino un uomo distrutto dal dolore come il Dott .Martin ti ha dato una mano. E io? Vuoi sapere dov’ero io, Candy, mentre tu subivi tutto questo?"

"Terence, questo non ci è di nessun aiuto, non c’è bisogno di rivangare il passato…o almeno, non in questo modo", disse lei, impallidendo al pensiero della piega che stava prendendo la loro conversazione.

"Non c’è bisogno? È proprio il passato il punto! Ieri mi sono reso conto che il passato, il mio passato, potrebbe essere troppo grave e oneroso per permetterci di stare insieme".

"Ma cosa dici?" gli chiese lei, impallidendo ancor più.

"Dico che forse se scoprissi la verità su di me, se sapessi del livello di codardia e degrado che ho raggiunto, non saresti qui con me adesso. Resteresti sconvolta se sapessi che cosa ho fatto", rispose con amarezza.

"Terence. . .non dire così. . .ti stai facendo del male inutilmente", lo implorò.

"No, mi hai detto di parlare. Ebbene, devi sapere che mentre il Dott. Martin superava coraggiosamente il suo problema con l’alcool per venirti in aiuto, io sprofondavo nella mia ubriachezza. Affogavo nell’alcool, perché non avevo la forza necessaria di decidere se liberarmi dal giogo che mi ero autoimposto e riconquistarti o mantenere le promesse che avevo fatto. Per mesi dopo che ci siamo lasciati, Candy, mi sono dato all’alcool ed ho quasi distrutto la mia carriera. La mia patetica mancanza di risolutezza mi ha condotto fino a quel punto. Quello che ho fatto in quei giorni, come ho perso la mia dignità, il mio orgoglio e la mia innocenza nel giro di pochi mesi è un racconto che le tue caste orecchie non dovrebbero mai ascoltare, Signorina Andrew. Se mi avessi visto allora, ti saresti vergognata di me e avresti rimpianto il giorno in cui mi hai conosciuto".

"MA IO TI HO VISTO!" urlò lei, scoppiando in lacrime e alzandosi in piedi, come se una strana forza avesse improvvisamente pervaso il suo corpo, "Ti ho visto! . . . ho sofferto a vederti così, ma i miei sentimenti per te non sono mai cambiati!"

Ora era il turno di Terence di rimanere senza parole.

"Mi hai visto?" le chiese incredulo, avvicinandosi a lei e prendendola per le spalle, mentre lei iniziava a singhiozzare sommessamente. Improvvisamente, si rese conto della verità ". . . Dunque eri tu! . . . Eri veramente tu!"

Candy sollevò timidamente lo sguardo, con gli occhi pieni di lacrime. Annuì appena, ma lui colse comunque la sua risposta. Poi, tirando un profondo sospiro, trovò il coraggio di parlare:

"Il mio amore non si è affievolito solo perché eri disperato e ti eri lasciato sopraffare dalle circostanze. Anzi, ti ho amato persino di più, perché quando ti ho visto superare la tua dipendenza, ho capito che eri stato talmente coraggioso da sconfiggere i tuoi demoni. . . ti ho visto in quel teatro di quart’ordine e sapevo che non saresti rimasto lì per sempre…sapevo che le tue virtù ti avrebbero aiutato a vincere le tue debolezze…sapevo che un giorno saresti tornato al posto che ti spettava di diritto, facendo appello alla tua dignità. Dopo qualche tempo, quando ho saputo del tuo ritorno e del tuo grande successo con l’Amleto qui ed in Inghilterra, non ne sono rimasta sorpresa. Mi aspettavo questo da te, proprio lì in quel teatro ambulante…”, si interruppe, mentre la sua espressione diventava più cupa, "L’unica cosa che rimpiango adesso, sapendo quello che mi hai detto di Susanna, è di averti lasciato andare ancora una volta. Avrei dovuto aspettare fino alla fine dello spettacolo, anziché scappare via. Avrei dovuto buttarmi tra le tue braccia e dirti quanto ti amavo…ma lo faccio adesso, Terence…ti amavo allora e ti amo adesso, come ho sempre fatto in tutti questi anni. E come farò sempre, anche se dovessi uscire dalla mia vita ancora una volta…ma ti prego, non lo fare. Ti ho mentito a New York. Non potrò mai essere veramente felice senza di te”, gli chiese e lui capì che la sua preghiera veniva dal profondo del suo cuore.

Terence era in estasi. In tutta la sua vita, non aveva mai immaginato che qualcuno potesse amarlo in quel modo, con tale tenacia e assoluta fiducia.

"Come fai a dire una cosa del genere? Non capisci che non merito. . . ?" Tuttavia, non riuscì a finire la frase, perché lei l’aveva zittito con le sue labbra, travolgendolo con un bacio appassionato ed agrodolce mai provato prima.

"Mi sta baciando. . . di sua spontanea volontà. . . mi ama malgrado tutto. . . esiste un Dio, dunque!" riuscì a pensare, prima di perdere definitivamente la capacità di produrre un qualsivoglia pensiero coerente.

Lei gli teneva il volto tra le mani e le sue labbra esploravano quelle di lui con vigorosa passione, come se volesse cancellare con quel gesto l’amarezza delle tante notti passate tra dolorosi rimpianti. Lentamente, lui iniziò a rispondere al suo bacio, contraccambiando la sua passione con altrettanto ardore.

Le loro braccia si cercarono, finché non furono stretti in un abbraccio. Un bacio fece seguito a un altro, in una piacevole e liberatoria sequenza che durò per un lungo meraviglioso momento. Dopo un po’, con il respiro affannoso, lei si lasciò scappare un singhiozzo. Lui sentì il gusto salato delle sue lacrime mischiarsi con quello del loro bacio e si staccò da lei per asciugargliele con le sue labbra.

"Non piangere, Candy", le sussurrò tra un bacio e l’altro, "Ho capito. . . shhhh. . . ora ho capito. Quella sera ho creduto di aver avuto una visione di te, amore mio…avevo visto le tue lacrime, proprio come adesso…se avessi saputo che eri veramente tu…non so cosa avrei fatto! . . . Forse sarei scappato via per la vergogna, o mi sarei gettato tra le tue braccia, pentito. . . Sapevo solo una cosa per certo. . . che non avrei potuto continuare a rotolarmi nel fango. Non è stato facile uscirne…ritornare…ricominciare, ma l’ho fatto per te. Anche se ho commesso l’errore di tornare da Susanna, perché tratto in inganno, l’ho fatto per te. Da quel giorno nel teatro ambulante, ogni piccola vittoria sulle mie debolezze, ogni mio sforzo ed ogni mio successo, tutto era dedicato a te, perché…vedi…tu sei sempre stata l’unica donna che io", esitò per un attimo, ma poi, reso più audace dalla precedente confessione di lei, continuò, "l’unica donna che io abbia mai amato. . . da sempre, dalla prima volta che ti ho visto sulla nave. . . ho capito subito di amarti. Questo è quello che avevo cercato di dirti nella mia prima lettera a maggio, che il mio amore per te non è mai cambiato".

"Oh, Terence!" disse lei, scoppiando in singhiozzi disperati.

Terence l’attirò a sé per consolarla, incerto della ragione che aveva scatenato la sua reazione ed attanagliato dall’ansia di conoscerla.

"Dio mio, tuttelentiggini. . . cosa ho detto? Non piangere più, amore mio", la pregò, cullandola dolcemente tra le sue braccia.

Rimasero abbracciati per un po’, mentre i suoi singhiozzi si placavano in risposta al suo tenero tocco.

"No, Terence. . . non hai detto nulla di male", esordì lei, una volta recuperata la capacità di parlare, "È solo. . . che hai finalmente detto che mi ami. . . non sai quanto ho desiderato sentirtelo dire!" gli confessò.

"Allora ti prometto che d’ora in poi te lo dirò spesso, così avrai modo di abituartici e non piangerai più”, le rispose con un debole sorriso, incurvando appena le labbra.

Improvvisamente, una violenta raffica di vento spalancò la porta, che Terence non aveva chiuso a chiave. Gli innamorati si sciolsero dal loro abbraccio e corsero verso l’ingresso. Davanti ai loro increduli occhi, il vento forte e gelido piegava gli alberi con incredibile furia.

"Non posso crederci!" disse lei, sorpresa, "C’era il sole quando siamo arrivati. . . da dove arriva questa bufera?"

"Non ne ho idea, Candy, ma sembra che non potremo muoverci da qui per almeno qualche ora", replicò lui, attirando istintivamente Candy a sé con fare protettivo; poi, resosi conto della violenza del vento, aggiunse "Credo che sarebbe meglio chiudere le persiane" e si infilò il soprabito per mettere in pratica quanto suggerito.

Candy lo seguì con lo sguardo mentre chiudeva le imposte, che avevano già iniziato a sbattere rumorosamente contro le pareti. Man mano che procedeva chiudendole una ad una, Candy si rese conto che ben presto lo chalet sarebbe rimasto al buio. Pertanto, decise di prendere alcune candele dalla dispensa. Quando Terence rientrò chiudendo la porta dietro di sé, l’ambiente era già illuminato dalla fioca luce delle candele. La giovane era di spalle, impegnata ad impilare ciocchi di legno nel camino.

"Lascia fare a me", le disse, prendendo il suo posto.

"Allora vado a mettere su un po’ d’acqua. Credo che ci farebbe bene una bella tazza di thè, anche se dovrai fare a meno del limone", commentò lei con un timido sorriso.

Terence ricambiò il sorriso in silenzio. Lo inteneriva il fatto che lei potesse prevedere le sue abitudini e le sue piccole manie. Di tanto in tanto, mentre accendeva il fuoco, si voltava a guardarla. Si era tolta gli stivali da neve e girava per la casa a piedi nudi. Davanti a quella semplice prova della loro crescente intimità, si sentì pervadere da una deliziosa sensazione di piacere.
Ormai era chiaro che avrebbero dovuto restare allo chalet per qualche ora, forse per tutta la notte, ed il solo pensiero lo aveva messo in allarme. Ora che tutto sembrava chiarito tra di loro, non gli restava che porle la fatidica domanda. Grazie alla bufera avrebbe certamente avuto abbastanza tempo per farlo. Il problema riguardava cosa avrebbero fatto dopo. Terence pensò che in una giornata come quella sarebbe stato alquanto difficile comportarsi da gentiluomo.

Qualche minuto dopo, con il fuoco che crepitava nel caminetto, i due ragazzi erano già seduti a tavola a godersi il loro thè ed a gustare il pane che Miss Pony aveva preparato per loro quella mattina. Tra di loro era sceso un confortevole silenzio, mentre si rilassavano dalle tensioni esacerbate dalla loro appassionata conversazione. Fuori, il vento ululava e la temperatura scendeva velocemente.

"Sai, non penso che si tratti di una semplice bufera. Ha la violenza di una tempesta", disse lui, rompendo il silenzio, "Mi ricordo che ce ne fu una molto forte a New York l’anno in cui scoppiò la guerra. Erano i primi di marzo, se non erro. All’epoca eravamo impegnati nelle prove di Re Lear, ma dovemmo sospendere tutto per due o tre giorni. Le comunicazioni con il New Jersey erano interrotte, perché i forti venti avevano fatto cadere alcuni pali della luce causando un blackout per tutta la notte".

"Speriamo che questa non sia così forte. Credo che si affievolirà nel giro di qualche ora", rispose lei con calma, mentre sparecchiavano la tavola, "Anche nell’eventualità in cui dovessimo restare qui per giorni, avremmo acqua e provviste a sufficienza. Non preoccuparti".

Terence pensò che la sua principale preoccupazione non era propriamente quella di sopravvivere alla tempesta di neve.

Dopo lo spuntino, Terence scelse un libro dalla modesta selezione di Albert, si sedette accanto al fuoco e iniziò a leggere ad alta voce, mentre Candy poggiava la testa sulla sua spalla. Aveva preso una coperta di ciniglia dalla camera da letto per coprirsi le gambe.

Una tale libertà di godere della reciproca compagnia era un’esperienza totalmente nuova per entrambi. Sembrava appena ieri quando dovevano sgattaiolare nel parco della scuola tra una lezione e l’altra per incontrarsi di nascosto. Ora, improvvisamente, erano due adulti, liberi e indipendenti, bloccati in un angolo sperduto del mondo. Nessuno avrebbe fatto irruzione nella stanza per disturbare la loro intimità, nessuno aveva il potere di obbligarli ad allontanarsi, nulla si frapponeva tra loro. Candy non riusciva a crederci. Essere accoccolata accanto a lui, con il calore del camino che le riscaldava il viso fino a farla arrossire, le ricordò inevitabilmente un’altra occasione di tanto tempo prima in cui avevano condiviso un momento simile.

"Tutto questo non ti ricorda la Scozia?" gli chiese, interrompendo la sua lettura.

Terence mise giù il libro e la guardò in silenzio. Con la luce fioca del camino, gli occhi di lei sembravano iridescenti, con sfumature d’oro che baluginavano su un oceano verde.

"Sì, certo", ammise poi, "ma devi ammettere che le circostanze sono parecchio cambiate. All’epoca ero solo un ragazzino stupido e presuntuoso, troppo arrogante per ammettere di avere una paura terribile di te".

A questo commento, lei scoppiò a ridere.

"Tu paura di me? Non credevo potesse essere possibile!" disse, incredula.

"Sono serio, Candy, avevo paura di quello che sentivo per te", confessò, mettendo da parte il libro. "Era qualcosa di così travolgente e al di fuori del mio controllo che avevo il terrore di quello che sarebbe potuto accadere se l’avessi scoperto. Se ti avessi manifestato i miei sentimenti, avresti potuto ferirmi come nessun altro, o almeno così credevo. Ecco perché scherzavo sempre con te, punzecchiandoti con stupidi scherzi e allontanandoti con parole dure a volte. Ma la verità è che quella sera, quando eravamo seduti davanti al fuoco come stiamo facendo adesso, morivo dalla voglia di stringerti tra le mie braccia in questo modo", le disse, attirandola dolcemente al suo petto e baciandole i capelli. "Per anni ho rimpianto la mia totale mancanza di coraggio quel pomeriggio".

"Non so come avrei reagito se avessi osato farlo", si domandò lei.

"Beh, mi avresti strapazzato dandomi uno schiaffo", rise lui di tutto cuore. "Sono felice di vedere che sembri aver perso quella brutta abitudine, amore".

"Ti prego, lasciamo stare! Se non avessi reagito così duramente quella volta. . ."

Candy si interruppe a metà frase. Improvvisamente, Terence aveva assunto un’espressione seria e lei poté istintivamente leggere sul suo viso la domanda che esprimevano silenziosamente i suoi occhi.

"Temo che ormai sia un po’ tardi per dirlo, ma mi dispiace per la reazione che ho avuto quel pomeriggio, Terence. Non intendevo ferirti…è solo che", sollevò lo sguardo cercando le parole giuste, "non me l’aspettavo…ed ero troppo giovane e inesperta".

"Ma era solo un bacio”, la interruppe lui, con una lieve nota di rimprovero nella voce.

Candy lo guardò, vagamente contrariata dal fatto che lui sembrasse non aver colto il senso delle sue parole.

"Terence. . era. . . la mia prima volta. Non te lo ricordi? Te lo dissi allora . . . " replicò lei, abbassando lo sguardo.

Gli occhi di Terence si illuminarono di mille emozioni diverse. Era sempre stato segretamente compiaciuto e orgoglioso di essere stato lui a rubarle il primo bacio. Ma il dolore che aveva provato nel momento in cui lei l’aveva paragonato a Anthony aveva avvelenato quello che altrimenti sarebbe stato il più dolce ricordo della sua adolescenza. Anche da adulto, indipendentemente da quanto avesse ragionato sulla questione, non era stato in grado di superare quella sensazione.

"Io . . . credo" la interruppe lui, ancora incerto su come avrebbe potuto spiegarsi, "che sia stato un colpo piuttosto duro per me…ho agito impulsivamente, ma con il cuore, cercando di esprimere al meglio quello che non riuscivo a dire a parole e poi", si interruppe, lo sguardo fisso nel vuoto, "tu hai nominato lui. . . insinuando che lui non si sarebbe mai comportato in modo così villano come avevo fatto io".

Candy, che attraverso le sue espressioni aveva osservato il vortice di emozioni che lo aveva assalito, si rese conto per la prima volta che le sue parole l’avevano ferito ben più dello schiaffo.

"Terence", gli disse prendendogli il viso tra le mani obbligandolo a guardarla, "Ti chiedo scusa. Ero troppo scioccata e confusa per rendermi conto che le mie parole ti avevano ferito. Da ragazzina quale ero avevo immaginato che il mio primo bacio sarebbe arrivato molto più in là, in circostanze diverse. Mi hai colto di sorpresa, quando i miei stessi sentimenti erano incerti, sconcertanti..sconosciuti. Non avevo mai provato nulla di simile a quello che provocavi in me. Ma oggi, Terence, non sono più quella ragazzina spaventata e ingenua. Ora so che nessun uomo al mondo potrebbe mai reggere il confronto con te. Mi perdoni?"

Le parole di Candy accarezzarono le orecchie di Terence come una dolce brezza d’estate. Per lui, che era cresciuto sentendosi rifiutato, sentirsi dire da lei che nessun altro era paragonabile a lui era come un balsamo lenitivo per le ferite del suo cuore. Lentamente, sentendosi pervadere da un sentimento simile alla fiducia, poté riconoscere le sue stesse colpe.

"Solo se tu perdoni me per la mia maleducazione", disse finalmente in risposta alla domanda di Candy, dopo una pausa che l’aveva fatta preoccupare, " . . . Vorrei averti baciato con maggiore tenerezza, ma non ero mai stato innamorato prima ed ero inesperto e confuso quanto te…e, ovviamente, schiaffeggiarti a mia volta è stato imperdonabile", ammise, provando sincera vergogna per le proprie reazioni.

"Allora è tutto perdonato", rispose lei con un sorriso, sigillando le sue parole con un nuovo bacio, decisamente più piacevole rispetto al loro primo maldestro tentativo.

"Essere ragazzini è un’esperienza terribile, giusto?" disse, non appena le loro labbra si separarono, "comunque, rifarei tutto da capo solo per guadagnarmi il diritto di rubare ancora una volta il tuo primo bacio. . ." aggiunse, incurvando leggermente le labbra nel suo ben noto sorriso malizioso.

Rimasero abbracciati per un po’, senza dire nulla. Terence aveva bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare l’ondata di piacere che la confessione di Candy aveva rappresentato per il suo ego e lei apprezzava l’opportunità di riprendersi da tutte le emozioni scatenate da quello che si erano detti.

Tuttavia, la natura possessiva di Terence non gli consentiva di gioire a lungo. Ben presto, la sua mente vagò in un’altra direzione, inducendolo a irrigidirsi. Candy, che poggiava la testa sul suo petto, si accorse del ritmo frenetico del suo cuore.

"Candy . . ." esordì, ancora incerto di cosa avrebbe voluto dirle.

"Sì?"

"Non so se posso chiedertelo. . ."

La giovane si sciolse dall’abbraccio quel tanto necessario per guardarlo negli occhi con espressione interrogativa. "Ma. . ." lo imbeccò lei.

"No . . . lascia stare. Non è importante", le disse, cambiando idea.

"Terence, così non va. Se hai una domanda da fare, falla", insistette.

Terence torse le labbra, ancora dubbioso, ma dopo un po’ osò finalmente porle la domanda che lo tormentava.
"Hai detto che in tutti questi anni tu…hai continuato ad amarmi. Ti confesso che è ben più di quanto avessi osato sperare…Tuttavia, mi domandavo…”, facendo nuovamente una pausa, "se in tutto questo tempo avessi mai…avuto qualcuno…non ti biasimerei se fosse così. Come potrei? È solo che. . ."

"Vuoi sapere se ho mai avuto uno spasimante dopo che ci siamo lasciati?" disse lei, riformulando la sua domanda in maniera più precisa.

"Beh. . . sì", confessò lui, distogliendo lo sguardo, chiaramente nervoso al pensiero della risposta che lei avrebbe potuto dargli.

Questa volta Candy sorrise. Non aveva mai visto un’espressione così infantile nei suoi occhi solitamente così seri.

"Nessuno di fisso”, iniziò lentamente, soppesando ogni parola, “Ho partecipato ad alcuni balli accompagnata da alcuni gentiluomini che mi aveva presentato Annie…e forse…ho avuto qualche appuntamento. . .", disse, facendo una pausa per scrutare la sua reazione. Lui non disse una parola, continuando ad evitare il suo sguardo, "ma non ne è mai nato nulla di serio. Annie restava sempre profondamente delusa, ma non mi sono mai sentita a mio agio con nessuno di loro. Era piuttosto difficile capire se fossero effettivamente interessati a me o al denaro che avrei potuto ereditare. E comunque…non potevo fare a meno di paragonarli tutti a te e quando lo facevo, nessuno reggeva il confronto”, concluse, prendendogli la mano e carezzandola dolcemente.

A quelle parole, la tensione sul suo petto si allentò e Terence aprì la mano per consentirle di avere accesso al suo palmo, intensificando la sensazione provocatagli dalle sue carezze.

Non riusciva ad articolare una risposta. Lei lo osservava in silenzio mentre batteva le palpebre nervosamente, intrecciando le dita con le sue. La luce nei suoi occhi le fece intendere che era felice della sua risposta, ma qualcosa sulle sue labbra tradiva la sua esitazione, come se stesse cercando le parole giuste per quello che avrebbe dovuto dirle.

"Per molto tempo", le disse finalmente, "ho pensato di averti perso per sempre. Con il passare degli anni avevo iniziato ad accettare che mi avessi dimenticato e che qualcuno, alla fine, sarebbe riuscito…a conquistare il tuo cuore…Razionalmente, sapevo che era una cosa naturale e auspicabile e che avrei dovuto essere felice che almeno uno di noi due potesse essere felice. Ma ogni volta che ti immaginavo con…un altro uomo…dimenticavo la mia generosità e la mia passione scatenava il mio lato peggiore. Mi odiavo profondamente in quei momenti, sapendo che ero ingiusto ed egoista, specialmente perché ero promesso ad un’altra…tuttavia, non riuscivo ad evitare di…essere geloso", concluse, con gli occhi pieni di desiderio e profonda emozione.

Lei gli si avvicinò, gettandogli le braccia al collo ed appoggiando la sua guancia sulla sua. La giovane non riusciva a dire una parola. Tuttavia, nel calore del suo abbraccio, lui comprese che le sue paure erano state infondate ed il suo cuore rallentò la sua corsa. Dopo un po’, tuttavia, il suo senso di rettitudine gli impose di non lasciar cadere il discorso sul loro passato, finché non avessero chiarito tutto.

"Ora credo di doverti una spiegazione", continuò, attirandola a sé e appoggiandosi allo schienale del divano.

"Una spiegazione?" chiese lei, ignara di cosa le volesse dire.

"Ti ho chiesto del tuo passato e penso di dover essere onesto riguardo al mio. Mi riferisco al fatto che…io abbia vissuto con un’altra donna per diversi anni. Credo che sia opportuno darti una spiegazione".

"Non ne ho bisogno", replicò lei, rannicchiandosi contro il suo petto, non avendo voglia di affrontare quell’argomento.

"Forse ne ho bisogno io, devo togliermi un peso. Ti dispiacerebbe ascoltarmi, anche se non si tratta di un racconto piacevole?" insistette, segretamente convinto che una spiegazione fosse effettivamente necessaria, se voleva abbattere l’ultimo muro tra di loro.

Candy dubitò per un momento, ma vedendo la sua determinazione, finì per cedere.

"Se proprio devi, vai avanti, ti ascolto", acconsentì, poggiando le testa sulla sua spalla.

"Ebbene. . . dopo quella volta a Rockstown, non appena racimolati i soldi per il biglietto ritornai a New York. Feci una serie di lavori umili per mantenermi, mentre cercavo qualcosa nel mondo dello spettacolo. Non fu semplice, perché avevo stabilito un pessimo precedente. La maggior parte dei registi non volevano correre rischi con un giovane attore che aveva la fama di abbandonare il lavoro senza una buona ragione. Impiegai quasi un anno ad ottenere un piccolo ruolo. Fu come ricominciare tutto da capo, ma l’unica cosa che contava era che mi stavo finalmente rimettendo in carreggiata. La compagnia per cui lavoravo all’epoca non aveva neppure la metà del prestigio della Stratford, ma era comunque professionale e dignitosa; nulla a che vedere con quella pietosa compagnia di Rockstown. Fu allora che feci visita a Susanna per la prima volta e lei si mostrò intenzionata a riprendere la nostra relazione da dove l’avevamo lasciata. Onestamente, mi sentivo talmente in colpa all’epoca che non prestai attenzione al fatto che non fosse naturale per una donna essere così compiacente e comprensiva, specialmente considerato il fatto che non le avevo mai parlato di sentimenti. Tutto quello che potei offrirle fu la mia risolutezza a mantenere la promessa di una relazione senz’amore. Le chiesi un po’ di tempo per riprendermi finanziariamente prima di parlare di matrimonio e lei accettò".

"Lavoravo di nuovo come attore da quasi un anno quando Robert Hathaway in persona mi scrisse un messaggio, dicendomi che voleva parlarmi. Puoi sicuramente immaginare quanto fossi emozionato. Tuttavia, quando ci incontrammo, Robert non si mostrò affatto aperto e collaborativo come in passato. Mi accorsi che aveva delle riserve, ma mi offrì comunque un lavoro per la stagione successiva. Accettai di buon grado, giurando a me stesso che non l’avrei più deluso".

"Chiaramente, non mi assegnò un ruolo da protagonista, ma non mi importava. Avevo ripreso a lavorare con la prima compagnia di Broadway. Sarebbe stata una soddisfazione ancora più grande se ciò non avesse significato che era giunto il momento di onorare la promessa fatta a Susanna. Malgrado la mia riluttanza, quella volta mantenni la parola e chiesi la sua mano in matrimonio. Con mia grande sorpresa, la madre ebbe da obiettare, suggerendo che sarebbe stato meglio un fidanzamento più lungo, cosicché potessi offrire a sua figlia una posizione migliore. Susanna non sembrò essere particolarmente convinta dell’idea di sua madre, ma finì per acconsentire. Quindi, fissammo una data per l’inverno dell’anno successivo, il 1918, e concordammo altresì che, nel frattempo, Susanna avrebbe seguito una terapia per imparare ad usare una protesi, ovviamente con il mio sostegno finanziario".

"Da quel momento, la mia vita si divise tra il lavoro e Susanna. Ogni giorno andavo a prendere lei e sua madre nella loro casa di Brooklyn e le accompagnavo al Saint Vincent's Medical Center a Manhattan. Poi, andavo a lavorare e infine le riportavo a casa. A volte restavo a cena da loro per poi tornare in teatro a ora tarda per continuare a provare. Era alquanto stancante, ma mi ci abituai. Infine, circa tre anni dopo la nostra separazione, ottenni il mio primo ruolo da protagonista dopo Romeo e Giulietta, quanto di meglio avrei potuto desiderare" .

"Fu un successo assoluto. Dopo la prima settimana, c’era già il tutto esaurito per il resto della stagione. Ricevemmo delle recensioni talmente buone che Robert ebbe l’idea di non limitare la tournée agli Stati Uniti, ma di partire per l’Inghilterra. La guerra si era appena conclusa e gli inglesi cercavano di dimenticare il passato con una buona dose di intrattenimento. Robert era convinto che una giovane stella come me sarebbe stata accolta con calore. Aveva alcuni amici a Londra che avevano mostrato interesse nei confronti della nostra versione di Amleto, così non fu difficile organizzare tutto".

"Con la prospettiva di una lunga tournée, la Sig.ra Marlowe suggerì che avrei dovuto trovar loro una casa a Manhattan e mettere a disposizione un autista che le accompagnasse in ospedale durante la mia assenza. Dunque, proprio prima di partire per la mia tournée, affittai un appartamento per loro nello stesso edificio in cui abitavo. Il matrimonio fu nuovamente rimandato; questa volta fui io a proporre di posticiparne la data a causa della mia tournée. Susanna doveva restare a New York per sottoporsi alla terapia. Sebbene stavolta sua madre non fosse felice del cambio di programma, dovette acconsentire; specialmente dopo che avevo soddisfatto le sue richieste riguardo all’appartamento, all’autista ed infine a un’auto".

"Durante i sei mesi della mia assenza, Susanna iniziò a scrivere. Non era dotata di particolare talento, ma le sue opere erano comunque accettabili per il mondo dello spettacolo. Non fu difficile per sua madre trovare una compagnia che fosse disposta a mettere in scena qualcosa scritto dalla fidanzata di Terence Graham. Per certi versi, il mio nome le aprì delle porte ed ero felice per lei. Nei due anni e mezzo del nostro fidanzamento, Susanna era sempre stata talmente possessiva e dipendente da me, che mi sentii sollevato quando, di ritorno dall’Europa, la ritrovai così piena di entusiasmo per la sua nuova carriera".

"Il successo che avevamo avuto in Inghilterra ci aveva fruttato eccellenti guadagni. Così, la madre di Susanna divenne ancora più avida. Non appena rientrai dalla tournée, iniziò a insistere che l’appartamento fosse troppo piccolo per sua figlia, visto che stava iniziando a farsi un nome nell’ambito della drammaturgia ed in virtù della sua nuova carriera avrebbe dovuto ricevere potenziali clienti, registi e attori. Dissi alla Sig.ra Marlowe che avrebbe dovuto scegliere tra il matrimonio ed il grandioso ricevimento che desiderava, continuando a vivere nello stesso appartamento, o l’acquisto di una casa, rimandando il matrimonio di altri sei mesi. Questa volta la Sig.ra Marlowe esitò e mi chiese del tempo per pensarci. Credo che fosse combattuta tra la sua paura che il successo ed il denaro mi avrebbero allontanato da Susanna, se non l’avessi sposata subito e la sua apparentemente sconfinata avidità. Alla fine, arrivammo a un compromesso: avremmo lasciato i due appartamenti in affitto e avrei acquistato una casa dove ci saremmo trasferiti io e Susanna con sua madre come chaperone, finché non ci fossimo sposati. La data delle nozze fu fissata per la primavera del 1920".

"Per certi versi, la Sig.ra Marlowe aveva ottenuto tutto quello che desiderava in un colpo solo, una casa a Manhattan e la pubblica affermazione che io e Susanna vivessimo insieme. Tutto in un’unica soluzione. Anche se non eravamo ancora sposati, il fatto che vivessimo insieme era un modo per sottolineare nella nostra cerchia che non ero più sul mercato. Le altre donne interessate a me ci avrebbero pensato due volte prima di provarci con un uomo che viveva già sotto lo stesso tetto della sua fidanzata. Devo ammettere che la Sig.ra Marlowe fu molto astuta".

Terence si interruppe per un attimo, notando che Candy lo osservava con sguardo interrogativo.

"Ti sto scandalizzando?" le chiese.

"Non proprio. . . Sapevo che tu e Susanna avevate vissuto insieme. Ma è difficile per me comprendere come una madre possa proporre un accordo del genere. Non mi sembra…."

"Decoroso?" finì la frase per lei, "Mia cara tuttelentiggini, la Sig.ra Marlowe non ha mai vissuto seguendo i principi morali a cui sei abituata tu. Inoltre, nel mondo in cui vivo, la gente non si preoccupa granché della decenza, pertanto Susanna e sua madre potevano farla franca con il loro piano senza temere il rifiuto della nostra cerchia. Ovviamente, per le sfere più conservatrici della società newyorchese, Susanna non poteva più essere considerata una signora, da quando eravamo andati a vivere insieme. Ma per dirla tutta, la Sig.ra Marlowe era ed è tuttora una mercenaria. Suo marito morì lasciandola al verde, così decise di sfruttare la bellezza di Susanna per assicurarsi un reddito. Quando ho conosciuto Susanna, era lei a sostenere tutte le spese di sua madre con i suoi guadagni, come se la madre non fosse in grado di lavorare per mantenersi. La Sig.ra Marlowe non è affatto in là con gli anni. Credo abbia più o meno l’età di mia madre, potrebbe tranquillamente lavorare per guadagnarsi da vivere, ma ha preferito vivere alle spalle di Susanna. Non mi sorprende che non abbia esitato a rovinare la reputazione della figlia, se poteva ottenerne in cambio una casa lussuosa e una vita confortevole".

"Povera Susanna", mormorò Candy, esterrefatta.

"Non compatirla, Candy. In questa storia Susanna non è stata affatto una vittima innocente. Forse si è comportata in modo fragile e persino infantile a volte, ma non è mai stata all’oscuro delle macchinazioni di sua madre. Sapeva benissimo che sua madre cercava un modo di sfruttare il mio denaro a proprio vantaggio e non ha fatto mai nulla per fermarla. Eppure, ogni suo accordo con i piani di sua madre le è costato caro. Ogni volta che il matrimonio veniva rimandato, Susanna accettava solo dopo aver fatto una scenata in cui recitava magistralmente la sua parte, ricordandomi il suo sacrificio e le sofferenze che aveva patito quando l’avevo lasciata. Manipolava il mio senso di colpa per assicurarsi che mantenessi la mia promessa fino al giorno del matrimonio. Non sopportavo quella messa in scena, ma finivo per acconsentire alle richieste della Sig.ra Marlowe sopportando il ricatto di Susanna solo perché ti avevo promesso che le sarei rimasto accanto. Ma ti giuro che ho desiderato più di una volta di voltarle le spalle e non tornare mai più. Non è stato così, ma ora vorrei averlo fatto".

Candy era senza parole. In tutta la sua vita, non aveva mai conosciuto un personaggio più contorto della Susanna del racconto di Terence. Il giovane notò il suo silenzio e interruppe per un attimo il suo triste resoconto dei fatti. La parte che doveva ancora svelarle sarebbe stata ancora più difficile da affrontare.

"Candy, ti sto raccontando tutto questo perché voglio che tu sappia che sebbene io e Susanna vivessimo sotto lo stesso tetto. . ."

"Terence, non devi parlarmi di questo. Sinceramente, non c’è bisogno…che io sappia", lo interruppe lei, sentendo un’improvvisa stretta allo stomaco.

La giovane non era più appoggiata comodamente al suo petto, ma ora sedeva al suo fianco, alquanto a disagio. Terence, comprendendo la sua riluttanza, le si avvicinò, prendendole il mento con una mano per indurla a guardarlo.

"Amore mio, so bene che la mia situazione con Susanna era altamente compromettente. Molti credevano che ne avessi fatto…la mia amante. Ma voglio che tu sappia che non è assolutamente vero. Vivevamo nella stessa casa ma non siamo mai stati intimi. Capisci cosa intendo?" le chiese, mentre la guardava nervosamente, "Non è mai stato parte del nostro accordo. Acconsentire a una cosa del genere avrebbe reso il mio gesto di offrire una casa a lei ed a sua madre egualmente mercenario e indegno. Poi, la primavera successiva, quando avremmo dovuto sposarci, Susanna si ammalò. La sua malattia peggiorò terribilmente nel corso di quell’anno e di quello seguente. Infine, fu dichiarata terminale e morì nel mese di dicembre, circa tre anni dopo che eravamo andati a vivere insieme”, concluse Terence.

Candy si sentì sollevata quando si rese conto che lui aveva terminato il suo racconto. Per molto tempo aveva cercato di sorvolare sul fatto che Terence avesse vissuto con Susanna pur non essendo suo marito. Malgrado gli sforzi profusi per non giudicarlo, nel profondo del suo cuore, Candy sentiva che una tale decisione, sebbene fosse promesso a Susanna, non si confacesse al senso dell’onore di Terence. Non era quello che si sarebbe aspettata da lui. Ora, sapendo che malgrado le apparenze, Terence si era sempre comportato rispettosamente nei confronti di Susanna, le diede un certo sollievo.

"Apprezzo la tua onestà, Terence", gli disse timidamente. Quanto Terence si rese conto che la tensione che l’aveva attanagliata era svanita, la cinse nuovamente con le sue braccia.

"Non sono fiero delle cose che ho fatto nel periodo in cui mi sono dato all’alcool, Candy”, continuò con un tono particolarmente solenne mentre la guardava negli occhi, "Vorrei poter tornare sui miei passi e offrirmi a te come l’ingenuo ragazzo diciassettenne che ero quando ci siamo lasciati. Sfortunatamente, però, non è possibile. Ho vissuto esperienze laceranti ed ho macchiato la mia reputazione. Tuttavia, posso quantomeno assicurarti che dopo il mio ritorno ho fatto del mio meglio per vivere onorabilmente. Tutto quello che ho, l’ho guadagnato onestamente. E per quanto riguarda la mia relazione con Susanna, dopo averle chiesto di sposarmi, l’ho onorata rimanendole fedele, anche durante la sua malattia. L’ho fatto perché era il mio modo di restare fedele a te. Questo è tutto quello che ho da offrirti adesso; neppure la metà di quello che avevo quando ti ho invitato a New York. Potrebbe bastarti?" esitò, "Saresti. . ." impallidendo improvvisamente mentre cercava il coraggio di continuare, "Saresti disposta a dimenticare gli errori che ho commesso in passato e acconsentire…a diventare…mia moglie?"

Per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare, Candy sorrise, mostrandogli le sue fossette. Il suo viso rispose per lei prima che potesse parlare.

"In questa vita e per l’eternità, Terence, sì, lo sarei e lo sarò”, gli rispose, abbracciandolo teneramente e restando così per un lungo perfetto momento.

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Il mattino seguente Terence aprì gli occhi senza riuscire a distinguere granché nell’oscurità. Il fuoco si era spento dopo aver consumato l’ultimo ciocco e le finestre erano ancora chiuse. Sicuramente fuori si gelava, ma dentro si stava ancora piuttosto caldi. Una particolare fragranza gli penetrò le narici, senza che riuscisse a definirne la natura. Non era profumo e non proveniva neppure dalle lenzuola pulite in cui aveva dormito. Chiuse nuovamente gli occhi e inspirò profondamente. Il dolce aroma era inebriante. Si abbandonò per un po’ al suo seducente effetto, senza domandarsi quale ne fosse la fonte. Dopo un momento di attesa, si accorse che il suo corpo mostrava i primi segni di eccitazione.

I suoi muscoli si tesero e nel farlo si rese conto che il suo braccio destro le cingeva la vita. La fragranza che percepiva veniva da lei, non era il suo profumo, ma l’aroma naturale della sua pelle. L’aveva tenuta stretta altre volte prima, ma non aveva mai assaporato quell’inebriante fragranza come adesso. L’abbracciava da dietro mentre era ancora beatamente addormentata. Riusciva a sentire il suo respiro regolare attraverso la sua schiena che era praticamente incollata al suo petto. Il suo aroma, la sua vicinanza, il suo calore; l’intrecciarsi di tutte quelle sensazioni era fonte di pura felicità per lui. Chi mai avrebbe voluto svegliarsi da un sogno così?

Eppure, Terence aprì nuovamente gli occhi. Stavolta si sforzò di abituarsi all’oscurità e dopo un po’ riuscì a distinguere i dettagli intorno a sé. Ripensò a quanto era accaduto il giorno prima. No, stavolta non era un sogno. Era la più soprendente e dolce delle realtà. Ora riusciva a discernere la massa dei suoi ricci dorati che si stagliavano nelle ombre della stanza. Allungò una mano per accarezzarle dolcemente i capelli. Erano deliziosamente in disordine. Il battito del suo cuore accelerava di attimo in attimo e non poteva ignorarne la ragione. Tuttavia, attese ancora un po’.

Poi, si ricordò che anche in quella maledetta sera in cui si erano lasciati c’era una bufera di neve; era strano che fosse stata un’altra bufera a dar loro la possibilità di chiarirsi una volta per tutte. Ed ora lui era lì, che l’abbracciava da dietro, proprio come aveva fatto quella sera prima di lasciarla andare. Ma quella mattina le cose erano totalmente diverse.

Come per assicurarsi che non potesse svanire nell’oscurità, la strinse ancora di più e affondò il viso nella sua chioma, finché le sue narici non furono invase dall’aroma della sua pelle, che sulla nuca era perfino più intenso. Sapeva che quelle sensazioni gli stavano causando un notevole sconvolgimento, ma non voleva separarsi da lei. Ancora no.

Rimase così per un po’, crogiolandosi nell’idea che avesse dormito con lei per la prima volta nella sua vita. Si sentì talmente rassicurato che la gelosia che aveva provato nei confronti di Albert gli sembrò ormai ridicola. Il pomeriggio precedente, Candy gli aveva raccontato tutti i dettagli della sua convivenza con Albert nel loro appartamentino di Chicago, la successiva scoperta della sua vera identità, il suo ruolo nella storia con Neil e come si fossero avvicinati negli anni, fino a diventare realmente come fratello e sorella.

"Sono stato uno sciocco", pensò, "ma quello che conta adesso è che lei è qui e dorme accanto a me!"

Terence sorrise ancora una volta. Era profondamente grato per il cattivo tempo e per la neve che si era accumulata, impedendo loro di far rientro alla Casa di Pony. Se avesse deciso di organizzare tutto per avere il tempo di parlarle liberamente, sicuramente le cose non sarebbero andate altrettanto bene.

Si ricordò che poco dopo cena Candy si era addormentata sul divano, mentre lui attizzava il fuoco nel camino. Quando se ne era reso conto, aveva pensato di portarla in camera da letto per farla stare più comoda e lasciarla lì, mentre lui avrebbe dormito sul divano. Tuttavia, quando l’aveva depositata sul letto, lei aveva aperto gli occhi, ancora mezzo addormentata, attirandolo dolcemente tra le sue braccia.

"Non mi lasciare", lo aveva implorato, "fa troppo freddo".

Terence, che francamente non aveva bisogno di ulteriori incoraggiamenti, aveva immediatamente ceduto alle sue preghiere. Si era tolto le scarpe e si era sdraiato accanto a lei, abbracciandola da dietro.

"Credo che potremmo lasciarci andare, almeno per un po’", le aveva sussurrato all’orecchio, prima che lei si addormentasse di nuovo.

Tirò un profondo sospiro, del tutto appagato. Per lui non aveva alcuna importanza che avessero dormito completamente vestiti e che non fosse successo nulla. Sapeva che nessun altro si era spinto tanto in là con lei e questo era più di quanto necessitasse al momento. Inoltre, lei aveva accettato di diventare sua moglie e ben presto avrebbero potuto lasciarsi andare a maggiori intimità.

A dispetto delle sue rosee prospettive, però, l’unica cosa che desiderava in quel momento era che lei indossasse il suo anello nuziale, per poterla possedere come gli stava ardentemente chiedendo il suo corpo. Ma un uomo che ha aspettato ben dieci anni poteva aspettare qualche giorno in più, se necessario, giusto?

Di fatto, le aveva proposto di sposarsi all’inizio della primavera, per darle il tempo di organizzare tutto e di trovare una persona che potesse prendere il suo posto alla Casa di Pony. Sorprendentemente, era stata lei a chiedergli di non aspettare troppo.

"Non voglio più separarmi da te, Terence. Ho paura che potrebbe succedere qualcosa se tu partissi per New York e io restassi qui fino alla prossima primavera. Perché non ci sposiamo al più presto? Ti dispiacerebbe se rinunciassimo a un matrimonio in grande con i giornalisti e tutti i tuoi amici di Broadway?"

"Amici?" le aveva risposto lui, sollevando un sopracciglio, "Non ho amici a parte Robert e francamente non credo sia indispensabile averlo al mio matrimonio. Per quanto riguarda i giornalisti, non li voglio intorno in ogni caso. Ti sposerei anche stasera, se potessi. Ho proposto una data in primavera perché solitamente le signore hanno mille cose da fare prima di un matrimonio e hanno bisogno di tempo per i preparativi. Ti dispiacerebbe se organizzassimo una cerimonia molto intima?"

"Ormai dovresti sapere che non sono una donna come le altre. Non mi importa della cerimonia. Mi importa solo di diventare tua moglie", gli rispose raggiante.

Al ricordo di quel momento, Terence sorrise nuovamente. Sì, decisamente lei non era una donna come le altre, e come nessun’altra, il suo seducente profumo era impossibile da sopportare oltre. Controvoglia, si sciolse dall’abbraccio e si diresse verso il bagno, con la speranza che l’acqua gelata potesse raffreddare i suoi bollenti spiriti.

Candy finalmente si svegliò. Avendo dormito con i vestiti addosso, era certa che sarebbe stata un disastro. La giovane si stiracchiò e rotolò dall’altra parte del letto. Quando affondò il viso nel cuscino accanto al suo, poté percepire il profumo di lui. Sorrise al ricordo di quanto era accaduto il giorno prima.

E il suo sorriso divenne ancora più smagliante quando ripensò alla nuova intimità che avevano condiviso.

"Temo di essere stata veramente birichina!" pensò, "Mi domando cosa direbbe la zia Elroy se sapesse del mio comportamento audace", ridacchiando mentre immaginava l’espressione di disapprovazione dell’anziana donna.

"Sembri piuttosto compiaciuta, Signorina Andrew", disse Terence che usciva dal bagno proprio in quell’istante, con i capelli leggermente umidi e perfettamente pettinati. I suoi pantaloni erano un po’ sgualciti, ma a parte ciò, era ancora abbastanza presentabile.

"Sono molto felice, Terence", rispose lei e poi osservandolo aggiunse, “e un po’ invidiosa. Come fai ad essere così in ordine dopo aver dormito con i vestiti addosso? Guardami! Sono un disastro totale, per non parlare dei miei capelli!"

"I tuoi capelli non hanno nulla che non vada", le disse sollevando un sopracciglio.

"Sei davvero gentile, ma non ho bisogno di uno specchio per sapere come si comportano questi terribili riccioli. Ci convivo da abbastanza a lungo per conoscerne la natura".

Alle sue parole ed al broncio che vi aveva fatto seguito, Terence scoppiò a ridere.

"Immagino che i tuoi riccioli non ti piacciano tanto quanto le tue lentiggini", le disse, sedendosi sul letto accanto a lei.

"Proprio no. Mi assomigliano troppo, temo. Indisciplinati e ribelli. Ho sempre invidiato i bellissimi capelli lisci di Annie”, concluse, soffiando via un ricciolo che indugiava testardo sulla sua fronte.

Terence allungò una mano per accarezzarle i capelli. Nei suoi occhi brillava quella particolare luce che era allo stesso tempo ipnotica e inquietante.

"Sei una donna bellissima, Candice", le disse, sollevandole il mento per indurla a guardarlo negli occhi. "Il motivo per cui scegli di ignoralo è un mistero. Ma credimi, la Sig.ra Cornwell non potrà mai reggere il confronto con te e con i tuoi straordinari capelli ricci", dopodiché fece una pausa, per poi aggiungere con tono allusivo, "Oltre al mio oggettivo apprezzamento della tua bellezza, potrei parlarti per ore delle molte cose che ti rendono attraente ai miei occhi, in modo più intimo e personale, ma questo argomento lo affronteremo quando sarai mia moglie".

Sapendo che il suo autocontrollo era ancora precario, Terence si limitò a baciare Candy sulla fronte, per poi lasciarla sola a darsi una sistemata. Nel frattempo, decise di uscire per aprire le imposte e fare il punto della situazione dopo la tormenta.

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La neve era decisamente un problema. La macchina era praticamente sepolta sotto quasi un metro di neve e la strada era del tutto scomparsa. Quando Candy raggiunse Terence all’esterno dello chalet, valutarono insieme le alternative possibili. Restare lì per un altro giorno era fuori questione. Candy era certa che Miss Pony e Suor Maria fossero già abbastanza preoccupate e non voleva allarmarle oltre. Terence, da parte sua, sapeva che se voleva continuare a comportarsi da gentiluomo, avrebbero dovuto far rientro alla Casa di Pony il più presto possibile. Pertanto, il problema da risolvere era come arrivarci, dato che l’auto era inservibile.

Fortunatamente, Candy si ricordò che a un paio di miglia di distanza c’era una fattoria di una coppia che conosceva molto bene. Il Sig. e la Sig.ra Kinkaid erano stati suoi pazienti diverse volte. Se fossero riusciti a raggiungerla, il Sig. Kinkaid avrebbe potuto prestarle la sua slitta e uno dei cavalli per permettere loro di arrivare alla Casa di Pony.

"Non starai pensando di andare a piedi fino alla fattoria con la neve così alta, vero Candy?" le chiese Terence, che aveva ancora dei dubbi sul suo piano.
Candy gli sorrise e corse verso la casa. Qualche minuto dopo ne uscì con un paio di sci tra le braccia.

"E se ci andassimo sciando?" gli chiese, lanciandogli uno sguardo birichino.

"Non dimenticare che siamo in due" obiettò lui, incrociando le braccia al petto.

"Sei un guastafeste!" lo rimproverò lei, "Ovviamente ce ne sono altri. Albert ne ha diverse paia. Vai a prendere i tuoi".

"D’accordo! Sembra che dovremo fare a modo tuo, Tarzan Tuttelentiggini. Ma farai meglio a conoscere per bene questi boschi, perché non intendo perdermi con questo freddo".

"Dimentichi con chi stai parlando? Ho passato quasi tutta la mia vita in questi boschi. Andiamo, sbrigati e vedrai che in un attimo saremo a far colazione dai Kinkaid!"

Dopo aver chiuso la casa ed aver preso la macchinina ed il libro per colorare di Alistair, i due ragazzi sciarono attraverso i boschi, seguendo le indicazioni di Candy. Fedele ai suoi calcoli, arrivarono alla fattoria dei Kinkaid in tempo per colazione. La coppia di contadini, sulla mezza età, li accolse con calore. Furono particolarmente felici quando Candy li informò che il gentiluomo che era con lei era il suo fidanzato e che si sarebbero sposati presto. Con l’occasione, la coppia li invitò a far colazione con loro per festeggiare la notizia, esattamente come aveva previsto Candy. Dopo aver mangiato, il Sig. Kinkaid offrì ai due ragazzi la sua slitta prima ancora che potessero chiedergliela.

Candy fece l’occhiolino a Terence, fiera di aver previsto tutto per filo e per segno. Lui le rispose con un sorriso, per poi aggiungere a bassa voce "Mi ricorderò di portarti con me la prossima volta che deciderò di restare isolato nel bel mezzo di una tormenta. Ti sei rivelata una compagna decisamente piena di risorse".

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Capitolo 7
Narcisi bianchi e tulipani rossi




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Quando fecero il loro ritorno quella mattina, Candy e Terence furono accolti con calore da tutti gli abitanti della Casa di Pony. Il giorno prima, proprio pochi minuti dopo la loro partenza, Suor Maria aveva sentito alla radio di un’allerta tormenta. All’inizio, le due donne si erano un po’ preoccupate per l’incolumità della giovane coppia, ma dato che la tormenta si era scatenata dopo le 10:30, avevano pensato che per quell’ora fossero ormai al sicuro allo chalet.

Più tardi, quella sera, quando si era resa conto che Candy avrebbe dovuto passare un’intera notte con un uomo che non era suo marito – quantomeno non ancora – Suor Maria aveva sentito l’esigenza di recitare il suo rosario ben due volte. Non aveva importanza quante volte Miss Pony avesse cercato di rassicurarla dicendole che il Sig. Grandchester era un gentiluomo, l’amorevole suora non aveva avuto neppure un momento di pace per tutta la notte. Ovviamente, Suor Maria non nutriva alcun dubbio rispetto alla buona educazione di Terence, ma essendo ben più apprensiva della Sig.na Giddings, non riusciva a togliersi dalla testa che un gentiluomo non era necessariamente un santo.

Malgrado tutte queste allarmanti considerazioni, quando la giovane coppia tornò a casa e dopo aver guardato Candy negli occhi, Suor Maria si sentì subito sollevata. Conoscendo la giovane sin dall’infanzia, la perspicace suora avrebbe capito immediatamente se fosse accaduto qualcosa di inopportuno, semplicemente osservandone il comportamento. Terence, consapevole della situazione, si sentì sollevato e fiero di poter guardare le insegnanti di Candy negli occhi senza aver nulla da nascondere.

Beatamente ignaro dei problemi e delle preoccupazioni degli adulti, Alistair fu oltremodo felice di recuperare sia il suo giocattolo che il suo libro per colorare, e per giunta tutto in una volta. Dato che la macchina che Terence aveva noleggiato era rimasta a MacIntyre Mount, il bambino credette che la ‘magia’ fosse semplicemente svanita. Tuttavia, dato che giocare con una macchinina era decisamente più divertente rispetto a una macchina a grandezza naturale che potevano guidare solo gli adulti, non rimase affatto deluso dalla novità.

Dopodiché, dato che era domenica e dovevano recarsi in chiesa, ogni conversazione fu rimandata a più tardi. Solitamente, il sacerdote della zona arrivava verso mezzogiorno per una celebrazione speciale solo per gli abitanti della Casa di Pony. Per Terence, che non andava a messa dai tempi della Saint Paul School, fu un’esperienza alquanto imbarazzante. Essendo membro di una famiglia di “Recusant” (1), Terence era stato educato alla fede cattolica. Tuttavia, da quando aveva lasciato la casa paterna, il giovane aveva preso le distanze da qualsivoglia manifestazione religiosa di tipo convenzionale. Non era ateo né agnostico, ma le forme tradizionali di espressione spirituale non facevano per lui. Malgrado le sue personali convinzioni, però, sapeva che se voleva sposare Candy, doveva dimostrarsi alquanto tollerante. In quell’occasione, trattandosi della prima volta e considerato che aveva perso l’abitudine, se la cavò abbastanza bene.

Durante il pranzo che ne seguì, Terence e Candice informarono le gentili signore del loro fidanzamento. Ovviamente, ricevettero le loro congratulazioni e Miss Pony, orgogliosa di aver svolto un ruolo fondamentale per il buon esito della vicenda in più di un’occasione, ne fu particolarmente felice. Suor Maria condivise tale gioia in modo più discreto, sebbene fosse altrettanto lieta per la coppia. Fu altresì necessario dare qualche spiegazione, perché il piccolo Alistair non aveva ben capito cosa significasse sposarsi. Quando Candy gli disse che dopo il lieto evento Terence sarebbe diventato parte della loro famiglia, il bambino lanciò un paio di sguardi a Terence e poi a Candy, prima di far loro una domanda:

"Diventerai mio fratello?" disse il bambino, guardando nuovamente Terence.

"No Stair, diventerà tuo zio", gli spiegò Candy.

"Zio G!" esclamò Stair d’istinto, con il suo caratteristico sorriso.

"Dopo quello che tu e la tua benedetta macchinina blu avete fatto per noi, piccolo Inventore, puoi chiamarmi come meglio credi", rispose Terence, prendendo il bambino in braccio per farlo accomodare sulle sue ginocchia.


Candy lanciò uno sguardo alla coppia, chiedendosi come avrebbe preso Archie quello strano legame che si stava creando tra suo figlio e Terence. Tuttavia, non essendo il tipo da preoccuparsi troppo, tirò un profondo respiro e decise di sperare per il meglio.

In serata, Albert chiamò nuovamente per confermare il suo arrivo per il giorno successivo. Malgrado il cattivo tempo degli ultimi giorni, i treni funzionavano regolarmente e Albert li informò che sarebbe arrivato il 22. Questa volta, Miss Pony notò che il giovane ospite non aveva battuto ciglio durante l’intera chiamata. Pensò che la promessa di matrimonio da parte di Candy lo avesse rassicurato definitivamente rispetto all’amore che la giovane nutriva per lui. Tuttavia, la Sig.na Giddings non si lasciò trarre in inganno dalla momentanea serenità di Terence. Essendo saggia e in là con gli anni, sapeva che la gelosia di un uomo non poteva svanire dal giorno alla notte. La gentile signora conosceva altresì l’indole di Candy e pensò che la coppia avrebbe fatto un bel po’ di scintille negli anni a venire, specialmente considerata la possessività di Terence e l’indipendenza di Candy. Tuttavia, sperò che il loro amore, che aveva superato la dura prova del tempo e della separazione, potesse aiutarli a vincere le loro debolezze.

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Fedele alla parola data, Albert arrivò alla Casa di Pony alle 11 del giorno successivo. Fu felicemente sorpreso di vedere lì Terence. Dopo un primo momento di mutuo riconoscimento ed i soliti convenevoli, i due uomini ripresero a chiacchierare amabilmente come ai vecchi tempi. Candy era più che felice di vedere che i due uomini che amava di più al mondo andassero così d’accordo.

Ma i discorsi da adulti avevano vita breve alla Casa di Pony, perlomeno quando i bambini erano in piedi e ansiosi di lanciarsi in nuove avventure. Albert era uno dei loro preferiti, pertanto fu praticamente rapito per tutto il pomeriggio e parte della serata. Gli altri adulti gli erano grati per aver distratto i bambini ed aver lasciato loro del tempo per fare altre cose. Per questa ragione, fu solo in tarda serata che Terence poté trovare un momento tranquillo per discutere di questioni più serie con il suo vecchio amico.

Il biondo stava cercando di godersi un po’ di pace ed una tazza di caffè nella penombra del salotto, quando Terence andò a sedersi accanto a lui.

"Hai avuto una giornata piuttosto intensa", esordì Terence.

"Lasciamo perdere! Oggi ho scoperto di non essere più tanto giovane", rispose Albert con una risatina da dietro la sua tazza.

"A me sembri sempre lo stesso".

"Beh, non posso dire altrettanto di te. L’ultima volta che ti ho visto eri un ragazzino sedicenne decisamente più basso e magrolino. Pensi che questo mi faccia sentire così giovane, amico mio?"

"Forse, allora, neppure quello che sto per dirti ti sarà di aiuto in tal senso", gli anticipò Terence, sollevando un sopracciglio.

Albert, che si aspettava un discorso serio prima o poi, poggiò la tazza sul tavolino.

"Sono tutt’orecchi", gli disse.

"Questa mattina ho avuto l’impressione che non fossi sorpreso di vedermi qui”, disse Terence. Lo sguardo d’intesa di Albert gli fece comprendere che la sua intuizione era giusta, "Non ci vediamo da molto tempo, ma vedo che sono ancora un libro aperto per te. Pertanto, credo che non resterai sorpreso se ti chiedo la mano di Candy in matrimonio".

"Me lo stai chiedendo veramente?" replicò Albert, inclinando leggermente la testa.

"Assolutamente sì".

"Immagino che la dama in questione ti abbia già dato il suo consenso".

"Sì, è così", rispose Terence, incapace di nascondere la sua felicità.

"Allora, se avete già deciso, credo che né il sottoscritto né nessun altro al mondo possano far nulla per evitarlo. Dunque, ritieniti pure ufficialmente fidanzato".

"Ma tu approvi, non è vero?" gli chiese Terence, aggrottando la fronte.

"Certo che sì, sciocco!" rise Albert, "Anzi, sono felice che si tratti di te e non di altri. Non credo che un altro uomo sarebbe capace di gestire il caratterino di Candy. E in tutta onestà, sono convinto che lei sia la donna giusta per darti filo da torcere, amico. Congratulazioni!" aggiunse, dando a Terence un’affettuosa pacca sulla spalla.

"E esattamente quando pensate di sposarvi?" chiese Albert, riprendendo la sua tazza di caffè.

"Tra due o tre settimane", fu la semplice risposta di Terence.

Albert distolse gli occhi dal suo caffè e lanciò a Terence uno sguardo carico di significato.

"Come mai tutta questa fretta?"

"Tranquillo, amico! Non è successo nulla di indecoroso. Hai la mia parola", rispose Terence, avendo compreso i sospetti di Albert, "è solo che la distanza tra New York e questo posto è troppo grande per un fidanzamento lungo. Lo abbiamo già fatto in passato e non intendo ripetere l’esperienza. Sono un uomo libero dotato di certi mezzi, lei è maggiorenne e abbiamo il tuo consenso. Perché aspettare?"

La tensione sulle spalle di Albert si allentò.

"Immagino tu comprenda che con un preavviso così breve non ci sarà molto tempo di informare tutti e organizzare una cerimonia in grande”, lo ammonì Albert.

"Beh, il fatto è che entrambi preferiamo una cerimonia intima e tranquilla. Riguardo alle cose essenziali, ho già chiamato mia madre e mi ha informato che mi porterà personalmente il certificato di nascita, anziché spedirmelo per posta. Lei è l’unica persona che mi interessa avere accanto quel giorno. Candy ha detto che aveva bisogno solo di te, dei Cornwell e del Dott. Martin. Sa che il resto dei suoi amici non arriverebbero mai in tempo. Stavamo pensando di tenere la cerimonia qui nella cappella. Questo è tutto rispetto ai preparativi".

"Quindi, com’era prevedibile, voi due avete deciso di scioccare il mondo”, affermò Albert con una luce maliziosa che risplendeva nei suoi occhi azzurri. “Così, la gente parlerà, i miei cugini ne resteranno atterriti, la stampa farà le più assurde speculazioni…immagino già la faccia di mia zia quando lo scoprirà…non vedo l’ora!"

Al pensiero di tutto ciò, entrambi scoppiarono a ridere.

I due uomini continuarono a chiacchierare per un bel po’. Fu deciso che prima del matrimonio, la coppia di fidanzati sarebbe partita per Chicago per sbrigare alcune questioni pratiche. Albert suggerì loro di passare il capodanno alla villa, in modo da poter presentare Terence ai membri più anziani della famiglia. Terence non era entusiasta dell’idea, ma ritenne di non poter sfuggire ai parenti di Candy per sempre. Decisero di proporre la cosa a Candy prima che Albert partisse per Chicago.

Qualche minuto prima di mezzanotte, Albert ammise di aver bisogno di un po’ di riposo. Il giorno dopo sarebbe ripartito per Chicago, portando con sé Alistair. Pertanto, avrebbe dovuto far ricorso a tutte le sue energie per tenere il passo dell’infinita loquacità del bambino.

"Albert", disse Terence rivolgendosi al suo amico, che stava già incamminandosi verso la camera da letto che gli era stata assegnata.
"Sì?"

"Adesso posso chiamarti papà?" gli chiese il giovane con un mezzo sorriso che gli incurvava le labbra.

"Provaci e ti riduco in poltiglia", scherzo l’uomo di rimando, ma poi, sentendo riacutizzarsi il dolore alla schiena, aggiunse, "ma forse la mia schiena non apprezzerebbe l’idea".

"D’accordo, allora mi atterrò al solito Albert", concluse Terence ridacchiando.

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Terence aveva un ricordo alquanto sbiadito delle feste natalizie. Ricordava vagamente che quand’era bambino suo padre organizzava delle grandi feste per i suoi aristocratici parenti a cui non gli era concesso di partecipare; pertanto, si limitava a sgattaiolare dalla sua stanza a tarda sera per appostarsi in cima alle scale ad osservare gli eleganti ospiti. Poi, faceva ritorno nella sua stanza e passava il resto della notte sveglio, in parte perché pregustava i regali, ma perlopiù perché era bramoso del tempo che suo padre gli avrebbe dedicato giocando con lui. Ripensò a quelle lontane mattine di Natale come ad uno dei pochi momenti in cui suo padre gli aveva regalato un po’ di attenzione. Sfortunatamente, con il passare degli anni e con il nascere dei figli della Duchessa, quest’ultima aveva fatto in modo che Terence fosse praticamente escluso dalla cerchia familiare. Pertanto, da ragazzino aveva passato un bel po’ di vigilie di Natale da solo nella sua stanza alla Saint Paul School.

Successivamente, da quando aveva iniziato la carriera di attore, il Natale era sempre stato sinonimo di lavoro. Persino negli anni in cui aveva vissuto con le Marlowe, non aveva mai realmente sentito l’atmosfera natalizia. È vero, loro tre vivevano nella stessa casa, ma non erano la sua famiglia. Pertanto, in mancanza di una vera famiglia, si può realmente pretendere di festeggiare? Riguardo a sua madre, per lei la stagione invernale significava lavorare, esattamente come per suo figlio. Quindi, di fatto Terence non aveva mai passato un Natale come Dio comanda.

Ora, per la prima volta nella sua vita, Terence aveva assistito a una vera celebrazione del Natale, che ricalcava in tutto e per tutto lo scenario di cui aveva letto tante volte nei libri. Non dipendeva dal ripieno del tacchino – sebbene fosse ottimo – o dalle tante calze appese ovunque nel salotto, o dai popcorn, che gli ricordavano i bei vecchi tempi. Sì, c’erano decorazioni, cibo e regali ovunque, ma il protagonista principale della festa era l’amore sincero e profondo che permeava l’atmosfera di una vera casa.

Osservando l’affetto di cui godeva ogni singolo bambino della casa, Terence comprese appieno che tipo di educazione avesse nutrito l’animo gentile di Candy. Non c’era da sorprendersi che il suo cuore solitario fosse stato attratto dal suo come un’ape da un fiore. Alla luce di tutto ciò, era assolutamente elettrizzato all’idea che un tale calore avrebbe ben presto fatto parte della sua vita, aprendogli nuovi orizzonti per i Natali a venire.

Dopo la tradizionale cena, si riunirono tutti intorno all’albero per ascoltare qualche storia, per poi congedarsi. Alla Casa di Pony era consuetudine andare a letto presto la vigilia di Natale per risparmiare le energie per l’apertura dei regali la mattina successiva. Quando fu ora di mettere a letto i bambini, Terence lanciò uno sguardo alla sua fidanzata, che gli rispose con un’occhiata silenziosa. Un paio d’ore più tardi, quando erano già tutti a letto, i due ragazzi si ritrovarono nel salotto per passare un po’ di tempo insieme prima di coricarsi.

Quando Candy entrò nella stanza, Terence era chino sulla mensola del camino, intento ad osservare le molte fotografie in bella mostra. Volti di bambini, adolescenti e persino adulti, tutti ex abitanti della casa di Pony incorniciati in ogni forma e dimensione adornavano il camino con le loro espressioni sorridenti. Tra di essi, il bel viso di una ragazzina dai lunghi capelli biondi e dagli splendenti occhi verdi fece saltare un battito al suo cuore.

"Questa foto è stata scattata alla Saint Paul School, vero?" le chiese, percependo la sua presenza dietro di sé.

"Beh, era facile da indovinare. Le uniformi sono abbastanza eloquenti", rispose lei, guardando con affetto la foto, scattata ormai quasi 12 anni prima, che la ritraeva insieme ad Annie Cornwell – nata Brighton – ed a Patricia O'Brien.

"Che fine ha fatto la tua amica con gli occhiali?"

"Intendi dire Patty?" lo corresse lei, alzando gli occhi al cielo davanti all’abitudine di Terence di affibbiare soprannomi a chiunque. "Ha vissuto a Chicago per qualche anno, durante la guerra, studiava per diventare insegnante. Dopo la laurea ha lavorato per un po’ in una scuola in centro per poi decidere di riprendere gli studi. Ha fatto domanda per entrare ad Oxford ed è stata accettata. Ora si trova lì per un dottorato di ricerca in letteratura".

"È sempre stata un’amante dei libri. Ancora nessun fidanzato?" le chiese, curioso.

"No. . ." rispose Candy con un pizzico di malinconia, "Temo che il suo cuore sia ancora in lutto".

"Ci sono amori che non moriranno mai, anche quando sembra persa ogni speranza", le disse, baciandole la mano, "il che mi ricorda. . ." aggiunse poi, mentre la invitava ad accomodarsi sulla sedia a dondolo di Miss Pony, accanto all’albero, "che sarebbe ora di darti il mio regalo di Natale".

"Ma non è ancora Natale", protestò lei debolmente. Candy sapeva che non poteva contraddire Terence quando la guardava con quel suo sorriso malizioso, che sembrava riservare solo a lei.

"Lo sarà tra qualche minuto", rispose il giovane indicando l’orologio. Poi, si sedette sul parquet, ai suoi piedi.

"D’accordo, come desideri", finì per accondiscendere la giovane. Pertanto, si inchinò per prendere un pacchetto rettangolare e glielo consegnò, dicendogli: "Allora, Buon Natale, Terence".

Il giovane prese il pacchetto senza dire una parola, un po’ sorpreso dal fatto che lei gli avesse fatto un regalo.

"Non vuoi aprirlo?" gli chiese lei, con gli occhi che le brillavano.

"Sei sicura che non esploderà non appena lo aprirò?" la prese in giro lui, fingendo di guardare il pacchetto con sospetto.

"Non lo saprai mai se non corri il rischio, fifone".

Punzecchiato dalle sue parole, Terence finalmente scartò il pacchetto. Una volta aperto, rimase a fissarlo per un po’. Si trattava di un voluminoso libro rilegato in pelle che aveva tutto l’aspetto di essere un pezzo di antiquariato.
"Le opere teatrali di Shakespeare edite da Thomas Hanmer!" lesse con stupore.

"È tutto quello che sono riuscita a trovare", gli disse lei, stringendosi nelle spalle, come se il libro non corrispondesse esattamente a quello che aveva in mente.

"Tutto quello che sei riuscita a trovare? Questo libro avrà più di 170 anni!"

"180 per l’esattezza", lo corresse Candy, sollevando la copertina e indicandogli l’iscrizione sulla prima pagina, datata 1744, "ma il commesso del negozio di Chicago mi ha detto che le compagnie professionali come la tua usano solo il testo del First Folio (2). Questo è editato e probabilmente andrebbe bene solo per impreziosire la tua biblioteca. Avrei voluto trovarti un originale del First Folio", gli disse, mal celando una punta di delusione.

Terence sorrise alla sua ingenua osservazione.

"Se hai intenzione di derubare la British Library, ti prego di dirmelo in anticipo, così potrò pensare a un modo per tirarti fuori di prigione, nel caso riescano a prenderti, ovviamente", le disse ridendo.

"Allora non ti piace, eh?" gli chiese lei, mettendo il broncio.

"Stai scherzando? Lo adoro!" le disse sinceramente, continuando a fissare l’antico volume. "Ho sempre desiderato iniziare una collezione di edizioni pregiate come questa, ma non avevo mai trovato il tempo di cercare qualcosa di così raro. Tra l’altro, non sarà il First Folio, ma ti sarà senz’altro costato una piccola fortuna. Questo volume è un vero gioiello! Non avresti dovuto".

"Sono un’ereditiera che si concede raramente un po’ di shopping, quindi una pazzia ogni tanto non può certo farmi male. . . Sono felice che ti piaccia!" disse Candy con un sorriso, quando si rese conto che lui aveva sinceramente apprezzato il suo regalo.

"Ti ringrazio, amore mio", rispose lui. Candy, che non si era ancora abituata agli appellativi affettuosi con cui lui le si rivolgeva, arrossì violentemente. Il colore delle sue guance contrastava con il rosa chiaro del suo vestito.

"Più in là potremmo cercare altri volumi della stessa collezione, se vuoi", suggerì lei, cercando di superare l’emozione suscitatale dalla mano di lui che carezzava dolcemente la sua.

"Mi piacerebbe molto! Ma. . ." esitò per un secondo, desideroso di porle una domanda che gli era balenata nella mente, "Questo non è un regalo dell’ultimo minuto. Come mai l’hai preso se non sapevi che avremmo passato il Natale insieme?" le chiese, incuriosito.

"Quando sono stata a Chicago il mese scorso ho deciso di comprarti qualcosa di speciale. Non sapevo che ti avrei rivisto durante le feste, ma ho pensato che prima o poi ci saremmo incontrati di nuovo".

Terence restò in silenzio per un po’. Sapere che era stato nei suoi pensieri per tutto quel tempo, così come lei era stata nei suoi, gli fece intenerire il cuore. Non avendo facilità a esprimere a parole le sue più profonde emozioni, si limitò a stringerle la mano, sperando che l’effetto del suo tocco potesse trasmetterle l’intensità dei suoi sentimenti.

Proprio in quel momento, l’orologio scoccò la mezzanotte.

"Ora ti piacerebbe aprire i tuoi regali?" le propose Terence.

"Come mai hai usato il plurale?"

"Giudica da te se conosco bene la grammatica", le disse il giovane, porgendole un pacchetto avvolto in una semplice carta rossa, nascosto tra i molti regali posti sotto l’albero.

Candy sorrise, indovinando dalla forma e dalle dimensioni dell’oggetto che anche in questo caso si trattava di un libro. La giovane pensò che fosse in assoluto il primo regalo che riceveva da lui, ovviamente senza contare i fiori che le aveva mandato a Pittsburgh.

Con grande emozione, scartò il pacchetto, rivelando alla vista un libro dalla copertina rosso scuro. Il titolo, inciso in lettere dorate, diceva: Poesie in due volumi di William Wordsworth.

Notò che c’era un segnalibro all’interno e immaginando che fosse stato messo lì appositamente, aprì il volume alla pagina corrispondente e lesse ad alta voce:

Vagabondavo solo come una nuvola
Che alta fluttua su valli e colline,



Aveva appena iniziato a leggere, quando al terzo verso lui si unì a lei, recitando la poesia a memoria. Continuarono all’unisono sino alla fine.

Quando a un tratto vidi una folla,
Una schiera di dorati narcisi
Lungo il lago e sotto gli alberi
Una miriade ne danzava nella brezza.

Fitti come le stelle che brillano
E sfavillano sulla Via Lattea,
Così si stendevano in una linea infinita
Lungo le rive di una baia.
Una miriade ne colse il mio sguardo
I fiori si lanciarono in una danza gioiosa

Lì presso danzavano le onde scintillanti,
Superate in letizia dai narcisi;
Un poeta non poteva che esser lieto
In così ridente compagnia.
Mirando e rimirando, pensai poco
Al bene che la vista mi recava:

Spesso quando me ne sto disteso,
Senza pensieri, o pensieroso,
Essi balenano al mio occhio interiore
Che rende la solitudine beata,
E allora il mio cuore si riempie di piacere,
e danzo con i narcisi.



Quando ebbero finito l’ultima strofa, un silenzio mistico scese su di loro, mentre le parole della poesia risuonavano ancora nelle orecchie di Candy.

"Ti ricordi, Candy?" le sussurrò con voce vellutata, "quella mattina di marzo, correvi nel parco della scuola, ignara della mia presenza, finché non inciampasti su di me".

"Oh!" esclamò lei, ricordandosi dell’episodio a cui lui alludeva, "Non ti avevo visto perché eri sdraiato tra i narcisi. Ricordo che caddi in modo alquanto sgraziato", rispose Candy, ridendo di sé stessa.

"Ero talmente preso dal profumo dei fiori che neppure io ti avevo vista…stavo…stavo pensando a te. . ." le confessò, osando rivelarle i veri sentimenti che aveva provato in quel momento, "e poi tu mi apparisti all’improvviso, come evocata dai miei pensieri. Ero felice di vederti. . . specialmente quando finisti direttamente tra le mie braccia".

"Come potevo sapere che eri felice di vedermi? La prima cosa che facesti fu prendermi in giro per la mia sbadataggine, tra l’altro in modo alquanto insolente, se ben ricordo. E per di più, non ti vedevo da un mese, da quando avevi fatto irruzione nella mia camera di notte e quando te lo dissi, mi voltasti le spalle con freddezza", rispose lei, tenendogli il broncio.

"E tu ti vendicasti affibbiandomi alcuni coloriti epiteti. . ."

"Davvero?"

"Oh sì, ricordo perfettamente le tue parole: Terry, sei un maleducato ingrato, insopportabile e presuntuoso".

"E ti feci arrabbiare molto?"

"Assolutamente no, Candy. Al contrario, fu un raggio di sole per me. Era la prima volta che mi chiamavi Terry e non Terence. Ero euforico. Da allora, ogni volta che vedo un narciso, ripenso a quel giorno ed a te che pronunciavi il mio nome e il mio cuore inizia a battere più forte".

Candy notò che gli occhi di Terence avevano assunto una più profonda tonalità di blu, come le onde del mare in una mattina di sole. Ne rimase affascinata per qualche secondo, con la gola secca per l’emozione. Lui non la stava neppure sfiorando in quel momento, eppure erano bastate le sue parole a causarle un tale turbamento…era allamante!

"Dicono che i narcisi siano i fiori della rinascita”, disse lei con voce roca, chiudendo il libro, ". . . perché fioriscono ogni anno nel periodo di Pasqua. Quando mi hai mandato quella bellissima composizione floreale a Pittsburgh, ho pensato. . . che forse. . .era un segno che anche il nostro amore potesse rifiorire".

"Era così!" le disse lui, mentre estraeva qualcosa dalla tasca, "Questo è per te", le disse, mettendole un pacchettino tra le mani.

Candy immaginò cosa contenesse avendo riconosciuto la caratteristica scatola turchese, impreziosita da un nastro; tuttavia, notò che il pacchetto era leggermente consunto lungo i bordi e ne fu incuriosita.

Con le mani che le tremavano, sciolse il nastro per aprire la scatola. Un perfetto diamante da un carato incastonato su una classica montatura di Tiffany la abbagliò con la sua luce.

"Se avessi avuto più soldi, ti avrei comprato qualcosa di più bello, ma all’epoca la mia carriera era solo agli inizi", le confessò, con voce rotta dall’emozione.

"La tua carriera. . . era solo agli inizi?" ripeté Candy, cercando di comprendere il significato delle sue parole. Poi, riguardando il pacchetto, notò che il nastro non era immacolato come avrebbe dovuto essere e persino il turchese della scatola era un po’ sbiadito, "Vuoi dire che hai comprato questo anello. . ."

". . . prima che venissi a New York per la prima di Romeo e Giulietta", le spiegò, "Quella sera avevo intenzione di chiederti di sposarmi, ma andò tutto storto. . .e dopo non ho mai trovato il coraggio di restituire l’anello. Non osai venderlo neppure quand’ero disoccupato e avevo disperato bisogno di soldi per comprare da bere. L’ho conservato da allora. . . Ma ero in dubbio se dartelo ora o comprartene un altro, magari uno con un pavé di brillanti o una vera di diamanti. Qualcosa di più appropriato per la donna che amo. Questo è troppo semplice. . ."

"È perfetto, Terence!" lo interruppe lei, con gli occhi pieni di lacrime, "Non potrei desiderare di meglio".

La giovane tolse l’anello dalla scatola, con l’intento di indossarlo, ma qualcosa la fece esitare. Il suo sguardo si era posato su un’incisione all’interno della montatura, accanto al marchio di Tiffany, che diceva semplicemente:

"un faro sempre fisso”

Candy riconobbe quelle parole e sorrise tra le lacrime. Vedendo che era impietrita dall’emozione, Terence l’aiutò a infilare l’anello al dito.

"Quando ti ho rivisto a novembre. . . ed abbiamo ballato insieme. . . ho capito che sebbene volessi corteggiarti lentamente, non sarei stato capace di aspettare a lungo. Così, ho dato istruzioni alla mia governante affinché cercasse l’anello e me lo spedisse. Avevo in mente di chiederti di sposarmi al più presto. Ecco perché sono venuto qui…Buon Natale, Candy".

"Non potrebbe essere migliore", rispose lei, inginocchiandosi accanto a lui sul pavimento per suggellare le sue parole con un profondo bacio.

Non sia mai ch’io ponga impedimenti all’unione
di anime fedeli. Amore non è Amore
se muta quando scopre un mutamento,
o tende a svanire quando l’altro s’allontana:
Oh no! Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca,
il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama;
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio.
Se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

William Shakespeare



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Annie Cornwell non stava più nella pelle da quando Albert le aveva comunicato la notizia dell’imminente matrimonio di Candy. Per anni, Annie aveva immaginato la sontuosa cena ed il ballo che avrebbe organizzato per quella meravigliosa occasione. Aveva intenzione di fare le cose in grande per umiliare tutti coloro che in passato avevano trattato Candy in modo sprezzante per aver commesso il peccato di essere orfana. Ora doveva rinunciare a tutti quei programmi. Era proprio da Candy farsi venire la banale idea di sposarsi nella cappella della casa di Pony in presenza di pochissimi invitati, senza fiori e senza avere neppure il tempo di farsi confezionare un vestito da urlo, per non parlare di un ricevimento degno del suo nome. Tutto questo sarebbe già bastato a far contrariare Annie, ma in aggiunta a ciò, Albert aveva eluso il compito di informare Archie, chiedendo a lei di farlo in sua vece.

"Avrò già il mio bel da fare con la Zia Elroy…e poi, tu sei sua moglie. Sono certo che nessuno possa svolgere questo compito meglio di te”, le aveva detto Albert.

Dire che Archie non avrebbe gradito la novità non rendeva decisamente l’idea. Annie temeva il momento in cui avrebbe dovuto informarlo, ma sapendo che non c’era modo di evitare una scenata, decise di farlo subito dopo Natale.

Quella sera, dopo aver messo il piccolo Stair a letto, Annie aveva invitato suo marito a passare un po’ di tempo con lei nella stanza della musica. Archie, che aveva sempre amato ascoltare sua moglie suonare il piano, accettò di buon grado. La giovane eseguì un paio di pezzi, mentre Archibald leggeva un libro, seduto comodamente accanto al camino. Tra sé e sé, Annie ripassò la sua strategia, facendo del proprio meglio per affinarla. Era convinta che se avesse adottato l’approccio giusto, il colpo sarebbe stato un po’ meno traumatico.

Una volta terminata l’esecuzione dell’ultimo movimento del concerto, la giovane si alzò dal piano e andò ad accomodarsi sul divano, accanto a suo marito. Prese una grande scatola in legno ed un libro riccamente decorato che aveva lasciato su un tavolo vicino, dopodiché, aprì la scatola tirando fuori una serie di vecchie fotografie con l’intenzione di metterle in ordine. Poggiò sul divano il libro, che in realtà era un album fotografico, accingendosi a sistemare un paio di fotografie in una delle sue pagine bianche.

Distrattamente, Annie si schiarì la voce per attirare l’attenzione di Archibald che era assorto nel suo libro. Il giovane alzò gli occhi dalla pagina che stava leggendo e osservò sua moglie, che sembrava del tutto concentrata sul suo compito.

"Guarda questa foto, Archie", lo invitò, una volta resasi conto che aveva la sua attenzione, "ti ricordi quando l’abbiamo scattata?"

Archie lanciò uno sguardo alla fotografia, inclinando la testa per vederla meglio. I suoi occhi sorrisero al ricordo.

"Certo, tesoro; eravamo allo zoo di Londra. Zio Albert lavorava lì e Candy ci portò tutti a trovarlo una delle domeniche in cui eravamo in libera uscita dalla prigione", disse ridacchiando.

"Oh sì! Adesso ricordo", ribatté lei, recitando la parte meglio che poteva, "C’era quel tizio con una macchina fotografica che faceva le foto nel parco. Non ero stata io a proporre una foto di gruppo?"

"Sì, Annie, credo fosse stata una tua idea", concordò lui.

"E allora, perché Candy non è nella foto?" chiese poi, fingendo di non sapere.

Archie alzò gli occhi al cielo e strinse le labbra infastidito.
"Sarà stata sicuramente in giro per il parco con quell’odioso inglese", commentò seccamente.

Annie aggrottò la fronte. Tra sé e sé recitò una preghiera.
"La smetterai mai di odiarlo, Archie? Sono passati anni e comunque, se consideriamo i fatti obiettivamente, Terence non ha mai fatto nulla per meritare il tuo odio".

Archie lanciò uno sguardo ad Annie, meravigliato dal fatto che sua moglie avesse sollevato quell’argomento.

"Intendo dire", proseguì Annie, notando che Archie rimaneva in silenzio, "che tutti i vostri litigi a scuola erano sempre scoppiati per futili motivi. Ora sei un adulto, giusto? Perché nutri ancora tutto questo rancore nei suoi confronti?"

"Annie, tesoro, mi stupisci!" rispose Archie visibilmente alterato, "Sai perfettamente che mi ero riappacificato con lui a scuola, quantomeno per il bene di Candy e di Stair. Quello che non gli perdono è di aver fatto soffrire Candy dopo. Dio mio, Annie, hai forse dimenticato che l’ha piantata?"

"Questo non è vero, Archie. Ti ho già spiegato come sono andate le cose. Terence non l’ha affatto piantata. Erano entrambi d’accordo sul lasciarsi. Non ho mai approvato la loro decisione, ma non puoi incolpare soltanto lui. Sono certa che abbia sofferto quanto lei".

"Abbiamo già discusso di questo in passato, Annie”, rispose stizzito il giovane, rendendosi conto che sua moglie non aveva compreso il suo punto di vista. "Quando un uomo lascia una donna perché intende sposare un’altra, per me equivale a piantarla. Conosco bene la storia dell’incidente, la Signorina Marlowe che lo aveva salvato e tutto il resto, ma credimi, non mi impressiona affatto. Avrebbe dovuto trovare un’altra soluzione. Dio solo sa se io l’avrei trovata, fossi stato al suo posto! Aveva un tesoro di ragazza tra le mani ed è stato così stupido da lasciarla andare facendola soffrire! Ogni volta che ripenso a quel giorno in cui Candy fu portata qui dalla stazione, svenuta e pallida per la febbre, mi viene voglia di spaccargli quel bel faccino e renderlo irriconoscibile persino a sua madre. Hai dimenticato quanto è stata dura per Candy dopo? Quanto era dimagrita e come avesse perso il sorriso per anni?"

"Ma, Archie, tesoro", disse Annie usando il suo tono più dolce e poggiandogli una mano sulla spalla cercando di calmare il suo impeto, "Non c’è dubbio che Candy si sia ripresa da allora e sono certa che non porti rancore nei confronti di Terence. Perché dovresti farlo tu?"

"Beh, Candy sarà pure una santa, ma io no di certo! Tra l’altro, non c’è bisogno che lo perdoni. Per fortuna quella canaglia è fuori dalle nostre vite per sempre. Come ti ho già detto l’altro giorno, Candy l’ha scampata per un pelo e sono felice per lei", rispose lui con tono perentorio, dopodiché, riprese in mano il suo libro con tutte le intenzioni di riprendere la lettura e dimenticare l’esasperante argomento Grandchester.

"E se invece, improvvisamente, lui. . .lui tornasse a far parte delle nostre vite, Archie? Cosa faresti?" azzardò Annie timidamente.

L’umore di Archie diventava sempre più tetro con il passare dei minuti. Annie era sempre stata una moglie dolce e discreta, pertanto non capiva da dove venisse tutta quella insistenza.

"Dio mio, Annie. Non ha alcuna importanza rispondere a queste domande retoriche. Quell’uomo non farà mai più parte delle nostre vite. Punto. Di fatto, non gliene importa nulla! È libero là fuori di andare in giro per il mondo a spassarsela con le altre donne. Non ti ricordi la foto sui giornali dell’altro giorno? Per fortuna Candy e tutta la nostra famiglia non dovranno più sopportare la sua disgustosa presenza".

"Archie . . . e se quella donna sui giornali fosse stata Candy?" esclamò Annie, consapevole del fatto che il peggio doveva ancora venire.

Questa volta Archibald guardò sua moglie come se fosse impazzita. Qualcosa nella sua testa gli fece comprendere quale fosse stato, sin dal principio, il fine ultimo di quella conversazione. Allora si alzò dal divano e andò verso il piano, poi si avvicinò al camino sfregandosi la fronte, per poi voltarsi nuovamente verso sua moglie. Aprì la bocca, ma per un po’ non riuscì ad articolare alcun suono. Annie era lì, con gli occhi incollati al tappeto e le mani giunte sulle ginocchia, aspettando l’inevitabile rigurgito di rabbia che sarebbe seguito di lì a poco.

"Stai sicuramente scherzando, non è vero Annie?" chiese Archie, ancora incapace di dar credito alle insinuazioni di sua moglie, ma poi il silenzio di Annie gli comunicò molto di più delle sue parole.

"Santo Dio! Era davvero Candy . . . con. . . LUI?!!!" sbottò finalmente, del tutto fuori di sé, "Non può essere vero! Dev’essere impazzita! Com’è potuto accadere?"

"È stato lui a ricontattarla, una volta passato il periodo di lutto", esordì Annie senza rivolgere lo sguardo verso suo marito, "poi ha fatto in modo di incontrarla, durante il suo viaggio quest’autunno. . . .ed a quanto pare i loro sentimenti non erano cambiati".

"Non è possibile! Perché non me l’hai detto prima, Annie? Perché me l’hai tenuto nascosto? Se l’avessi saputo, avrei impedito che. . ." sbottò lui, alzando la voce e alterandosi sempre più.

"Lo avresti fatto davvero, Archie?" lo interruppe Annie, trovando il coraggio di contraddire suo marito, "Credi onestamente che avresti potuto impedire al cuore di Candy di amare Terence? C’eri riuscito a Londra?"

Archie era senza parole. Le labbra serrate per la frustrazione e la rabbia. Detestava ammettere che Annie aveva ragione. Nessuno poteva fermare Candy quando si metteva in testa una cosa – o nel cuore.

"Hanno continuato ad amarsi in tutti questi anni, malgrado le circostanze", continuò Annie. "Quando tutti noi credevano che il loro amore fosse morto e sepolto, si amavano ancora nonostante la distanza. Non trovi che un amore così indistruttibile e fedele sia commovente, Archie? Ti prego, cerca di essere ragionevole".

"Sciocchezze!" la contraddisse Archie. "È solo uno sporco opportunista! Non gli permetterò di avvicinarsi oltre a lei".

"Archie, non c’è nulla che tu possa fare. Terence ha chiesto la mano di Candy in matrimonio e Albert ha già dato il suo consenso".

"Siete tutti impazziti? E da quando complottate alle mie spalle per tutelare quel mascalzone buono a nulla?" urlò.

". . . da quando hai deciso di essere così irragionevole!" sbottò Annie, alzandosi improvvisamente in piedi. “Te l’avrei detto sin dall’inizio, ma sei sempre stato così rancoroso nei confronti di Terence ogni volta che si sollevava l’argomento, che non avevo dubbi che avresti fatto una scenata simile quando lo avessi scoperto. Poi avresti discusso con Candy finendo per litigare con lei…e….mi sarei sentita malissimo nel vedervi in disaccordo. Lo sai quanto io non sopporti i contrasti! E magari avresti persino osato affrontarlo e sai bene che non si scherza con uno come lui, Archie. Avevo paura per te!"

Archie fu sorpreso dalla reazione e dalle parole di Annie. Non era certo il tipo da alzare la voce, ma adesso stava praticamente urlando.

"Ma ormai mi arrendo!" continuò, "Se vuoi renderti ridicolo, sei libero di farlo. Terence e Candy arriveranno tra due giorni e passeranno il Capodanno qui. Ed a gennaio si sposeranno. Dunque, faresti meglio ad abituarti all’idea e cercare di essere cortese per una volta, o se preferisci, fai pure una scenata ma sappi che ti ritroverai tutti contro, inclusa me!"

Prima che Archie potesse controbattere, la giovane corse via in lacrime. Archibald si ritrovò solo nella sala della musica, rimuginando e maledicendo Terence e tutta la sua stirpe.

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Annie sedeva nella sua stanza, singhiozzando ancora in silenzio a causa del litigio con suo marito. Sapeva che le cose sarebbero potute andare peggio. Se per esempio lo stesso incidente si fosse verificato sette anni prima, quando non erano ancora sposati, sarebbe rimasta profondamente ferita dalla reazione iperprotettiva di Archie nei confronti di Candy. Oh, sarebbe impazzita di gelosia! E avrebbe avuto tutte le ragioni per farlo. Fortunatamente, negli ultimi dieci anni le cose erano parecchio cambiate.

Annie non era cieca. Sapeva che l’esuberante personalità di Candy, unitamente alla sua bellezza, avevano risvegliato l’uomo che era in Archie, quando questi era ancora un ragazzo. Inoltre, Annie era convinta che da quando suo cugino ed il suo stesso fratello avevano iniziato a condividere lo stesso interesse, i sentimenti di Archie si fossero trasformati da cotta passeggera a passione ben più articolata; erano tutti egualmente innamorati della stessa ragazza. A peggiorare le cose, la forza di quella precoce attrazione si era intensificata in conseguenza del rapporto più stretto a cui erano stati costretti da quando Candy era stata adottata.

Con occhi più maturi, Annie si rendeva ora conto di quanto fosse stato imprudente far vivere sotto lo stesso tetto tre ragazzi che si stavano affacciando all’età virile con una ragazza per cui provavano una forte attrazione. Se non fosse stato per l’affetto e la lealtà che li legava, le cose sarebbero potute finire decisamente male.

Annie aveva ammirato Archie e Stair per il loro comportamento da gentiluomini, malgrado la giovane età. Avevano infatti stoicamente accettato la scelta di Candy. Per il suo bene e quello di Anthony, si erano fatti da parte con una maturità che molti adulti avrebbero invidiato. Eppure, i loro cuori non ne erano usciti illesi. La cotta adolescenziale si era trasformata in nostalgica e repressa passione.

Più maturo e padrone di sé di suo fratello, Alistair aveva affrontato la situazione con maggiore condiscendenza. Archie aveva sofferto più profondamente, specialmente quando Candy, dopo la morte di Anthony, aveva continuato ad ignorare i suoi sentimenti. Nel bel mezzo di tutto ciò, Terence ed Annie avevano fatto la loro comparsa sulla scena, complicando ulteriormente le cose.

L’attrazione che univa Terence a Candice era stata sin dall’inizio incredibilmente forte e visibile a tutti. Era impossibile evitarla. Certi indomabili amori durano tutta la vita. Una volta divampato l’incendio, nessuno può far nulla per spegnerlo. Annie l’aveva capito. Archie no. Il suo cuore aveva opposto resistenza con tutte le forze al fine di difendere il suo amore malcorrisposto. Per certi versi, l’attaccamento di Annie ad Archie era stato molto simile per intensità.

Nonostante ciò, a ventisei anni, Annie si rendeva conto che i sentimenti che aveva provato per Archie quando ne aveva solo quindici erano stati senz’altro immaturi ed egoisti, ma certamente non meno forti. Era stata questa forza interiore a permetterle di attendere con pazienza che i sentimenti di Archie cambiassero, malgrado gli anni e le circostanze.

Con il passare del tempo, Annie si era domandata come avrebbe reagito se Candy avesse ricambiato i sentimenti di Archie. Avrebbe avuto il coraggio di farsi da parte, come Archie aveva fatto per Anthony? Il suo amore per Candy ed Archie sarebbe stato capace di tale abnegazione? Annie si conosceva bene ed aveva tutte le ragioni di ritenere che non l’avrebbe fatto. Non era certo fiera di questa sua debolezza.

Tuttavia, i suoi difetti non le avevano impedito di capire che quella mancanza di generosità aveva un qualcosa di perverso, specialmente se portata all’estremo e finalizzata alla separazione di due anime che si amavano. Quindi, aveva decisamente ritenuto che l’intrusione di Susanna nelle vite di Terence e Candy fosse stata del tutto malvagia e illegittima. Annie era assolutamente grata di non essersi mai trovata in una situazione simile con Candy e Archie.

Vista in prospettiva, la sua storia con Archie era stata ben più felice. Stavano insieme da sei anni quando finalmente si erano sposati, nel 1919. In tutto quel tempo, i sentimenti che Archie nutriva per Candy si erano gradualmente affievoliti. Era stata una trasformazione lenta, difficile da percepire, persino per i vigili occhi di Annie. Archie non aveva mai ricevuto alcun incoraggiamento da Candy, non aveva mai saputo cosa significasse essere l’unico artefice di quel suo particolare sorriso. Dunque, quasi impercettibilmente, i suoi teneri sentimenti per lei si erano trasformati.

Poi, quando aveva ufficialmente annunciato il suo fidanzamento con Annie, aveva dovuto affrontare una forte opposizione prima di poterla condurre finalmente all’altare. Le obiezioni erano state talmente forti, che se non fosse stato per il deciso sostegno di Albert, Annie e Archie avrebbero dovuto far ricorso alla fuga. All’epoca, Archie studiava Economia a Harvard. Non si vedevano da più di sei mesi quando Archie si era reso conto che la distanza aveva intenerito il suo cuore, rendendolo al contempo inquieto. Non avendo intenzione di aspettare oltre, le aveva chiesto di sposarlo un anno prima di laurearsi. Tale notizia non era stata ben accolta dagli Andrew. Come spesso accade in questi casi, l’opposizione della famiglia aveva finito per creare un legame più forte e intimo tra la giovane coppia ed Annie era stata grata di tutto ciò.

Nella sua mente e nel suo cuore, quei difficili momenti erano divenuti i momenti più cari della sua storia d’amore. Avevano tentato di annunciare le loro intenzioni quando Albert era lontano, impegnato in uno dei suoi soliti viaggi di lavoro, ma la famiglia si era opposta. La Zia Elroy aveva proibito ad Archie di far visita alla sua fidanzata ed i Brighton, offesi da quella pubblica umiliazione, si erano dimostrati risoluti nell’incoraggiare la relazione tra Cornwell e la loro figlia. Tuttavia, Archie aveva continuato a incontrarla di nascosto, raggiungendola da Cambridge quasi ogni weekend, per rassicurarla sul fatto che nulla gli avrebbe impedito di sposarla. Annie si ricordò che in una di quelle occasioni, Archie le aveva detto per la prima volta che l’amava e non aveva dubbi che le sue parole fossero state sincere.

Successivamente, Albert era rientrato dal suo viaggio ed aveva sistemato tutto, consentendo loro di sposarsi come desideravano. Poi, dopo il matrimonio, Archie ed Annie avevano scoperto insieme i misteri dell’amore fisico. Quella nuova intimità aveva ulteriormente rafforzato il loro legame, portandolo ad un livello superiore. Infine, l’esperienza come genitori li aveva avvicinati come non mai. L’amore paziente di Annie, divenuto più profondo e altruista, aveva finalmente conquistato il cuore di Archie.

Malgrado tutte queste grandi vittorie, Annie sapeva che Archie avrebbe sempre avuto un debole per Candy. Era stata il suo primo amore ed entrambi condividevano i ricordi dei bei giorni andati, quando avevano vissuto come una famiglia, seppur per breve tempo. Inoltre, avevano pianto insieme la perdita di persone care, avvenimenti che solitamente generano un legame forte e saldo che non ha nulla da invidiare a quello di sangue. Nessuno avrebbe potuto cancellare tutto questo, seppur provandoci.

In breve, l’affetto che Archie nutriva per Candy aveva subito una trasformazione, mutando la sua natura ma conservandone la profondità. Per certi versi, i sentimenti di Archie ricordavano quelli di un fratello possessivo, iperprotettivo ed eccessivamente preoccupato del benessere della persona cara. Annie ricordava che si era sempre opposto ai suoi tentativi di sistemare Candy con qualcuno. Agli occhi di Archie, nessun corteggiatore sembrava essere all’altezza della sua adorata Candy. C’era sempre qualcosa che a loro mancava in termini di patrimonio, stirpe, carattere, educazione o personalità.

Eppure, secondo Archie qualunque di quegli imperfetti candidati sarebbe stato un miliardo di volte preferibile a quel ripugnante Terence Graham Grandchester. Credeva fermamente che Terence fosse l’unico responsabile delle sofferenze che Candy aveva patito in passato. Sfortunatamente, la scelta di Candy era ricaduta proprio su di lui. Questo fatto aveva messo Annie in una delle situazioni che aveva sempre temuto di più: l’aperto contrasto tra i sentimenti delle persone che amava.

Tuttavia, per la prima volta nella sua vita, intendeva essere risoluta. Avrebbe sostenuto Candy, persino andando contro il suo adorato marito. Questa volta, non avrebbe deluso Candy. Le doveva almeno questa prova di lealtà.

Annie sospirò di nuovo, asciugandosi l’ultima lacrima con il suo già umido fazzoletto, quando la porta della stanza si aprì. Suo marito entrò e accese le luci, avvicinandosi a lei. Annie aveva percepito la sua presenza, ma non aveva alzato lo sguardo per evitare di incontrare il suo. I suoi passi sembravano appesantiti e stanchi. Il giovane rimase immobile in piedi davanti a sua moglie per un attimo, fissandola con un’espressione assente. Poi, si inginocchiò ai suoi piedi, poggiando le mani sui braccioli della sua sedia.
"Perdonami, tesoro. Ti ho accusato ingiustamente", le disse, pentito, mentre i suoi occhi cercavano ansiosamente quelli di lei.

Annie finalmente lo guardò. Gli occhi nocciola di lui erano gonfi e arrossati quanto i suoi. Pensò che era da tanto che non lo vedeva così sconvolto. Si sentì stringere il cuore e gli accarezzò immediatamente le guance con le mani.

"È tutto a posto, Archie, capisco cosa provi. . . Voglio bene a Candy tanto quanto te. . ." gli sussurrò. Poi, ancora esitante, aggiunse: "ma, credimi, non hai motivo di preoccuparti. Candy sarà felice accanto a Terence".

Il volto di Archibald si adombrò. Si era pentito della sua violenta reazione, ma la sua opinione su Terence non era cambiata.

"Vorrei pensarla come te, ma non riesco a fidarmi di lui”, le confessò.

Annie comprese che vincere una battaglia non equivaleva a vincere la guerra. Sorrise timidamente, carezzando con tenerezza il bel volto di suo marito.

"Lo so, Archie; ma Candy è una donna adulta e, tra l’altro, particolarmente indipendente. Pensi che nella scelta di suo marito si preoccuperebbe di far contenti noi?"
Archie scosse la testa e tirò un profondo sospiro.

"Perciò, possiamo quantomeno cercare di accogliere Terence adeguatamente, dato che si tratta del futuro marito di Candy?" osò chiedergli lei, sapendo che non poteva spingersi troppo oltre.

"Annie", la ammonì lui, con gli occhi scintillanti di caparbia determinazione, "Posso solo prometterti che sarò cortese. Hai la mia parola su questo…ma non posso fingere di essere felice che si porti via mia cugina come se la meritasse. E comunque, se dovesse fare un solo passo falso che possa ferire Candy, soltanto uno, gliela farò pagare cara".

"Non succederà, Archie. Vedrai", rispose Annie alzandosi in piedi e invitando Archie a fare altrettanto, "Andrà tutto bene", concluse, poggiando la testa sul petto di suo marito. Tra sé e sé pregò che Archie e Terence, entrambi due teste calde, potessero davvero mantenere una parvenza di civiltà, se non altro per il bene di Candy.

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La coppia di fidanzati giunse a Chicago la mattina del 28 dicembre. Come di consueto, George Johnson li attendeva alla stazione con la sua caratteristica e tranquilla affabilità. Albert gli aveva raccontato in modo alquanto sommario com’erano andate le cose, ma ora, guardando la giovane donna, George poté facilmente colmare le lacune lasciate dal racconto del suo datore di lavoro. Dal momento in cui Candy era scesa dal treno, Johnson aveva notato la straordinaria trasformazione del suo volto. Se solitamente era allegra, ora era raggiante. Se prima era una bella ragazza, ora era letteralmente incantevole; se in passato gli aveva ricordato una tempesta, ora sembrava un tornado. E l’unico responsabile di questi cambiamenti era quell’austero giovane, che camminava al suo fianco. George ebbe una strana sensazione di déjà vu.

Il tragitto verso la villa degli Andrew non fu affatto noioso. George era sempre stato un tipo tranquillo e Terence non era mai molto loquace in presenza di estranei, ma Candy non smise mai di parlare, agendo da tramite tra i due uomini. Alla fine, avevano iniziato a conversare e, ad un certo punto, sul volto del suo fidanzato era persino comparso un fugace sorriso.

Quando finalmente giunsero a destinazione, Albert li stava già aspettando nell’atrio insieme ai Cornwell.

Improvvisamente, prima che fosse possibile scambiarsi i soliti convenevoli, il piccolo Alistair si catapultò letteralmente tra le braccia di Terence, persino prima di notare la presenza di Candy.

"Zio G! Sei qui!" gridò il bimbo con gioia, "Sei venuto a giocare con me!"

Candy e Albert scoppiarono a ridere e qualcosa nei loro volti sorridenti li fece sembrare ancor più fratello e sorella; Annie sorrise con la consueta discrezione, mentre ad Archie erano letteralmente schizzati gli occhi fuori dalle orbite. Dunque, si voltò verso sua moglie con sguardo interrogativo.

"Stair lo ha conosciuto alla Casa di Pony", mormorò lei.

Archie non rispose, reprimendo a stento il proprio disappunto. Che sua cugina fosse coinvolta sentimentalmente con un uomo che disapprovava era una cosa, ma sapere che suo figlio aveva avuto a che fare con quello stesso uomo a sua insaputa era persino troppo.
Fortunatamente, gli altri non notarono nulla di strano, dato che Albert era impegnato a riabbracciare il suo vecchio amico, estremamente felice di potergli dare il benvenuto in casa propria.

Subito dopo, Terence si voltò verso Annie.

"È un piacere rivederLa, Sig.ra Cornwell", la salutò con un leggero baciamano, rivolgendole uno sguardo di muta gratitudine.

"Il piacere è tutto mio. E chiamami Annie", rispose lei.

Ricambiando il saluto più aperto e formale di Annie con un leggero inchino, Terence si voltò velocemente verso suo marito per salutarlo. Sapeva perfettamente che non avrebbe dovuto attendersi dal padre la stessa affabilità che gli aveva dimostrato il figlio.

"È passato molto tempo, Cornwell", disse l’ospite, tendendo la mano ad Archibald, "Mi fa piacere trovarti così in forma".

"Ti ringrazio. Spero che abbiate fatto buon viaggio, Grandchester", rispose Archie freddamente, lanciando a Terence uno sguardo che mal celava una certa reticenza.
"Oh sì, assolutamente", intervenne Candy abbracciando brevemente suo cugino, "Un viaggio decisamente fantastico, specialmente considerata la tempesta della scorsa settimana. Adesso, per amor di Dio, avete intenzione di dar da mangiare a questi due viaggiatori affamati oppure no?"

"D’accordo, ma devi promettere di non far fuori tutto il dessert mentre noi siamo ancora alla prima portata", ribatté Albert con affetto, poggiando una mano sulla spalla di Candy.

"Ora ricominci, Bert? Stai sicuramente equivocando gli eventi dell’ultima volta che abbiamo cenato insieme. Che cosa penserà Terence di me?" scherzò lei.

"Solo che la mia signora è una golosona, ma lo sapevo già da tempo", rispose Terence, facendole l’occhiolino.

Candy lanciò un bacio al suo fidanzato e poi, prendendo sottobraccio Albert e Terence, li condusse verso la sala da pranzo.

Archie li seguì, tenendo possessivamente in braccio Alistair. Interiormente fremeva ogni volta che Candy si rivolgeva a Terence con sguardo amorevole e si domandò quante ancora ne avrebbe dovute sopportare nel corso di quel pomeriggio.

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Malgrado le scarse aspettative di Archibald, il pranzo era andato abbastanza bene. Non si erano verificati eventi spiacevoli e la conversazione era stata molto vivace, in parte perché Candy non era mai a corto di parole e in parte perché Albert e Terence andavano talmente d’accordo che avrebbero potuto parlare per ore di tutto o di niente. Annie, ovviamente, fece appena qualche commento, fedele al suo carattere. Anche suo marito restò perlopiù in silenzio, ma in ogni caso nessuno si aspettava che fosse a proprio agio in occasione del primo incontro con il suo ex compagno di scuola.

Dopo pranzo, gli ospiti si ritirarono nelle rispettive stanze per cambiarsi. Poi, quella sera, avrebbero cenato con l’arcigna Zia Elroy, che aveva preferito restare nelle proprie stanze durante il pranzo e incontrare Terence nel suo salotto privato all’ora del thè.

Come previsto, l’anziana signora era stata alquanto reticente di fronte all’idea che Candy si sposasse così all’improvviso. Malgrado si fosse dimostrata per molto tempo riluttante ad accogliere Candy come una vera Andrew, nel corso degli ultimi anni, la donna aveva iniziato ad accettare la nipote adottiva e ora non era molto felice di lasciarla andare. Di fatto, quando Albert l’aveva informata, si era subito messa in allarme. L’uomo in questione poteva essere un cacciatore di dote senza educazione o conoscenze all'altezza e questo avrebbe potuto causare problemi all’intera famiglia. Approvare un matrimonio del genere senza una cauta analisi avrebbe potuto avere effetti disastrosi. Quindi, la Zia Elroy aveva posto tutte le domande che una matrona del suo rango poteva permettersi di fare in questi casi. Albert fu felice di accontentarla con grande dovizia di particolari. Sapere che Candy aveva conosciuto Terence alla Saint Paul School era stato un ottimo inizio. Solo il figlio di una famiglia agiata avrebbe potuto frequentare quella scuola. D’altro canto, l’obiezione principale che avrebbe potuto muovere nei suoi confronti era legata al suo ruolo nel mondo dello spettacolo. La zia Elroy era una donna all’antica che credeva ancora che gli attori e le attrici fossero dei progressisti senza moralità, con cui le famiglie repubblicane di un certo livello come la sua non avrebbero dovuto avere nulla a che fare. Tuttavia, il fatto che si trattasse di un attore shakespeareano di una certa fama, oltre che dotato di notevoli mezzi, la predisponeva ad una maggiore condiscendenza, specialmente in considerazione delle sue nobili origini. Dopotutto, un aristocratico britannico era decisamente un buon acquisto per la famiglia in termini di conoscenze, poco importava che fosse ai ferri corti con suo padre. Per certi versi, la zia Elroy non si sarebbe aspettata che Candy potesse sistemarsi così bene. Da quando si era rifiutata di sposare Neil Reagan, l’anziana donna aveva temuto che un giorno la bionda avrebbe finito per sposare un volgare contadinotto.

In aggiunta a ciò, il ragazzo era scapolo, senza figli e in età adeguata. Pertanto, la zia Elroy si sentì più o meno soddisfatta dopo che Albert ebbe terminato il suo resoconto. Ovviamente, fece promettere a suo nipote di far preparare un ragionevole accordo prematrimoniale per tutelare gli interessi della famiglia e stipulare gli accordi necessari riguardo al fondo fiduciario di Candy.

Rispetto alla data delle nozze, si oppose fermamente all’idea. Una Andrew avrebbe dovuto sposarsi con tutti gli onori del caso ed a tempo debito. Ovviamente, l’anziana donna nutriva dei sospetti rispetto alla fretta con cui era stato organizzato il matrimonio, ma Albert le fece presente che Candy ed il suo fidanzato erano soltanto molto innamorati e decisi a non separarsi mai più. Inoltre, Albert ricordò appositamente alla zia Elroy che Candy era sempre stata piuttosto testarda e che se non avessero accondisceso al suo desidero di sposarsi presto, avrebbe potuto ricorrere alla fuga. Quest’ultima insinuazione aveva riportato alla mente della zia Elroy i ricordi dello scandalo della fuga di Rosemary con il Capitano Brown, avvenuta trent’anni prima. Non volendo rivivere l’imbarazzo di quella situazione, si arrese, a condizione che potesse prima conoscere lo sposo.

Dopo il colloquio, Albert si era dimostrato soddisfatto del suo successo. La verità era che né a Terence né a Candy importava un fico secco di avere l’approvazione della zia Elroy, ma il buon Albert, malgrado il desiderio iniziale di scioccare sua zia, come aveva fatto più volte ai bei vecchi tempi, era giunto alla conclusione che sarebbe stato decisamente meglio se anche lei fosse stata d’accordo. L’ultima cosa che voleva era che sua zia mettesse a repentaglio la propria salute a causa di un’arrabbiatura. Pertanto, quando giunse il momento per Candy di presentare il suo fidanzato, il terreno era già stato abilmente preparato dall’astuto William Albert.

Quando fu presentato all’anziana signora, avendo compreso che quel colloquio avrebbe potuto essere importante per mantenere la pace in casa di Albert, Terence profuse ogni possibile sforzo per essere estremamente cortese. Acconsentì di illustrare, seppur brevemente, la sua situazione rispetto alla sua occupazione ed al suo patrimonio. Quando gli fu chiesto del suo rapporto con il padre, si dimostrò, però, meno disponibile, limitandosi a far presente che non si vedevano da undici anni. Tuttavia, non fu avaro di parole nello spiegare all’anziana donna che i sentimenti che nutriva per sua nipote erano profondamente radicati e che disponeva dei mezzi necessari per provvedere a lei come ci si sarebbe aspettato da un marito.

Non appena la zia Elroy citò il fondo fiduciario di Candy, il giovane puntualizzò immediatamente che non aveva bisogno di denaro e che si sarebbe accordato con Albert per far sì che si disponesse di quel fondo in base ai desideri di Candy, senza interferenza alcuna da parte sua. Con quest’ultimo gesto, Terence riuscì a conquistarsi l’approvazione dell’anziana donna, al punto che ella finì persino per acconsentire al loro matrimonio improvvisato. Tuttavia, quando le fu detto che la cerimonia si sarebbe tenuta nella Cappella della Casa di Pony, fu sul punto di svenire. Intelligentemente, però, Candy si affrettò ad aggiungere che trattandosi di un matrimonio molto intimo, i dettagli sulla cerimonia non sarebbero mai giunti all’orecchio dell’élite di Chicago. Sarebbero stati invitati soltanto i parenti e gli amici più stretti – inclusa lei, ovviamente.

La zia Elroy apprezzò il fatto di essere stata coinvolta, ma avendo delle remore a spostarsi in un luogo sconosciuto dove non avrebbe avuto tutte le sue abituali comodità, rispose che forse il matrimonio avrebbe dovuto svolgersi senza di lei. Malgrado questa riserva, l’anziana donna concesse la sua approvazione all’unione dei due giovani, sebbene avrebbe preferito un matrimonio in grande stile a Chicago. Tuttavia, dato che la coppia non aveva intenzione di cambiare idea su questo, augurò loro ogni bene.

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Nei giorni che seguirono, Terence osservò con attenzione il comportamento di Archibald Cornwell, consapevole del fatto che quest’ultimo stesse facendo altrettanto. All’inizio, l’attore aveva temuto che, malgrado il trascorrere degli anni, Archibald provasse ancora dei sentimenti per Candy, pur essendo sposato con un’altra. Tuttavia, dopo un’accurata analisi delle interazioni di Archibald con sua moglie, Terence aveva finito per scartare quell’ipotesi. Era chiaro che i modi tranquilli della raffinata Annie Cornwell avevano infine conquistato il suo cuore. Terence si sentì sollevato.

Eppure, come già sospettava da tempo, Cornwell non aveva affatto gradito la ricomparsa di Terence nella vita della cugina. Terence comprendeva i suoi sentimenti. L’attore, infatti, riteneva che la sua fidanzata non gli avesse raccontato tutta la verità riguardo a cosa fosse accaduto durante la loro lunga separazione. Pensò che Cornwell, essendo stato testimone delle sue sofferenze, data la sua appartenenza alla sua più stretta cerchia di amici, non avesse accettato il ruolo di Terence in tutta quella vicenda. Terence pensò che perlomeno su questo non poteva essere più d’accordo con il suo vecchio compagno di classe. Ora il problema era per quanto tempo il carattere irascibile di Terence gli avrebbe consentito di sopportare lo zelo fraterno di Cornwell, decisamente un po’ eccessivo per i suoi gusti.

Ma Archibald Cornwell non era certo la parte peggiore del contorno che avrebbe dovuto affrontare sposando Candy. Terence sapeva che in occasione della vigilia di Capodanno avrebbe dovuto confrontarsi con i Legan, oltre agli altri sconosciuti parenti che avrebbero partecipato al ballo organizzato per l’occasione. Se Terence fosse stato da solo, non si sarebbe preoccupato granché di come avrebbe dovuto affrontare tutte quelle persone. Ma in questo caso si trattava della famiglia di Candy e di Albert e per il loro bene doveva cercare di fare del suo meglio per sopravvivere alla serata possibilmente senza offendere nessuno e, ovviamente, senza lasciarsi dietro una scia di nasi sanguinanti.

Il giovane era assorto in questi pensieri mentre attendeva Albert nel suo studio. Avevano organizzato un incontro per discutere degli aspetti finanziari dell’accordo prematrimoniale. Mentre aspettava, il suo sguardo vagò per la stanza, cercando di familiarizzare con l’ambiente.

A differenza dello studio di suo padre, che ricordava essere alquanto solenne e buio, questo era caratterizzato da colori più caldi ed il mobilio era meno pretenzioso, quantunque raffinato e lussuoso.

Terence si avvicinò al camino in marmo per osservare più da vicino il ritratto di Rosemary Brown che campeggiava sopra la mensola. Fino ad allora, non aveva avuto il tempo di verificare la rimarchevole somiglianza tra la sua fidanzata e la defunta sorella di Albert di cui tutti parlavano.

"Se il pittore è stato fedele alla modella", pensò, sfregandosi il mento con la mano destra, "i capelli non sono propriamente della stessa sfumatura d’oro. Quelli di Candy sono leggermente più scuri ed i riccioli più marcati. Tra l’altro, qui non si vedono lentiggini. Poi, il naso. . ." continuò l’ispezione, stringendo gli occhi, "Quello di Candy è più piccolo e all’insù", il solo ricordo di quella particolare caratteristica della sua amata gli fece venire voglia di baciarle la punta del naso.

Dopodiché, aguzzando la vista ancor di più, la sua valutazione cambiò.

"Gli occhi. . . Accidenti!" si fermò, accorgendosi che la somiglianza era impressionante. Non soltanto erano della stessa sfumatura di verde giada, ma la forma e l’espressione che avevano rubato il suo cuore erano esattamente le stesse. Poi, notò l’ovale del viso, così simile a quello di Candy e le labbra incurvate in un timido sorriso.

"Il sorriso di Candy è decisamente più aperto, eppure c’è qualcosa in questo sorriso che me la ricorda tantissimo. Sì, devo ammettere che si tratta di una coincidenza incredibile ".

Terence tirò un profondo sospiro, sentendo sempre più la mancanza di Candy. Negli ultimi giorni erano sempre stati circondati da parenti e avevano avuto pochissime occasioni di restare da soli. Accennò un sorriso pensando che, per ironia della sorte, era riuscito a sopravvivere lontano da lei per molti anni, ma ora che finalmente si erano chiariti, stava diventando insopportabile lasciar passare un solo giorno senza baciarla almeno una volta. Ma negli ultimi giorni era stato praticamente impossibile darle un bacio come si deve.

"Specialmente quando c’è in giro quel mastino di Cornwell. Dannazione! Chi crede di essere? È facile per lui fare lo chaperone quando può accoccolarsi ogni notte accanto a sua moglie".

Tra l’altro, vedere Candy tutti i giorni peggiorava le cose. Il suo desiderio cresceva di minuto in minuto, al punto da diventare quasi insopportabile. Continuò a percorrere la stanza a grandi passi, mentre si accendeva una sigaretta, chiaro segno del suo crescente nervosismo. Si avvicinò alla finestra appoggiandosi al telaio per osservare i disegni delle vetrate istoriate. Non trovando granché con cui distrarsi, si voltò verso la scrivania di Albert ed il suo sguardo cadde su una cornice d’argento contenente una foto.

Si avvicinò per osservarla meglio. Ritraeva un ragazzo, bello come un angelo, con i più grandi occhi azzurri che Terence avesse mai visto. La sua espressione era serena ed un pizzico di dolcezza traspariva dal suo gentile sorriso. Ma dietro quella facciata arcadica, il ragazzo sembrava trasmettere una maturità, forse una tristezza, che non corrispondeva ai suoi anni.

Pertanto, senza sapere come, Terence capì che stava osservando l’immagine del compianto Anthony Brown. Sentì una ben nota fitta al petto. D’istinto, il giovane rivolse la cornice a faccia in giù, incapace di continuare a fissare oltre quel volto. Proprio in quel momento, Albert fece il suo ingresso nella stanza, cogliendolo sul fatto.

"Sì, quello era mio nipote, Anthony", disse Albert avvicinandosi alla scrivania.

"Diciamo che. . . l’avevo immaginato", rispose Terence, spegnendo la sigaretta nel portacenere di cristallo posto sulla scrivania di Albert.

Se il gesto di Terence di abbassare la fotografia non fosse stato abbastanza eloquente, il particolare disagio nella sua voce lo tradì definitivamente.

Le spalle ampie di Albert iniziarono a tremare leggermente, mentre la sua bocca si contraeva nel tentativo di soffocare la sua reazione. Era ovvio che stesse cercando di reprimere una risata, fallendo miseramente. Infine, incapace di contenersi oltre, l’uomo scoppiò in una fragorosa risata, reclinando il capo all’indietro.

"Per favore, mi spiegheresti cosa ci sarebbe di così divertente?" chiese Terence, visibilmente turbato dalla reazione del suo amico.

"Tu, amico mio", rispose Albert continuando a sghignazzare, mentre prendeva posto alla sua scrivania. "Dio mio, mi hai fatto veramente morir dal ridere!"

"Sono lieto che mi trovi così buffo", ribatté Terence, cercando di recuperare il suo solito distacco, "I registi con cui ho lavorato, invece, non pensano che sarei bravo come comico".

"Quando la smetterai di preoccuparti del mio povero nipote?" chiese Albert, senza perdere il sorriso, mentre rimetteva a posto la foto, "Andiamo, tu sei vivo e lei diventerà tua moglie. Puoi rilassarti almeno un po’?"

Terence distolse lo sguardo e dopo qualche sforzo per riacquistare la sua freddezza, finì per ammettere a sé stesso che il suo amico aveva tutte le ragioni per ridere.

"D’accordo, ammetto che a volte mi comporto da perfetto idiota", disse con riluttanza.

Albert tirò un profondo sospiro, accavallò le gambe e rivolse lo sguardo al suo amico.

"È un bene che tu lo riconosca, Terence", rispose il biondo, diventando improvvisamente serio, per poi aggiungere, "ma devi controllarti, amico. Stai per sposare una donna piena d’energia che, malgrado il suo amore per te, non ti permetterà di metterla in gabbia. Ricordati che il mostro dagli occhi verdi è un cattivo consigliere". "Lo so, mio caro Iago (3) e credimi, sto facendo del mio meglio".

"Lo spero vivamente”, ribatté Albert. In quel momento, George Johnson entrò nella stanza e la conversazione si concentrò solo sugli affari.


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Candy osservò per la centesima volta il vestito che aveva intenzione di indossare quella sera. Non era ancora sicura della sua scelta. L’aveva comprato d’istinto, perché era rimasta affascinata da quel delicato color champagne. Inoltre, le era piaciuto moltissimo il dettaglio del corpetto, che si allacciava su un fianco con una mezzaluna dorata arricchita da perline. Eppure, ora che lo guardava con maggiore attenzione, non era più molto convinta della profonda scollatura sulla schiena e della gonna a sirena. Riteneva, infatti, che quest’ultima fosse poco pratica e la prima troppo audace.

Perdere tempo con queste considerazioni la fece sentire una sciocca. C’erano cose molto più serie in ballo quella sera. Stava per presentare il suo fidanzato a "la crème de la crème" di Chicago ed avrebbe dovuto sicuramente fare i conti con il loro manifesto dissenso. Ovviamente, non le importava granché di compiacerli. Tuttavia, sapeva che i suoi parenti non avrebbero esitato a lanciarle velenose frecciatine per tutta la serata. Intendeva aguzzare l’ingegno ed essere pronta a difendersi con eleganza, cosicché fosse chiaro a tutti che non aveva bisogno di mendicare il loro favore organizzando il matrimonio del secolo.

Ci sarebbero state anche le iene, in attesa di scovare quante più informazioni possibili da sfruttare a proprio vantaggio. E lei non intendeva render loro la vita facile. Quand’era una ragazzina al servizio dei Legan, era solita difendersi usando i pugni. Da adulta, aveva imparato a combattere le sue battaglie con le parole ed aveva messo a posto ben più di una delle frivole dame che le era capitato di frequentare. Se credevano che un’orfana potesse essere una facile preda in una sala da ballo, non sapevano con chi avessero a che fare. Dunque, decidendo di concentrarsi di più sulla sua strategia, iniziò finalmente a vestirsi, o meglio a svestirsi, dato che le sue solite sottovesti non erano adatte per la profonda scollatura del suo vestito.

Una volta pronta, si guardò nello specchio e riconobbe che, malgrado una minima sensazione di disagio, quell’abito le donava moltissimo. Dopodiché, mentre iniziava a truccarsi, ripensò all’altra ricorrenza importante di quella sera, l’unica a cui tenesse realmente. Era il 31 dicembre.

Quella mattina aveva ricevuto una stupefacente composizione floreale con dodici tulipani di una tonalità cremisi mai vista prima. Nel centro, sembrava che i fiori fossero di velluto, con il colore rosso sempre più scuro fino a diventare quasi nero. Non aveva mai visto una cosa del genere in altre varietà di quella specie. L’effetto di quel contrasto l’aveva affascinata a tal punto che ne era rimasta ipnotizzata per un bel po’. Il biglietto che accompagnava i fiori non era firmato e conteneva solo tre parole: "Auld Lang Syne".

Candy non ebbe bisogno di altro per capire chi glieli avesse mandati e soprattutto per quale occasione. Dodici anni prima aveva conosciuto l’uomo della sua vita e chiaramente questi aveva tutte le intenzioni di ribadirle che non l’aveva dimenticato. Al solo pensiero, il suo cuore saltò un battito. Sperò che malgrado la presenza del "branco" (a proposito di iene), potesse comunque godersi la serata insieme a Terence e, se possibile, rubare qualche momento per loro due soli. Come far sì nella fattispecie che ciò accadesse, ancora non lo sapeva.

La giovane lanciò un malizioso sguardo al rossetto che teneva tra le mani. Annie aveva insistito sul fatto che il rosso acceso fosse all’ultimissima moda. Ovviamente, Candy adorava l’idea; tuttavia, non aveva ancora visto nessuna portare un colore così brillante. Di fatto, indossare il trucco era una moda relativamente nuova e ancora non del tutto accettata dalle dame più anziane, ma Candy ne era assolutamente entusiasta. Sorrise pensando alla memorabile serata che l’aspettava. Era impegnata a mettere il rossetto quando un colpo deciso alla porta la fece trasalire.

"Avanti. È aperto", rispose, senza alzarsi dalla sua toilette in stile Luigi XVI.

Quando la porta si aprì, poté scorgere nel triplo specchio il riflesso della figura disinvolta di Terence che entrava nella stanza. Il tight a doppio petto che indossava lo faceva apparire al suo meglio. Si domandò se sarebbe mai stata capace di guardarlo senza sentirsi turbata.

Nonostante il suo solito distaccato contegno, Terence non era estraneo agli stessi turbamenti che stava vivendo Candy. Mentre entrava nella stanza, non poté non sentirsi attratto dalla presenza della giovane donna. Si fermò nel bel mezzo della camera con espressione di lieve smarrimento.

"Vedo che non sei ancora pronta. Ritornerò tra un paio di minuti, allora", le disse, mentre si voltava per andarsene.

"No aspetta, devo indossare questa collana, ma il fermaglio mi ha sempre dato dei problemi. Mi aiuteresti?" gli chiese, alzandosi in piedi e porgendogli il collier d’oro adornato da cabochon di pietre di luna.

Lui non rispose, ma avendo preso il gioiello tra le mani, ne dedusse che avesse accondisceso alla sua richiesta. Si voltò dandogli la schiena e chinò leggermente il capo per consentirgli di allacciarle la collana. Dopo un attimo, sentì la superficie levigata delle pietre sul decollété e udì lo scatto del fermaglio. Dopodiché, il silenzio.

La luce ambrata della stanza faceva risplendere la pelle di Candy come madreperla. Pur non vedendolo, Candy percepì il suo deciso sguardo percorrerle la schiena nuda. Ricordò di aver provato la stessa sensazione quella sera a Pittsburgh. Ma questa volta, sentiva chiaramente il crescente affanno nel suo stesso respiro. Terence era a pochi centimetri da lei, eppure non la stava toccando. Pertanto, era quasi irreale sentirsi fremere sotto l’intenso effetto del suo sguardo. Chiuse gli occhi per concentrarsi su quella sensazione che sembrava venirle da dentro, come un dolore acuto seppur dolcemente piacevole che si irradiava dal suo ventre fino a pervadere ogni cellula del suo corpo, facendole accapponare la pelle.

Per un secondo, con gli occhi ancora chiusi, si sentì liquefare, libera da tutte le considerazioni che l’avevano assillata quel pomeriggio. Un unico pensiero campeggiava nella sua mente: sentirlo vicino, vicino come non mai. Era un impulso divorante e talmente intenso che ne fu spaventata. Eppure, continuavano a non toccarsi. "È questo quello che chiamano desiderio?" Si domandò tra sé e sé.

"Lo senti anche tu, amore mio?" le chiese lui con la sua voce dolce e profonda, inducendola ad aprire gli occhi ed a lasciarsi andare ad un sospiro che non sapeva di aver trattenuto. Non rispose, ma lui comprese che aveva capito cosa intendesse. "Devi capire che, se ti toccassi adesso", disse lui, non senza difficoltà, "cambierebbe tutto tra di noi. Anche se nulla mi farebbe più piacere, non sono sicuro di cosa ne penseresti tu".

"Non . . .non lo so", rispose Candy, ancora scioccata dopo essersi resa conto che in realtà avrebbe voluto rispondergli che non le sarebbe importato affatto se avesse osato farlo. Tuttavia, non riuscì a dar voce ai propri pensieri.

"Dunque, se sei indecisa, credo che dovremmo aspettare. Per il momento, ti attenderò fuori, se per te va bene", le propose lui.

Candy comprese il buon senso di quella proposta e lo lasciò andare.

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"Che diavolo mi succede?" si domandò Terence, mentre aspettava la sua dama. Non riusciva a credere di aver veramente proposto a Candy di anticipare le loro promesse di matrimonio. Dopo tutti gli sforzi profusi fino a quel momento per non correre rischi, solo per preservare la serenità di lei, era stato sul punto di gettare tutto alle ortiche.

In realtà, non gli importava un fico secco delle convenzioni sociali. Se il mondo fosse stato governato in base alle sue regole, avrebbe sicuramente fatto l’amore con lei già da quella sera allo chalet. Ma era consapevole del fatto che lei vedeva le cose in maniera diversa. Per amor suo, era disposto ad aspettare. Fino ad allora, era stato ben felice di affrontare a testa alta tutti i sospetti generati dal loro affrettato matrimonio, proprio perché non aveva nulla da nascondere. Dopotutto, si trattava solo di alcuni giorni. Non era forse un uomo adulto perfettamente in grado di controllare i propri istinti?

E allora, che cosa gli era passato per la testa quando aveva osato chiederle se avrebbe voluto …?

"Non mi riconosco più. . . e la cosa ancor più sorprendente è che lei abbia addirittura esitato! Non mi ha risposto con decisione di no!" pensò, senza smettere di sorridere.

Terence conosceva bene il caratterino di Candy e sapeva che se si fosse offesa, gliel’avrebbe detto senza troppe riserve. Ma non era stato così. Si senti percorrere da un brivido di gioia al solo pensiero.


In quel momento, Candy lo raggiunse in corridoio e si incamminarono insieme verso la sala da ballo al piano di sotto. Alcuni ospiti erano già arrivati, ma erano perlopiù impegnati a porgere i propri omaggi ad Albert ed alla Zia Elroy. In un angolo della grande sala, un’orchestra di archi regalava un soave sottofondo musicale, mentre gli ospiti socializzavano e si salutavano. In fondo alla scalinata, Annie andò incontro alla coppia di fidanzati e tenne loro compagnia, presentando Terence ad alcuni dei membri più anziani della famiglia, già riuniti vicino alla sala da pranzo.

La notizia che la Signorina Andrew intendeva sposare un ben noto artista in una cerimonia privata senza alcuna considerazione per la società bene di Chicago fece storcere più di un naso. Eppure, gli anziani della famiglia non osarono esprimere apertamente il proprio dissenso. Avevano saputo che Elroy aveva concesso la sua approvazione in virtù del lignaggio dello sposo e non intendevano contraddirla, quantomeno non pubblicamente.

Nel corso della serata, continuarono ad arrivare altri ospiti. Ben presto la sala fu gremita da gentildonne con turbanti alla moda e fasce con diadema adornate da piume o strass e gentiluomini in tight e panciotto bianco. Più di un occhio femminile fu attratto dalla presenza di quell’uomo disinvolto che veniva presentato come il fidanzato di Candice Andrew. Molte di quelle dame lo avevano già visto almeno una volta nella loro vita, ma solo su un palcoscenico quando impersonava un personaggio piuttosto che un altro. Osservarlo da vicino ed avere la possibilità di scambiarci due chiacchiere era decisamente un’esperienza da ricordare.

Terence Graham poteva anche non essere un milionario, ma più di una delle ricche dame presenti avrebbe sorvolato sulle dimensioni del suo conto corrente, se solo lui avesse osato chiedere la loro mano. E adesso, tra tutte le donne del mondo, lui aveva scelto quella volgare Candy Andrew, una nullità senza genitori che aveva avuto la fortuna di essere adottata dal capofamiglia. Che ironia! Che delusione! Che spreco!

Candy conosceva le donne della sua famiglia ed era consapevole di non essere particolarmente apprezzata, specialmente dalle più giovani. Poteva vedere la loro invidia mal celata dietro finti sorrisi e false congratulazioni. Tuttavia, saldamente aggrappata al braccio di Terence, mentre attraversava la sala da ballo per salutarle tutte, sentì che avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa. Pertanto, gli intensi sguardi di alcune donne all’indirizzo del suo fidanzato e le frecciatine velenose che ogni tanto le venivano lanciate non la scalfirono minimamente. Stette al gioco e difese bene il proprio territorio senza particolari ansie.

Anche Terence sentiva su di sé la pressione degli sguardi delle donne, ma in un certo senso c’era abituato. Piuttosto, era decisamente più consapevole degli sguardi che gli altri uomini lanciavano alla bellissima biondina a cui dava il braccio. Sapeva che i suoi coetanei e persino i gentiluomini più maturi nutrivano un’ammirazione naturale per la sua figura ed i suoi occhi incredibilmente espressivi. Eppure, si accorse altresì che qualcuno di essi guardava lui con l’atteggiamento tipico di chi ammette con riluttanza la propria sconfitta.

"Costui era forse uno dei corteggiatori di Candy?" finiva quindi per domandarsi. La sola idea gli faceva salire il sangue al cervello. Tuttavia, cercava di scacciare subito determinati pensieri. Dopotutto, lei era al suo fianco e portava il suo anello.

Come era loro abitudine, i Legan arrivarono decisamente più tardi della maggioranza degli altri ospiti. Il ballo stava per avere inizio, quando Iriza Legan, fasciata in un voluttuoso abito di lamé color oro con un diadema di piume ad incorniciarle la fronte, fece il suo ingresso nella sala, seguita dai suoi genitori e da suo fratello. Si soffermò per un attimo nell’atrio, pensando che la sua figura potesse essere meglio apprezzata dai gentiluomini se avesse esitato per un po’ nella giusta posa. Mentre studiava la gente che affollava la sala, si accorse della presenza di Terence Graham, in tutta la sua imponenza ed arroganza, e non credette ai propri occhi. La giovane dalla capigliatura rosso fuoco lanciò un breve sguardo alla sua mise e ritenendo di apparire al proprio meglio, si incamminò con decisione verso Graham, che era impegnato in conversazione.

"Ma guarda un po’! Che piacevole sorpresa, Terry! Chi non muore si rivede, caro!" lo interruppe con irruenza, porgendogli la mano affinché la baciasse, senza rendersi conto che la persona con cui stava conversando Terence era proprio la Zia Elroy.

"Credo che sia consuetudine che i giovani salutino per primi gli anziani. Buonasera, Iriza”, si intromise la Zia Elroy, visibilmente contrariata.

"Perdonami, cara zia, ma nell’impeto di salutare il mio vecchio amico Terry, non mi sono accorta che fossi qui. Ti chiedo scusa", disse Iriza, ritirando discretamente la mano, dopo essersi resa conto che Terence non aveva alcuna intenzione né di baciarla né di stringerla.

"Così va meglio", replicò la Zia Elroy, che poi aggiunse, "Mi fa piacere che tu sia desiderosa di rinnovare la conoscenza del Sig. Graham, dato che sta per entrare a far parte della nostra famiglia".

"Entrare. . . a far parte della nostra famiglia?" chiese Iriza, incespicando sulle parole e visibilmente confusa.

In quel preciso istante, Candy, che era stata distratta per un po’ da un altro parente, raggiunse Terence e la Zia Elroy. Lui le circondò immediatamente le spalle con un braccio e si rivolse alla Signorina Legan.

"Ebbene, Iriza, quello che intende dire tua zia è che io e Candy siamo fidanzati e ci sposeremo il prossimo gennaio. Dunque, presumo che diventeremo cugini¸ o qualcosa del genere", disse il giovane con tono sprezzante, specialmente mentre pronunciava la parola “cugini”.

Iriza impallidì per un istante. Per lei, ogni minimo dettaglio che potesse indicare la superiorità di Candy rispetto a lei nella scala sociale era da considerarsi un reato imperdonabile. Ma scoprire che quella stalliera stava per sposare un uomo come Terence, mentre lei – ben più avvenente e appartenente ad una famiglia di prestigio – non aveva ancora ricevuto alcuna proposta di matrimonio ufficiale era un vero e proprio affronto. La sua rabbia cresceva di secondo in secondo, dandole il coraggio di partire all’attacco.

"Che sorpresa!" disse inizialmente, con un finto sorriso che non ingannò nessuno dei presenti, "Chi l’avrebbe mai detto! Devo assolutamente dare la buona notizia a Neil!"
Dopodiché, la giovane fece un breve inchino e si allontanò per cercare suo fratello. La Zia Elroy colse l’occasione per lasciare la coppia di fidanzati alle proprie incombenze e dedicarsi agli altri ospiti. Anche Candy fece per spostarsi in un altro angolo della sala da ballo, ma Terence la tenne stretta impedendole di muoversi.

"Resta qui. Lascia che tornino alla carica con tutta la loro forza”, le sussurrò all’orecchio.

"Terence, non ce n’è bisogno. Possiamo ancora passare una bella serata senza dover litigare con loro”, gli disse, guardinga.

"Andiamo, tuttelentiggini. Lasciami fare. Ti dispiace?" le chiese, facendole l’occhiolino.

In quel momento, Iriza tornò verso di loro praticamente trascinando suo fratello attraverso la sala gremita. Il giovane sbiancò non appena si trovò davanti Terence. Chiaramente sua sorella non gli aveva detto nulla per prepararlo all’incontro.

"Ecco Neil, sicuramente ti ricorderai di Terry della Saint Paul School” disse Iriza a suo fratello. Dentro di sé, Terence fremeva ogni volta che Iriza lo chiamava Terry, ma cercò comunque di mantenere un’espressione serena.
"Non sei sorpreso di trovarlo qui?" continuò Iriza, "Ma non è tutto, Neil. Senti questa. Sta per sposare Candy. Che te ne pare?"

Neil se ne stava lì, annichilito, sempre più arrabbiato con sua sorella per averlo incastrato in una situazione del tutto imbarazzante.

"Pensavo che non avresti mai preso in considerazione il matrimonio”, disse finalmente il giovane rivolgendosi a Candy, senza neppure degnare Terence di uno sguardo.

"Devo ammettere che lo pensavo anch’io", rispose Candy, sentendosi un po’ dispiaciuta per il giovane che sembrava confuso ed a disagio di fronte a quell’incontro inaspettato.

"So cosa intendi, cara Candy", intervenne Iriza, pronta a scagliare la prima frecciatina. "Dopo l’amara delusione che hai subito quando Terry ti ha lasciata la prima volta….Davvero terribile e crudele! Sei stata molto dolce a riprenderlo. Io non sarei stata altrettanto buona con te, Terry", aggiunse la rossa, rivolgendosi a Terence, la cui espressione era imperscrutabile.

"Forse è stata Candy a mollare il nostro vecchio amico e stai traendo le conclusioni errate, Iriza”, suggerì Neil cogliendo la palla al balzo, "Se fossi in te, Grandchester, non sarei così sicuro che manterrà la sua promessa. Come posso spiegarmi? Diciamo che…ha dei precedenti nel piantare gli uomini all’altare", lo provocò Neil.

Candy era furiosa. I brandelli di pietà che aveva provato per Neil si dissolsero in un secondo.

"Un gentiluomo od una signora non avrebbero mai fatto un commento del genere”, ribatté Candy.

"E cosa ne sai tu di cosa significhi essere una signora?" rispose Iriza con acrimonia, pronta ad affondare la lama ulteriormente se Terence non l’avesse interrotta.

"Molto più di quanto ne saprai mai tu, Iriza", intervenne Terence, sollevando il suo ben noto sopracciglio "Voi due siete incredibili! Mandarvi alla Saint Paul School dev’essere certamente costato una fortuna alla vostra famiglia, eppure posso affermare con assoluta certezza che non è servito affatto ad ingentilire le vostre maniere da bifolchi. Ma ascoltatemi bene, la dama qui al mio fianco, che diventerà mia moglie tra qualche giorno, è talmente al di sopra di voi da non poter essere minimamente scalfita dalle osservazioni idiote di menti inferiori come le vostre. Ora, se volete scusarci, abbiamo di meglio da fare, che star qui a parlare con voi".

Prima che i Legan potessero reagire, Terence si allontanò con la sua fidanzata verso un altro angolo della sala, dove le coppie iniziavano a riunirsi per il primo ballo. Non appena le prime note del valzer Deep in My Heart risuonarono nell’aria, Terence condusse la sua fidanzata in pista, dimenticandosi del resto del mondo.

"Maniere da bifolchi!" ripeté Candy, sorridendogli, "Avevo dimenticato quanto può essere tagliente la tua lingua".

"Se la sono cercata, non ti sembra?" rispose lui, lo sguardo fisso sul rosso brillante delle sue labbra, "Ma questo era solo un assaggio di quello che meriterebbero davvero. Avrei voglia di usare altre cose oltre alla mia lingua per dar loro una lezione".

"Lascia perdere. Non ne vale la pena", gli rispose lei, accarezzandogli dolcemente la spalla. "Ora si ritireranno in un angolo buio per leccarsi le ferite e pianificare il prossimo attacco".

"Comunque dovessero andare le cose, dubito fortemente che possano colpirci in alcun modo”, disse Terence con un sorriso. La verità era che al momento era decisamente più preoccupato della posizione della sua mano, mentre la stringeva tra le braccia durante il ballo. Un paio di centimetri più su e le sue dita si sarebbero letteralmente infiammate al contatto con la pelle nuda della sua schiena, mentre un paio di centimetri più giù e avrebbe accarezzato le curve dei suoi fianchi. In entrambi i casi, avrebbe attentato alla sua sanità mentale e l’unica soluzione sarebbe stata quella di trascinarla nella sua stanza e tenerla in ostaggio per il resto della serata.

Malgrado tutti i suoi scrupoli, Terence non esitò a ballare ogni pezzo con Candy finché non fu annunciata la cena. E la sua dama fu felice di compiacerlo.

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view post Posted on 28/4/2013, 20:40     +4   +1   -1

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Erano da poco passate le undici e gli ospiti stavano terminando di cenare, quando uno dei domestici si avvicinò al tavolo degli Andrew per dare un messaggio a Terence.
"Sig. Graham", sussurrò l’uomo all’orecchio di Terence, "C’è una chiamata per Lei da New York".

"Le hanno detto chi mi cerca?" "Credo sia Sua madre, signore", rispose discretamente il domestico, abbassando la voce in modo che solo Terence potesse udirlo.

Il giovane inclinò leggermente il capo per rivolgersi a Candy, che era seduta accanto a lui, informandola che si sarebbe allontanato per ricevere la telefonata di sua madre. La giovane annuì, pregandolo di porgerle i suoi saluti.

Dopodiché, il giovane attore si scusò con il resto dei presenti e si alzò da tavola per seguire il domestico. Qualcuno seduto a un altro tavolo aveva notato il movimento di Terence e l’aveva seguito furtivamente. Un paio di occhi scuri avevano osservato a distanza l’intera scena.

Il servitore condusse Terence in una delle stanze adiacenti dove avrebbe potuto prendere la chiamata della madre senza essere disturbato, dopodiché lo lasciò solo. Quando finalmente sollevò il ricevitore, la Sig.ra Baker, che aspettava all’altro capo del telefono, fu felice di sentire la voce di suo figlio così insolitamente allegra. Discussero brevemente dei dettagli del suo arrivo e si scambiarono i consueti saluti ed auguri per l’Anno Nuovo. Quando finalmente Terence riagganciò, estrasse dalla tasca interna della sua giacca il portasigarette d’oro e l’accendino e, senza alcuna fretta, si accese una sigaretta, come se fosse in attesa di qualcosa. In quel momento, la porta si spalancò e Neil Legan fece il suo ingresso nella stanza, cosa che non sorprese affatto Terence. Di fatto, si aspettava un tête-à-tête con il suo ex compagno di scuola prima o poi.

"Pensavo che saresti rimasto in corridoio per tutta la sera", disse Terence con noncuranza, da dietro a uno sbuffo di fumo.
Neil fu colto di sorpresa dal suo commento e rimase immobile per un secondo.

"Andiamo, Neil, pensi che non mi fossi accorto che mi avevi seguito? Di’ quello che hai da dire e sparisci", lo esortò Terence, appoggiandosi al tavolo accanto a sé. Con un braccio sosteneva l’altro all’altezza del gomito, mentre aspirava il fumo della sigaretta.

"Sicuramente ti crederai invincibile perché Candy ha accettato di sposarti", esordì Neil piuttosto caustico, "Non è mai stata particolarmente intelligente, ma onestamente credevo che avesse almeno un briciolo di buon senso e che ci avrebbe pensato su due volte prima di riprendersi un imbecille come te”, sbottò Legan avanzando di qualche passo, ma mantenendosi comunque a distanza di sicurezza dal suo interlocutore.

"Credo che la parola imbecille descriva decisamente meglio qualcun altro oltre a me in questa stanza. Ma pensala come vuoi. Lei mi sposerà in ogni caso", rispose Terence con un sorrisino trionfante che gli incurvava le labbra.

"Ed hai anche il coraggio di vantartene! L’hai lasciata per quella sgualdrina che hai conosciuto a Broadway ed ora pretendi anche di essere ricompensato".

Terence continuò a fissare Legan con lo stesso sguardo sprezzante, senza battere ciglio di fronte alle sue offese. Dietro il fumo che usciva dalla sua bocca, i suoi occhi risplendevano di intense tonalità di verde, blu e grigio.

"Sei davvero patetico!" gli rispose finalmente con sdegno dopo un attimo di silenzio, "Dimmi Neil, ti stai ancora struggendo dal dolore per il suo rifiuto di qualche anno fa? Che cosa ti aspettavi? Che cadesse ai tuoi piedi solo perché ti eri infatuato di lei?"

Le parole di Terence colpirono nel segno. Gli occhi di Neil erano fiammeggianti d’ira a causa del suo orgoglio ferito. Avendo bevuto più di un whisky quella sera, il giovane era pronto a fare qualsiasi cosa per rendergli la pariglia. . .

"Dunque Candy te ne ha parlato? Forse, però, ha dimenticato di citare alcuni dettagli che non dovresti ignorare".

"Dato che sembri così ansioso di farlo, procedi pure, illuminami", lo invitò Terence con tono di scherno.

"Ecco, ci siamo", pensò Terence, "Mi domando cosa si inventerà adesso".

"Ti ha raccontato di quella volta in cui l’ho indotta a incontrarsi con me in un posto isolato cosicché potessimo…parlare in privato?" gli domandò Neil, con fare allusivo.
Terence spense la sigaretta e fissò Neil nei suoi occhi color ambra come se si fosse trattato di uno scarafaggio. Eppure, la sua espressione rimase impassibile.

"Devi essere del tutto sbronzo per credere che me la beva", gli rispose con estrema calma, inducendo Neil ad essere ancora più esplicito.

"Forse mi crederesti, se ti dicessi che le avevo mandato un messaggero ad informarla che eri tu a volerle parlare", ribatté Neil maliziosamente. "Quella sciocca non ha esitato un secondo e senza volerlo è corsa dritta tra le mie braccia. Quando si è resa conto che si trattava di me e non di te, era troppo tardi per scappare. Oh, è uno zuccherino focoso da gustare! Ti risparmierò i dettagli. Ti basti sapere che durante la tua prima notte di nozze ti accorgerai che qualcuno è arrivato prima di te. Dopotutto, avremo qualcosa in comune, Grandchester".

D’istinto, dopo aver esaurito il suo commento, Neil indietreggiò di qualche passo. Terence, al contrario, non si mosse. Come un abile giocatore d’azzardo, il suo volto non tradiva alcuna emozione. Poi, improvvisamente, la sua risata beffarda risuonò nell’aria. Legan rimase stupefatto dalla sua reazione.

"Quali ridicoli romanzetti rosa hai letto di recente, Legan?" gli chiese Terence, come se gli avessero appena raccontato un’esilarante barzelletta. Lentamente, si avvicinò a Neil finché non furono faccia a faccia. "Credi onestamente che darei mai credito alle tue patetiche calunnie? Se questo è tutto quello che avevi da dirmi, possiamo tranquillamente tornare alla festa".

Terence oltrepassò Neil, come se intendesse lasciare la stanza. Poi, prima che Legan potesse reagire, il giovane attore si voltò e improvvisamente gli sferrò un pugno nello stomaco, costringendolo a piegarsi in due dal dolore, per colpirlo successivamente alla mascella con tale violenza che Legan iniziò subito a sanguinare.

Dopodiché, lo prese per il bavero per indurlo a guardarlo negli occhi.

"Stammi bene a sentire, figlio di puttana", gli disse Terence, mentre il volto di Neil era letteralmente attanagliato dal terrore, "Candy è la mia donna e se capisci cosa intendo, ti converrà pensarci due volte prima di osare ripetere le tue calunniose menzogne a qualcun altro. Se vengo a sapere che hai dato ancora fiato a quella tua boccaccia, ti caverò il resto dei tuoi denti uno ad uno. E ricordati, il mio nome è Graham, non Grandchester. È chiaro?"

In quel momento, l’impeccabile figura di George Johnson fece il suo ingresso nella stanza.

"George! Guarda cosa mi ha fatto questo bastardo! Il mio dente!" urlò Neil credendo che fosse giunto il suo salvatore. Con sua grande sorpresa, il flemmatico Johnson non mosse un dito in sua difesa.

"Mi dispiace dirLe questo, Sig. Legan, ma doveva aspettarselo", rispose George, offrendo il suo fazzoletto a Terence affinché potesse pulirsi la mano dal sangue di Neil, "Ho sentito quello che ha appena detto e mi creda, il Sig. Graham è stato fin troppo magnanimo con Lei. Ai miei tempi, quando un uomo diceva certe cose di una donna, significava pistole all’alba e Lei non è mai stato un gran tiratore, signore. Le consiglio di andarsene prima che i Suoi genitori possano vederLa in queste condizioni. Sono certo comprenderà che sarò costretto a riferire tutto al Sig. Andrew e sicuramente non gradirà affatto di sapere che Lei si è permesso di calunniare la Signorina Candy in questo modo".

Umiliato e francamente timoroso di quello che avrebbe potuto fare suo zio, Neil usò il proprio fazzoletto per coprirsi la bocca e lasciò la stanza senza aggiungere altro.
"Mi dispiace per quello che Le è successo, Sig. Graham", si scusò George, visibilmente turbato.

"Non si preoccupi, George", disse Terence, dandogli una pacca sulla spalla. "Torniamo di là prima che la Signorina Andrew inizi a domandarsi cosa ne è stato di noi. Posso contare sulla Sua discrezione? Non vorrei che lo venisse a sapere".

"Assolutamente sì, signore".

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Per quanto durante l’intera scena con Neil sembrasse aver mantenuto padronanza di sé, la realtà era che Terence si sentiva ribollire dentro. L’idea che Legan avesse potuto approfittare dell’ingenuità di Candy l’aveva fatto letteralmente imbestialire. Se non fosse stato un attore così abile, non sarebbe di certo riuscito a ridere apertamente alle parole di Legan. Di fatto, per un breve momento aveva quasi creduto alle bugie di Neil, ma aveva reagito giusto in tempo per mantenere la sua imperturbabilità.

Qualunque cosa fosse successa, Terence non intendeva dare a Legan la soddisfazione di credere che le sue parole lo avessero colpito. In definitiva, era stato lui a giocarsi l’ultimo asso nella manica vincendo la partita. Eppure, mentre si incamminava verso la sala da ballo, si sentiva ancora furioso.

Al suo ritorno, la pista da ballo era nuovamente gremita. Questa volta, nonostante la riprovazione delle dame più anziane, l’orchestra stava eseguendo un ben noto tango. In tutta fretta, lo sguardo di Terence percorse la sala alla ricerca di Candy, finché finalmente non identificò la sua chioma dorata dietro la spalla di un uomo biondo, che riconobbe immediatamente come Archibald Cornwell.

La sua tolleranza era già ben oltre il limite. Non gli piaceva veder ballare Candy con altri uomini, ma poteva ancora sopportarlo. Sapeva che durante una festa ci si aspettava che una dama prossima al matrimonio ballasse un pezzo o due con altri cavalieri, oltre al suo fidanzato. Tuttavia, un tango, durante il quale i ballerini dovevano praticamente intrecciare le gambe, era del tutto fuori questione. Troppo arrabbiato dopo il suo recente incontro con Neil, il giovane non esitò ad avvicinarsi alla coppia impegnata in pista.

"Candy, posso parlarti un attimo?" li interruppe Terence con tono grave.

"Non ti hanno insegnato ad aspettare il tuo turno mentre una dama balla con un altro cavaliere?" gli chiese Archibald visibilmente contrariato, mentre smetteva di ballare.

"Non puoi aspettare un minuto, Terence?" gli chiese Candy, mal celando il suo nervosismo, avendo notato gli sguardi ostili che si scambiavano i due uomini.

"No, non posso. Devo parlarti di una questione urgente", insistette lui, inventando irrazionalmente la prima scusa che gli era balenata alla mente per trascinarla via dalla sala da ballo.

Essendosi accorta che quell’imbarazzante scena stava attirando l’attenzione delle altre coppie, Candy porse le sue scuse ad Archie – che, per amor suo, fece del proprio meglio per mantenere un certo contegno – e seguì Terence fuori dalla sala.

Si incamminarono lungo i corridoi finché non giunsero nello studio di Albert. Candy, che era rimasta insolitamente in silenzio, entrò nella stanza sperando che Terence avesse una valida ragione per portarla via dalla festa in modo così scortese. Aspettò che la porta fosse chiusa prima di parlare.

"Ti dispiacerebbe spiegarmi cosa c’è di così urgente da costringerti a trascinarmi via nel bel mezzo di un ballo?" gli chiese, "Ci sono problemi con tua madre?"

"No, lei sta benissimo. Ti manda i suoi saluti", rispose freddamente Terence, ancora incapace di riacquistare padronanza di sé.

"Allora che c’è?" gli domandò lei, sempre più stizzita. L’evidente irritazione nella sua voce finì per scatenare la dura reazione di Terence.

"Credi di poter ballare il tango con chiunque ogni volta che ne hai voglia?" sbottò lui, furioso.

Candy sbarrò gli occhi. Non credeva alle sue orecchie. Era questo il problema? La gelosia? Di nuovo? Questo era davvero troppo, pensò.

"Ma di che parli? Stavo ballando con mio cugino Archie. E lui non è di certo uno qualunque!" ribatté lei, con rabbia.

"Sappiamo entrambi che non è davvero tuo cugino. Fino a poco tempo fa aveva una terribile cotta per te, pertanto credo che farebbe meglio a prendersi cura di sua moglie anziché fare lo sdolcinato con te in un ballo decisamente troppo audace per i miei gusti. Quanto a te, Candy, se mai ballerai il tango, lo farai con me e basta".

Quella fu l’ultima goccia per la pazienza di Candy. Per quanto amasse Terence, non intendeva consentire a nessuno di manovrarla, incluso lui.

"Devi essere fuori di testa, Terence!" urlò lei e questa volta fu lui a sussultare davanti all’esplosività delle sue parole. "Forse è difficile per te capirlo, visto che sei così fortunato da avere un padre e una madre, ma per un’orfana come me, Albert, Archie e Annie sono esattamente come la mia famiglia anche se nelle mie vene non scorre il loro stesso sangue. Pertanto, Archie è mio cugino, che ti piaccia o no, ed anche quando saremo sposati, tutto ciò non cambierà. Ballerò con mio cugino ogni volta che ne avrò voglia. Diventerò tua moglie, non la tua schiava".

E con queste parole, la giovane si precipitò fuori dalla stanza, piantando in asso un fidanzato decisamente contrariato.

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Il resto della serata non era andato affatto bene. La coppia aveva fatto ritorno alla festa separatamente e Terence aveva presentato le proprie scuse per ritirarsi ben prima che si potesse festeggiare l’Anno Nuovo. Candy, in qualità di figlia del padrone di casa, fu costretta a trattenersi suo malgrado finché l’euforia che aveva fatto seguito allo scoccare della mezzanotte non fu del tutto esaurita.
Albert si accorse che doveva essere successo qualcosa tra i due fidanzati, ma conoscendo l’impulsività di entrambi, sapeva altresì che qualche litigio sarebbe stato inevitabile. Dato che non era nella posizione di intervenire, lasciò che le cose si sistemassero da sé.

Mentre Albert si godeva la serata come si confaceva alla sua natura ottimista, Terence andava su e giù per la sua stanza al piano di sopra ed il suo umore era decisamente lontano dalla pace socratica di Albert. L’attore ripensò agli eventi di quella sera e, ancora troppo arrabbiato per riconoscere le proprie colpe, passò gli ultimi minuti dell’anno ed i primi dell’anno nuovo rimuginando e ribollendo di rabbia.

Al piano di sotto, la festa andò avanti ben oltre la mezzanotte. Fu solo intorno alle tre del mattino che il silenzio scese sulla villa. Come se la tranquillità dell’ora tarda avesse una specie di effetto calmante su di lui, la rabbia di Terence iniziò lentamente a svanire. Fu allora che si rese conto di aver permesso ai maligni commenti di Neil di scatenare la sua ira, facendogli perdere il controllo con la persona che meno meritava una sua sfuriata.

"Sono un tale idiota!" disse ad alta voce, sfregandosi nervosamente la fronte.
"Mi stupisco ancora che abbia accettato di sposarmi", pensò, sprofondando di nuovo nel suo solito umore auto-deprecatorio. Improvvisamente, un pensiero gli balenò alla mente: "E se ci stesse ripensando? No . . . non può essere. . . mi ama. . . non è così?. . . ma. . . quale donna vorrebbe passare il resto della vita con un pazzo geloso come me!"

Quest’ultimo pensiero lo fece rabbrividire, gettandolo nel panico. Si alzò di scatto dalla poltrona su cui era rimasto seduto nel corso dell’ultima ora e iniziò nuovamente a percorrere la stanza a grandi passi, in preda all’ansia. Atterrito, lanciò uno sguardo all’orologio sopra la mensola del camino. Segnava le tre e un quarto. La festa era finalmente giunta al termine. Lei era ancora sveglia?

Esitò ancora qualche minuto. Per un attimo pensò che sarebbe stato decisamente più saggio aspettare fino al mattino. Forse, se avesse riposato qualche ora, Candy sarebbe stata molto più calma e ben disposta ad ascoltare la sue scuse. Ma poi, temette che lei potesse essere ancora sveglia e che stesse maturando proprio in quel momento la decisione di rompere il fidanzamento. Se avesse aspettato fino al giorno dopo avrebbe potuto essere troppo tardi. Dopotutto, quando aveva rotto con lui a New York, le ci era voluto solo qualche minuto per decidersi. Sapeva che quando si metteva in testa una cosa, la sua risolutezza era incrollabile. Come aveva fatto a cacciarsi in quel ginepraio? Terence si odiava con tutto sé stesso! Indipendentemente dall’età, quando si trattava di Candy era sempre lo stesso maledetto idiota, incapace di controllare le proprie emozioni.

Finalmente, lasciò la sua camera e si incamminò verso le stanze di lei, ancora incerto se avrebbe trovato il coraggio di bussare. Una volta arrivato, si fermò per un attimo. Terence tirò un profondo sospiro, mentre poggiava la fronte ed entrambe le mani sulla sua porta.

"Muoio dalla voglia di parlarti, amore mio", la chiamò col pensiero.

Tuttavia, non vedendo alcuna luce filtrare da sotto la porta, pensò che stesse già dormendo. Non era di certo così egoista da svegliarla. Mentre tentava di trovare il coraggio di tornare nella sua stanza ed aspettare che facesse giorno, udì distintamente un singhiozzo convulso provenire dalla sua camera. Lei stava piangendo!

"Candy?" la chiamò, bussando dolcemente. Improvvisamente, i singhiozzi si interruppero e calò il silenzio.

"Candy . . . ti prego, apri la porta. Ho bisogno di parlarti", la implorò di nuovo, ma anche stavolta lei non rispose.

Stava per tornare nella sua stanza, quando sentì girare la chiave nella toppa. Sotto la luce fioca del corridoio, riusciva appena a distinguere i suoi riccioli biondi che nell’oscurità sembravano quasi ramati. Aveva aperto solo uno spiraglio, senza dire una parola.

"Candy!" la supplicò di nuovo lui.

"Terence?". . . "Non dovresti essere qui a quest’ora", gli disse finalmente, con voce flebile.

"Lo so. Ho bisogno solo di un minuto", insistette lui.

Candy indietreggiò per lasciarlo entrare. Sperava che nell’oscurità della stanza, Terence non si accorgesse che aveva pianto. Pertanto, non accese le luci, ma malgrado ciò, Terence non fu tratto in inganno. Era certo di averla sentita piangere e sebbene la stanza fosse illuminata soltanto dalla luce della luna che filtrava attraverso le finestre, i suoi occhi confermarono i suoi sospetti.
Il giovane chiuse la porta dietro di sé e rimase immobile a guardarla per un secondo.

"Mi. . . mi dispiace. . . .Ti prego, perdonami".

Candy lo guardò, stringendo i pugni, senza riuscire a dire od a fare nulla, lottando con tutta sé stessa per controllare le proprie reazioni. Alla fine, le emozioni a lungo represse le attanagliarono la gola, finché non fu più in grado di trattenere le lacrime, dando libero sfogo al pianto.

"No . . . Ti prego. Non piangere", la implorò lui con il suo tono più dolce, prendendola tra le braccia.

D’istinto, con il volto premuto sulla giacca del suo tight, gli cinse la vita con le mani. Senza smettere di piangere, la giovane tirò un profondo respiro. Il suo profumo di legno di sandalo ed ambra le invase le narici, corroborando il suo spirito.

"Dispiace anche a me, Terence!" gli disse finalmente, mentre il suono delle sue parole era attutito dal petto di lui.

"Non devi! È stata tutta colpa mia", rispose lui, appoggiando il mento sui suoi capelli.

"Ma. . . . se non avessi reagito così duramente. . . ."

"Ssshhh, amore mio", mormorò lui, affondando le dita nei suoi morbidi riccioli, "Dimmi solo che mi perdoni e me ne andrò, così ti lascerò dormire".
Per tutta risposta, lui si accorse distintamente che lei lo stringeva sempre più forte.

"Ti perdono! Ma resta ancora un po’", gli disse Candy timidamente.

Terence era al settimo cielo. Solo qualche minuto prima, aveva temuto che lei potesse rompere il fidanzamento ed ora gli stava chiedendo di trattenersi nella sua camera. Incapace di dar voce alla sua gratitudine, si limitò a stringerla più forte. Lei lasciò che l’abbracciasse ancora per un attimo, dopodiché, sentendo il bisogno di parlargli ancora un po’, lo prese per mano e lo condusse a sedere vicino alla finestra. Attraverso il vetro, la luna illuminava i loro volti.

"Mi dispiace che il nostro Capodanno sia andato così male. Non ho potuto neppure augurarti un felice anno nuovo", disse malinconicamente lei, prendendogli le mani per baciarle.

Quando le sue labbra si posarono sulle sue nocche, però, si accorse immediatamente che la sua mano destra era gonfia.

"Cosa ti è successo?" gli chiese, preoccupata. Anche nell’oscurità, era evidente che la mano di Terence fosse livida.

"Non. . . non è niente”, rispose lui, ritirando la mano. Come aveva potuto dimenticare che il suo occhio esperto avrebbe immediatamente notato la contusione?

"Terence, non mentirmi! Sembra che tu abbia preso a pugni un muro", insistette lei.

"Ti ho detto che non è niente!" ribadì lui, non avendo voglia di affrontare un argomento così spiacevole proprio ora che stavano facendo pace. Tantomeno in futuro.
Terence si coprì la mano gonfia con l’altra e rivolse nuovamente lo sguardo verso di lei. Era talmente bella sotto la luce della luna, senza un filo di trucco e con indosso una semplice vestaglia di seta decorata da motivi orientali. Si avvicinò per baciarla, ma lei distolse il viso.

Confuso dal suo rifiuto, la interrogò con lo sguardo. L’intensa espressione dei suoi occhi gli comunicò silenziosamente le condizioni per concedersi a nuove effusioni.

"D’accordo, mi arrendo! Se insisti a sapere tutto, ho preso a pugni Neil", ammise finalmente, sperando che un semplice resoconto dei fatti le sarebbe bastato.

"Che cosa hai fatto? Perché? Quando?"

Anche se in un primo momento la sua insistenza lo aveva seccato, Terence trovò alquanto buffe le domande che seguirono e la sua espressione basita, così come trovò decisamente seducente il fatto che la sua vestaglia si aprisse leggermente ad ogni suo movimento, rivelando una profonda scollatura.

"Troppe domande. . ." rispose lui. "Vediamo se riesco a risponderti con una sola frase, dopodiché promettimi che non ne parleremo più. Ho dato un pugno in faccia a Neil quando sono andato a rispondere alla telefonata di mia madre perché è un maledetto bastardo. Ecco, questo è in due parole quello che è successo".

Se Terence aveva pensato che gli occhi di Candy non potessero diventare più grandi, si sbagliava. Alle sue parole, li spalancò come non mai.

"Tutto qui?" gli chiese lei esterrefatta. "Neil deve aver detto o fatto qualcosa per provocarti.. ." "Certo che sì, ma non ho voglia di parlarne".

Questa volta Candy strinse gli occhi decisa a non chiudere l’argomento finché non avesse saputo qualcosa di più. Conosceva Neil da troppo tempo per ignorare che non era di certo il tipo da attaccare fisicamente un avversario più forte come Terence. No, se Neil l’aveva stuzzicato al punto da spingerlo a ricorrere alla violenza, la provocazione iniziale doveva essere stata verbale e per giunta molto grave.

"Terence, cosa ti ha detto esattamente. . . qualcosa che riguardava me?" gli domandò lei, non volendo interrompere il suo interrogatorio.

"Accidenti! È talmente perspicace a volte!" pensò lui, frustrato. Per un attimo, non seppe cosa dire. Doveva ammettere che le insolenti parole di Neil avevano toccato un nervo scoperto.

"Ti risparmierò i dettagli. Ti basti sapere che durante la tua prima notte di nozze ti accorgerai che qualcuno è arrivato prima di te. Dopotutto, avremo qualcosa in comune, Grandchester”.



Come trafitto da una spina, il giovane si alzò in piedi improvvisamente, le mani sprofondate nelle tasche.

"Ti prego, Terence. Che cosa ti ha detto?" insistette Candy, che si era alzata in piedi subito dopo di lui, mentre gli poggiava una mano sulla spalla.

Terence non aveva idea di come Candy fosse riuscita a farlo parlare così tanto. Tuttavia, decise di non dirle più nulla.

Malgrado la risolutezza di lui, la giovane insistette ancora, convinta che la sua reticenza fosse indice del fatto che quella sera fosse accaduto qualcosa di davvero grave.

"Mi ha raccontato di quella volta che ti ha mandato un messaggio fingendo di essere me", le confessò finalmente dopo un attimo di silenzio, continuando a voltarle le spalle.

"Cosa? . . . Ma è senza vergogna! . . . E senza cervello, tra l’altro. . . Perché mai raccontarti qualcosa che ti avrebbe fatto infuriare inducendoti a colpirlo? È sempre il solito idiota", disse lei con una lieve risatina.

Terence, che non si era accorto di aver trattenuto il respiro, finalmente si rilassò. Sebbene non avesse avuto dubbi che Legan stesse solo giocando con mezze verità per torturarlo, in un angolo recondito della sua mente aleggiava il dubbio che forse. . . Ora, si sentiva sollevato nel vedere che Candy aveva colto l’aspetto umoristico di quella rivelazione. Se Neil le avesse fatto qualcosa, sicuramente il sentir solo parlare di quell’episodio l’avrebbe turbata. Tuttavia, Terence detestava ammettere anche solo con sé stesso che aveva molte altre domande su quello che era accaduto quel giorno, ma dato che sarebbe stato indelicato porle, restò in silenzio.

Candy iniziò a comprendere le dure reazioni che aveva avuto Terence quella sera. Anche se non poteva giustificare la sua mancanza di autocontrollo, immaginò che il resoconto degli eventi fattogli da Neil doveva essere stato davvero spiacevole per metterlo così di cattivo umore.

"Avrei dovuto evitare che accadesse", gli disse, poggiandosi una mano sul fianco tenendo il gomito in fuori, mentre si sfregava la fronte con l’altra mano. "Avrei dovuto raccontartelo prima. Sicuramente Neil ha amplificato le cose a suo piacimento".

"Ho pensato la stessa cosa", rispose lui, voltandosi a guardarla.

"Ora ti racconto come è andata veramente", concluse lei, allontanandosi di qualche passo dalla finestra.

"Candy, non ce n’è bisogno. Appartiene al passato. Non volevo neppure che venissi a sapere del mio scontro con Legan".

"Forse appartiene al mio passato, dato che è successo molto tempo fa, ma è una cosa nuova per te. Lascia che ti racconti tutta la storia".
Questa volta Candy si sedette sul letto disfatto, poggiando entrambe le mani sul bordo. Lui restò in piedi davanti a lei.

"È accaduto tutto qualche mese dopo la nostra rottura, in primavera", iniziò lei. "Lavoravo già alla Clinica Felice a Chicago. Quel pomeriggio, finito il mio turno, c’era un uomo che mi aspettava di fuori. Non l’avevo mai visto in vita mia, ma mi sembrò piuttosto distinto, pertanto non ci trovai nulla di male quando si rivolse a me. Mi disse che un gentiluomo aveva desiderio di vedermi e mi fece il tuo nome".

A queste parole, lui abbassò lo sguardo, sentendosi indirettamente responsabile.

"A quel punto, non ragionai più! Qualche giorno prima ero venuta a sapere delle difficoltà che stavi affrontando nel gestire la crescente pressione della tua carriera e delle voci riguardo al tuo problema con l’alcool. Sapevo che il tuo comportamento era un segno del dolore che stavi patendo. Più leggevo i giornali, più mi preoccupavo per te. Non riuscivo a dormire la notte al pensiero che stessi soffrendo persino più di me".

Le sue parole diventavano sempre più appassionate e Terence si sentì stringere il cuore davanti all’ennesima prova della fedeltà del suo amore per lui.

"Quando quell’uomo mi disse che volevi vedermi, non riuscii a pensare ad altro se non a correre da te. Avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarti…per assicurarmi che stessi bene. Così, quando quell’uomo mi condusse diversi chilometri fuori Chicago, non ebbi la presenza di spirito di sospettare che ci fosse qualcosa sotto".
La consapevolezza del grave pericolo che aveva corso per amor suo gli fece accelerare il battito.

"Finalmente giungemmo in una villa isolata. Anche allora, non ebbi alcun sospetto. Fu solo quando entrai in casa e in salotto mi trovai davanti Neil che mi resi conto di essere caduta in una trappola. Lui chiuse la porta a chiave dietro di sé. Ero furiosa con me stessa per avergli permesso di incastrarmi così facilmente!"

A quel punto fece una pausa, consapevole del fatto che non sarebbe stato facile per Terence ascoltare il resto del racconto.

"In quel momento Neil iniziò a blaterare di quanto sarebbe stato vantaggioso per me se l’avessi sposato. Non riuscivo a credere alla sua faccia tosta. Quando lo respinsi per la centesima volta, mi minacciò, dicendomi che mi avrebbe obbligata a sposarlo. Il mio unico pensiero era quello di andarmene immediatamente. Gli intimai di darmi le chiavi, ma si rifiutò di farlo".

Fece una nuova pausa. Ripensare a quegli eventi, che aveva cercato in tutti i modi di dimenticare, le aveva dato una nuova consapevolezza. Ora, più matura e smaliziata, si rese conto del pericolo che aveva corso e ne fu atterrita. Iniziò a intuire a quale falsità avesse fatto ricorso Neil per sconvolgere Terence. "E cosa è successo dopo, Candy?" le chiese lui mentre le si avvicinava, preoccupato dal suo silenzio.

"Beh, conosci Neil, è tutt’altro che un gentiluomo. . .”

Candy guardò Terence e l’espressione di terrore che vide nel blu profondo dei suoi occhi confermò i suoi sospetti.

"Quell’idiota mi ha abbracciata cogliendomi di sorpresa ed ha cercato di baciarmi, prendendomi con la forza".

Il volto di Terence diventò paonazzo.

"Ma è sempre stato uno smidollato ed un codardo. Persino una donna l’avrebbe vinta su di lui, se volesse. L’ho graffiato in viso e l’ho spinto via con tutte le mie forze, facendolo cadere per terra. Mentre era lì a frignare, ho preso la chiave che era caduta dalla sua tasca e sono corsa via. Non ha neppure tentato di seguirmi".

"Santo Dio!" esclamò lui, inginocchiandosi davanti a lei, tenendole il viso tra le mani tremanti, "Se penso che avrebbe potuto. . . e tutto per colpa mia! Non so cosa avrei fatto se avesse. . ."

Provato da così tante emozioni nel giro di poche ore, Terence cercò istintivamente le sue labbra, finché non si unirono in un bacio denso di desiderio e passione repressa. Da quando erano arrivati a Chicago, non avevano avuto molte occasioni di concedersi una tale intimità. C’era sempre qualcuno intorno, un parente o un domestico, la cui invadente presenza non dava loro tregua. Ora, nell’oscurità di quella stanza, si udiva solo il suono delle loro labbra che si congiungevano ripetutamente.

Candy sentì che questa volta i suoi baci avevano un sapore diverso. In precedenza aveva sempre stuzzicato le sue labbra dolcemente, prima di approfondire la carezza. Stavolta, invece, si era fatto strada nella sua bocca con un’unica, famelica spinta. C’era qualcosa di così passionale nel modo in cui la stringeva, che inizialmente aveva dovuto sostenersi sui gomiti.

Ben presto, le labbra di lui non si accontentarono più di esplorare la sua bocca ed avanzarono in un’umida scia verso le sue guance ed il suo collo. Lo sentì mormorare qualcosa, ma la sua voce era attutita dal contatto con la sua pelle e non riuscì a capire cosa le avesse detto. Visto che lei non rispondeva, le sussurrò nuovamente all’orecchio l’implorante domanda, "Dimmi che non è successo nulla quella notte".

"Non è successo nulla, Terence", rispose lei, quasi ansimando sotto l’impeto delle sue carezze.

"Però ti ha toccato!" borbottò rabbiosamente lui, mentre con il suo peso la spinse ad adagiarsi sulla schiena, sdraiandosi sopra di lei.

"Dove ti ha toccato? Ti ha baciato?" insistette, con febbrile impazienza.

"No! Non gliel’ho permesso", sussurrò lei, incapace di dire altro, stordita dalle scariche elettriche causatele dalle sue labbra, mentre le baciava il lobo dell’orecchio, accarezzandola sensualmente con la sua calda lingua.


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Prima che potessero rendersi conto dell’intensità del fuoco che ardeva dentro di loro, il giovane fu totalmente posseduto dal desiderio di lei. Nella totale sintonia dello sfregamento dei loro corpi, le allentò la vestaglia, rivelando uno scorcio della morbida rotondità dei suoi seni. Anche al buio, le sue pupille si dilatarono a quella visione e le sue labbra seguirono i suoi occhi. Il sapore di lei era inebriante. Sotto quel suo nuovo tocco, ad ogni suo dolce seppur disperato morso sul suo décolleté, Candy sentì ancora una volta quella strana sensazione nel basso ventre simile ad un piacevole dolore o ad uno spasmo, che le irradiava calore in tutto il corpo. D’istinto, comprese che era lui, con le sue carezze, il suo profumo e la vigorosa stretta delle sue braccia, a scatenarle quelle reazioni e che esse costituissero la prova inconfutabile che era ormai pronta a donarsi a lui.

Si sentiva spaventata davanti all’ignoto, ma al contempo, era totalmente incapace di prendere una qualsiasi decisione che avesse senso. Anziché reagire alle sue paure, decise di rispondere alla carezze di lui stringendolo con rinnovata passione. Sotto il fuoco delle sue mani che percorrevano avide il suo corpo, accarezzandole lentamente le gambe ed i fianchi, comprese che il suo desiderio di lui era più forte delle sue riserve. L’unica cosa che voleva era dargli qualsiasi cosa le avesse chiesto. L’unico pensiero che occupava la mente di lui era quello di possederla.

Sotto la luce della luna che filtrava attraverso le finestre, i dodici tulipani rossi sembravano risplendere. Nelle profondità delle loro vivaci corolle, le loro anime di velluto scuro ricordavano i carboni ardenti di una passione a lungo trattenuta.


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PAGINA BIANCA




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(1) I Grandchester furono una delle poche famiglie nobili che si rifiutarono di obbedire alla Chiesa di Inghilterra, restando fedeli alla Chiesa Romana Cattolica durante la Riforma. Storicamente, i discendenti di quelle famiglie, sono definiti "Recusant".
(2) First Folio – pubblicata nel 1623, è la prima raccolta delle 36 opere di Shakespeare in versione integrale e non editata.
(3) Iago – è il principale antagonista dell’"Otello" di Shakespeare. Tra le sue famose citazioni, c’è la seguente: Oh, guardatevi dalla gelosia, mio signore. È un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si pasce.
 
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Capitolo 8
Ballata n. 1, opera 23



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Il caldo aroma del caffè le accarezzava la lingua, mentre beveva a piccoli sorsi. Era il primo giorno del nuovo anno e Candy sapeva che nessuno si sarebbe svegliato prima di mezzogiorno e ne era felice. Essendo soltanto le nove, sperava di avere abbastanza tempo per domare il vortice di sensazioni che minacciavano di esploderle nel petto in un milione di scintille.

Si sentiva esattamente nuova ed inesperta come l’anno che era appena iniziato. E questa novità era la sensazione più piacevole che avesse mai provato. Seduta tranquillamente nella sua poltrona preferita, di fronte alla portafinestra della sua camera, gustava il suo caffè assaporandolo lentamente. In una mano teneva la lettera che le aveva dato il buongiorno al suo risveglio quella mattina. Sulla punta delle dita, poteva ancora sentire distintamente il calore della pelle che la notte scorsa si era fusa con la sua in un’unica entità, di cui ora non poteva più fare a meno.

La giovane sentì l’aria gelida del mattino filtrare attraverso il tessuto leggero delle tende bianche. Poggiò la testa sullo schienale della poltrona e posò la tazza. Con la mano destra, si avvolse nella sciarpa di seta che aveva messo intorno al collo quando la domestica era entrata in camera a servirle il caffè. Candy sapeva che i segni rosacei che lui le aveva lasciato in tutto il corpo sarebbero stati visibili sulla sua carnagione delicata. Sorrise e si sentì sollevata che il freddo dell’inverno le consentisse di coprirsi senza destare sospetti.

Candy sorrise di nuovo. Un’occasione così unica richiedeva un nuovo sorriso e quella mattina ne aveva inventato uno appositamente. Continuando a sorridere, pensò che fosse strano non provare alcuna vergogna. Di fatto, l’unica cosa che rimpiangeva in quel momento era di aver rinunciato a quella stessa felicità dieci anni prima. Tirò un sospiro e lesse nuovamente la sua lettera.

1 gennaio, 1925

Amore mio,

Per quanto avrei voluto restarti accanto fino al tuo risveglio, ho pensato che fosse meglio andarmene prima che occhi indiscreti potessero immischiarsi in cose che riguardano solo noi due. Pertanto, spero che mi perdonerai per essermi allontanato come un ladro che scappa quando è ancora buio. Ti prometto che molto presto condivideremo ogni alba, tramonto, giorno e notte senza più separarci e nessuno avrà nulla da ridire in proposito.

Mentre ti scrivo, mi rendo conto che sono al mondo da più di ventisette anni ed ho sempre ignorato che l’unica cosa che conta realmente è lo stato di perfetta felicità che un’anima raggiunge nel fondersi con un’altra. Ieri notte, per la prima volta, grazie alla tua generosità, ho avuto un anticipo di quella beatitudine. Per questo dono, proprio nell’anniversario del nostro primo incontro, ti sarò eternamente grato. Se fosse necessario, sarei disposto ad aspettare altri dodici anni solo per guadagnarmi il diritto di amarti. Tuttavia, per come stanno le cose, spero sinceramente che non sarà più necessario attendere.

Ardentemente tuo,
T.G.

P.S. Ho preso il tuo diario. Te lo restituirò solo dopo che l’avrò letto almeno una decina di volte.


Candy chiuse gli occhi assaporando le sue parole. Seppur breve, quella era senza dubbio la prima lettera d’amore che lui le avesse mai scritto. Nessuna bonaria presa in giro per nascondere i suoi sentimenti, nessuna maschera, niente chiacchiere…solo la sua anima messa totalmente a nudo. Era la prova inconfutabile che quello che era successo qualche ora prima non era stato solo un sogno…beh, doveva ammettere, però, che il P.S. era una delle sue solite bravate. Solo qualche giorno prima, quando le aveva fatto visita alla casa di Pony, Albert le aveva restituito il diario che lei aveva scritto alla Saint Paul School, unitamente alle lettere di Terence. Ora, lui gliel’aveva impunemente rubato. Ma oggi gli avrebbe perdonato tutto. Mentre mandava giù un altro sorso di caffè, le tornarono alle mente gli intimi ricordi del loro incontro della notte appena trascorsa.

Non aveva mai immaginato che un’anima potesse essere messa così totalmente a nudo nel fare l’amore. Per quanto il suo legame con Terence fosse sempre stato molto profondo, nulla di quello che avevano condiviso in passato reggeva il confronto con quel radicato senso di appartenenza l’uno all’altra generato dalla fusione dei loro corpi. L’uomo a cui si era donata si era letteralmente trasfigurato davanti ai suoi occhi. Nel mettere a nudo il proprio corpo, le aveva mostrato anche il suo essere più profondo con un’intensità che non credeva possibile.

La giovane sospirò ancora una volta. Si domandò fino a che punto la loro comunicazione fosse stata verbale e quanto di essa, invece, avesse avuto luogo solo attraverso pelle e fluidi. Non riusciva più a vederne la differenza.
La sua confessione di averla amata dalla prima volta che l’aveva vista era stata espressa a parole? In che modo le aveva rivelato il suo ardente desiderio di proteggerla? Forse negli sforzi che aveva profuso per essere delicato nel momento ultimo di possederla, malgrado la forza della passione di quella notte? O gliel’aveva sussurrato all’orecchio? Non era in grado di dirlo, ma ormai era consapevole di tutto ciò ed il suo cuore traboccava di certezze.

Per certi versi, questa nuova consapevolezza la spaventava, perché sapeva che lui era nelle sue mani. Se avesse fallito nell’amarlo come aveva bisogno di essere amato, l’avrebbe ferito irreparabilmente, ferendo anche sé stessa, perché il risultato estremo della loro unione era stata la fusione del loro essere in un’unica entità. Sperava solo di poter essere all’altezza del compito di amare quell’uomo terribilmente possessivo, ma al contempo estremamente vulnerabile ed incredibilmente forte.

Ora, come avrebbe fatto ad affrontare il mondo quella mattina e mascherare tutta quella gioia? Non lo sapeva, ma in quel momento, non le importava granché. Di fatto, l’unica cosa che contava, era andare a cercarlo per bearsi alla vista di lui.

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Malgrado la mano gonfia, quella mattina i tasti del pianoforte sembravano danzare sotto le sue dita. Dopo l’intenso arpeggio iniziale, l’ipnotica melodia del valzer si diffuse nella stanza. Ben presto, scale ed accordi seguirono in una frenetica sequenza. Quella ballata gli aveva sempre ricordato lei, passionale ma dolce, tenera a suo modo, ma allo stesso tempo animata da una straordinaria forza, a volte giocosa, altre saggia e soprattutto di buon cuore. Aveva sempre saputo che lei era così, dalla prima volta che l’aveva vista. Per di più, per anni, aveva immaginato che quei tratti della sua personalità che la rendevano così esplosiva, sia nella rabbia che nella gioia, l’avrebbero resa una meravigliosa amante. E non si sbagliava…Oh sì! Tra le sue braccia, gli aveva dimostrato tutto questo.

Quella mattina Chopin sembrava offrirgli la melodia perfetta per permette al suo cuore di cantare a squarciagola: lei è mia! Solo mia! . . . Che sensazione travolgente sentiva scorrergli nelle vene! Era lo stesso uomo che era stato fino ad allora? No! Era rinato in quella felice mattina di gennaio ed il nuovo Terence era un uomo che sapeva cosa fosse la felicità.

Se in tutti quegli anni di terribile depressione qualcuno gli avesse detto che un giorno si sarebbe svegliato con il sapore di ogni centimetro del suo corpo irrevocabilmente impresso sulle sue labbra, l’avrebbe considerato uno scherzo crudele. Ma invece ora era lì, appena sette mesi dopo che aveva osato scriverle quella prima inarticolata lettera, eletto ad unico padrone del suo corpo e della sua anima. Era uno stato di appagamento che non aveva eguali.

Il pensiero che gli avesse concesso i diritti di un marito ancora prima che il loro matrimonio fosse debitamente celebrato lo rendeva euforico. Quando era accaduto ciò che era accaduto, nessuno dei due era riuscito a pensare con lucidità. Avevano entrambi dato e preso liberamente, senza nessuna razionale considerazione a frapporsi fra loro. Poi, quando fu tutto finito e la frenesia aveva ceduto il passo alla pace, fu il suo turno di aver paura. Si era definito un mascalzone, vergognandosi di aver violato i limiti del decoro ben due volte in un’unica sera, l’ultima volta in modo decisamente più grave della prima.

Terence sorrise ripensando al fatto che a quel punto era stata lei a calmare le sue ansie. Il suo cuore aveva fatto fatica a trattenere la gioia quando lei gli aveva ribadito che non rimpiangeva affatto quello che era successo.

"Come potrei vergognarmi di essere tua?" gli aveva detto, appoggiandogli la testa sulla spalla, "So che non è quello che mi è stato insegnato, ma non capisco come potrebbe essere sbagliato davanti a Dio, quando Lui sa bene che nel mio cuore sono sempre stata tua moglie e lo sarò per sempre".

Il motivo originale si ripeté ancora una volta, fluendo dalle dita di Terence, mentre con gli occhi della sua mente si rivedeva mentre le baciava i capelli e le sussurrava "grazie". A volte, le parole più semplici sono cariche di un significato profondo.

"Vorrei poter fare per te qualcosa di altrettanto importante e generoso come quello che hai fatto tu per me stanotte!" le aveva detto tra i baci.

"Dimmi che mi amerai per sempre".
"Questo è un compito troppo facile. Non potrei fare altrimenti".

Le note si intrecciarono, creando un’illusione di onde che si infrangevano sulla sabbia. Poi, si ricongiunsero a dar nuova vita al valzer, questa volta in crescendo, con accordi più pieni e più imponenti. Infine, irruppero in una cascata per alcuni appassionati secondi, fino a concludersi con un accordo deciso in sol minore.

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Un delicato applauso ruppe il silenzio che seguì. Ancor prima di voltarsi, seduto davanti al pianoforte a coda, Terence seppe che si trattava di lei. Quando finalmente la vide, vestita in un tailleur grigio con giacca e gonna a tubino ed un maglione rosso a collo alto, le tese il braccio destro e lei gli rispose andandogli incontro. Le fece spazio sullo sgabello e lei si sedette accanto a lui, con le gambe ed il corpo in opposizione ai suoi. Non le lasciò dire una parola finché non l’ebbe baciata profondamente, accarezzandole il viso in un muto riconoscimento dei suoi lineamenti alla luce del giorno.

"Buongiorno, mogliettina", mormorò, stringendola a sé.

"Buongiorno, maritino. Avevo sognato di sentirti suonare di nuovo!" gli rispose lei, guardandolo in totale adorazione.

"Non suonavo più da anni, ma negli ultimi mesi ho ritrovato la voglia di farlo. Ti è piaciuto il mio Chopin?"

"Mi è sempre piaciuta questa ballata, ma per quanto mi riguarda potresti suonare anche delle semplici bacchette cinesi ed il risultato mi piacerebbe comunque, perché saresti tu a farlo".

"Se intendi adularmi in questo modo, non mi aiuterai a migliorare la tecnica", si lamentò scherzosamente lui.

"Probabilmente no, ma forse se mi lasciassi dare un’occhiata alla tua mano, potrei aiutarti in qualche altro modo", suggerì lei, prendendogliela tra le sue.

"Sembra che il ghiaccio che mi hai messo ieri notte abbia fatto effetto, mi sembra meno gonfia”, disse lui, pensando che avrebbe dato volentieri un altro pugno a Neil solo per rivivere l’eroticità della scena in cui lei si era preoccupata della sua mano livida, mentre erano insieme sotto le lenzuola.

"Vado a prendere una bacinella, così potrai immergere la mano per un po’ in una soluzione di acqua e sali di Epson", disse lei, ma mentre tentava di alzarsi per mettere in pratica il suo proposito, lui glielo impedì.

"Non ora. . . più tardi potrai farmi anche il bagno nei sali di Epson, se lo desideri, a condizione che tu lo faccia con me", le sussurrò, mentre i suoi occhi risplendevano di ogni possibile sfumatura di blu e di verde.

Lei arrossì mentre lui la prendeva tra le braccia facendola scivolare all’indietro e impossessandosi della sua bocca con un altro ardente bacio. Proprio in quel momento, un colpo di tosse li fece trasalire. Le loro labbra si separarono e si voltarono per vedere chi fosse. Candy si tirò su a sedere, ma non lasciò immediatamente le braccia di Terence.

"Buongiorno, Archie!" disse lei, sorridendo malgrado il suo acceso rossore, "Ti sei alzato piuttosto presto".

"Buongiorno", disse Archibald, facendo fatica a ritrovare la prontezza di spirito per darle una risposta coerente.

Che strano! Sorprendere sua cugina in un abbraccio appassionato con il suo fidanzato non era stato affatto sconvolgente quanto la travolgente sensazione che l’aveva assalito quando la coppia si era voltata a guardarlo.

Per un attimo, Archibald si sentì smarrito. La sua testa gli diceva che avrebbe dovuto proteggere sua cugina da quell’uomo, che forse era tornato a far parte della sua vita solo per ferirla di nuovo e poi andarsene. Tuttavia, quella mattina, erano entrambi avvolti in una strana aura, come se fossero immersi in un mondo tutto loro in cui lui era solo un intruso. La sensazione era impalpabile, eppure talmente reale che lui non seppe cosa dire o fare.

"Annie è già in piedi?" chiese Candy, destando Archie dalla sua confusione interiore.

"Sì, è con Stair adesso, lo sta preparando per il brunch", riuscì finalmente a risponderle.

"Allora, penso che la raggiungerò. Voglio chiederle se ha dei sali di Epson. Vi dispiace se vi lascio soli per un po’?" chiese Candy, alzandosi in piedi.

Terence non le lasciò la mano, che aveva stretto possessivamente per tutto il tempo. Poi, mentre Candy era già in piedi accanto a lui, si scambiarono uno dei loro sguardi particolari e lui, con riluttanza, la lasciò andare.

"Ci vediamo a colazione tra una quindicina di minuti. Che ne dite?" chiese a entrambi, mentre si incamminava verso la porta.

"Va. . . va bene", concesse Archie, recuperando lentamente la sua capacità di formulare un pensiero coerente.

Terence fece appena un cenno con la testa, avendo capito le intenzioni di Candy nel lasciarlo solo con Archibald.

"Ecco un’altra delle tue manovre conciliatorie, Tarzan Tuttelentiggini. Ma questa me la paghi…”

Non appena la giovane ebbe chiuso la porta dietro di sé, per un po’ regnò un imbarazzante silenzio.

Con il suo solito distacco, Terence chiuse il coperchio del pianoforte e si avvicinò alla finestra, sentendo il bisogno di accendersi la prima sigaretta del mattino, decidendo tuttavia di rimandare. Le tende erano aperte, pertanto incrociò le braccia al petto e decise di concentrarsi sulla vista del giardino e ignorare la presenza di Archibald. Non era dell’umore per conversare con una persona che aveva una così chiara avversione per lui.

Archibald sedeva nella poltrona accanto al caminetto e dopo aver preso il giornale da un tavolino lì accanto, per un po’ finse di leggere. Ogni tanto lanciava uno sguardo in direzione di Terence, impassibile davanti alla finestra, domandandosi se avrebbe dovuto prendere l’iniziativa ed iniziare una conversazione. Desiderava parlare con il suo ex compagno di scuola sin da quando era arrivato alla villa alcuni giorni prima. Eppure, ora che Candy gliene aveva offerto l’opportunità in modo così palese, non sapeva come rompere il ghiaccio.

Sentendo la necessità di un po’ di caffeina nelle vene per riattivare il cervello, Archibald decise di usare il telefono e ordinare un caffè. Poco dopo, un domestico entrò con un vassoio d’argento.

"Vuoi unirti a me?" disse Archibald a Terence, rompendo finalmente il silenzio.

Terence, che nel frattempo si era concentrato su pensieri decisamente più gradevoli ricordando quanto era accaduto la sera prima, scosse appena la testa per declinare l’invito. Malgrado tutti gli anni passati negli Stati Uniti, non riusciva ancora a comprendere il fascino che gli americani sentivano nei confronti del caffè. Pensò che avrebbe preferito aspettare una bella tazza di thè per cominciare la giornata come si deve.

Mentre Terence si voltava nuovamente per riprendere quella che sembrava un’approfondita ispezione del giardino degli Andrew, il domestico se ne andò lasciandoli soli.

"Hai intenzione di restare lì a guardare fuori dalla finestra fino all’ora del brunch?" gli chiese Archibald, incapace di trovare un modo più amichevole di iniziare la conversazione.

"Pensavo di sì, ma immagino che tu abbia un’idea migliore", rispose Terence, voltandosi verso Archibald e avvicinandosi lentamente al caminetto. Nel farlo, tirò fuori il suo accendino Alfred Dunhill da una delle sue tasche.

"Pensavo che potesse essere un buon momento per discutere di una cosa con te", disse Archibald da dietro alla sua tazza di caffè.

Terence appoggiò il gomito alla mensola del camino, spostando il peso sulla gamba sinistra, continuando a giocare con il suo accendino d’oro.
"Lasciami indovinare", rispose poi con il suo consueto tono beffardo, sollevando un sopracciglio, "intendi dirmi che non approvi che sposi tua cugina".

Archie strinse i denti davanti all’esasperante abitudine di Terence di affrontare un argomento in modo così esplicitamente insolente.

"Non intendevo esprimermi in questo modo, ma devo ammettere che il senso è quello", confessò Archie, posando la tazza e preparandosi ad uno scontro verbale.

"Allora, ora tocca a me dirti che non me ne importa un fico secco", lo sfidò Terence, fissandolo dritto negli occhi.

"Mi aspettavo una risposta del genere. Ma non ha alcuna importanza cosa pensiamo l’uno dell’altro. Voglio solo avvertirti di star bene attento a non rovinare tutto stavolta", sbottò Archie, i cui occhi color nocciola avevano assunto un’espressione minacciosa.

"Per favore, Cornwell, ho avuto abbastanza drammi nella vita, dentro e fuori dal palco”, rispose Terence, esprimendo chiaramente la sua irritazione, "Credimi, non c’è alcun bisogno di questa teatrale chiacchierata in cui mi minacci di morte se dovessi far soffrire di nuovo Candy".

"Beh, se avessi avuto più buon senso, l’avresti lasciata in pace per permetterle di essere felice!" disse Archie, alzandosi di scatto per fronteggiare Terence.

"È facile per te dirlo. Hai tutto, una bella moglie, un bambino adorabile…"

"Oh, per favore, Grandchester! Intendi biasimarmi perché sono felice? La felicità bisogna sapersela guadagnare. Tu, invece, non hai fatto che allontanarla"

"So benissimo cosa ho fatto!" ammise Terence, alzando la voce, carica di senso di colpa e rabbia.

"No che non lo sai, stupido arrogante!" urlò Archie, diventando paonazzo, "Non hai idea di quanto sia stato difficile per lei riprendersi dopo che sei stato così vigliacco da lasciarla. Vuoi sapere cosa le è successo a causa della tua catastrofica idea di invitarla a New York?"
Questa volta Terence non rispose. Un veloce battito di ciglia ed un’improvvisa tensione alle tempie furono le sue uniche reazioni.

"Ebbene, devi sapere che dopo che le hai spezzato il cuore senza pietà, ha camminato nella neve per ore finché non le è venuta la polmonite", continuò Archibald, cogliendo l’occasione offertagli dal silenzio del suo interlocutore. "È svenuta sul treno per via della febbre alta. Il personale della stazione l’ha portata qui da noi priva di conoscenza! Lei, che era sempre stata sana e forte, era pallida e in delirio al punto che abbiamo temuto per la sua vita!"

A queste parole, Terence sbiancò, ma non osò interrompere Archibald.
"E tutto solo perché non sei stato capace di comportarti da uomo ed amarla come meritava. Se il tuo maledetto onore aristocratico era già compromesso con un’altra donna, non avresti potuto almeno risparmiarle l’umiliazione di fare centinaia di chilometri solo per essere scaricata?"

"Credi che non ci abbia pensato migliaia di volte negli ultimi anni? Pensi che mi rallegri della mia stupidità e della mia vigliaccheria?" sbottò finalmente Terence, "Credimi, Cornwell, forse non conoscevo i dettagli che mi hai appena raccontato, ma sono perfettamente consapevole di averla fatta soffrire e non ne vado affatto fiero".

"Allora, se avessi avuto un po’ di ritegno, non avresti osato tornare da lei! Per molto tempo, è stata benissimo senza di te!" rispose Archibald, alzando nuovamente la voce e diventando sempre più paonazzo per la rabbia.

Terence incassò stoicamente il colpo. Tra sé e sé, ammise di aver fatto lo stesso pensiero più di una volta. Di fatto, l’agonia che aveva sofferto prima di spedirle la sua prima lettera dopo dieci anni di silenzio era stata il risultato di quella stessa paura. Per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare, Terence abbassò lo sguardo.

"Non posso biasimarti se la pensi così. Per un po’, ne sono stato convinto anch’io".

L’improvviso cambiamento nel tono di Terence colse Archibald di sorpresa. Se non fosse stato così convinto che Grandchester non fosse capace di provare vergogna, avrebbe pensato che sembrava sinceramente pentito stavolta.

"E poi che cosa ti ha fatto cambiare idea?" chiese Archibald dubbioso, aggrottando la fronte.

"La consapevolezza che senza di lei sono solo una nave in balia delle onde!" fu l’onesta risposta di Terence. "Sarò anche un maledetto bastardo, ma non sono uno stupido. So bene che in questo matrimonio sono io ad aver tutto da guadagnare, Cornwell. Un uomo tetro come me, con una vita incolore come quella che ho sempre condotto, ha ben poco a che spartire con una donna che fa splendere il sole come lei. Se preferisci, dammi pure dell’egoista, ma quando mi ha aperto la porta, non ho potuto evitare di rientrare nella sua vita e offrirle il mio cuore. Ti saresti comportato diversamente al mio posto? Sinceramente?"

Questa volta fu Archie ad abbassare lo sguardo. Sapeva bene che in passato, se gli fosse stata offerta quella stessa opportunità, l’avrebbe colta senza esitare.

"No, non mi sarei comportato diversamente", ammise Archie, incapace di mentire su una questione così vicina al suo cuore. Inoltre, la parole di Terence, cariche di sentimento, l’avevano molto colpito. Tuttavia, non intendeva cedere così facilmente. "Ma come puoi essere certo che questa volta non la farai soffrire? Ieri sera, per esempio, ci hai offerto un altro classico esempio. Spero non negherai che avete litigato dopo che l’hai trascinata via dalla sala da ballo senza tanti complimenti".

"Non intendo negare ciò che è così chiaro ai tuoi occhi, Cornwell!" rispose Terence, irritato dal commento di Archibald, "Per quanto lei mi ami, non intende assecondare ogni mio capriccio e tra l’altro, non mi piacerebbe se lo facesse. Non posso prometterti che non litigheremo mai, ma posso assicurarti una cosa. Quello che è successo in passato, non si ripeterà più. Non permetterò a nessuno di mettersi tra noi".

"Vorrei poter credere alle tue parole, Grandchester".

"Le parole non contano, Cornwell. Lascia che il tempo ti dimostri se sono in grado di farla felice o meno".

"Se non lo farai. . ."

"Lo so, lo so, sono un uomo morto", gli concesse Terence, alzando entrambe le mani.

"Almeno su questo siamo d’accordo", concluse Archibald, mettendosi a sedere sul divano.
Terence si rese conto che per il momento lo scontro tra di loro era giunto al termine. Pertanto, sentendosi un po’ più rilassato dopo le cose spiacevoli che si erano detti, prese il portasigarette e lo porse ad Archibald.

"Ne vuoi una?" gli disse.

Archibald lo guardò con sospetto.

"Andiamo, non essere così diffidente. Non c’è nulla che non vada in queste sigarette”, disse Terence, prendendone una per sé.

"D’accordo!" accettò Archibald, seppur con una certa riluttanza, "Ma solo una, perché sto cercando di smettere. E dovresti farlo anche tu. Lo sai che a Candy non piace”.

"Puoi dirlo forte!"

Terence sorrise da dietro il fumo della sua sigaretta. Era un bene che Archie fosse beatamente all’oscuro di quello che era accaduto nella stanza di Candy alle prime ore del mattino. Al contrario, la loro piccola discussione non si sarebbe conclusa altrettanto bene.

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Quel giorno il brunch fu alquanto informale. Solo Albert, i Cornwell e la coppia di fidanzati sedevano a tavola senza la presenza di altri parenti, inclusa la Zia Elroy, che si era fatta servire la colazione nelle sue stanze alla solita ora. La tensione tra Archie e Terence sembrava essersi allentata un po’ dopo la loro conversazione e Candy si vantò di quella piccola vittoria. Era un peccato, però, che non potesse godersela appieno, perché c’erano altre preoccupazioni che affollavano la sua mente.

Temeva, infatti, che l’overdose di felicità che aveva vissuto la sera prima potesse diventare troppo palese agli occhi degli altri. Un solo sguardo in direzione di Terence era bastato a scombussolarla, riportandole alla mente con la sua sola presenza i ricordi di quello che era accaduto tra di loro. A peggiorar le cose, quella mattina sembrava che anche la cosa più innocente le richiamasse un ricordo legato alla loro intimità.

Mentre spalmava il burro sul pane tostato e Terence era impegnato a chiacchierare con Albert, non poté fare a meno di pensare a come quell’uomo apparentemente distaccato e disinvolto si fosse trasfigurato davanti ai suoi occhi.

"Toccami!" l’aveva implorata, prendendole la mano e portandosela al volto. Lentamente, lei gli aveva accarezzato la mascella volitiva ed il possente collo, diventando a poco a poco più audace, finché non aveva più avuto bisogno di alcuna guida. A quel punto lui aveva chiuso gli occhi, lasciando che lei assistesse alla sua totale resa ai sentimenti che avevano soggiogato il suo volere così a lungo.

Aveva percepito con chiarezza il suo respiro diventare sempre più affannoso, mentre la pelle delle sue spalle e delle sue braccia nude fremeva al suo tocco, accendendosi di passione. Allo stesso modo, Candy si era stupita dell’effetto che la pelle di lui aveva sul palmo della sua mano. Era come se da essa irradiasse una forza che la rendeva più audace e, tuttavia, ebbe come la sensazione di cadere, con il suo intero essere che si abbandonava sempre più.

"Mi passeresti il burro?" ripeté Annie per la terza volta, facendo finalmente sobbalzare Candy.

"Oh sì, certo! Ecco", rispose lei, un po’ imbarazzata per la sua distrazione.

Candy si domandò come avrebbe fatto a mantenere una parvenza di normalità. Terence le lanciò uno sguardo d’intesa dall’altro capo del tavolo, ma il risultato fu solo un altro flashblack che la turbò persino di più.

"È così che sarebbero dovute andare le cose tra me e te. Questo era quello che avevo sempre immaginato per noi", le aveva sussurrato all’orecchio un attimo prima di consumare la loro unione.

Incapace di trattenere oltre il suo rossore, la giovane presentò le proprie scuse e si recò in bagno per sciacquarsi il viso.
Fortunatamente, nessuno dei presenti, ad eccezione di Terence, aveva notato qualcosa di strano.

Una volta alla toilette, persino sotto l’effetto dell’acqua fredda, il rossore di Candy persisteva. Al contrario, nella temporanea privacy della stanza da bagno, immagini ancora più vivide dell’apice di quel loro primo incontro le affollarono la mente.

Si rivide mentre si aggrappava disperatamente alle lenzuola, ansimando sempre più freneticamente. Essere posseduta da lui, con una tale inconfondibile forza che si riversava dentro di lei, era allo stesso tempo selvaggiamente primordiale e profondamente spirituale. D’istinto, le sue gambe gli cinsero la vita, stringendolo in una forte presa. Lui aveva accolto il suo gesto con un gemito di piacere.

In quel momento, intrappolato tra le sue gambe e le sue braccia, aveva iniziato a chiamarla, con appellativi di una dolcezza tale che lei non avrebbe mai creduto possibile, finché le sue parole non avevano lasciato spazio solo a gemiti che si fondevano con i suoi.

Candy appoggiò la fronte sulla fredda superficie del marmo, eccitata da quel ricordo, con le mani tremanti come se stesse rivivendo l’acme del piacere. Le ci vollero più di dieci minuti per ricomporsi prima di rientrare nella sala della colazione.

Al suo ritorno, fu stupita nel vedere Terence così sereno. Ma del resto, sapeva bene che lui era il re delle maschere. Di fatto, se avesse potuto leggergli nel pensiero nel momento in cui era rientrata nella stanza, avrebbe avuto bisogno di un altro time-out in bagno. Nella fattispecie, mentre percorreva la sala e prendeva posto davanti a lui, la figura minuta di Candy gli aveva ricordato i deliziosi momenti che avevano condiviso subito dopo aver fatto l’amore.
Era talmente leggera che il suo peso sopra di lui era quasi impercettibile. Tuttavia, la sensazione di ogni sua curva premuta contro il suo corpo era un piacere che era felice di assaporare. Ricordò chiaramente di aver chiuso gli occhi, mentre il loro respiro ed il battito del loro cuore si normalizzavano, affondando le dita nei suoi corti riccioli.

"Ti amo", le aveva ripetuto, dimentico di averlo detto molte volte all’apice della loro unione.
"Anch’io ti amo, Terry; più di chiunque altro", gli aveva risposto lei, ricoprendogli il petto di baci.

Lui non aveva detto nulla, ma le implicazioni delle sue parole gli avevano fatto scendere una lacrima. Era esattamente quello che aveva sempre desiderato, la confessione di essere il fulcro ed il culmine dei suoi affetti. Il suo cuore non si sarebbe accontentato di meno. Aveva tirato un profondo sospiro ed aveva voltato il capo, sentendo che il sonno prendeva il sopravvento sulla sua mente ed il suo corpo.

Tra tutte le cose che aveva desiderato fare con lei, dormire insieme ancora una volta era una delle prime. Non esisteva nulla di altrettanto intimo e unico. L’aveva fatto solo con lei ed era certo che non l’avrebbe mai fatto con nessun’altra. Eppure, quella sera non aveva chiuso occhio.

"Allora, dove andrete in luna di miele?" chiese timidamente Annie, interrompendo involontariamente i piacevoli pensieri di Terence.

"Temo che dovremo rimandarla a un altro momento", aveva risposto lui con la sua solita imperturbabilità, essendo un maestro nel controllare le proprie reazioni davanti agli altri.

"Oh davvero? Che peccato! Per la nostra luna di miele, Annie ed io siamo stati ai Caraibi. È stata un’esperienza fantastica", si intromise Archibald con tono pieno di condiscendenza, facendo irritare Terence.

"Beh, a dire il vero io volevo andare in Italia, ma la guerra si era conclusa da appena un anno e ci avevano consigliato di scegliere un’altra destinazione. L’Europa era ancora in subbuglio all’epoca”, spiegò Annie, facendo del proprio meglio per fare ammenda per il commento fuori luogo di suo marito.

"Posso assicurarti che è stata una decisione saggia”, rispose Terence senza scomporsi, "Sono stato in tournée in Inghilterra nel 1919 ed ho passato qualche giorno a Parigi. Sebbene la città fosse inviolata, attraversando il paese era evidente il grado di devastazione, di certo non l’ideale per chi viaggia, figuriamoci per due sposini in luna di miele. Mentre adesso mi piacerebbe portarci Candy per una visita approfondita, ma temo di aver esaurito i miei giorni di ferie, senza contare che ho persino chiesto un’altra settimana per via del matrimonio. Non appena rientreremo a New York, dovremo iniziare a preparare un nuovo spettacolo".

"Mi dispiace", commentò educatamente Annie.

"Non preoccuparti, Annie", intervenne Candy con un sorriso smagliante, "L’ultima cosa che ho voglia di fare in questo momento è viaggiare. Ne ho avuto abbastanza di treni ed alberghi lo scorso novembre e Terence, per quanto sia desideroso di offrirmi il meglio, è stanco ed ha voglia di rientrare. Manca da casa da oltre due mesi".

Terence, seduto di fronte a Candy, non poteva stringerle la mano, ma il cambiamento di colore nei suoi iridescenti occhi, quasi impercettibile, le fece capire che aveva apprezzato molto la sua premura.

"Invece, io", si intromise Albert, "non mi stanco mai di viaggiare. È un peccato che possa fare solo viaggi di lavoro. George mi dice sempre che quando sono stato in Africa ed in Italia ho sfruttato tutte le vacanze che una persona normale può fare in una vita. Non lo trovate ingiusto?"

A quest’ultimo commento, tutti i presenti scoppiarono in una fragorosa risata.

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Dopo il brunch, Albert e Terence ebbero un colloquio privato riguardo all’incidente con Neil Legan. Albert era visibilmente dispiaciuto dell’imperdonabile condotta di suo nipote, ma Terence, che era di ottimo umore, ritenne che per il momento la perdita di un dente fosse una punizione sufficiente per Neil. Tuttavia, Albert pensò che fosse il caso di fare una bella chiacchierata con suo padre.

Mentre gli spiegava quali fossero le sue intenzioni, Terence dovette sforzarsi non poco per concentrarsi su quanto gli stava dicendo Albert. Tutto quello a cui riusciva a pensare in quel momento era Candy.

Davanti alla vigorosa verità della comunione fisica e spirituale che aveva condiviso con lei, tutto il resto sembrava irrilevante. Terence pensò che avrebbe potuto imparare ad apprezzare i loro litigi se avessero sempre fatto pace in modo così piacevole.
Non avrebbe mai pensato di dover essere grato a Legan per qualcosa, figuriamoci per quel delizioso anticipo delle sue promesse nuziali. A dire il vero, con il senno di poi, quello che era accaduto tra i due uomini, gli sembrava quasi ridicolo ormai.

Gli venne in mente il momento in cui lui e Candy erano l’uno nelle braccia dell’altra, dopo aver fatto l’amore. Di punto in bianco, lui era scoppiato a ridere.

"Che cosa c’è di così divertente, Terence?" gli aveva chiesto lei, incuriosita da quella risata.
"Stavo. . . stavo pensando che hai messo al tappeto Legan con una semplice spinta. Ed eri solo una ragazzina minuta!. . . è davvero uno smidollato" aveva risposto lui, continuando a ridere.
"Non l’ho trovato così divertente quando è successo", ammise lei, felice del buonumore di Terence, "ma in effetti, ora che ci penso, è stata una scena alquanto buffa. Tra l’altro l’ho graffiato per bene. Ha ancora una piccola cicatrice sulla guancia sinistra".
"Davvero?" le chiese lui, ridendo sempre più forte, "Oh Signore! Ti confesso che questa sera ho aggiunto un’altra decorazione alla sua faccia".
"Che cosa hai fatto?"
"Credo . . . credo"
, cercò di dire, ridendo a crepapelle e incontrando non poche difficoltà a finire la frase, "credo che abbia perso un dente, quando l’ho preso a pugni".
"Stai scherzando?"
"Assolutamente no! C’è un motivo se la mia mano è così gonfia", le aveva detto mostrandole le nocche livide.
"Oh, la tua mano! Dove ho la testa?" aveva esclamato a quel punto lei, alzandosi di scatto, “Vado a prendere qualcosa per attenuare il gonfiore".
Era talmente presa dalla preoccupazione per lui che non aveva notato i suoi occhi infiammati di passione, mentre la osservava in piedi nella sua totale nudità.
"Ho sempre saputo che sarebbe diventata bellissima. Diamine! Ho occhio!" si era detto, compiaciuto.

Mentre parlavano, Albert aveva riconosciuto più di una volta negli occhi di Terence, lo sguardo assente di un uomo pazzamente innamorato. Persino dietro la maschera della sua solita compostezza, la serenità in ogni suo gesto lasciava trasparire che il giovane si era riconciliato con la sua fidanzata. Albert aveva altresì notato gli sguardi esplicitamente affettuosi che Candy gli aveva lanciato durante il brunch, pertanto aveva avuto la certezza che avessero fatto pace. Albert pensò che non fosse il caso di chiedere quando avesse avuto luogo la riconciliazione e cosa si fossero detti.

Essendo un uomo di mondo, Albert aveva capito che i giorni in cui Candy correva da lui per confidarsi erano giunti al termine. D’ora in poi, la sua piccola piagnucolona avrebbe avuto qualcun altro a cui aggrapparsi nei momenti difficili. Albert sapeva che forse avrebbe cercato il suo consiglio ed il suo sostegno in un momento di grave crisi, ma solo nella misura in cui Terence non fosse stato lì per lei. Ed a giudicare dalla natura possessiva del giovane attore, questi aveva tutte le intenzioni di non lasciarla neppure un attimo.

Non essendo un tipo geloso, Albert la prese con filosofia e subito dopo aver informato Terence di quello che intendeva dire al Sig. Legan, lasciò che il suo amico tornasse dalla sua fidanzata. Dopotutto, quella mattina Terence non sembrava essere al meglio per una conversazione tra uomini.

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Per gli Andrew, il primo dell’anno era abitualmente un giorno da passare in casa con la famiglia. Tuttavia, specialmente nel tardo pomeriggio, erano soliti ricevere delle visite, soprattutto da parte di persone a loro vicine. All’ora del thè, dunque, erano arrivati i Brighton per far visita agli Andrew ed ai Cornwell. La sera precedente il Sig. e la Sig.ra Brighton avevano organizzato un ricevimento di capodanno presso la loro villa, ma una volta terminate le incombenze sociali, avevano espresso il desiderio di passare il primo pomeriggio dell’anno con la loro figlia e la sua famiglia. Tra gli ospiti c’era anche una giovane nipote giunta da Detroit per passare la stagione invernale con loro.

Quando il maggiordomo aveva annunciato l’arrivo degli ospiti, Candy ed Annie erano nella sala da thè della zia Elroy a giocare a carte, mentre Stair – seduto di fronte a loro – colorava il suo libro. Mentre ricamava, la zia Elroy non perdeva d’occhio il bambino. I gentiluomini, invece, erano impegnati a giocare a biliardo in un’altra ala della casa.

Non appena gli ospiti fecero il loro ingresso nella sala in stile coloniale, ebbe inizio uno scambio di saluti e di abbracci per festeggiare l’anno nuovo ed ai domestici fu ordinato di servire thè e pasticcini. Annie chiese ad una delle cameriere di informare suo marito che i suoi suoceri erano venuti a far loro visita. Nel frattempo, la Signorina Sally Brighton, una vivace brunetta di ventiquattro anni, fu propriamente presentata ai presenti e accolta con cordialità dalla Zia Elroy che la definì “una giovane incantevole".

Quando la cameriera rientrò per servire il thè, le signore avevano già preso posto vicino alla Zia Elroy. Seduta accanto a Candy, la cugina di Annie si guardava intorno con interesse. Era rimasta molto colpita dalla grandiosità della residenza degli Andrew e voleva prender nota di ogni singolo dettaglio della sala che li ospitava. Dal bovindo a tre vetri ai richiami giapponesi, fino ad arrivare ai mobili in stile Regina Anna, ogni singolo dettaglio ricordava una fortuna ormai consolidata.

Sally si soffermò anche sulla sorridente Signorina Andrew, mentre quest’ultima era impegnata in conversazione. I suoi riccioli dorati ed i luminosi occhi verdi erano senz’altro le caratteristiche del suo aspetto che colpivano maggiormente. Malgrado ciò, il suo portamento le fece supporre che ci fosse qualcosa di più in lei, oltre ad un bel viso. La giovane aveva saputo che anche la Signorina Andrew era stata adottata, proprio come sua cugina Annie. Dunque, aveva creduto che fosse anche lei una donna dal carattere dolce e mite, esattamente come Annie. Con sua grande sorpresa, quella giovane dalla personalità vivace e dagli occhi scintillanti era, invece, esattamente il contrario.

Sally stava ancora cercando di decifrare il carattere della sua interlocutrice, quando Annie informò i presenti che la Signorina Andrew stava per sposarsi e che il matrimonio avrebbe avuto luogo dopo appena una settimana. Mentre i Brighton si congratulavano con Candice, gli uomini fecero il loro ingresso nella sala dai toni rosa e lilla per accogliere a loro volta gli ospiti. Sally era stata propriamente istruita dalla madre di Annie affinché prestasse particolare attenzione al Sig. Andrew, trattandosi di uno scapolo molto ambito. Malgrado ciò, quando la figura imponente di Terence Graham entrò nella sala, fu impossibile per Sally notare qualsiasi altro uomo presente – o essere umano.

Alla reazione di Sally, Candy sorrise tra sé e sé. La bionda non poteva biasimare la giovane per essere rimasta ipnotizzata dalla bellezza di Terence. Candy sapeva bene che quasi tutte avevano quella stessa reazione, ma pensò che la cosa non le importasse affatto, specialmente adesso.

La giovane fu lieta di essere ignorata da Sally per il prosieguo della visita. Mentre gli altri chiacchieravano, preferì per una volta restare in silenzio e guardarsi intorno. Non essendo impegnata in conversazione, la sua mente ritornò subito alla sera prima.

Si rivide mentre percorreva i lunghi corridoi bui della villa, in cerca di un po’ di ghiaccio per la mano di Terence. Passo dopo passo, cercava di assimilare quello che era appena accaduto tra di loro. Non riusciva a credere alla sua audacia! In tutta onestà, doveva ammettere che aveva desiderato che le cose andassero così sin dalla prima volta che avevano dormito insieme allo chalet…forse anche prima…negli ultimi dieci anni, infatti, malgrado fosse convinta che lui appartenesse ad un’altra, aveva sognato – persino ad occhi aperti – di essere sua.

Ovviamente, per accuratezza e intensità, il frutto della sua immaginazione non era paragonabile alla realtà, ma il desiderio di sentire il suo tocco su di sé era assolutamente lo stesso. Oh! Essere posseduta da lui con tale passione era ben più di quanto si sarebbe mai aspettata!

Avendo notato che le mani le tremavano leggermente al ricordo delle appassionate carezze di lui su ogni centimetro del suo corpo, cercò di congiungerle. Non soltanto non si vergognava affatto di quello che era successo, ma sperava sinceramente che accadesse di nuovo, nonostante il lieve malessere del momento. Mentre fingeva di seguire la conversazione, le venne in mente quello che Terence le aveva raccontato riguardo al suo rapporto con Susanna.
Malgrado la sua generosità, Candy si era resa conto che per tutti quegli anni era stata terribilmente gelosa di Susanna. Ora, improvvisamente, era divenuta l’unica indiscutibile amante di Terence. Nella notte appena trascorsa non era stata una fidanzata impostagli dal senso del dovere, né un rapporto occasionale e irrilevante. Oh no! Terence aveva riversato tutta la sua anima nel loro atto d’amore e questo l’aveva reso il suo uomo. Stavano insieme soltanto da due settimane e non erano riusciti a mantenere casta la loro relazione. Per contro, lui aveva vissuto con Susanna per quasi quattro anni. . . e non era successo nulla. Il sapore della vittoria su Susanna e su tutte le altre donne che avrebbero desiderato essere al suo posto – inclusa Sally – era indescrivibile! Lui apparteneva a lei!

Persino davanti a tutti i presenti, Candy non poté fare a meno di lasciare che un sorriso le illuminasse il volto.

Terence, da parte sua, era rimasto piuttosto deluso quando si era accorto che il posto accanto alla sua fidanzata era stato occupato da una dama a lui sconosciuta. A peggiorar le cose, quella fastidiosa brunetta non la smetteva di fissarlo. Non potendo far nulla per cambiare le cose, decise di prendere posto di fronte alle signore, rifugiandosi nei suoi piacevoli ricordi.

Tra sé e sé, sorrise ripensando all’occhiataccia che gli aveva lanciato Candy quando aveva scoperto che aveva iniziato a leggere il suo vecchio diario mentre lei era via alla ricerca del ghiaccio. Lo aveva incautamente lasciato sul tavolino da toilette e lui non aveva resistito alla tentazione di leggerlo. Al suo ritorno, quando si era accorta di cosa avesse tra le mani, il suo volto aveva cambiato colore, assumendo tutte le tonalità del rosso.

"Quello è il mio diario!" aveva esclamato tra l’irritazione e l’imbarazzo, correndo verso il letto con l’intenzione di riprenderlo dalle invadenti mani del suo fidanzato. "Non dovresti ficcare il naso nella mia vita privata!" gli aveva detto, mentre tutti i suoi tentativi di recupero andavano a vuoto, dato che lui era troppo veloce e troppo forte per lei.

"La tua vita privata?" le aveva chiesto lui, profondamente divertito, "Tesoro mio, stanotte mi hai accolto a braccia aperte nella tua vita privata! Devo ricordarti quello che è appena accaduto?"

"Questo non ti dà il diritto di leggere il mio diario. Non sono affari tuoi!" aveva insistito lei, arrossendo ancor più alle sue allusioni.

"Beh, per quello che ho letto finora, questo diario è assolutamente affar mio, perché sembra proprio che sia io il protagonista della storia”, aveva sorriso egoisticamente, sollevando in alto il suo diario in modo che lei non potesse arrivarci.

"Avevo quasi dimenticato che sei un pallone gonfiato!"

"Sì, in effetti ho notato che da qualche parte mi descrivi in questi termini, oltre a mascalzone e delinquente”.

"Perché è quello che sei. Dammi il mio diario!"

"Ma hai anche scritto che ho un cuore generoso…e un sorriso affascinante…e… "
"Dovevo essere pazza per scrivere certe cose!"
aveva ribattuto lei, rinunciando per un po’ a recuperare il suo diario, incrociando le braccia al petto e mettendo su il broncio, delusa.

"Pazza di me?" le aveva chiesto lui avvicinandosi, finché non furono entrambi in ginocchio sul letto, l’uno di fronte all’altra.
Con uno scatto felino, Terence si era avvicinato ancora un po’. Sebbene lei fosse ancora arrabbiata perché lui aveva osato leggere il suo diario senza il suo permesso, non riuscì a resistere al suo approccio.
"Non avrei mai immaginato che potessi paragonarmi ad una tigre, piccola" le aveva detto all’orecchio con voce roca.

Candy aveva sgranato gli occhi, essendosi resa conto di fin dove fosse arrivato a leggere.

"DAMMI IL MIO DIARIO” aveva esclamato con forza, questa volta facendo uno scatto a sua volta, riuscendo però solo a sfiorargli la mano destra.
"Ahia! La mia mano!" aveva esclamato lui, contorcendosi dal dolore con una smorfia – o almeno così sembrava.

Quando si era accorta di avergli fatto male senza volerlo, Candy si era subito dimenticata del diario e si era preoccupata solo della sua mano livida.
"Oh! Mi dispiace, Terence. Sono talmente sbadata! Perdonami. . . fammi vedere la mano!" gli aveva chiesto.
Lui l’aveva prontamente accontentata, lasciando che si prendesse cura della sua mano finché gli faceva comodo.
"Ecco, questo è un ottimo trucco per rabbonire la mia tigre", aveva pensato, ringraziando le sue abilità istrioniche, mentre si sdraiava sul cuscino assaporando il piacere di essere viziato da lei.

"Immagino che il vostro matrimonio sarà su tutti i giornali la prossima settimana, Sig. Graham. Lei e la Signorina Andrew vi sposerete a Chicago?"
Terence indirizzò lentamente lo sguardo verso Sally Brighton, che gli aveva appena rivolto la parola. Il fatto che stesse tentando di avviare una conversazione con lui, con Candy seduta proprio accanto, era del tutto assurdo. Un’altra dama avrebbe piuttosto chiesto alla sposa, ma era ovvio che la Signorina Brighton stesse cercando di attirare la sua attenzione.
"Si sbaglia, signorina, Candice ed io non siamo interessati ad avere i giornalisti od altre presenze invadenti al nostro matrimonio. Sarà una cerimonia piuttosto intima. Parteciperanno solo i nostri più cari amici e la famiglia", le aveva frettolosamente risposto, usando il suo tono più distaccato.
"Ma di certo non vorrà deludere le sue ammiratrici tenendo segreto un evento così importante!" insistette la giovane e sebbene l’espressione di Terence non tradisse alcuna emozione, Candy capì che era seccato dall’impertinenza della Signorina Brighton.
"Come ogni uomo innamorato, Signorina Brighton, sono il primo a voler divulgare la notizia che Candice mi ha accolto come compagno di vita. La comunicazione alla stampa sarà fatta a tempo debito. Ma mi rifiuto categoricamente di avere sconosciuti al mio matrimonio. Le mie ammiratrici sanno che sono sempre stato un uomo schivo. Ormai dovrebbero essere abituate alla mia misantropia", concluse, e nel farlo, si alzò facendo un breve inchino alle signore, raggiungendo gli uomini che si stavano intrattenendo con il Sig. Brighton in un altro angolo della sala.

Per il resto della visita, la Signorina Brighton non proferì parola.

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La giornata era finalmente giunta al termine. Terence si era congedato piuttosto presto dopo cena, ma Candy era rimasta con Stair ancora un po’ ed aveva accompagnato Annie a metterlo a letto. Dopo che si fu addormentato, Annie chiese alla sua amica se poteva parlarle in privato nella sua camera da letto. Candy pensò che Annie volesse affrontare l’argomento del mutato atteggiamento di Archie nei confronti di Terence, successivo al loro colloquio del mattino. Tuttavia, quando entrarono nella stanza dei Cornwell, Annie iniziò a blaterare cose senza senso, mostrando evidenti segni di nervosismo.

Un po’ allarmata dall’inquietudine di sua sorella, Candy le prese le mani per rassicurarla, come era solita fare quando erano bambine.

"Annie, c’è qualcosa che non va?" le chiese Candy, guardandola dritto negli occhi grigio-azzurri.

"Qualcosa che non va?" aveva ripetuto Annie, confusa.

"Magari tra te ed Archie? Problemi con Alistair?" le aveva suggerito Candy.

"Oh, no! Assolutamente no, Candy. . . è solo. . . che", Annie si rese conto che non poteva temporeggiare oltre, "ho. . . ho ricevuto una chiamata da Miss Pony questa mattina. . . mi ha chiesto un favore".

"Davvero?" le domandò Candy, pensando che fosse strano che Miss Pony chiedesse aiuto ad Annie, dato che era sempre lei a farsi carico di qualsivoglia necessità riguardante la Casa di Pony. "Che cosa ti ha chiesto?"

"Miss Pony voleva. . . voleva che ti parlassi", le spiegò Annie, lasciando le mani di Candy, sentendo che le sue iniziavano a sudare.

"Riguardo a cosa?"

"Riguardo al matrimonio", le rispose Annie, disorientando Candy ancor di più, dato che non capiva in che misura i preparativi di una cerimonia così semplice potessero costituire un problema.

"Ti riferisci alla cerimonia? Credevo fosse tutto a posto! Il prete ha confermato la sua disponibilità, Miss Pony si è offerta di cucinare e. . .

"No, la cerimonia non c’entra, mi riferisco alla. . . prima notte di nozze", riuscì finalmente a dire Annie, distogliendo gli occhi da quelli della sua amica e arrossendo violentemente, in perfetta sintonia con il colore del maglione di Candy.

Finalmente Candy si rese conto di cosa stesse accadendo. Evidentemente, Miss Pony, avendo sempre avuto a cuore il benessere di Candy, aveva chiesto ad Annie – in quanto donna sposata – di farle ‘il discorsetto’, prima che quest’ultima fosse chiamata ad espletare i propri obblighi coniugali. Candy non riuscì a trattenere un sorriso. Era grata a Miss Pony e ad Annie per la loro premura, ma chiaramente la povera Annie non era la persona più adatta a svolgere un tale compito. . . non che Candy avesse realmente bisogno di essere istruita sull’argomento…specialmente adesso.

"Capisco", disse finalmente Candy, aggrottando la fronte e mostrando le sue fossette, "Non c’è bisogno di imbarazzarsi oltre al riguardo", continuò, cercando di trovare un modo per affrontare la questione senza svelare più del dovuto.

"Certo che sì!" insistette Annie, cercando di farsi coraggio. "Mia madre l’ha fatto con me quando ne ho avuto bisogno e…e sono stata molto grata dei suoi consigli. Non. . . non so cosa avrei fatto. . . se. . . se lei non mi avesse spiegato certe cose. . . Insomma, io. . . Io non avevo mai. . . mai immaginato cosa implicasse il dovere coniugale. . . intendo dire. . ."

"So cosa intendi dire", disse Candy, provando pietà per la povera balbettante Annie.

"No, Candy, non puoi immaginare cosa significhi. . . stare con un uomo!" rispose Annie con forza. "Una signora non dovrebbe saperlo, quantomeno finché. . . finché non sia propriamente istruita da una donna sposata…come me".

"Annie, non siamo più nel diciannovesimo secolo!" disse Candy con una risatina, "La conoscenza non è un peccato. Quando ti ho detto che non c’era bisogno che mi parlassi dei miei obblighi coniugali, parlavo seriamente. Sono pienamente consapevole di quello che accade tra un uomo ed una donna quando fanno l’amore".

A quelle parole, Annie sgranò i suoi grandi occhi blu.

"Davvero?"

"Beh, ovviamente sì, in teoria", aggiunse Candy, mordendosi la lingua per l’innocente bugia che aveva implicitamente detto. Per quanto si fidasse di Annie, conosceva bene i suoi limiti. Candy era sicura che le avrebbe causato un dolore se le avesse confessato che recentemente aveva messo da parte la teoria ed era passata alla pratica. A parte Terence, non avrebbe confessato ad anima viva quello che era successo la notte scorsa, neppure ad Albert.

"Com’è possibile?" le aveva chiesto Annie, stupita.

"Annie, sono un’infermiera. I dettagli sulla riproduzione umana si insegnano alla scuola per infermiere. Tra l’altro, sono molti anni che assisto in sala parto. Stai pur certa che so bene come si fanno i bambini. Non ero accanto a te anche quando è nato Stair?"

"Beh, sì. . . ma pensavo che non sapessi esattamente come accade".

Candy osservò sua sorella e tirò un profondo sospiro. Era sicura che Archie fosse un marito affettuoso e tenero, quindi pensò che il disagio di Annie nell’affrontare l’argomento fosse semplicemente dovuto alla sua timidezza ed alla rigida educazione. Di fatto, dopo il suo ritorno dalla luna di miele, Candy aveva cercato di farsi raccontare le sue impressioni sulla vita matrimoniale, ma Annie aveva sempre evitato l’argomento, arrossendo e parlando d’altro. Quindi, Candy trovò commovente che la sua amica volesse affrontare un argomento per lei così imbarazzante, soltanto per amor suo.

"Non preoccuparti per me, Annie", ripeté Candy, "Credo di saperne abbastanza per affrontare quello che mi aspetta. Tra l’altro, sebbene Terence possa sembrare un uomo piuttosto austero ed a volte persino arcigno, posso assicurarti che sarà per me tutto quello che una donna possa desiderare in un amante".

Annie fu sorpresa dalla tranquillità di Candy rispetto ad una questione talmente delicata, per non parlare della sorprendente fiducia che nutriva nei confronti del suo futuro marito. Eppure, aveva sempre saputo che Candy era una ragazza impavida e sicura di sé. Pertanto, Annie si rilassò e decise di cambiare argomento, concentrandosi sulla questione ben più inoffensiva e neutrale del vestito da sposa di Candy, che non avevano ancora avuto tempo di ordinare.

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Candy era distrutta! Comportarsi con la solita allegria e nonchalance davanti alla famiglia ed agli ospiti era stata un’impresa titanica. La sensazione di stordimento e le farfalle nello stomaco non l’avevano abbandonata per un secondo. In certi momenti, aveva creduto che tutti avrebbero finito per accorgersi di quello che stava cercando di celare. Tra l’altro, aver avuto intorno Terence per la maggior parte del tempo non le era stato affatto d’aiuto. Gli intensi sguardi che le aveva lanciato non avevano fatto che alimentare ulteriormente il suo desiderio di lui.

Il momento peggiore della giornata era arrivato dopo l’ora del thè. Una sensazione familiare di disagio e l’impossibilità di parlare con il suo fidanzato in privato l’avevano snervata ancora di più, specialmente una volta terminata la cena. Infine, gli inopportuni tentativi da parte di Annie di introdurla ai segreti del matrimonio erano stati la ciliegina sulla torta. Mentre si dirigeva verso la sua camera, si domandò se Terence stesse già dormendo. Non avrebbe potuto biasimarlo, se così fosse stato. Sapeva bene che la notte precedente non aveva chiuso occhio. Ma malgrado il suo desidero di stare con lui, considerate le sue attuali condizioni, era decisamente meglio che Terence riposasse per conto proprio.

Entrò nella stanza, ma prima che riuscisse ad accendere le luci, si sentì afferrare da due forti braccia, finché non si ritrovò con la schiena schiacciata contro l’ampio petto di Terence.

"Dio mio, stavo impazzendo qui! Pensavo che non saresti mai arrivata, tesoro!" le disse lui con voce roca, cingendole la vita in un abbraccio, esattamente come aveva fatto qualche giorno prima alla Casa di Pony. Candy ricordava perfettamente quella mattina quando si era trovata intrappolata tra il lavandino ed il corpo di lui.

Stavolta, però, lui le sollevò il mento per farla voltare, in modo che potesse guardarlo con la coda dell’occhio.

"Terence. . . non mi aspettavo che tu. . ." esordì lei.

"Venissi da te stanotte? Ho vissuto come un monaco abbastanza a lungo, amore mio. Non si addice alla mia natura", le rispose, un attimo prima di farle reclinare il volto quel tanto necessario a consentirgli di prendere possesso delle sue labbra.

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Candy era talmente sorpresa dall’inattesa presenza di Terence nella sua stanza, che non poté far molto se non rispondere al suo bacio. A giudicare dall’intraprendenza delle sue parole e dalla bramosia dei suoi baci, non doveva essere poi così stanco come aveva creduto. Inoltre, era ovvio che desse per scontato che dopo la loro prima notte insieme, il suo letto – ed il suo corpo – gli sarebbero stati sempre concessi. Sfortunatamente, Candy sapeva che avrebbe dovuto deluderlo in tal senso….ma magari non ancora. I suoi baci sapevano di paradiso e non riusciva a trovare il coraggio di farlo smettere.

Terence affondò la lingua nella bocca di lei, mentre con la mano sinistra la accarezzava lentamente dalla vita in su. L’audacia dei suoi gesti era un chiaro segno del fatto che non intendesse perdere tempo. Per quanto i suoi baci le stessero facendo girare la testa, Candy capì che era giunto il momento di fermarlo prima che fosse troppo tardi.

"Terence, per favore", lo implorò tra un bacio e l’altro, "Dobbiamo parlare".

"Ti prego, tesoro. Facciamo prima l’amore, possiamo parlare dopo, d’accordo?" le chiese, mentre entrambe le sue mani si avventuravano sotto il suo maglione.

"Non posso aspettare, Terence. . . non possiamo fare l’amore adesso", gli disse e, alle sue parole, lui si raggelò immediatamente.

"Cosa. . . cosa vuoi dire? Ti sei pentita. . . ?"

Candy accennò un sorriso. Era tipico del suo Terence interpretare le cose nel peggior modo possible. Approfittando della sua confusione, si voltò a guardarlo.

"No, Terence. Non mi sono pentita di nulla, ma c’è un motivo per cui non possiamo fare l’amore stanotte".

"Che sarebbe?" le chiese lui, mentre la sua esasperazione diventava sempre più evidente.

Candy alzò gli occhi al cielo, cercando di trovare le parole più adatte per spiegargli quale fosse il problema. Dopodiché, dopo averci riflettuto per qualche secondo, giunse alla conclusione che l’unica soluzione possibile fosse l’approccio diretto, indipendentemente da quanto potesse essere imbarazzante.

"Qualche ora fa è iniziato il mio ciclo, Terence. Mi dispiace", gli disse il più in fretta possibile, abbassando lo sguardo subito dopo.

Fu una doccia fredda di realtà per il giovane. Era consapevole di quella particolare condizione delle donne. Tuttavia, non avendo mai avuto una relazione di lunga durata, non aveva mai preso in considerazione una tale eventualità. La sua espressione di delusione mista a sconcerto era quasi commovente.

"Capisco", mormorò, quando finalmente ritrovò facoltà di parola, "Mi dispiace, non avevo considerato che potessi essere indisposta".

"Non sono propriamente indisposta, Terence. Non sono semplicemente nelle condizioni per farlo", rispose lei, allungando una mano per allontanare una ciocca ribelle dalla sua fronte, "Quando abbiamo fissato la data per il 7, l’ho fatto di proposito…intendo dire che…avevo considerato che in questo modo non avremmo dovuto preoccuparci di questo per circa un mese dopo il matrimonio", cercò di spiegargli, mentre arrossiva ancor più, "ma non avevo calcolato che noi…che noi avremmo…"

"Anticipato le nostre promesse?" la aiutò a terminare la frase, sorpreso dal fatto che lei avesse ponderato la questione, "Non ci avevo pensato neppure io, amore".

E nel dire ciò, l’attirò nuovamente in un abbraccio, stavolta decisamente più casto.

"Oggi mi sono reso conto di aver sempre avuto una convinzione errata", le disse mentre la cullava dolcemente tra le sue braccia.

"Davvero?"

"Sì. Avevo sempre creduto che una volta che avessimo fatto l’amore, questo ardente desiderio che sento per te sarebbe stato finalmente appagato, ma mi sbagliavo. Stare con te la scorsa notte lo ha soltanto reso ancora più intenso. Mi sento ardere dal desiderio come mai prima d’ora. Mantenere una parvenza di normalità per tutto il giorno è stato un vero inferno. Ora capisco il senso della luna di miele".

"È successo anche a me!" gli disse lei, affondando il viso sul suo petto.

Terence non riusciva a credere alle proprie orecchie. Aveva davvero ammesso di averlo desiderato? Era semplicemente in estasi.

"Se fossi stato meno impulsivo e avessi aspettato fino al matrimonio. . ."

Lei sollevò lo sguardo e gli sorrise, poggiandogli un dito sulle labbra.
"Non dirlo neanche. Non cambierei nulla rispetto a stanotte. Così come non cambierei nulla di quello che è successo tra me e te, ad eccezione della nostra insensata separazione".

Lui chiuse gli occhi, rispondendole con un bacio in cui aveva riversato tutto il suo cuore.

"Ti dispiacerebbe se restassi e dormissi qui con te? Intendo dire, solo dormire", le chiese al termine del bacio.

"Pensavo che non me l’avresti mai chiesto".

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view post Posted on 28/4/2013, 21:56     +5   +1   -1

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Capitolo 9
La sciarpa, il diario ed il carillon



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Candy era sdraiata su un fianco, appoggiata su un gomito con la mano a sorreggerle il viso. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla persona che dormiva accanto a lei. Le scorse mattine era stato sempre Terence a svegliarsi per primo. Pertanto, non aveva avuto l’opportunità di osservarlo nel sonno. Riusciva a vedere solo il suo profilo, mentre era sdraiato a pancia in sotto, dato che il suo volto era semi-nascosto dal cuscino verde menta. Sembrava profondamente addormentato perché la sua espressione era insolitamente rilassata, indifesa, pressoché serena e trasparente come quella di un bambino. La solita ciocca ribelle che spesso sfuggiva al suo controllo gli incorniciava la fronte, fornendole un’altra scusa per accarezzargli il volto.

Sebbene le sue spalle e la sua schiena fossero totalmente rilassate, Candy riusciva comunque a distinguerne la definizione dei muscoli. Si era scoperto nel sonno ed era mezzo nudo. Pensando che potesse avere freddo, cercò di coprirlo, ma nel toccargli la schiena, si rese conto che era ancora abbastanza caldo, pertanto decise di lasciar perdere.

Allungò la mano sinistra per accarezzargli dolcemente la schiena. Rifletté sulle nuove caratteristiche della sua personalità che stava scoprendo grazie alla recente intimità. Su una cosa non c’era alcun dubbio ormai: il contatto fisico era di capitale importanza per Terence. Le aveva promesso che si sarebbe limitato a dormirle accanto, in attesa che terminasse il suo ciclo, ma a conti fatti non era stato in grado di mantenere la promessa. Pur senza indugiare in un rapporto completo, l’aveva guidata in altri giochi e carezze che nelle ultime quattro notti avevano rappresentato una degna alternativa. Candy non aveva di che lamentarsi.

Pensò che i due giorni che mancavano al loro matrimonio sarebbero stati piuttosto stancanti per lui. Per cominciare, quella mattina, avrebbero dovuto prepararsi piuttosto presto per partire per La Porte e da lì raggiungere la Casa di Pony. Sfortunatamente, dato che sarebbero state disponibili solo due camere degli ospiti, Terence ed Albert avrebbero dovuto alloggiare nell’unico hotel disponibile in paese, mentre i Cornwell e la Sig.ra Baker sarebbero rimasti alla Casa di Pony.
Terence non si era dimostrato per niente contento della cosa, ma né la Sig.ra Baker né la Sig.ra Cornwell avevano consentito un cambio di programma. Le signore avevano necessità di stare alla Casa di Pony per curare tutti i dettagli della cerimonia, che sarebbe stata semplice, ma non per questo ordinaria, per citare le parole della Sig.ra Baker. Candy era stata subito d’accordo, se non altro per tenere Terence a debita distanza le due notti prima del matrimonio. Sapeva che se avesse alloggiato alla Casa di Pony, avrebbe insistito per venire nella sua stanza e passare la notte con lei. Per quando desiderasse stare con lui, era consapevole del fatto che la Casa di Pony non avrebbe consentito loro di godere della relativa libertà che offriva la villa degli Andrew, date le sue dimensioni e la notevole distanza della camera di Candy da quelle dei suoi familiari. Onestamente Candy sapeva che non avrebbe potuto evitare che una delle sue insegnanti si accorgesse di quello che stava accadendo. Non potendo contraddire sua madre né la sua futura moglie, quando erano d’accordo su una cosa, il giovane dovette acconsentire suo malgrado.
Candy lo sentì rabbrividire al suo tocco e finalmente gli coprì la schiena con una coperta. Poi, si sdraiò a pancia in sotto accanto a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla. Così accoccolata, continuò ad accarezzarlo sotto le coperte mentre dormiva. Assaporando quella vicinanza, ripensò a quanto era accaduto negli ultimi giorni.

La mattina del 3 gennaio, la Sig.ra Baker era arrivata a Chicago accompagnata dalla sua assistente personale. Terence e Candice erano andati a prenderla alla stazione, ma per mantenere il riserbo, era andata soltanto Candy ad aspettarla al binario, mentre Terence era rimasto in auto con l’autista. Sebbene il giovane attore si fosse fatto strada nel mondo dello spettacolo con le proprie forze, senza affidarsi alla fama ed alle conoscenze della madre, avevano entrambi mantenuto segreto il loro vero legame. Terence aveva spiegato a Candy di aver più di una volta suggerito a sua madre di convocare una conferenza stampa per rivelare la loro parentela, ma la Sig.ra Baker si era sempre rifiutata di farlo, senza spiegargliene il motivo. Terence era convinto che sua madre – come qualunque altra donna – avesse ancora una punta di vanità e preferisse non divulgare così facilmente la propria età rivelando a tutti di avere un figlio già adulto. Non aveva idea del fatto che la Sig.ra Baker avesse altre motivazioni, ben più altruiste.

Qualsiasi cosa avesse in mente Eleanor, aveva chiesto a suo figlio di essere il più cauto possibile. Dunque, quando il suo treno era finalmente giunto in stazione, trovò ad attenderla solo la minuta Candice White Andrew, che la salutava con la mano per darle il benvenuto. Dopo un attimo, una donna alta ed elegante fasciata in un soprabito nero ed un cappello a larga tesa Coco Chanel scese dal treno.

Le due donne restarono lì a guardarsi per un attimo, prendendosi del tempo per riconoscersi. Per Candy, la Sig.ra Baker era bella e affascinante come sempre, come se non fosse invecchiata di un giorno negli ultimi dieci anni. Al contrario, la Sig.ra Baker impiegò qualche secondo a riconoscere la ragazza che aveva conosciuto una volta in quell’elegante giovane donna che indossava un cappotto beige. I lunghi capelli biondi avevano lasciato il posto ad un caschetto ondulato incorniciato da una cloche. Eppure, i suoi dolci occhi verdi, le caratteristiche lentiggini e le fossette erano sempre lì. La Sig.ra Baker aveva finalmente fatto il primo passo ed aveva abbracciato la giovane con affetto.

"È passato tanto tempo da Rockstown, signora!" disse Candy, incapace di trattenere una lacrima mentre la abbracciava.

"Talmente tanto che ho pensato che non l’avrei più rivista, Signorina Andrew", rispose Eleanor, sollevando furtivamente la veletta nera per dare un bacio a Candy, riabbassandola subito dopo.

"Mi chiami Candy", rispose la bionda con un sorriso solare che Eleanor trovò estremamente affascinante.

"In tal caso anche tu devi chiamarmi Eleanor".

"Grazie, Eleanor! Ma ora dobbiamo andare, prima che possa succedere qualcosa di imprevedibile”, la avvertì Candy affrettandosi, mentre tendeva la mano all’accompagnatrice della Sig.ra Baker per presentarsi.

Terence si mosse nel sonno, distraendo Candy dai suoi ricordi. Si girò sulla schiena e mormorò qualcosa di incomprensibile. Con un braccio attirò Candy a sé e continuò a dormire. La giovane, accorgendosi che non era ancora sveglio, poggiò la testa sul suo petto e indugiò ancora un po’ nel ricordo dei recenti eventi.

Qualche giorno addietro, Terence aveva rivelato ad Albert l’identità di sua madre, chiedendogli aiuto per mantenere il riserbo. Pertanto, per ospitare la Sig.ra Baker nella villa degli Andrew senza intromissioni da parte della stampa era stato organizzato tutto con grande cautela. Nel corso dei due giorni che avrebbe passato con loro, solo alcuni dei domestici più fidati sarebbero stati in servizio e solo i familiari più stretti, ovvero Albert, George ed i Cornwell sarebbero stati presenti. La zia Elroy era partita il giorno prima per passare qualche settimana a Lakewood e riprendersi dai festeggiamenti. Albert aveva fatto in modo che non ci fossero altri visitatori, informando i suoi conoscenti che si sarebbe assentato da Chicago per almeno una settimana.

Per Candy, mettere a parte i Cornwell del motivo per cui si fossero rese necessarie tutte quelle precauzioni era stata un’esperienza memorabile. Lei era l’unica a sapere come stessero realmente le cose. Si era ben guardata dal rivelare agli altri la vera identità della madre di Terence, tenendo per sé anche l’ossessione adolescenziale che Archie aveva nutrito nei confronti della Sig.ra Baker. Pertanto, si era goduta la scena svoltasi davanti ai suoi occhi.

Quando Terence – che aveva sempre ignorato che Archibald fosse un ammiratore di sua madre sin da ragazzo – li aveva informati che la sua vera madre non era Lady Beatrix Grandchester, Duchessa di N****(1) come credevano i suoi vecchi compagni di scuola, era già stato uno choc per tutti. Poi, quando aveva rivelato di essere figlio di Eleanor Margaret Le Breton, meglio nota con il nome d’arte di Eleanor Baker, Archibald era rimasto letteralmente a bocca aperta.
Anche Annie ne fu colpita, ma in modo decisamente più naturale. Tuttavia, non riuscì a spiegarsi il perché suo marito fosse impallidito rimanendo sbalordito, come se avesse subito un vero e proprio colpo.

"Te lo sei inventato", aveva finalmente borbottato Archie.

"Inventato? Credi che sarei disposto ad ammettere di buon grado di essere un figlio illegittimo solo per prendermi gioco di te, Cornwell?" aveva chiesto Terence, sollevando il suo solito sopracciglio.

"Non puoi essere figlio della Sig.ra Baker. È troppo giovane e bella!" aveva insistito Archie, rifiutandosi di accettare la verità.

Fu allora che Annie aveva rivolto lo sguardo verso suo marito in totale sorpresa. Non solo si stava comportando in modo offensivo nei confronti di Terence, al di là dei limiti della decenza, ma non lo aveva mai sentito apprezzare apertamente la bellezza di un’altra donna davanti a lei.

"Mi dispiace se mi consideri troppo vecchio e brutto per essere suo figlio, ma è la verità. Candy può confermarlo, conosce molto bene mia madre", aveva risposto Terence, dando poco peso alle considerazioni di Archie e non avendo intenzione di perdere tempo a giustificare il suo legame di sangue.

Archibald si era voltato verso sua cugina con sguardo interrogativo.

"Terence sta dicendo la verità. Ho conosciuto sua madre molti anni fa in Scozia. Era andata a trovarlo quando eravamo alla scuola estiva. Qualche anno dopo ho avuto occasione di rivederla qui in America", gli aveva spiegato Candy.

A quel punto entrambi i giovani si erano voltati verso Candy mal celando la rispettiva incredulità. Archie non riusciva a credere che sua cugina avesse conosciuto Eleanor Baker e non gliene avesse mai parlato, mentre Terence era confuso perché non sapeva che Candy e sua madre si fossero riviste dopo la Scozia.

"Dunque. . ." era intervenuto Albert schiarendosi la voce, "Terence ci sta chiedendo di essere discreti perché sua madre preferisce tener segreto il suo legame con lui, non essendo sposata. Siete tutti adulti e credo comprenderete la delicatezza della questione per un personaggio pubblico del suo calibro. Alloggerà qui alla villa con noi e desidero offrirle tutta la serenità e la sicurezza di cui ha bisogno. Terence ormai fa parte della nostra famiglia e se lui e sua madre hanno un segreto, è un segreto anche nostro. Intesi?"

"Sì, zio! Qualsiasi cosa di cui abbia bisogno la Sig.ra Baker sarà fatto. Saprai certamente che sono un suo grande ammiratore e niente mi farebbe più piacere che accoglierla nella nostra famiglia, non è vero Annie?" aveva ribattuto Archibald, sfoderando un’improvvisa parlantina che aveva sorpreso tutti.

"Beh, sì", lo aveva assecondato Annie, ancora perplessa dalle strane reazioni di suo marito.

Terence, che aveva seguito gli insoliti sbalzi d’umore di Archibald, aveva finalmente compreso il motivo del comportamento del suo vecchio compagno di scuola.

"Gli piace mia madre! Che stranezza!. . . . Ha la mia età!. . . . Diamine, è assurdo!" aveva pensato tra il divertito e il disgustato.

Più tardi, aveva condiviso le sue impressioni con Candy e, mentre discutevano di quanto era accaduto, Terence si era dimostrato decisamente divertito dalla cosa, così come la sua fidanzata. Tuttavia, il divertimento non terminò in quel momento. Quando Eleanor era finalmente arrivata, Archibald, sempre padrone delle sua soavi maniere, aveva fatto di tutto per iniziare una conversazione con l’oggetto della sua ammirazione, proprio davanti ad una sconcertata Annie. La Signora Baker aveva osservato che Archibald era un giovane affascinante dal gusto squisito e dalla mente brillante. Tuttavia, a giudicare dagli sguardi torvi che gli aveva lanciato Annie, Terence aveva immaginato che il successo ottenuto quella sera gli sarebbe costato quantomeno l’esclusione dal talamo nuziale per almeno una sera. Per una volta, Terence, che quella notte aveva goduto della compagnia della sua fidanzata, aveva provato pietà per il suo vecchio compagno di scuola.

Con la coda dell’occhio Candy guardò l’orologio. Erano quasi le 4:30. Pensò di aspettare ancora mezzora prima di svegliare Terence. Solitamente i domestici prendevano servizio intorno alle 6:00. Pertanto, sarebbe stato sufficiente che Terence tornasse nelle proprie stanze entro le 5 od al più tardi le 5:30.

Candy pensò che oltre all’aspetto comico dei recenti eventi, l’arrivo della Sig.ra Baker le aveva offerto l’opportunità di aprire il proprio cuore ad una donna che potesse comprendere appieno i suoi sentimenti per Terence. Due giorni dopo il suo arrivo, la Sig.ra Baker aveva chiesto a Candy di accompagnarla nelle sue stanze perché aveva qualcosa da mostrarle.

Candy ricordava perfettamente l’intima conversazione che avevano condiviso.

"Avevo bisogno di parlarti in privato, Candy", le aveva detto la Sig.ra Baker, mentre si accomodava nel salottino della sua camera da letto, invitando Candy con un gesto a prendere posto accanto a lei.

Una volta vicine, la Sig.ra Baker aveva preso le minute mani di Candy tra le sue.

"Voglio ringraziarti per aver aspettato mio figlio e per essere stata talmente generosa da perdonare le sue manchevolezze", aveva esordito la donna, i cui occhi mostravano tutte le sfumature di verde e blu che erano così simili a quelle di suo figlio.

"Credo non ci fosse nulla da perdonare, signora. Quello che abbiamo sofferto è stato il risultato di sciagurate decisioni. Siamo colpevoli in egual misura", aveva ammesso Candy abbassando lo sguardo, "Quel pomeriggio, quando ci siamo incontrate per l’ultima volta, Lei era così sicura che lui si fosse ripreso lì sul palco per via della mia presenza, eppure io non ho voluto accettarlo. Non credevo di poter avere un tale potere su di lui".

"Adesso, invece, ti è chiaro?" le aveva chiesto la Sig.ra Baker, sapendo perfettamente che Candy si riferiva al loro incontro di Rockstown.

"Sì! Se soltanto avessi creduto alle Sue parole allora. . . se invece di lasciarlo andare, mi fossi avvicinata a lui e gli avessi detto che anche io stavo vivendo un inferno, esattamene come lui, ci saremmo risparmiati non poche sofferenze. Persino anni dopo Lei mi offrì un’altra occasione di vederlo, quando mi inviò quel biglietto per la prima di Amleto. Ancora una volta, fui talmente testarda da rifiutare quell’allettante offerta. Ero scioccamente convinta della mia capacità di giudizio. . . ."

"Temo lo fosse anche lui", aveva risposto la Sig.ra Baker con un triste sorriso. "Ammettere le tue responsabilità in questa faccenda ti fa onore, Candy. Tuttavia, per quanto avrei voluto vedervi insieme già ai tempi di Rockstown, devo ammettere che all’epoca lui non era pronto per offrirti quello che meriti, mentre adesso è decisamente un uomo migliore”, aveva concluso Eleanor con il volto illuminato dall’orgoglio materno.

"Oh, sì! Non potrei essere più d’accordo! Non avrei potuto chiedere di meglio", aveva sorriso Candy, rendendo evidente il suo amore per Terence, che sprizzava da tutti i pori.

"Ne devo dedurre che è stato sufficientemente delicato con te?" le aveva chiesto Eleanor con un’occhiata d’intesa.

Candy era stata colta alla sprovvista. Eleanor aveva voluto dire quello che credeva? O era stata solo la sua immaginazione? Non aveva saputo cosa rispondere. Notando le sue riserve, Eleanor aveva aggiunto: "ieri sera sono andata nella stanza di Terence perché avevo bisogno di parlargli. Ho bussato e non ho ricevuto alcuna risposta; poi, mi sono accorta che la porta non era chiusa a chiave e sono entrata. Si era congedato presto dicendo di essere stanco; eppure, erano passate le undici e non era nella sua stanza. Penso di avere abbastanza esperienza da capire dove fosse".

"Eleanor . . . Io. . ."

"No, ti prego! Non angosciarti per causa mia, Candy. Se c’è una persona che sa cosa significhi amare un uomo oltre le convenzioni, sono certamente io. Non ti sto dicendo questo per metterti a disagio. Al contrario, volevo che sapessi che ti sono grata per l’amore incondizionato che riservi a mio figlio. Un amore come il tuo, così forte e coraggioso, è quello di cui ha bisogno, più di ogni altra cosa al mondo. Una madre non può che essere felice di vedere un così roseo futuro per il proprio figlio".

"Grazie per la comprensione"
, aveva finalmente detto Candy, confortata dalle parole di Eleanor, "e tornando alla Sua domanda, la risposta è sì. Terence è tutto quello che una donna potrebbe desiderare in un uomo. Tutto quello che c’è stato tra noi finora è accaduto con il mio consenso e considerando il mio interesse, oltre che il suo".

"Sono felice di saperlo. Ricordo che anche suo padre era particolarmente abile da quel punto di vista; diciamo che mi aspettavo che suo figlio prendesse da lui almeno in questo", aveva spiegato Eleanor con naturalezza, osservando che sua nuora aveva ancora la grazia di arrossire ai suoi commenti. "Riguardo ad altri aspetti del suo carattere, sono fiera che Terence si sia rivelato decisamente migliore di suo padre”, le aveva confessato Eleanor, mentre per un fugace momento un’ombra offuscava il suo sguardo, "intendo dire che Terence ha imparato ad essere onesto con sé stesso ed a lottare per il suo amore. Anche se devo ammettere che avrei voluto vederlo reagire prima; tanto tanto tempo fa. Comunque, sono felice che sia stato così fortunato da ritrovarsi libero quando tu eri ancora disposta a tornare con lui. Suo padre, sfortunatamente, non si rese mai pienamente conto dei propri errori finché non fu troppo tardi".

"Ma sicuramente Sua Grazia doveva averLa amata molto per sfidare la società ed avere un figlio con Lei. Forse era solo troppo debole per contraddire la sua famiglia. Immagino che l’avessero minacciato di ripudiarlo o qualcosa del genere”, aveva ribattuto Candy, sempre abituata a cercare del buono in tutti.

"Oh cara, la mia storia con Richard Grandchester è ben più complicata di quanto credi. Un Lord d’Inghilterra non può diseredare il proprio erede legittimo (2); a meno che non sia legalmente provata la sua colpa di alto tradimento nei confronti della corona. Avere un figlio illegittimo poteva essere causa di un piccolo scandalo, ma nulla di più".

Profondamente confusa, Candy aveva rivolto lo sguardo verso Eleanor.

"Intendo dire, Candy, che se veramente avesse voluto, Richard avrebbe potuto sposarmi senza perdere il diritto al titolo ed all’eredità. Ovviamente, avrebbe sofferto il disprezzo e l’ostracismo dei suoi pari e probabilmente avrebbe dovuto dire addio alla carriera politica. Ma la povertà e la perdita del diritto di nascita non sono mai state un rischio. Chiaramente all’epoca avevo solo diciannove anni e non avevo idea di come stessero le cose, pertanto, quando mi presentò lo stesso scenario che suggerivi tu poco fa, non ebbi alcun motivo di dubitare della sua parola".

"Dunque Le ha mentito!"

"Sì e per tanto tempo. Richard mi amava, ma solo nella misura in cui quell’amore fosse ammesso dal suo rango sociale. Quando si avvicinò a me per la prima volta, aveva visto il mio ritratto in una galleria di Londra. Avevo posato per fare un favore ad un artista. Ero abituata a farlo, perché la zia che mi aveva cresciuta era una grande patrocinatrice delle arti a New York”.

"Fu amore a prima vista, dunque"
, aveva azzardato Candy.

"Proprio così, credo che i Grandchester abbiano la tendenza a farsi travolgere dall’impeto della passione, ma non tutte quelle passioni sono abbastanza forti da sopravvivere al tempo ed alle difficoltà. Quando Richard iniziò a corteggiarmi, sapeva bene che avrebbe potuto offrirmi solo la “sua protezione”, come dicono loro. Il matrimonio non fu mai nelle sue intenzioni ma, ovviamente, non fu onesto con me al riguardo. Se ti interessa ascoltare una storia lunga e triste, sarei felice di raccontartela".

Candy, che aveva sempre desiderato sapere qualcosa di più dei genitori di Terence e della storia della sua nascita, aveva risposto alla futura suocera che sarebbe stata onorata di ascoltare il suo racconto.

"Vedi", aveva esordito Eleanor tirando un profondo sospiro, "avevo lasciato New York arrabbiata a disgustata dopo che il mio regista e mentore, Maurice Barrymore, mi aveva fatto una proposta indecente che non ero disposta ad accettare. Andai a lavorare a Londra, fuggendo dalla perdita del mio onore e, per ironia della sorta, finii per perderlo del tutto tra le braccia di Richard. Quando vedo come si comporta mio figlio con te, incantandoti con ogni suo gesto, rivedo suo padre con me. Sicuramente capirai quanto fu difficile per me resistergli".

Candy aveva annuito in silenzio, comprendendo che per quanto Terence assomigliasse a sua madre nell’aspetto e nella passione per il teatro, alcuni tratti del suo carattere ed i suoi modi ricordavano molto suo padre.

"Tuttavia, non avendo gli stessi principi morali di suo figlio, Richard non ebbe scrupoli a sedurre una ragazza giovane come me che non sapeva quasi nulla delle vita e non era mai stata con un uomo. Ma non aveva considerato l’eventualità di un figlio”.

"Sicuramente ebbe dei dubbi rispetto a come avrebbe dovuto comportarsi con Lei e con il bambino”.

"Immagino che abbia avuto dei dubbi, ma la soluzione al suo dilemma fu decisamente più scandalosa ed immorale del dare alla luce un figlio illegittimo".

"Cosa fece?"

"Ebbene, sebbene avesse iniziato un serrato corteggiamento nei miei confronti, era già fidanzato da tempo con Lady Beatrix. Il loro matrimonio era stato combinato per la reciproca convenienza, ma non era certo un fatto insolito tra le famiglie nobili. Malgrado ciò, il loro rapporto si era raffreddato a causa delle reciproche infedeltà e girava voce che il fidanzamento sarebbe stato annullato”.

"La matrigna di Terence aveva un amante!"
aveva esclamato Candy, portandosi le mani al volto.

"Esattamente come Richard, ma la società è sempre più dura con noi donne, ogni qualvolta osiamo andare contro le convenzioni. Richard avrebbe potuto rompere il fidanzamento senza grandi problemi e nessuno avrebbe potuto biasimarlo. Agli occhi del mondo, lui era la parte lesa, perché molti sospettavano di una relazione clandestina di Lady Beatrix. Tuttavia, anziché farlo, Richard decise di trattare con lei".

"Che significa che decise di trattare con lei?"
aveva chiesto Candy, sempre più scandalizzata dalla condotta di Sua Grazia.

"Suo padre era già malato e prima di morire era ansioso di vedere più di un erede della sua stirpe. Saprai certamente che Richard non aveva fratelli minori. Dunque, la mia gravidanza capitò al momento più propizio per il Duca e suo figlio. Vedi, Richard non aveva alcun dubbio che il figlio che aspettavo sarebbe stato un vero Grandchester, perché sapeva di essere stato il mio primo e unico amante. Al contrario, considerato il comportamento tenuto in passato da Lady Beatrix, non avrebbe potuto essere altrettanto certo che i figli che gli avrebbe dato la sua futura moglie sarebbero stati sangue del suo sangue. Pertanto, con la massima astuzia, Richard propose a Lady Beatrix di acconsentire ad accogliere mio figlio come se fosse stato suo, nel caso si fosse trattato di un maschio, e in cambio lui non avrebbe rotto il fidanzamento".

"Mi dispiace dirLe questo, Eleanor, ma non riesco a capire come si possa essere tanto insensibili".

"Per Richard si trattava di un accordo conveniente e persino nobile, perché non avrebbe privato il bambino del suo diritto di nascita, nel caso si fosse trattato di un maschio, ovviamente. Se fosse stata una femmina, la bambina sarebbe rimasta con me e Richard avrebbe provveduto a lei. In ogni caso, sposarmi era impensabile, ma in questo modo si sarebbe preso cura del bambino e avrebbe donato un erede al ducato".

A quel punto, sul volto di Candy era apparsa evidente la fatidica domanda riguardo l’intera faccenda, che però non aveva avuto il coraggio di porre ad alta voce. Eleanor, decisa ad aprire il proprio cuore alla futura nuora, aveva deciso di propria iniziativa di rispondere.

"Ho accettato non senza grandi turbamenti e non cedetti così prontamente come Richard si aspettava”, aveva spiegato. "Di fatto, quando Richard ne parlò con l’attuale Duchessa, mi trovavo in Francia. Dopo essere diventati amanti, ebbi l’impudenza di credere in Richard al punto da lasciare la mia compagnia per seguirlo a Parigi. Sebbene fossi consapevole che quello che stavo facendo era indecoroso, non ti nego che quelli sono stati indiscutibilmente i momenti più felici della mia vita. Tuttavia, finì tutto quando rivelai a Richard di essere incinta. Deve essere stato allora che concepì il suo piano, perché appena qualche giorno dopo, mi disse che doveva rientrare in Inghilterra per sistemare alcune cose con suo padre. Ero talmente ingenua all’epoca che credetti che volesse informare il padre della sua intenzione di sposarmi, così lo lasciai andare senza alcun timore e rimasi ad attenderlo a Parigi".

"Quindi quando scoprì le sue vere intenzioni?"

"Rabbrividisco al solo ricordo, Candy!"
aveva esclamato la donna, sfregandosi un braccio, come se stesse rivivendo quella sensazione. "Circa un mese dopo la sua partenza, lessi sui giornali del suo matrimonio con Lady Beatrix e della loro partenza per la Scozia. Fui sul punto di perdere il bambino a causa dello choc. Mi sentivo talmente ferita e arrabbiata per il suo tradimento, che non appena fui in grado di viaggiare senza correre rischi per il bambino, ripartii per New York, sperando che mia zia Gladys fosse disposta ad accogliermi. Fortunatamente, la sorella di mia madre si rivelò ben più leale di Richard e offrì immediatamente il suo sostegno a me ed al bambino".

"Quindi era decisa a crescere il bambino da sola. Fu molto coraggioso da parte Sua, Eleanor".

"Sì, per quanto avessi il cuore in pezzi, non potevo permettermi il lusso di indugiare nella depressione. Una madre deve essere forte per il proprio figlio".

Candy aveva annuito.

"Ma allora, come mai Terence crebbe come un Grandchester anziché un Le Breton?" le aveva chiesto incuriosita.

"Ebbene, quando Richard scoprì che non ero a Parigi ad aspettarlo, venne in America a cercarmi. Aveva sposato Lady Beatrix, ma non aveva rinunciato a me, né aveva messo da parte le proprie aspettative riguardo a un erede. Voleva avere tutto, una moglie di rango per assolvere ai suoi obblighi come Lord di Inghilterra, un’amante che lo amasse ed un primogenito che avrebbe ereditato il Ducato a tempo debito. Gli uomini come lui non sono abituati a ricevere un rifiuto, quando si mettono qualcosa in testa".

"Come lo accolse?"

"Resistetti alle sue avances, ma poi mi pregò di andare a vivere con lui e caddi nuovamente nella sua rete, con grande dolore di mia zia. Giustificò la sua decisione di sposare Beatrix dicendomi che in questo modo non avrebbe perso il diritto di nascita, ma aveva tutte le intenzioni di divorziare da sua moglie non appena preso possesso del titolo. Questa volta non gli credetti così facilmente. Eppure, a conti fatti, lo amavo ancora moltissimo e volevo crogiolarmi nell’illusione che ricambiasse il mio amore. Così accettai la sua proposta. Vivemmo insieme in una casa di campagna che aveva affittato nel New Jersey sotto falso nome. Trascorremmo il resto della mia gravidanza come se fossimo realmente marito e moglie. Devo ammettere che serbo ancora nell’animo quel ricordo".

"Non posso biasimarLa. Vivere accanto all’uomo che si ama portando in grembo suo figlio deve essere un’esperienza straordinaria".

"Proprio così, ma sono certa che la vivrai presto, senza l’amarezza e il senso di colpa che avevano offuscato la mia felicità allora".

Alle parole di Eleanor, Candy aveva sentito il calore diffondersi sul suo viso.

"Mi sentivo in colpa per aver rubato il marito di un’altra”, aveva continuato Eleanor, "sebbene sapessi che Lady Beatrix non amava Richard, e mi sentivo terribilmente triste per aver deluso zia Gladys. Ma anche quando tutto intorno a me mi faceva pensare che stessi facendo qualcosa di sbagliato, non volli vedere la verità".

"Quando scoprì le vere intenzioni di Sua Grazia?"

"Fu lui stesso a rivelarmele dopo la nascita di Terence. Di fatto, seguendo il piano di Richard, Lady Beatrix non si era più fatta vedere in pubblico a Londra ed era rimasta confinata nella villa in Scozia con la sua dama di compagnia ed un’altra domestica di fiducia. Poi, quando Richard mi seguì negli Stati Uniti, anche sua moglie partì per New York trasferendosi in una casa di Long Island. Così, fu pronta ad accogliere il bambino al compimento del suo primo anno di età ed a presentarlo in società come suo figlio. Non posso credere alla freddezza di un piano del genere che riguardava il futuro di mio figlio, senza che io ne fossi a conoscenza. All’inizio, ovviamente, rifiutai di rendermi complice di un tale oltraggio".

"E poi cosa Le fece cambiare idea?"

"Oh, Candy! La vita di un’attrice è sempre incerta ed io, nell’impeto della mia passione per Richard, avevo quasi distrutto la mia carriera sul nascere. Non avevo adempiuto al mio contratto a Londra e poi, non avendo lavorato per quasi un anno a causa della mia gravidanza, nutrivo poche speranze di poter ricominciare; specialmente quando il mio ex regista, che all’epoca era considerato il Re di Broadway, nutriva ancora del risentimento nei miei confronti per via del mio rifiuto. Sapevo che avrei dovuto faticare moltissimo per trovare un lavoro anche se fossi stata da sola, senza la responsabilità di un figlio".

"Ma la Sua famiglia. . ."

"Non potevo aspettarmi granché da loro. Mia madre era morta quando avevo solo tre anni e mio padre mi aveva diseredato quando avevo deciso di diventare un’attrice. Mio fratello maggiore si schierò con mio padre e non mi avrebbe aiutata. Zia Gladys era stata l’unica a sostenermi nel raggiungimento del mio sogno e fu una preziosa alleata persino dopo che lasciai Richard la prima volta. Sfortunatamente, non mi perdonò la mia caparbietà quando non seguii il suo consiglio di non tornare con Richard. Quindi, quando il padre del mio bambino mi mise con le spalle al muro con la sua proposta di crescere nostro figlio come il legittimo erede del Ducato, ero sola al mondo e senza aspettative. Non potei rifiutare, anche se mi ci volle una notte insonne per decidere".

"Capisco. Pensava di non avere nulla da offrire a Terence, mentre suo padre avrebbe potuto dargli tutto quello che avrebbe desiderato".

"Proprio così"
, le aveva fatto eco Eleanor, "ma anche se avevo ceduto alla proposta di Richard riguardo a Terence, non accettai la sua offerta di continuare ad essere la sua amante. Ero stata fin troppo umiliata dai vergognosi accordi sul futuro di nostro figlio che non potei digerire l’idea di restare nell’ombra come sua amante per il resto della vita".

"Capisco la Sua indignazione. Ma considerato quanto lo amava, deve esserLe costato molto rinunciare a lui".

"Puoi dirlo forte, cara. Mi ha quasi ucciso, specialmente quando lui sfogò la sua rabbia su di me. Non credeva possibile che osassi rifiutarlo. Avevo ferito il suo aristocratico orgoglio come non mai e me la fece pagare cara. Ci lasciammo molto male. Ricordo ancora il suo sguardo glaciale quando se ne andò quel giorno. Dopo quel litigio, non lo rividi per diversi mesi. Tuttavia, fedele alla sua parte dell’accordo, mi mandò un assegno mensile per sostenere le mie spese fin quando Terence restò con me. Il giorno del primo compleanno di Terence, Richard tornò a reclamare suo figlio. Era molto cambiato, talmente freddo e distante che mi fece dubitare della mia decisione di dargli mio figlio".

"Ma poi decise di farlo".

"Beh, quando si accorse della mia esitazione, mi promise che sarebbe rimasto in America, cosicché potessi vedere Terence in segreto. Con questa speranza nel cuore, lo lasciai finalmente andare".

"Ovviamente il Duca non mantenne la sua promessa".

"Per i primi due anni sì. Vidi mio figlio cinque o sei volte, credo. All’inizio, un domestico di fiducia lo portava a casa mia, ma quando Terence stava per compiere tre anni, fu Richard ad occuparsi di portarlo personalmente. Sembrava nuovamente addolcito nei miei confronti e insistette affinché passassimo la giornata tutti e tre insieme come una vera famiglia".

"Sicuramente sentiva la Sua mancanza, malgrado il risentimento".

"Lo credevo anch’io, ma ero troppo ferita e umiliata per prendere anche solo in considerazione una riconciliazione. Per Richard andavo bene come amante, ma non per crescere mio figlio e vivere al suo fianco come sua legittima moglie. Mi sentivo profondamente offesa. Gli concedevo di entrare in casa mia solo per il bene di Terence. Ma anche quella parvenza di felicità durò molto poco. Poi, il padre di Richard morì".

"Immagino che Sua Grazia dimenticò la promessa di crescere Terence in America".

"Proprio così. Portò Terence con sé quando rientrò in Inghilterra per rivendicare il titolo. Accadde tutto talmente in fretta! Quando lo scoprii, i Grandchester erano già in partenza da New York. Vedere mio figlio allontanarsi su quella nave fu la cosa più dolorosa che mi sia mai capitata, Candy. Malgrado ciò, ho mantenuto la parola per il bene di mio figlio, o almeno così credevo all’epoca. Ora so che anche se la mia decisione era il frutto delle mie più nobili intenzioni nell’interesse di Terence, fu un errore. Lo rese un bambino triste e solitario ed è per questo che sono estremamente grata al Signore per avergli dato una nuova occasione di felicità accanto a te. È diverso quando siete insieme".

Candy aveva pensato a quanto fosse triste che due donne che possedevano il cuore di Terence di diritto avessero entrambe pensato in passato che rinunciare a lui fosse la cosa migliore. Chiaramente Terence non la pensava allo stesso modo.

"Spero di non deluderLa questa volta, Eleanor".

"Oh, non accadrà, ne sono certa! Ma ora, ecco quello che volevo mostrarti"
, aveva annunciato l’attrice alzandosi dal divanetto e aprendo l’armadio. Candy aveva notato il suo improvviso cambio d’umore, riconoscendovi la capacità di Terence di alternare emozioni diverse nel giro di un secondo.

Eleanor tirò fuori una grossa scatola, al cui interno era contenuto un delicatissimo abito di pizzo bianco in stile impero lungo fino alle caviglie.

"So che stavi pensando di indossare il vestito da sposa della Sig.ra Cornwell, ma vorrei che prendessi in considerazione anche questo. Forse sto osando troppo, ma non ho potuto evitare di comprarlo. L’ho visto qualche giorno fa prima di venire qui in uno dei miei negozi preferiti e lo stile insolito mi ha subito colpita. Oggi va di moda la vita bassa e questo abito è così diverso che spicca tra tutti gli altri. Che ne pensi?"

Candy aveva osservato con profonda emozione i disegni floreali e geometrici che si sovrapponevano nel delicato pizzo trasparente. Ogni dettaglio, dalle perline dell’orlo, alle maniche corte a campana, alle piccole roselline blu sul corpetto, tutto trasudava fascino ed eleganza.

"È un sogno, Eleanor! È stata così premurosa! Ovviamente sarò onorata di indossarlo il giorno del mio matrimonio".

"Sono così felice che ti piaccia!"

"Ma come faceva a conoscere la mia taglia?"
aveva chiesto Candy, incuriosita, mentre osservata l'etichetta.

"Oh . . .ho fatto un tentativo basandomi sui miei ricordi di qualche anno fa ed alcuni dettagli che ho ottenuto da mio figlio più di recente", aveva spiegato la Sig.ra Baker con un sorriso, diventando poi improvvisamene seria. "Sfortunatamente non ho trovato un velo da abbinarvi".

"Oh! Non ha importanza", si era affrettata a rispondere Candy, "Avevo pensato di non indossarlo. . . vorrei mettere qualcosa di diverso. . . una fascia. . . per avere qualcosa di vecchio, come da tradizione".

"Davvero? Mi sembra un’ottima idea! Credo proprio che dopotutto tu abbia attitudine alla moda! "

Terence percepì il suo lieve peso sul petto. D’istinto, la sua mano si posò sulla testa di Candy. Affondò le dita nei suoi intricati riccioli finché non raggiunsero il suo collo. Lei lasciò che la accarezzasse in silenzio, mentre ricambiava le sue carezze spostando lentamente la mano sul suo petto in piccoli movimenti circolari. Dopo un attimo di silenzio, la giovane lo sentì canticchiare la melodia di Auld Lang Syne. Poteva sentire il suono della sua melodiosa e profonda voce che gli vibrava nel petto. Allungò la mano per prendere la sua, intrecciando le dita teneramente, mentre soffocava un risolino.

"Buongiorno, amore mio", le disse finalmente quando ebbe terminato la canzone.

"Buongiorno, Terence".

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Gli alberi spogli erano imbiancati dalla neve che cadeva incessantemente, seppure leggera, sul solenne suolo. La lunga lapidea processione di angeli e santi in silente veglia sembrava interminabile. Una timida, quasi lamentosa folata di vento si alzò all’improvviso facendo sollevare la veletta di Candy. Nel tentativo di trovare il coraggio che le mancava, la sua mano strinse dolcemente il braccio dell’uomo che camminava al suo fianco. Nell’altra, teneva un bouquet di fiori bianchi che aveva portato per l’occasione.

La giovane ed il suo accompagnatore percorrevano i vialetti dove eterno silenzio e solitudine sembravano regnare indisturbati. Dietro la veletta blu del suo cappello a larga tesa, Candy osservava la serenità espressa dalle pose delle statue che adornavano ogni tomba. Alcune di esse avevano le braccia spalancate, quasi a proteggere coloro che si erano addormentati in un sonno eterno. Altre erano a mani giunte sul petto, in incessante preghiera. Finalmente, dopo il triste percorso attraverso le tombe in marmo, sopraffatta dalla travolgente presenza della morte, la coppia giunse al mausoleo degli Andrew.

L’uomo, vestito di nero come di consueto, lasciò per un attimo la donna e percorse la scalinata in pietra. Estrasse una chiave dal suo soprabito ed aprì le porte dell’imponente costruzione. Poi, voltandosi nuovamente verso Candy, le tese la mano per aiutarla a salire le scale.

"È sicura di volerlo fare, Signorina Candy?" le chiese l’uomo, corrugando leggermente la fronte.

"Sì, George. Ho atteso fin troppo. È ora che lo faccia".

"Vuole che entri con Lei?" si offrì l’uomo.

"Penso che debba farlo da sola", fu la risposta di Candy, seguita da un semplice cenno di assenso da parte di George.

Senza commentare oltre, Candy lasciò il suo fianco ed entrò nel Mausoleo. Una volta dentro, si meravigliò alla vista della luce che filtrava attraverso la cupola istoriata del tetto, rendendo il luogo meno tetro di quello che si aspettava. Le sfumature di viola, giallo, bianco e blu della cupola coloravano il marmo di ogni tomba, su cui troneggiavano le targhe funebri.

Candy lesse in silenzio i nomi di quattro generazioni di Andrew che giacevano in quel luogo, attendendo pazientemente l’ultimo squillo di tromba che avrebbe annunciato la loro risurrezione. Con mal celata insicurezza, mosse qualche passo, soffermandosi sull’eco dei suoi tacchi alti sul pavimento.

Finalmente, dopo un momento che sembrò eterno, il suo sguardo si posò sulla targa che stava cercando:

In memoriam
Anthony Brown
Figlio adorato
Ottobre 1912



Candy accarezzò con lo sguardo l’epigrafe, seguita subito dopo dalla sua mano, sfiorando lievemente il nome di Anthony. Seppur fasciata dal guanto in pelle, poteva sentire sulla punta delle dita la fredda superficie dell’acciaio. Pensò che Anthony, così fulgido e raggiante, non potesse dimorare in un luogo talmente freddo e solitario.

"Sono venuta a dirti addio, ma mi sono solo illusa, Anthony", mormorò distintamente. "Per quanto vorrei che fossi qui, non è possibile che tu sia confinato tra queste mura. Sono certa che ti trovi in un posto migliore, inondato di luce; un posto dove l’inverno non porta con sé il gelo uccidendo la vita e dove i fiori non appassiscono mai".

Candy tirò un profondo sospiro e chiuse gli occhi per un attimo.

"In tutti questi anni, mi sono aggrappata al tuo ricordo e, fino al giorno in cui ci rivedremo, avrai sempre un posto nel mio cuore. Ma vedi, lui è tornato! Volevo che lo sapessi. Sono certa che nella pace celeste in cui dimori non c’è spazio per la gelosia, giusto? Dopo che te ne sei andato, ho imparato nuovamente ad amare, in modo diverso, con un amore diverso. Ma per anni avevo soffocato questo amore, come se lui se ne fosse andato, esattamente come te….eppure sapevo che era ancora là fuori da qualche parte e questa certezza mi lacerava nel profondo".

"Ho lottato invano contro questi sentimenti. Non capivo il perché avrei dovuto dimenticarlo e non vederlo più, dopo che anche tu te n’eri andato, forse per il solo generoso scopo di consentirmi di incontrarlo e di amarlo. Ma ora comprendo che abbiamo solo inconsapevolmente rimandato l’inevitabile. Voglio dirti che ti sarò per sempre grata per aver fatto parte della mia vita, sebbene il nostro tempo insieme sia stato troppo breve. Il dolore per la tua perdita mi ha dato il coraggio di lasciare l’America e mi ha consentito di incontrarlo. Lo ignoravamo allora, ma il Signore ci aveva fatto incontrare perché avevamo bisogno l’uno dell’altra. Io sono il suo faro ed il suo porto sicuro; lui è la mia ancora, il mio corpo e la mia anima".

"Grazie, Anthony. Domani, agli occhi del mondo, diventerò sua moglie ed inizierò una nuova vita. Non so dove ci porterà il futuro, ma prometto che qualsiasi cosa accadrà, sarò sempre felice. Perciò, ovunque tu sia, non dubitare. Starò bene accanto alla persona per la quale batte il mio cuore".

"Riposa in pace, mio adorato Anthony", concluse poi, lasciando tre rose nel vaso di metallo, "Albert e Archie ti mandano un abbraccio".

Poi, a pochi passi di distanza, vide la tomba di Alistair ed un sorriso illuminò il suo volto.

"Caro Stair! L’ultima volta che ci siamo visti eri così sicuro che stessi andando incontro alla mia felicità. Eppure, sono state versate molte lacrime prima che il tuo auspicio potesse tramutarsi in realtà. Però, sai, devo lamentarmi del tuo carillon della felicità! Non funziona più da molti anni. Lo aggiusterai mai?"

Candy interruppe il suo monologo ed il suo sorriso si fece ancora più intenso.

"No, Stair, amico mio, sai che sto scherzando. Fin quando Terence sarà accanto a me, perdurerà anche la magia del tuo più sincero augurio. Grazie per l’amore e la bontà con le quali hai arricchito la mia vita. Sono certa che un giorno ci rivedremo, caro cugino".

Candy mormorò una preghiera, mise altre tre rose nel vaso di Stair ed infine si diresse verso la porta.

Una volta fuori dal mausoleo, la giovane offrì a George le sei rose che le rimanevano del suo bouquet.

"Le andrebbe di portare questi fiori alla Zia Rosemary?"

Alle parole di Candy, in modo del tutto inaspettato, il volto dell’uomo si trasfigurò.

"È davvero molto premurosa, Signorina Candy. Sì, certo. . . grazie", le rispose lui, prendendo le rose che gli porgeva.

Candy rimase in attesa, lasciando che George restasse solo con i suoi ricordi. Nel frattempo, pregò per lui, chiedendo al Signore di mostrargli la via per andare avanti ed iniziare finalmente a vivere, proprio come Terence le aveva insegnato.

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Nel pomeriggio di quello stesso giorno, Candy era indaffarata a preparare le valigie. Il matrimonio si sarebbe tenuto il mattino dopo e subito dopo pranzo lei e suo marito sarebbero partiti per New York. Ripassò mentalmente la lista di tutte le cose di cui avrebbe avuto bisogno nel corso della prima settimana, in attesa che le fosse spedito il resto delle sue cose presso la sua nuova casa. Aveva sempre viaggiato leggera e non intendeva affatto cambiare le proprie abitudini.

"Se potessi, andrei in capo al mondo senza bagaglio, a condizione che Terence fosse con me in questo nuovo inizio!" rifletté, mentre sorrideva con lo sguardo al solo pensiero.

"Qualche abito ed alcuni tailleur con un soprabito da abbinarvi dovrebbero essere sufficienti", pensò. Si assicurò che tutto quello che non avrebbe potuto portare con sé fosse accuratamente imballato negli scatoloni. Osservando i piccoli oggetti che era stata costretta a lasciar fuori dall’unica valigia che aveva preparato per il viaggio, non poté evitare di tirare un profondo sospiro.

Aveva vissuto in quella stanza per più di dieci anni. Era proprio lì che aveva nascosto le proprie lacrime e pregato per lui, riversando il suo cuore a Dio, al quale non poteva celare i propri sentimenti. Il suo messale ed il suo rosario, unici compagni di quelle lunghe notti, giacevano sul suo modesto tavolino da toilette, muti testimoni dell’incredibile potere della preghiera.

La giovane decise di lasciarli a portata di mano, dato che aveva intenzione di usarli quell’ultima sera che avrebbe passato nella sua vecchia stanza. Accanto ad essi, sotto il vecchio carillon, giaceva innocentemente il libro per colorare del piccolo Alistair, che aveva la particolarità di comparire ovunque. Si raccomandò di restituire il libro al suo legittimo proprietario, prima che andasse di nuovo perso.

Candy si guardò intorno ancora una volta, verificando che non vi fosse null’altro da mettere in valigia. Pensò a quanto l’addolorasse lasciare le sue insegnanti. Separarsi da tutte le persone a lei più care era la parte più difficile di quella nuova avventura chiamata matrimonio. Eppure, si sentiva in pace, perché malgrado la sua assenza, Miss Pony e Suor Maria non sarebbero rimaste sole. Le amorevoli donne le avevano confessato di aver iniziato a cercare un aiuto sin dall’arrivo della prima lettera di Terence.

"Come facevate ad essere così sicure che alla fine ci saremmo chiariti?" aveva domandato, sorpresa dai loro furbeschi sorrisi.
"Il chiarimento era già un dato di fatto nel momento in cui hai deciso di rispondere alla sua lettera, Candy. Era solo questione di tempo, affinché tutto tornasse a posto".

Ancora una volta, le fossette fecero la loro comparsa sul viso di Candy. Lo scorso novembre a Cincinnati, nel corso del suo viaggio di lavoro, aveva consegnato una lettera alle superiori di Suor Maria, nella quale, a sua insaputa, si richiedeva l’aiuto di due giovani novizie. Dopo l’annuncio del fidanzamento, Suor Maria aveva provveduto a fare una semplice telefonata per prendere gli accordi definitivi. Le religiose sarebbero arrivate il giorno successivo alla partenza di Candy. Candy era altresì lieta che non vi sarebbero stati problemi di natura monetaria. Le donazioni che era riuscita ad ottenere per l’anno a venire sarebbero state più che sufficienti, anche con due nuove arrivate in famiglia. Inoltre, dato che Terence le aveva lasciato carta bianca per il suo fondo fiduciario, Candy aveva deciso di iniziare ad accantonare del denaro per provvedere ai fabbisogni futuri della Casa di Pony.

Dopo un ultimo sguardo al suo abito da sposa, che aveva appeso su un manichino accanto al suo letto, Candy lasciò la sua stanza per riunirsi all’allegra compagnia in salotto. Quando finalmente raggiunse gli altri, notò che sembravano tutti intenti a conversare animatamente. In un angolo, il piccolo Alistair giocava con Terence, ignaro del fatto che ben presto la sua cara zietta ed il neo-acquisito zio sarebbero partiti per allontanarsi centinaia di miglia da lui. Pensò che quello sarebbe stato il primo vero distacco per il bambino ed il suo cuore subì un fremito, consapevole del fatto che sarebbe stato impossibile evitargli un dolore.

"Gli aeroplani possono essere crandi come un treno, zio G.?" chiese il bambino allargando le braccia.

"Non ne ho mai visto uno tanto grande", rispose Terence con una risatina, "ma non si può mai sapere, forse un giorno esisterà un mostro del genere".

"Sì!" annuì Alistair con entusiasmo, "Ne ho uno crande nel mio libro per colorare. Di che colore devo farlo?"

"Un aeroplano grande come un treno, eh? Avrai bisogno di tanti pastelli, allora. Posso aiutarti, se vuoi", si offrì il giovane.

"Il tuo libro per colorare ed i pastelli sono nella mia stanza, Stair", osservò Candy unendosi ai due, "vai a prenderli".

Il bambino si alzò, tirando Terence per la mano ed implorandolo.
"Vieni con me, zio".

Terence rivolse al bambino un mezzo sorriso e, incapace di negargli la sua compagnia, seguì Alistair verso la stanza di Candy. Mentre si incamminavano lungo il corridoio, la giovane li guardava con infinita tenerezza.

"Hai lasciato il vestito nell’armadio?", chiese Annie, anche lei testimone della scena tra suo figlio e Terence.

"Non preoccuparti, Annie. Mi sono ricordata di appenderlo sul manichino per evitare che si sgualcisca", rispose frettolosamente Candy.

"Ma allora Terence lo vedrà!" disse Annie in preda al panico, "Porta male!"

Candy sorrise al pensiero che Annie non avrebbe retto allo choc se avesse saputo che Terence aveva visto ben più del vestito prima del matrimonio.
"D’accordo, andrò personalmente ad evitare che si verifichi una catastrofe", rispose la giovane in tono scherzoso, assecondando tuttavia l’insistenza di Annie, se non altro per calmare le ansie della sua amica. Sapeva fin troppo bene che una volta giunta nella sua camera sarebbe stato comunque troppo tardi.

Quando finalmente aprì la porta, Alistair si stava precipitando a recuperare il suo libro per colorare dal tavolino da toilette. Candy sentì chiaramente la voce di Terence che ammoniva il bambino.

"Wow, wow, piccolo inventore, fai attenzione! Se tirassi il libro in questo modo, faresti cadere questo carillon e tua zia non sarebbe felice se si rompesse”, disse il giovane, salvando l’oggetto dal disastro.

"Ma tanto non funziona, zio" rispose il bambino.

"Non funziona? Vuoi dire che è già rotto?" chiese Terence, prendendo il carillon tra le mani e aprendolo per osservarlo meglio.

In quel momento, con grande sorpresa di Candy, la ben nota melodia che non udiva più da anni risuonò nuovamente nell’aria.

"Suona!" disse Stair, anch’egli sorpreso.

"Proprio così!" aggiunse Candy alle loro spalle, inducendo il giovane a voltarsi per incontrare il suo sguardo.

"È così strano?" chiese Terence, incuriosito.

Senza rispondere alla sua domanda, Candy prese il piccolo carillon dalla sua mano e fece diverse prove, aprendolo e chiudendolo. Tutte le volte la musica tornò a suonare, esattamente come avrebbe dovuto accadere sollevando il piccolo coperchio.

"Non posso crederci, Terence! Questo carillon non funzionava da anni! Che cosa gli hai fatto?"

"Beh. . . in realtà niente. . . l’ho semplicemente aperto", rispose lui, stringendosi nelle spalle.

Candy scosse la testa, ridendo sommessamente. Poi, si alzò in punta di piedi e baciò Terence sulla guancia, sussurrandogli all’orecchio:

"Amore, hai aggiustato il mio carillon della felicità!"

"Davvero. . .?" le chiese lui, lanciandole un’occhiata eloquente che la fece arrossire.

"Oh beh, è una lunga storia che ti racconterò mentre aiutiamo Stair a colorare questa nuova pagina. Che ne dici, Stair?" disse, rivolgendosi al bambino, rimettendo il carillon al suo posto sul tavolino da toilette e prendendo il libro per colorare.

"È la storia di un eroe?" chiese il bambino, già entusiasta all’idea.

"Oh sì, un eroe di guerra che assomigliava in tutto e per tutto a te!" rispose Candy, toccando la punta del naso di Alistair.

Poi, Terence prese il bambino tra le braccia, mentre Candy pensava ai pastelli ed al libro. Dopodiché, il giovane li guidò fuori dalla stanza. Prima di chiudere la porta dietro di sé, scorse il vestito di Candy appeso sul manichino, ma decise di non farne parola. Il giorno dopo si sarebbero sposati. Il suo cuore iniziò a battere all’impazzata al solo pensiero.

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Mercoledì, 7 gennaio 1925

Caro diario,

Sono passati molti anni dall’ultima volta che ho scritto qui. Non riesco a credere di poter continuare questa storia con un enorme e sincero sorriso ad illuminarmi il volto. Oggi mi sposo. Indovina con chi? Esatto! Con quello stesso ragazzo di cui ero solita lamentarmi dodici anni fa, quando iniziai a riempire queste pagine (anche se non è propriamente lo stesso, perché ora non è più un ragazzo, ma un uomo). Immagino che tu possa legittimamente chiedermi perché sposo un tale pallone gonfiato, che è altresì un terribile mascalzone ed un incorreggibile maleducato. Ma sono sicura che tu sappia anche, mio caro diario, che lui non è affatto così. Dopo tutti questi anni sono certa capirai che è la persona dall’animo più gentile che abbia mai incontrato. La mia sola e unica anima gemella!

Ora posso finalmente scrivere che amo Terence con tutto il mio cuore! È già il mio adorato marito in tutti i sensi. Capisci cosa intendo? È un segreto tra noi e Dio! La cerimonia che sta per avere luogo, non appena finirò di scrivere queste poche righe, è semplicemente la conferma di quello che alberga nel mio cuore da tanto tanto tempo. È un miracolo pensare che ho fatto parte del suo cuore altrettanto a lungo. Me lo ha dimostrato con i suoi gesti, con le sue parole e con il suo corpo.

Per anni ho creduto che fosse solo un sogno e che non sarebbe mai divenuto realtà. In questo giorno, però, la mia valigia pronta mi dice che è tutto vero. Dopo pranzo partirò per New York per andare a vivere con lui. Mentre scrivo mi tremano le mani e devo reprimere le mie lacrime di gioia. Devo stare attenta a non rovinarmi il trucco. Eleanor è stata talmente brava che non voglio deluderla mettendomi a piangere prima che mi facciano una foto.

Tra qualche minuto non sarò più Candice White Andrew, ma Candice White Grandchester o la Sig.ra Terence Graham Grandchester. Anche se probabilmente molti si rivolgeranno a me come la Sig.ra Graham, dato che lo conoscono solo con il suo nome d’arte. Non sanno che non è il suo vero nome. Ci pensi che si fa chiamare Graham da anni, ma non ha mai ufficialmente rinunciato al suo nome? Immagino che ci sia qualcosa sotto. Ho un certo presentimento al riguardo. In ogni caso, avremo modo di parlarne più in là, quando arriveremo a New York.

Mio caro diario, ora devo andare. Grazie per aver dato ascolto al mio cuore, la cui voce si unisce in questo momento al suono delle campane.

CWG


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Per Candy il matrimonio si svolse in un’atmosfera del tutto irreale. Quando fu tutto finito, riuscì a stento a ricordare i volti sorridenti e le lacrime dei presenti ed alcuni dei momenti più speciali della cerimonia. Mentre la conduceva all’altare, gli occhi di Albert erano raggianti d’orgoglio. Prima del loro ingresso, le aveva confessato di essere molto fiero della donna che aveva contribuito a crescere. Candy credette di aver scorto una lacrimuccia nei suoi occhi solitamente limpidi come il cielo, ma decise di non dire nulla per evitare ulteriori imbarazzi.

Al contrario, Miss Pony e Suor Maria non tentarono neppure di nascondere le lacrime. Mentre avanzava lungo la navata, Candy notò che Suor Maria teneva tra le mani il rosario d’argento che Terence le aveva regalato per Natale. Candy sapeva che la suora stava pregando, sgranando nervosamente il rosario. E neppure il fazzoletto di pizzo di Miss Pony fu sufficiente a contenere le lacrime che spuntavano da dietro al suo volto sorridente.

Candy ricordava anche che le dita di Annie avevano esitato più di una volta mentre eseguiva la marcia nuziale sul vecchio pianoforte della cappella, malgrado la sua grande maestria come pianista. Archie, a cui per ironia della sorte era toccato l’inaspettato onore di fare da testimone a Terence, sembrava invece estremamente serio. Eppure, Candy sapeva che suo cugino si stava gradualmente abituando all’idea che Terence facesse ormai parte della famiglia. Sperava che un giorno Archie avrebbe imparato a fidarsi di Terence tanto quanto Alistair. Jimmy Cartwright, arrivato all’ultimo minuto, era in piedi in silenzio accanto a Miss Pony. Candy sapeva che Jimmy era un po’ risentito. Sperava, però, che alla fine il giovane avrebbe perdonato Terence per averla portata via dall’Indiana.

Eleanor, più bella che mai, semmai fosse possibile, nel suo affascinante abito blu, cercava in ogni modo di trattenere le lacrime. Tuttavia, nel bel mezzo della cerimonia, neppure le sue eccellenti abilità istrioniche le vennero in soccorso per nascondere la forte emozione, inducendola a fallire miseramente.

Ma il ricordo più bello di tutti era senz’altro l’immagine di Terence che la fissava con i suoi profondi occhi blu mentre gli andava incontro all’altare. Con un solo sguardo, le aveva riconfermato tutte le segrete confessioni d’amore con cui le aveva aperto il suo cuore solo qualche giorno prima. Un’altra cosa che ricordava chiaramente era la sua espressione di indubbia sorpresa quando aveva notato la sciarpa di seta bianca che le adornava il capo. L’aveva legata in modo delizioso, lasciando liberi alcuni ricci dorati ad incorniciarle il volto. Terence sorrise quando vide le sue iniziali ricamate sulla sciarpa di seta bianca che non vedeva ormai da anni. Gli occhi color giada di lei, che brillavano di riflessi d’oro, sembravano istintivamente dar voce allo stesso messaggio che avrebbero entrambi espresso a parole all’atto dello scambio delle promesse nuziali.

Candy avrebbe sempre sorriso ripensando al momento in cui si erano giurati amore eterno in una delle loro classiche manifestazioni di anticonformismo. Non aveva importanza quante volte avessero ripassato le loro promesse, perché finirono comunque per modificarle qui e là.

"Io. . ." Terence si era fermato per un secondo, lasciando gli astanti con il fiato sospeso, per poi sorprenderli subito dopo dicendo: "Se io, Terence Graham Grandchester, mi trovo qui oggi, davanti a te, Candice White Andrew, è perché sono finalmente libero dalle menzogne e dalle falsità che mi tenevano legato, libero di credere che l’impossibile sia possibile e di accoglierti come mia legittima sposa. Qui, alla presenza della nostra famiglia e dei nostri amici, prometto solennemente di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, in ricchezza e in povertà, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti finché morte non ci separi…e…con questo anello io ti sposo", concluse infilandole la fede al sottile dito con mani tremanti.

La giovane gli sorrise e prendendo spunto dalle sue parole, rispose:

"Io, Candice White Andrew, riprendo te, Terence Graham Grandchester, questa volta per sempre, come mio legittimo sposo. Davanti a Dio ed a questi testimoni, prometto di amarti per tutti i giorni della mia vita. Ti accolgo con le tue mancanze e le tue tante virtù, offrendomi a te in sposa nella gioia e nel dolore, in ricchezza e in povertà, nella salute e nella malattia….finché morte non ci separi. Con questo anello io ti sposo".

Il sacerdote, incapace di arrestare la loro esuberanza, si era rassegnato ad accettare la deviazione dalla formula tradizionale. Terence sorrise maliziosamente a sua moglie, felice che per una volta nella vita avesse potuto concedersi il lusso di interpretare un testo classico a proprio piacimento senza conseguenze per la sua carriera. Candy fu felice di seguire il suo esempio, forse persino troppo per i gusti del povero sacerdote.


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Quando infine giunse il momento di lasciare la Casa di Pony, fu molto dura per tutti, specialmente per Miss Pony e Suor Maria. Sebbene si fossero preparate da tempo a quella triste separazione, fu comunque struggente e dolorosa. Ma forse la cosa più difficile di tutte fu dire addio al piccolo Alistair. Non appena il bambino aveva scoperto che non avrebbe rivisto la sua adorata zietta né il neo-zio per parecchio tempo, era scoppiato in un pianto disperato. Quando suo padre l’aveva preso tra le braccia per consolarlo, Candy aveva dovuto far ricorso a tutte le proprie forze per allontanarsi da lui.
Dopo gli ultimi saluti, gli sposi salirono nella limousine che li avrebbe portati a Chicago. Nell’intimità dell’abitacolo, mentre Candy si asciugava le lacrime in silenzio, Terence si chiese se l’amore di un solo uomo – indipendentemente da quanto fosse profondo – avrebbe mai potuto compensare la mancanza di così tanti amici e parenti, che in quel momento li salutavano con la mano, sottraendosi lentamente alla loro vista con l’avanzare dell’auto sulla strada. D’istinto, Candy nascose il viso sul suo petto e lui la strinse in un abbraccio, pregando per la prima volta dopo anni che il suo amore potesse bastarle.

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Ogni qualvolta Terence Graham viaggiava – cosa che accadeva spesso per via del suo lavoro – lo faceva con stile. Alcuni credevano fosse un bisogno dettato dalla sua condizione di personaggio pubblico. Ma, per dirla tutta, era in parte una conseguenza del suo ben radicato disgusto per l’umanità in generale, che lo spingeva a cercare il mezzo di trasporto più esclusivo per godersi un po’ di solitudine. Unitamente alle sue abitudini solitarie, doveva tuttavia ammettere che in virtù della sua natura aristocratica, aveva bisogno del lusso per sopravvivere. Pertanto, l’unico mezzo di trasporto che collegasse Chicago a New York che fosse all’altezza dei suoi standard era il Twentieth Century Limited ed era esattamente così che aveva pensato di fare rientro a casa dopo il suo matrimonio.

Gli sposi arrivarono alla stazione di LaSalle Street, da cui alle 18 sarebbe partito il loro treno. Terence aveva previsto che sarebbero arrivati giusto in tempo per cena, avrebbero viaggiato tutta la notte per giungere finalmente a destinazione intorno alle 9 del mattino dopo. Aveva fatto quel tragitto molte volte nel corso della sua carriera, ma mai con il cuore che gli batteva a mille come in quel momento. Con la sua ben nota andatura, si incamminò con decisione sul tappeto rosso che rivestiva la banchina, percependo il calore della mano di sua moglie nella sua. Dietro alla consueta espressione severa del suo volto, nascosto in parte dal cappello di feltro e dal bavero del soprabito alzato, i suoi occhi splendevano di gioia.

La giovane al suo fianco posò lo sguardo su di lui, studiando ogni suo gesto. In alcuni momenti aveva dovuto soffocare una risatina, pensando che la sua espressione arcigna non rendesse giustizia alla nobiltà della sua vera natura. La frequenza delle sue falcate la obbligò ad accelerare il passo a sua volta. Eppure, non disse nulla, perché aveva capito che la sua capacità di tollerare la presenza degli altri stava per esaurirsi, nella stessa misura in cui il bisogno l’uno dell’altra stava diventando intollerabile.

Finalmente, salirono sul treno, mentre un inserviente si occupava del loro bagaglio scortandoli verso lo scompartimento privato. Candy, che non aveva mai viaggiato nel Twentieth Century, restò affascinata dall’elegante boiserie che ricopriva le pareti dello scompartimento, rendendolo simile ad un intimo salotto. Le decorazioni sul soffitto e le piccole lampade Tiffany lasciavano intendere che la comodità non sarebbe stata abbastanza senza la bellezza.

L’inserviente posò le valigie sul pavimento e chiese loro se avessero bisogno di altro.

"Potrebbe mandarci un cameriere? Gradiremmo ordinare la cena", chiese Terence, mentre elargiva una mancia al giovane.

Una volta rimasti soli, un improvviso silenzio scese su di loro. Per la millesima volta quel giorno, lui rivolse lo sguardo verso di lei. Era intenta a sbottonarsi il soprabito con collo di pelliccia che fasciava la sua snella figura.

"Che ne pensa del Twentieth Century Limited, Sig.ra Graham?" le chiese, mentre la aiutava a togliersi il soprabito, appendendolo subito dopo accanto al suo nel piccolo armadio dello scompartimento.

"Sembra alquanto costoso", rispose lei, vagamente distratta dai brividi provocatile dalla sua vicinanza.

Lui notò che non indossava più il vestito bianco di pizzo, bensì un altro più caldo con gonna al polpaccio. La tonalità blu scuro dell’abito contrastava con il castigato scollo bianco, rendendo il suo colorito diafano ancora più splendente. Lei percepì il suo sguardo su di sé, ma prima che potesse incrociarlo, lui distolse gli occhi da lei.

"Terence resterà sempre un enigma per me? Ogni volta che penso di averlo finalmente compreso, finisce per comportarsi in modo del tutto imprevedibile”, si domandò.

Il giovane si era accomodato con aria indifferente sul grande divano, che apparentemente era il pezzo forte dello scompartimento. Candy entrò nella piccola toilette per guardarsi allo specchio. Si sistemò i capelli, che portava ancora raccolti nella sciarpa di seta, trasformata in una fascia. Mentre si passava le dita tra i riccioli dorati che le incorniciavano il volto, lo scintillio dell’anello di fidanzamento e della fede che portava al dito attirò il suo sguardo. Era tutto vero, era sua moglie e quella era la loro prima sera insieme da sposati. Eppure, si sentiva un po’ delusa dal fatto che avrebbero dovuto passare la prima notte di nozze nello scompartimento di un treno. "Certamente una signora ed un gentiluomo non potrebbero fare granché in una situazione del genere, giusto?" si domandò.

Candy fu colta di sorpresa dai propri pensieri. Non poteva credere alla piega che avevano preso. Eppure, in tutta onestà, doveva ammettere che desiderava stare nuovamente con lui, senza limitarsi alle carezze che si erano scambiati negli ultimi giorni.

"Può una moglie dar voce a certi desideri?" si domandò, osservando il rossore che si impadroniva delle sue guance. "Oh mio Dio, da quando sono diventata così sfacciata?"

Mentre era intenta a parlare tra sé e sé nella toilette, Candy udì la voce del cameriere. Sentì Terence ordinare la cena e chiedere che lo scompartimento fosse preparato per la notte, cosa che lei non comprese.

Uscita dal bagno, la giovane trovò suo marito intento a leggere con aria imperturbabile quello che sembrava essere un copione. Vedendolo così assorto, decise di accomodarsi al suo fianco, cercando di distrarsi osservando le case che apparivano e scomparivano dal finestrino, mentre il treno si allontanava rapidamente da Chicago. Dopo un po’, le case lasciarono il posto agli immensi campi che conosceva così bene. Candy avrebbe voluto prendergli la mano, se lui non le avesse avute entrambe impegnate a sorreggere il pesante copione; pertanto, appoggiò il gomito sul telaio della finestra sorreggendosi il mento con la mano, tenendo l’altra nell’incavo del braccio destro.

"È incredibile quanto sembri sereno, mentre io qui sto andando a fuoco! L’aria sta diventando irrespirabile!" pensò, fingendo di essere interessata al grigiore del paesaggio.

Poco dopo, il cameriere fece ritorno con il carrello della cena. Terence si occupò di tutto e mentre parlava con l’uomo, Candy lanciò con discrezione uno sguardo nella sua direzione. Essendo sempre stata abituata a gestire queste cose da sé, pensò che fosse un sollievo che finalmente ci fosse qualcuno a prendersi cura di quei dettagli. Quando il cameriere se ne andò, Terence ritornò al suo copione. Candy, perplessa dalla sua indifferenza nei confronti della cena che aveva insistito ad ordinare, si voltò nuovamente verso la finestra. Neppure lei aveva fame.

Spostò nervosamente il peso delle gambe sui suoi tacchi alti, sollevando la punta dei piedi. Si soffermò ad osservare le sue Mary Jane blu. Avevano un bordino bianco ed un fiocchetto che le piacevano molto. Malgrado lo sforzo di concentrarsi sulle scarpe, si sentì ben presto sciocca a perdere tempo in quel modo.

"Forse dovrei semplicemente strappargli quell’odioso copione dalle mani e baciarlo come muoio dalla voglia di fare?" pensò. "Accidenti, Candy! Non riesci a pensare ad altro?" si rimproverò.

Infine, un altro inserviente bussò alla porta. Questa volta Terence le rivolse la parola per la prima volta in quasi quindici minuti.

"Sono venuti a preparare lo scompartimento per la notte. Ti dispiacerebbe alzarti, Candice?"

Candy lo assecondò, mentre l’inserviente entrava nello scompartimento e, davanti ai suoi strabiliati occhi, trasformava il divano in un letto.
"Lo scompartimento ha un letto?" pensò con sorpresa, "Significa che Terence ha in mente di…. Oh! Santo cielo!" Candy sentì nuovamente l’intempestivo rossore coprirle le guance e dovette distogliere lo sguardo per nasconderlo all’inserviente.

Espletato il suo compito, l’inserviente li lasciò soli e Candy udì con chiarezza lo scatto della serratura, mentre Terence tirava un sospiro di sollievo.

"Pensavo non se ne sarebbero mai andati!" esclamò irritato voltandosi a guardarla, mostrandole finalmente il Terence che aveva rivelato solo a lei nei giorni passati.

"Chi?" chiese lei, non capendo a cosa si riferisse.

Lui le fece un sorriso malizioso e si diresse verso la finestra.

"Tutti quanti", le rispose, mentre tirava giù le tendine, "gli inservienti del treno, l’autista, i passeggeri, la servitù, mia madre, i tuoi amici, le tue insegnanti, la tua famiglia, la gente per strada, tutti!" esclamò in crescente esasperazione.

Mentre le si avvicinava con passo deciso, Candy iniziò a pensare che forse quel viaggio in treno non sarebbe stato così faticoso come aveva pensato. Si fermò davanti a lei e la prese per le spalle.

"Intendo dire tutti coloro che si sono messi tra di noi negli ultimi tre giorni", continuò, sollevandole il mento con un dito per guardarla negli occhi, "Pensavo che non ci avrebbero mai lasciati soli", concluse Terence poco prima di avvicinarsi a lei per accarezzarle la guancia con la sua, mentre le sue mani scendevano a cingerle la vita.

"Non ti è mancato tutto questo?" le disse, sollevandola per far sì che il volto di lei fosse al livello del suo. Le catturò le labbra, mentre Candy gli buttava le braccia al collo, lasciando che i suoi sensi esplodessero nuovamente in risposta al suo molteplice assalto al suo corpo.

"Certo che mi è mancato", pensò, "L’ho desiderato in ogni momento. . . Oh . . . . .Ah!. . . . Il modo in cui mi bacia!. . . Le sue mani su di me!. . .Oh Signore!"

La sentì tremare tra le sue braccia e si rese conto che sarebbe toccato a lui scegliere tra un veloce epilogo ed un dolce perdurarsi delle cose. Scelse la seconda opzione, liberandole le labbra per un momento.

"Credo che dovremmo spogliarci, amore mio", le disse all’orecchio, mettendola giù delicatamente.

Lei annuì in silenzio e iniziò a togliersi gli orecchini, mentre lui si sfilava la giacca di sartoria Anderson & Sheppard. Poi, quando era sul punto di rimuovere la fascia bianca, la mano di lui le impedì di farlo.

"Questa, che hai indossato per me oggi, Sig.ra Graham, ha reso perfetta la mia giornata tanto quanto le tue promesse. Non toglierla, per favore" aggiunse, sfiorando con le dita l’estremità della sciarpa che dalla sua nuca scivolava dolcemente sulla spalla.

"È stato il mio modo di restituirti quello che ti appartiene di diritto, Terence”, gli disse lei con un sorriso malizioso, armeggiando in modo seducente con i bottoni in madreperla che adornavano il suo abito.

"Cosa? La sciarpa o te?"

"Entrambe le cose", gli rispose lei con fare allusivo.

"Parole sacrosante, madame. Se quel giorno che ti fasciai il braccio con la mia sciarpa avessi saputo che mi sarebbe stata restituita avvolta ad un pacchetto così delizioso", le disse, guardando avidamente la scollatura del suo vestito, "avrei preteso di riaverla molto prima".

"Beh, ora il padrone del reame può pretendere tutto ciò che desidera", lo esortò lei, mentre lui accettava l’invito delle sue parole. . . e del suo corpo, nella misura in cui il lettore potrà ben immaginare.

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Terence si lasciava cullare dallo sferragliare del treno in corsa, ma non voleva ancora cedere al sonno. Era caldo e intimo sotto le lenzuola, con il corpo nudo di lei accoccolato accanto al suo. Sentiva il suo respiro regolare sul petto e capì che era ancora sveglia. Mentre le sue mani le accarezzavano la schiena, pensò che fosse talmente morbida al tatto da ricordargli la seta.

"Sei sveglia, vero?" le chiese.

"Sì".

"Posso farti una domanda?"

"Certo".


"Che cosa è successo dopo l’ultima pagina del tuo vecchio diario?" le chiese, dando voce all’interrogativo che aleggiava nella sua mente sin da quando aveva finito di leggerlo.

"Sono tornata in America e sono diventata un’infermiera", rispose brevemente lei.


"Questo lo so, sciocchina", rise lui, "Volevo sapere come hai fatto a tornare. Te ne sei andata prima che George o Albert ti trovassero, vero?" le chiese, incuriosito.

"Beh, sì. Credo di aver improvvisato", gli rispose con un sorriso.

Con un dito, Terence tracciò il contorno delle sue fossette, mezzo affascinato dal suo sorriso e mezzo allarmato dalle sue implicazioni.

"Cosa significa che hai ‘improvvisato’?" insistette lui.

"Non sapevo esattamente cosa fare dopo essermene andata. Sapevo solo che non avrei potuto restare in quella scuola e che volevo tornare in America. Così, feci le valigie e partii. Viaggiai su un carro, nascosta sotto il fieno, senza sapere a chi appartenesse. Pensavo che mi avrebbe portato al porto e una volta lì avrei trovato un modo per reperire il denaro per comprare un biglietto. Ma mi addormentai e mi risvegliai in una fattoria. Il proprietario, il Sig. Carson, era un vedovo burbero con tre figli. La più piccola, un’adorabile bambina, si ammalò ed io la accudii durante la malattia. Questo ritardò la mia partenza di alcuni giorni. Poi, mi aiutarono ad arrivare a Southampton, ma dato che non avevo il denaro per il biglietto, qualcuno mi suggerì di imbarcarmi clandestinamente. Ed è quello che feci".

"Ti sei imbarcata clandestinamente??? Non posso crederci!!! Dio mio, hai veramente del fegato!" disse lui, ridendo divertito dalla sua audacia.

"So che è stato alquanto irresponsabile da parte mia, ma volevo assolutamente tornare in America prima che arrivasse l’inverno. Se non potevo starti accanto, desideravo almeno che fossimo nello stesso paese, senza un oceano a dividerci. Fortunatamente, andò tutto bene e conobbi persino degli amici lungo la strada".

Commosso dalle sue parole, il giovane pensò ai pericoli a cui si era esposta a causa della sua giovanile impazienza. Tremò al solo pensiero delle mille calamità che avrebbero potuto verificarsi.

"Grazie a Dio non ti è successo niente", esclamò stringendola più forte, "Altrimenti non me lo sarei mai perdonato".

"Come bisogna fare con te, Terence? Quando imparerai che non sei responsabile di ogni disastro che accade al mondo?" ribatté lei con dolcezza.

Terence sorrise al suo commento, meravigliandosi del fatto che un semplice abbraccio avesse riacceso le sue voglie.

"Raccontami del tuo viaggio. Come hai fatto a imbarcarti?" le chiese, mentre intensificava le sue carezze.

"Io. . . io conobbi il Sig. Jenkins . . .era un marinaio. . . amico del Sig. Carson".

Candy tentò invano di continuare il suo racconto, mentre i baci di lui soffocavano le sue parole, costringendola a rimandare la conversazione a più tardi.

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(1) n**** - La famiglia Grandchester deteneva il ducato ed altri titoli sin dal XIV secolo. Per tutelare gli interessi della famiglia, il nome del Ducato e la contea originale a cui apparteneva il titolo non saranno resi noti in questa storia. Pertanto, si farà sempre riferimento al titolo quale Ducato di n****.
(2) Erede legittimo – nell’ambito della nobiltà inglese, l’Erede Legittimo è il primo in linea di successione e non può vedersi sottrarre il titolo, se non a seguito di emendamento alle regole disciplinanti la successione.
 
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view post Posted on 28/4/2013, 22:32     +4   +1   -1

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Capitolo 10
Sig.ra Graham - Sig.ra Grandchester


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Era giunta voce alla stampa che qualcosa di serio bollisse in pentola riguardo a Terence Graham. Un amico di un amico aveva lasciato trapelare la notizia che fosse fidanzato ed in procinto di sposarsi con una ricca ereditiera di Chicago. Se fosse stato vero, si sarebbe trattato di uno scoop da pubblicare direttamente nella rubrica Spettacolo. Tuttavia, lo sfuggente Sig. Graham non si era fatto vedere né a New York né a Chicago. I tabloid locali avevano sguinzagliato alcuni dei loro reporter alla stazione Grand Central in attesa dell’arrivo del Twentieth Century Limited. Conoscevano le abitudini del giovane attore e si aspettavano di vederlo calcare il tappeto rosso quanto prima. Pertanto, volevano essere certi di riuscire ad avvicinarlo per un’intervista.

Ma Terence era nel mondo dello spettacolo da molto tempo e non si sarebbe mai fatto incastrare tanto facilmente. Consapevole del fatto che la notizia della sua presenza alla festa di capodanno degli Andrew sarebbe giunta alla stampa prima o poi, fece ricorso a uno dei suoi trucchetti per evitare i giornalisti. Anziché arrivare fino alla stazione Grand Central, lui e sua moglie scesero all’ultima stazione del New Jersey, dove il suo autista, Roberto Barbera, li aspettava. La giovane coppia percorse il resto del tragitto nell’auto di Terence, una Packard modello 126 del 1923, raggiungendo il Village intorno all’ora di pranzo. Il giovane sapeva che avrebbe dovuto affrontare i giornalisti prima o poi, ma desiderava farlo alle proprie condizioni e nell’ambito di una conferenza stampa. Non voleva che i reporter spaventassero sua moglie con l’aggressività delle domande che erano soliti rivolgere incautamente alle celebrità, laddove non fossero costretti ad attenersi al protocollo di una conferenza stampa.

Beatamente ignara delle riflessioni di suo marito, Candy si era goduta il viaggio, che era stato del tutto all’altezza delle sue aspettative, finché finalmente non giunsero alla loro nuova casa. Non era mai stata al Greenwich Village e trovò che sembrasse meno freddo degli altri quartieri di quella grande città. Terence viveva in uno spazioso edificio sulla East 10th Street. Era una costruzione di 12 piani in mattoncini a qualche isolato da Washington Square Park. Candy era entusiasta di sapere che la sua nuova casa non fosse lontana da un po’ di verde.

L’atrio era arredato in stile elisabettiano e presentava una corte con giardino che dava un tocco di colore, cosa che Candy trovò molto gradevole. L’appartamento era tutt’altro che piccolo. Aveva tre camere da letto e una biblioteca, un salotto spazioso ed una sala da pranzo molto confortevole e luminosa. Attraverso delle grandi finestre, la luce del sole inondava le stanze, esaltandone l’effetto sulle pareti candide. I mobili seguivano linee molto semplici, giocando con tonalità di avorio, blu scuro e verde Nilo su sfondo bianco. L’insieme era decisamente snello e pulito, proprio come il proprietario. Candy si era innamorata della casa a prima vista, ritenendo che ci fosse bisogno solo di qualche pianta qui e là e forse di leggere tende nella camera da letto padronale. Comunque, pensò di poter rimediare al più presto.

Dopo aver sistemato il bagaglio nella camera da letto, Candy fu ufficialmente presentata alla governante, la Sig.ra O'Malley, una donna corpulenta di mezza età dai capelli brizzolati. La donna era di origine irlandese e Candy trovò subito uno spunto di conversazione, informandola che anche una delle sue migliori amiche era irlandese. La Sig.ra O'Malley, che già conosceva Candy di nome, avendo ritirato la maggior parte delle sue lettere nei mesi trascorsi, restò piacevolmente sorpresa dalla nuova Sig.ra Graham. Pensò che la giovane fosse estroversa e chiaramente di buona famiglia.
Il Sig. Graham si era comportato in modo piuttosto insolito prima dell’inizio della tournée e la sua governante, che la sapeva lunga, pensò che ciò fosse in qualche modo correlato alle profumate lettere rosa che aveva ricevuto ogni settimana dal mese di giugno. Temeva che un nuovo affetto stesse crescendo nel cuore del suo datore di lavoro. La sua esperienza con la defunta Signorina Marlowe era andata talmente male, che paventava il giorno in cui un’altra donna sarebbe venuta a vivere con lui. Le preoccupazioni della governante avevano acquisito maggior peso quando il Sig. Graham le aveva chiesto di spedirgli l’anello di fidanzamento che teneva in cassaforte.

"Ha intenzione di portare a casa un’altra "fidanzata"? si domandò la Sig.ra O'Malley, non essendo certa che i gusti del suo capo corrispondessero alle sue preferenze riguardo ad una futura padrona di casa.

Ma la sorpresa della Sig.ra O'Malley aveva raggiunto il culmine nel momento in cui il suo datore di lavoro l’aveva chiamata per informarla che sarebbe tornato a casa con sua moglie.

"Beh, questo cambia decisamente le cose", aveva pensato la governante, "Deve trattarsi di una vera signora per spingere il Sig. Graham ad impegnarsi fino a tal punto. Non come quella ragazzina linguacciuta che si definiva la sua fidanzata".

Alla Sig.ra O'Malley non era mai piaciuta Susannah Marlowe. Tuttavia, non riusciva a capire come mai un uomo che avesse vissuto per anni con una donna, senza mai legittimare la loro unione, avesse chiesto la mano di un’altra dopo appena sei mesi di rapporto epistolare. Nei mesi a venire, la Sig.ra O'Malley non sarebbe stata l’unica a porsi quella domanda.

Eppure, questa volta la Sig.ra O'Malley fu grata al suo datore di lavoro per l’apparente impulsività. Trovava che la Sig.ra Graham fosse di una bellezza discreta ma ben più coinvolgente della Signorina Marlowe, oltre che estremamente gentile e ben educata. Pertanto, quando Terence le diede il resto della settimana libera, la Sig.ra O'Malley fece ritorno a casa decisamente soddisfatta della sua nuova padrona di casa, certa che questa volta avrebbe servito una signora.

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Gli sposi passarono il resto di quel giovedì in totale beatitudine, lasciandosi andare alla comunione fisica e spirituale senza che nessuno li interrompesse. Essendo due spiriti liberi nell’animo, diedero libero sfogo ad ogni loro fantasia, indugiando in un delizioso bagno ben più a lungo del necessario e mangiucchiando qualcosa in cucina quando non erano impegnati a fare l’amore. Terence aveva scoperto che sua moglie era un’avida apprendista nelle arti di Afrodite e si complimentò con se stesso per aver trovato una donna che soddisfacesse le sue aspettative da ogni punto di vista. Lui, che aveva sempre creduto che la fortuna non fosse dalla sua parte, si era improvvisamente sentito travolto da un amore passionale, cosa non affatto comune.

Sfortunatamente, anche i momenti più belli della vita giungono al termine prima o poi, ed il giorno seguente Terence si trovò costretto a tornare alla realtà, dovendo partecipare ad un’improrogabile riunione di lavoro con la Compagnia Stratford. Prima di uscire, si era raccomandato con sua moglie affinché non si avventurasse da sola fuori dall’appartamento, in modo da evitare i giornalisti. A Candy non piaceva granché l’idea, ma pensò che probabilmente Terence avesse le sue buone ragioni per essere così cauto. Pertanto, si accontentò di familiarizzare con la sua nuova casa e mettere a posto il disordine che avevano creato nelle precedenti ore.
Terence, che si aspettava la solita riunione per discutere delle rappresentazioni previste per la nuova stagione, dovette affrontare la più spiacevole delle sorprese. Una volta presenti tutti i membri della compagnia e scambiatisi gli auguri per l’anno nuovo, Hathaway diede una notizia del tutto inattesa, annunciando la sua volontà di ritirarsi e di vendere la compagnia.
Come c’era da aspettarsi, le implicazioni di un tale cambiamento causarono un certo turbamento a tutti gli attori. Tuttavia, Hathaway aveva ribadito che avrebbe venduto la compagnia soltanto qualora il compratore gli avesse assicurato di continuare sulla stessa linea drammatica di sempre. La conferma di tutti gli attori ed il mantenimento delle attuali condizioni di lavoro facevano parte dei requisiti per la cessione. Di fatto, vi erano già un paio di potenziali acquirenti ed uno di essi in particolare vantava un lignaggio teatrale d’eccezione. Le sue parole placarono le ansie degli attori e dunque la riunione poté proseguire concentrandosi sugli spettacoli previsti per la stagione. Dopo aver concordato il calendario per le letture ed aver discusso di eventuali opportunità lavorative e delle prove, la riunione giunse al termine. Mentre gli attori si accingevano ad andarsene, Hathaway si avvicinò a Terence chiedendogli di trattenersi per un colloquio privato. Nessuno dei presenti ne rimase sorpreso, perché era consuetudine per Hathaway fermarsi a parlare con il suo primo attore di quando in quando.

I due uomini entrarono nell’ufficio di Hathaway e quest’ultimo, sapendo che il suo pupillo aveva smesso di bere, decise di offrirgli un sigaro.

"No, ti ringrazio, Robert, sto cercando di smettere", rispose il giovane, accomodandosi sul divano e accavallando le gambe.

"Dici sul serio?" chiese Hathaway, aggrottando la fronte incredulo, mentre prendeva posto di fronte a Terence con un bicchiere di Bourbon in mano.

"Certamente. Qualcuno mi ha detto che potrebbe giovare alla mia voce".

"E da quando ascolti i consigli della gente? Non è da te, Terence", ridacchiò Hathaway, scuotendo il capo.

"Beh, non è mai troppo tardi per cominciare, giusto?" rispose il giovane, incrociando le mani dietro la testa e appoggiandosi allo schienale del divano.

"Immagino di sì", rispose Hathaway, fissando distrattamente il suo whiskey. "Comunque, volevo parlarti di questa questione della cessione".

"Non c’è nulla di cui parlare, Robert", lo interruppe Terence, "Capisco perfettamente che la salute di tua moglie viene prima di tutto. Se fossi al tuo posto mi comporterei esattamente allo stesso modo. Non preoccuparti di noi e cerca di concludere un buon affare. Il resto non conta".

"Ti ringrazio, Terence. Ti assicuro che prenderò una decisione solo dopo aver considerato attentamente cos’è meglio per tutti. Tuttavia, sono particolarmente preoccupato per te".

"Per me? E perché mai?" chiese il giovane attore, temendo che Robert avesse qualche spiacevole rivelazione da fargli. "Stai pensando di vendere a qualcuno che potrebbe non piacermi?"

"Beh, devo ancora incontrare una persona che possa onestamente piacerti”, rise l’uomo da dietro al suo bicchiere. Conosceva bene il carattere scostante del suo pupillo.

"Stavo parlando in generale. So che le relazioni pubbliche non fanno parte delle mie qualità, ma credo di poter essere sufficientemente professionale da cavarmela con un nuovo regista".

"Forse non con colui che potrebbe essere a capo della compagnia a partire dal prossimo autunno".
Il tono cupo di Hathaway aggravò ulteriormente lo stato di allerta di Terence.

"Di cosa stai parlando, Robert?", gli domandò senza mezzi termini.

"I Barrymore mi hanno fatto un’offerta decisamente superiore all’importo a cui pensavo”, confessò Hathaway, mettendo da parte il suo bicchiere ormai mezzo vuoto.

"Dunque la Famiglia Reale vuole la Stratford", concluse Terence, incrociando le braccia al petto.

"Temo di sì".

"Immagino che tu abbia paura di cosa potrebbe accadere se scoprissero chi è mia madre".

"Beh, in parte sì. Ma mi preoccupa anche il fatto che John Barrymore non voglia concorrenza in seno alla sua compagnia".

Robert Hathaway sapeva bene che John Barrymore era abituato a ruoli da protagonista e non avrebbe esitato a mettere da parte chiunque avesse potuto metterlo in ombra.

"Potrei essere io a non voler avere nulla a che fare con loro", rispose Terence con il suo consueto distacco. "Senza offesa, so che i Barrymore hanno talento, ma il capofamiglia era quasi riuscito a rovinare la carriera di mia madre. Non mi ci vedo a lavorare con i suoi figli. Specialmente se hanno intenzione di trattarmi con condiscendenza, come sono abituati a fare con tutti qui a Broadway".

Quest’ultimo commento fece rabbuiare Hathaway. Desiderava fare un buon affare, ma non a costo che il suo pupillo fosse trattato ingiustamente.

"Allora, se le cose stanno così, scarterò questa possibilità".

"Non commettere una simile sciocchezza, Robert”, ribatté Terence con enfasi, “Apprezzo la tua lealtà, ma riguardo a questa questione dovresti considerare quel che è meglio per te e Melanie”.

"Non se questo mette a repentaglio il tuo futuro, figliolo".

A quel punto, forse per la prima volta in vita sua, Terence rivolse ad Hathaway uno sguardo quasi di tenerezza.

"Hai fatto fin troppo per me, Robert", rispose il giovane dando una pacca sulla spalla del suo mentore, "Penso di potermela cavare in un’altra compagnia…chi lo sa, potrei anche decidere di lavorare come indipendente. Mia madre mi aveva consigliato qualcosa del genere qualche mese fa".

"Ne sei certo?" chiese Hathaway, i cui dubbi non erano stati del tutto fugati.

"Non c’è pressoché nulla di certo in questa vita, Robert. Comunque, credo proprio che dovresti vendere ai Barrymore, se ti hanno fatto un’offerta così vantaggiosa. Io troverò una sistemazione prima o poi".

"Lo apprezzo molto, Terence", disse l’uomo, visibilmente commosso dal sincero interessamento del suo pupillo, "Non mi resta che sperare di avere una fantastica stagione per il mio addio al teatro".

"Forse ho un paio di assi nella manica per garantirci un po’ di pubblicità extra quest’anno”, osservò Terence con un mezzo sorriso.

"Davvero? Cos’hai in mente, figliolo?"

"Beh, innanzitutto, dopo il successo che ho avuto con Macbeth, pensavo di impersonare un altro ‘cattivo’. Ma questa volta vorrei fare qualcosa di ancora più impegnativo. Che ne diresti se mettessimo in scena Riccardo III anziché La Tempesta come spettacolo di punta della stagione?"

"Vuoi recitare nella parte di Riccardo III?"

Questa volta fu Robert a restare sorpreso. Mettere in scena Riccardo III come ultimo spettacolo della carriera sarebbe stato il desiderio di qualunque regista. L’opera era talmente complessa e incisiva da poter dar vita ad uno dei suoi più grandi successi professionali come regista, specialmente potendo contare su un primo attore del calibro di Terence.

"Allora immagino che truccatrici e costumiste dovranno fare gli straordinari. Trasformare un bel ragazzo come te in Riccardo III sarà un’impresa alquanto ardua".

"Mi hai sempre detto che il trucco migliore di un attore sono la sua voce ed il suo atteggiamento. Sono certo che faremo un ottimo lavoro".

"D’accordo! Questa stagione proveremo Riccardo III", concluse Robert sfregandosi le mani al pensiero dei successi che lo aspettavano.

"C’è’ un’altra cosa, Robert", aggiunse Terence con disinvoltura, "Vorrei convocare una conferenza stampa per fare un annuncio".

"Tu VUOI convocare una conferenza stampa?" gli chiese Robert restando a bocca aperta per l’incredulità, "Penso proprio di potermi ritirare in santa pace adesso. Posso dire di averle viste tutte! Terence Graham che desiderare parlare con i giornalisti. Si avvicina forse l’Apocalisse?"

"Oh, ti prego Robert. Non farne un dramma!" ridacchiò Terence. "Lo so che ti ho sempre dato filo da torcere con i giornalisti. Ma questa volta ho una notizia che merita un annuncio ufficiale. Vedi, Robert, mi sono appena sposato".

Un pesantissimo silenzio scese fra di loro per qualche secondo, prima che Robert ritrovasse facoltà di parola.

"Ho sentito bene? Hai forse detto di esserti sposato?"

"Proprio così!" rispose Terence, sollevando il suo solito sopracciglio come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo.

"Allora tutte quelle voci erano vere! Non ho voluto crederci perché ero convinto che non fossi tipo da matrimonio".

"Ti sbagliavi, amico mio. Non sono più sul mercato e ne sono molto felice".
Il sorriso radioso di Terence, chiaro sintomo della sua sincera felicità, sembrava del tutto estraneo al volto del giovane.

"Chi sei tu? E cosa ne hai fatto del mio primo attore?" scherzò Hathaway, incapace di riconoscere il suo cupo amico nell’uomo genuinamente felice che sedeva di fronte a lui.

"Accidenti, Robert! È così difficile da credere?"

"Aspetta un attimo! In tutto ciò c’entra forse qualcosa l’Angelo di Pittsburgh?" fu l’immediata conclusione di Hathaway.

"C’entra eccome! Solo che quell’Angelo non è di Pittsburgh, ma dell’Indiana. E ora si trova nel mio appartamento, dove penso seriamente di tenerla in ostaggio per il resto della vita".

"Sei un uomo bizzarro, Terence! Sei sicuro che non ti importi che venda la compagnia ai Barrymore lasciandoti senza lavoro proprio ora che ti sei appena sposato?"

"Ovviamente sono preoccupato, Robert", ammise Terence in tutta onestà, "Ma ne ho passate di peggio e la mia Sig.ra Graham non è certo il tipo da svenire davanti ai problemi. Su questo non ho dubbi”, aggiunse, sicuro della lealtà che gli avrebbe dimostrato sua moglie in caso di eventuali difficoltà.

"Allora devi presentare subito la Sig.ra Graham a me e Melanie. Che ne dici di venire a cena da noi lunedì prossimo?"

"Mi sembra un’ottima idea, ma credo di doverne prima parlare con la mia signora".

"Ora sì che parli come un uomo sposato".

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Oxford, 30 Dicembre 1924

Carissima Candy,

Non sto nella pelle per la notizia! Quando ho letto la tua lettera, non riuscivo a credere a quanto il Signore fosse stato misericordioso con noi tutti. Sapere che, malgrado le circostanze, tu e Terence abbiate finalmente ritrovato quell’amore che vi aveva sempre uniti è decisamente la notizia più bella che abbia mai ricevuto dalla nascita del piccolo Alistair.

In tutti questi anni ho sempre creduto che la vostra separazione, sebbene foste entrambi in vita su questa terra, fosse una terribile atrocità. Ora devo confessarti, cara amica, di averlo visto quando è stato in Inghilterra quest’anno. Recitava nella parte di Marcantonio ed aveva un portamento più regale che mai. Ovviamente, lui non mi ha notata. Ero solo una qualunque spettatrice tra il pubblico, con il privilegio di apprezzare la sua superba recitazione. Sai bene quanto io sia timida. Non avrei mai osato farmi vedere.

Comunque, ho avuto modo di osservarlo mentre usciva dal teatro, anche se da lontano. Spogliato delle vesti del suo personaggio, sembrava stanco e triste, come se fosse combattuto. Era così diverso dal ragazzo sereno e felice che avevo visto in Scozia tanto tempo fa. Ho pensato che anche dopo tutti questi anni sentisse ancora la tua mancanza. Ora so che avevo ragione.

Per quanto avessi apprezzato il suo spettacolo, ho volutamente deciso di non parlartene quando ci siamo viste alla tua festa di compleanno lo scorso maggio. Sapevo che il nome di Terence era tabù e non volevo farti preoccupare condividendo con te le mie osservazioni sul suo triste contegno. Mi permetto di farlo ora, perché sono certa che abbia ritrovato il suo sorriso accanto a te.

Sono felice per entrambi. Ti prego di porgere a Terence i miei più sinceri auguri per la vostra vita insieme e digli che è un uomo molto fortunato. Mi dispiace soltanto di non aver potuto essere presente al vostro matrimonio. Ma non ti biasimo. So bene che la vostra attesa è stata fin troppo lunga.

Spero solo di rivederti presto. Purtroppo, però, temo di non poter venire in America la prossima estate. Devo terminare la tesi entro l'anno. Ma forse potresti venire tu in Inghilterra, ora che sei sposata con Terence. Chi lo sa? Potrebbe venire nuovamente qui in tournée presto. Se ciò dovesse accadere, sarei felicissima di accogliervi in casa mia.

In attesa di rivederti, ti abbraccio con l’affetto di sempre

Patricia O’Brien



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Candy tirò un profondo sospiro mentre ripiegava la lettera di Patty per riporla nel cofanetto di legno dove conservava la sua corrispondenza. Era la prima missiva che riceveva nella sua nuova casa di New York. Quando aveva letto della tristezza di Terence, aveva sentito un’improvvisa fitta al petto. Nel profondo del suo cuore, non riusciva ancora a perdonarsi per averlo lasciato quella fatidica sera all’ospedale. Tuttavia, si stava impegnando con tutte le proprie forze per recuperare il tempo perduto.

Dopo il primo idilliaco weekend passato insieme a lui, Candy aveva iniziato a familiarizzare con il suo mondo. Il lunedì successivo aveva ricevuto la Sig.ra O'Malley ed il Sig. Barbera, gli unici due dipendenti di suo marito, per conoscere meglio le loro mansioni e spiegar loro che la sua presenza in casa non avrebbe comportato alcun aggravio di lavoro. Al contrario, la Sig.ra O'Malley fu sorpresa nell’apprendere che la Sig.ra Graham desiderava esentarla dalla preparazione dei pasti, perché aveva intenzione di occuparsene personalmente. Si trattava di una cosa assolutamente scandalosa, pensò la Sig.ra O'Malley, ma per una ragione a lei ignota, era praticamente impossibile resistere al fascino della nuova padrona di casa ed alle sue bizzarre idee riguardo all’organizzazione delle mansioni casalinghe. Pertanto, accondiscese senza proferire parola.

Roberto, che non amava la cucina irlandese della Sig.ra O'Malley, accolse con favore la novità, in particolare una volta resosi conto che la Sig.ra Graham era decisamente un’ottima cuoca. Ed un tale apprezzamento da parte di un italiano era decisamente un grande complimento per le abilità culinarie di Candy. Persino la Sig.ra O'Malley dovette ammettere che la padrona di casa era più brava di lei.
Dunque, la governante fu lieta di poter concentrare i propri sforzi sulla pulizia dell’appartamento e sulla biancheria da lavare. Non che i suoi padroni di casa le dessero particolarmente da fare. Il Sig. Graham era sempre stato piuttosto ordinato; cosa rara per un uomo, pensò la donna. Quando si trattava di ordine e igiene, sua moglie era persino più scrupolosa. A volte la Sig.ra O'Malley aveva l’impressione che la signora volesse trasformare l’appartamento in un ospedale, ma soddisfaceva comunque ogni sua richiesta, perché la Sig.ra Graham aveva un modo di chiedere le cose talmente cortese e gentile da non risultare affatto gravoso.

Nel corso della stessa settimana, Candy conobbe gli Hathaway e bastò un’unica serata per entrare nelle loro grazie. Melanie Hathaway sembrava meno incline a lasciarsi sedurre dal fascino della Sig.ra Graham. Era stata una cara amica di Susanna Marlowe e per questo motivo, aveva assunto un atteggiamento alquanto difensivo quando suo marito le aveva comunicato la notizia del recente matrimonio di Terence. La Sig.ra Hathaway sapeva che Terence aveva rispettato un decoroso periodo di lutto dopo la morte di Susanna, ma non aveva comunque gradito il fatto che il giovane si fosse sposato così all’improvviso. Era intollerabile, soprattutto sapendo che la sua amica Susanna aveva aspettato per anni senza mai giungere all’altare. Eppure, Melanie sapeva che il matrimonio era stato più volte rimandato a causa della madre di Susanna. Sicuramente la nuova Sig.ra Graham era stata ben più astuta ed aveva colto l’opportunità al volo, una volta presentatasi. Questo faceva forse di lei una poco di buono?

Gli Hathaway ignoravano il ruolo che Candy aveva rivestito in passato nella vita di Terence. Il giovane aveva sempre tenuto per sé la loro relazione e Susanna non aveva mai confidato a Melanie i drammatici dettagli della sua storia con Candice White Andrew. Quindi, quando Candy fu presentata al regista ed a sua moglie, essi non disponevano di alcuna informazione pregiudizievole nei suoi confronti, ad eccezione del fatto che si trattava di una donna che aveva raggiunto un obiettivo che sembrava irraggiungibile.

Malgrado le riserve di Melanie, le ci vollero solo pochi minuti per capire che quella giovane, dal carattere completamente diverso da quello riservato di Susanna, fosse padrona del cuore di Terence come nessun’altra. Melanie era assolutamente sbalordita. Influenzata dalla sua simpatia per Susanna, aveva creduto in passato che Terence fosse incapace di manifestazioni di affetto in pubblico. Il fatto che la defunta attrice si vantasse costantemente della devozione dimostratale dal suo fidanzato aveva indotto Melanie a credere che Terence fosse realmente innamorato di Susanna, malgrado il suo apparente distacco. Ma il giovane che le aveva presentato sua moglie quella sera era un Terence Graham completamente diverso. Ogni scusa era buona per abbracciare la sua signora ed il suo volto si illuminava di un involontario sorriso ogni volta che il suo sguardo si posava su di lei. Era indubbiamente innamorato cotto.

Robert Hathaway, invece, che non aveva mai avuto un debole per Susanna, non si era lasciato trarre in inganno. Era convinto che il rapporto tra i suoi due attori fosse solo una messinscena, quantomeno da parte di Terence. Al contrario, con questa ragazza era stato tutto diverso sin dal’inizio. Quello che era successo a Pittsburgh era stato talmente insolito per Terence, che doveva per forza trattarsi di un amore saldo e forte. L’interazione tra il giovane attore e sua moglie durante la cena ne era stata la definitiva conferma. Robert fu lieto di sapere che dopotutto il suo primo attore era un essere umano.

Alla fine, persino la Sig.ra Hathaway fu conquistata da quella giovane così modesta e cordiale. Si sa che l’amore vero ci fa risplendere di una luce irresistibile ed era ovvio che la Sig.ra Graham fosse inondata da quella luce. Nonostante la devozione di Melanie nei confronti di Susanna, non poté resistere al fascino di Candice e, a fine serata, confessò a suo marito il desiderio di approfondire ulteriormente la loro conoscenza.

Finora tutto sembrava andare a gonfie vele nella sua vita, pensò Candy, mettendo da parte la corrispondenza e avvicinandosi alla finestra. Controllò i bulbi di narcisi che aveva portato con sé dall’Indiana. A causa delle rigide temperature, li teneva in camera da letto, innaffiandoli puntualmente. Chiuse gli occhi ed espresse il desiderio che fosse presto primavera. Eppure, quell’anno, il sole sembrava essere giunto in anticipo a splendere nel suo cuore.

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Infine, dopo un’attesa che era stata particolarmente difficile per Candice, giunse il tanto temuto giorno della conferenza stampa. Non essendo abituata a parlare in pubblico, perlopiù davanti ai fotografi e sotto la pressione dei media, la giovane aveva dormito appena la notte precedente all’evento. Di fatto, non sarebbero state concesse troppe domande sul loro recente matrimonio, perché il principale oggetto della conferenza non sarebbe stata la vita privata di Terence, bensì la presentazione del nuovo programma teatrale. Tuttavia, i Graham avevano studiato nei minimi dettagli come affrontare i giornalisti, concordando quanto avrebbero voluto e dovuto rivelare. Malgrado i preparativi, però, Candy temeva la novità della situazione e soprattutto aveva paura che la sua incapacità di esprimersi potesse finire per rovinare tutto.

Dunque, era con grande trepidazione che attendeva nella stanza accanto, mentre suo marito e gli altri membri della compagnia, unitamente a Robert Hathaway, facevano il loro ingresso nella sala dove si sarebbe tenuta la conferenza. Mentre camminava nervosamente su e giù, Candy udì il moderatore che dava inizio alla conferenza.

"Signore e Signori, la Compagnia Stratford vi dà il benvenuto a questa conferenza stampa. Vi ringraziamo per la vostra partecipazione e per l’interesse nei confronti del nostro lavoro. Saremo lieti di presentarvi le opere che metteremo in scena nel corso della prossima stagione, nonché gli attori che ricopriranno i ruoli chiave. Inoltre, faremo un annuncio di grande importanza per il futuro della compagnia, dopodiché lasceremo spazio alle vostre domande. Infine, sappiamo che avete interesse ad ascoltare cosa avrà da dire il nostro primo attore, il Sig. Graham, rispetto ad alcune voci che riguardano la sua vita privata. Il Sig. Graham sarà lieto di rispondere ad alcune domande su questo argomento, ma solo al termine della conferenza. Ora, per presentare le opere che saranno messe in scena nel corso della prossima stagione e per discutere del cast prescelto, passo la parola al nostro regista e direttore, Robert Hathaway".

Nel tentativo di controllare la propria inquietudine, Candy si sfregò le mani, mentre Robert Hathaway annunciava le opere in cartellone. L’attenzione dei presenti si concentrò perlopiù sulla scelta di Riccardo III, dato che erano passati anni dall’ultima volta che la compagnia l’aveva messo in scena. Inoltre, l’assegnazione del ruolo da protagonista a Terence Graham diede adito ad un’altra serie di domande sulla questione, a cui Terence rispose con la sua consueta sobrietà. Mentre ascoltava la sua voce, da cui trasparivano tranquillità e padronanza di sé, la giovane si meravigliò nuovamente di far parte della sua vita. Candy sapeva di essere l’unica a godere del privilegio di ascoltare quella stessa voce, solitamente così fredda e distaccata, trasformarsi in tenera e dolce tra le sue braccia. Guardò ancora una volta gli anelli che portava alla mano sinistra, come per avere conferma che non si trattasse solo di un sogno.

Una volta terminata la presentazione degli spettacoli e del cast in programma per la stagione, Robert Hathaway annunciò ufficialmente il suo imminente ritiro. Come previsto, quest’ultima notizia scatenò una serie di domande riguardo alle motivazioni di un così precoce allontanamento dalle scene ed al futuro della compagnia. Candy pensò che Hathaway fosse piuttosto disinvolto nel gestire le domande dei giornalisti. Da una parte, la giovane aveva trovato particolarmente commovente il modo in cui aveva spiegato che la sua unica priorità era la salute di sua moglie. Dall’altra, essendo un abile uomo d’affari, Hathaway aveva rivelato solo alcuni dettagli rispetto all’intenzione di vendere la compagnia, senza accennare ai nomi dei potenziali acquirenti. Tuttavia, aveva promesso di convocare un’altra conferenza stampa, unitamente al nuovo proprietario, non appena fossero state disponibili informazioni di prima mano sulla questione.

Infine, giunse il momento di concludere la conferenza con l’ultima serie di domande. Candy si portò una mano al petto per accarezzare il suo vecchio crocifisso e farsi coraggio.

"Ora, signore e signori, a conclusione della nostra conferenza, il Sig. Graham soddisferà la vostra curiosità relativamente alle voci di cui siamo tutti a conoscenza. Mi permetto solo di ricordarvi che saranno concesse solo alcune domande e che non sarà possibile condurre interviste successivamente alla conclusione della conferenza. Gradiremmo che rispettaste queste condizioni. La parola al Sig. Graham, prego".


"Certamente. In realtà non vi è molto da dire sulla questione, pertanto sarò breve”, esordì Terence con la stessa serietà e padronanza di sé dimostrata nel corso dell’intera conferenza, "In relazione alle voce secondo cui mi sarei recentemente sposato, sono lieto di annunciarvi che le informazioni in vostro possesso corrispondono a verità. Io e l’incantevole dama che ora è mia moglie ci siamo sposati un paio di settimane fa".

A questa dichiarazione fece seguito un brusio generale. Dimenticando per un attimo il protocollo, alcuni giornalisti iniziarono a porre domande a raffica, finché non furono richiamati all’ordine dal moderatore.

"Signore e signori, vi prego. Vi ricordo la necessità di alzare la mano prima di porre le vostre domande”, sottolineò l’uomo, dopodiché, rivolgendosi ad uno dei giornalisti presenti, disse: "Sig. Callaway, del Daily News".

"Quando sarà possibile conoscere Sua moglie, signore?" chiese il giornalista, reagendo alle parole del moderatore.


"Cosa ne direbbe se Le dicessi adesso, Sig. Callaway?" rispose Terence, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la porta comunicante con la stanza adiacente.

Un attimo dopo, la porta si aprì ed una giovane bionda in un tubino nero di Jean Patou con colletto di pizzo fece il suo ingresso. La donna fu inondata dai flash delle fotocamere, mentre suo marito la conduceva verso il posto vuoto accanto a sé. Una volta accomodatisi, il giovane si rivolse nuovamente agli astanti.

"Signore e Signori, credo di non esagerare affatto dicendovi che sono fiero ed onorato di presentarvi mia moglie, la Sig.ra Graham".

"Il nome della Sua signora?", gridò una voce non meglio identificata.

"Immagino che possa darvi questa informazione lei stessa", disse Terence passandole il microfono.

"Beh, innanzitutto buon pomeriggio a tutti", esordì la giovane, sorridendo nervosamente, "Il mio nome è Candice White e prima di sposarmi con il Sig. Graham il mio cognome era Andrew".

Diversi giornalisti alzarono nuovamente la mano.

"Sig. Rodgers, del New York Post", disse il moderatore.

"Sig.ra Graham, sarebbe così gentile da fornirci qualche informazione in più? Ad esempio, è forse imparentata con gli Andrew di Chicago?"

"Volentieri, Sig. . ." iniziò Candy con una certa esitazione.

"Samuel Rodgers", rispose il giornalista.

"La ringrazio, Sig. Rodgers, molto gentile", replicò la giovane con un sorriso. "La risposta è sì, sono un membro della famiglia Andrew; tuttavia, solo in conseguenza della mia adozione. Il Sig. William Albert è il mio padre adottivo. Sono entrata a far parte della famiglia quando avevo quattordici anni. Sono infatti cresciuta in un orfanotrofio dell’Indiana. Non ho mai conosciuto i miei veri genitori".

Una tale rivelazione, condivisa con estrema sincerità e modestia, le valse immediatamente la simpatia dei presenti. Dopodiché, un altro giornalista alzò la mano.

"Sig. Norton, del Chicago Tribune", disse il moderatore e Candy si ripromise di ricordarne il nome, questa volta.

"Sig.ra Graham, sono venuto sin qui da Chicago perché girava voce che Lei fosse di quelle parti. I miei lettori conoscono molto bene la Sua importante famiglia e saranno sicuramente interessati a sapere come è stata accolta dagli Andrew la notizia del Suo matrimonio con un attore".

"La ringrazio per il Suo interesse, Sig. Norton", rispose Candy e Terence notò come stesse acquisendo sicurezza ad ogni minuto che passava, "Ho la fortuna di avere un ottimo rapporto con il mio padre adottivo. Essendo di Chicago, Lei saprà sicuramente che egli è piuttosto giovane per essere il padre di una donna della mia età. In virtù di ciò, l’ho sempre considerato come un fratello maggiore e come qualsiasi buon fratello mi ha sempre sostenuta in ogni mia decisione. Sia lui che i membri più anziani della nostra famiglia conoscono mio marito e ci hanno dato la loro benedizione. E non avrebbero potuto fare altrimenti, perché sono stata fortunata ad aver sposato l’uomo migliore al mondo. Beh, immagino che in effetti il mio giudizio sia alquanto di parte”, concluse poi, lanciando un amorevole sguardo in direzione di suo marito.

Quest’ultimo commento scatenò l’ilarità dei presenti e subito dopo un altro giornalista fu invitato a porre la sua domanda.


"Signora, posso chiederLe come vi siete conosciuti Lei ed il Sig. Graham?"

"Ci siamo conosciuti molto tempo fa. Vede, frequentavamo la stessa scuola; ma ci siamo persi di vista con il passare degli anni, come spesso accade fra compagni di scuola. Ho avuto la fortuna di rincontrarlo durante uno dei miei viaggi lo scorso novembre", disse interrompendosi per un attimo per lanciargli uno sguardo, seguito da un fugace sorriso, per poi proseguire. "Il Sig. Graham era in tournée ed io ero impegnata con la mia raccolta fondi. Negli ultimi cinque anni ho seguito personalmente le iniziative benefiche a favore dei bambini orfani dell’Indiana. Possiamo dire che si sia trattato di una coincidenza".

"Lei ed il Sig. Graham eravate fidanzati ai tempi della scuola?" chiese una donna, senza essersi presentata.

"No, signora. Eravamo solo buoni amici, ma non ci sentivamo da tempo", rispose Candy con un enigmatico sorriso.

"Signore e signori", intervenne il moderatore, "c’è tempo solo per un’ultima domanda. Bene, Sig.ra Steel, del New York Times”.

"La domanda è per il Sig. Graham", disse la giornalista interpellata, alla cui affermazione Terence annuì. "Signore, il Suo improvviso matrimonio ha spinto tutti a domandarsi come fosse possibile chiedere la mano di una donna e sposarla nel giro di un paio di mesi, dopo essere stato fidanzato per sei anni con un’altra senza averla mai condotta all’altare. Posso chiedergliene la ragione?"

Terence sapeva che gli sarebbe stata posta una domanda del genere prima o poi. Tuttavia, indipendentemente da ciò che si aspettava, la malignità della sottostante intenzione lo disgustò.

"Ebbene, Signorina Steel", esordì con tono ancor più serio di prima, che non intaccava tuttavia il suo disinvolto contegno, "essendo un uomo di teatro, credo fermamente nel destino. Ovvero, credo che a volte, a prescindere dalla nostra volontà e dalle nostre più sincere intenzioni, gli eventi volgano in una direzione inaspettata, guidandoci verso esiti del tutto sorprendenti. La mia relazione con la Signorina Marlowe è stata segnata da imprevedibili sciagure. Il suo incidente, gli alti e bassi della mia carriera – di cui tutti voi siete a conoscenza – la fatale malattia che l’ha colpita durante il fidanzamento, rendendo impossibile il nostro matrimonio. Tutto ciò non aveva nulla a che vedere con la serietà dell’impegno da me preso nei suoi confronti e con la solidità della mia parola d’onore. Credo semplicemente che non fosse destino. Dopo questa terribile prova, ho rincontrato Candice ed una grande verità mi è apparsa chiara come il sole: saggio è colui che coglie l’opportunità quando il destino gli spalanca le porte della felicità. Oltre a ciò, non posso che esprimere al meglio i miei sentimenti prendendo in prestito le parole del Bardo: “ora l'inverno del “mio” scontento è reso estate gloriosa da questo sole di York, e tutte le nuvole che incombevano minacciose sulla “mia” casa sono sepolte nel petto profondo dell’oceano”. (1)

E con queste parole, Terence si alzò in piedi, aiutando sua moglie ad uscire dalla sala. Il moderatore concluse la conferenza e, come preventivamente concordato, non furono concesse altre domande od interviste.

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Più tardi quella sera i Graham stavano terminando di cenare nel loro appartamento. La Sig.ra O'Malley ed il Sig. Barbera erano già stati congedati, pertanto i due sposini godevano della reciproca compagnia mentre sparecchiavano la tavola.

"Dimmi la verità, Terence. Come sono andata?" gli chiese Candy, mentre indossava un grembiule accingendosi a lavare i piatti.

"Molto bene, direi; specialmente considerate tutte le storie che hai fatto sulla tua incapacità di parlare in pubblico”, rispose lui con naturalezza, mentre depositava i piatti nel lavandino.

"Sul serio? Mentre eravamo lì, ho pensato che stessi combinando un pasticcio dietro l’altro. Sono solo felice che sia finita".

"Non pensarci più. Sicuramente insisteranno un po’ per un’intervista, ma se non dovessero ottenere quello che vogliono, troveranno presto qualcos’altro che possa interessare ai loro lettori e si dimenticheranno di noi. Ti prometto che non dovrai più affrontare nulla del genere, signorina tuttelentiggini", concluse lui, dandole un fugace buffetto sulla punta del naso sbarazzino.

"Lo spero vivamente. Fa davvero uno strano effetto sentirsi interrogare sulla propria vita privata da un perfetto estraneo. Ma ora che è finita possiamo buttarci tutto alle spalle, giusto?"

Terence lanciò uno sguardo a sua moglie e, per tutta risposta, sollevò d’istinto il sopracciglio sinistro. Lei comprese immediatamente che non aveva ancora voglia di lasciar cadere l’argomento.

"In verità, prima di chiudere la questione, avrei una lamentela da fare", le disse, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi al bancone della cucina.

"Davvero?" gli chiese lei, con un tono che lo invitava a spiegarsi meglio.

"Sì, hai mentito ben due volte in risposta alle domande che ti sono state poste e se non erro eravamo d’accordo di attenerci alla verità senza rivelare particolari troppo personali”, la rimproverò scherzosamente lui.

Tra sé e sé Candy si domandò ancora una volta come riuscisse ad apparire talmente affascinante ed irritante allo stesso tempo.

"Che vuoi dire? Non ho mentito affatto!" reagì infine lei, mettendosi sulla difensiva.

"Oh sì, l’hai fatto eccome”, la contraddisse lui con enfasi.

"Provalo!" lo sfidò lei, lasciando perdere i piatti e chiudendo il rubinetto.

"Innanzitutto hai detto che sarei il migliore degli uomini e sappiamo bene entrambi che non è vero".

"Per amor di Dio, Terence. Sei insopportabile!" rispose lei con un mezzo sorriso, "ribadisco che sei il migliore degli uomini per me! L’ho detto molto chiaramente e non si tratta certo di una bugia".

A quella risposta, il giovane non tentò neppure di nascondere un sorriso insolente.

"Sul serio?" osservò Terence con un cenno del capo dopo un secondo di silenzio, "Non posso dire che la cosa non mi lusinghi, ma la tua seconda bugia mi brucia ancora. Quindi, non ti perdonerò tanto facilmente", concluse mettendole il broncio.

"Posso sapere quale sarebbe la seconda bugia di cui mi accusi?"

"Hai detto che non eri la mia fidanzata a scuola. Intendi forse negarlo?" le chiese con tono accusatorio. A quella seconda recriminazione, Candy trasalì.

“Certo che no!" rispose lei con aria spavalda, "L’ho detto perché è la verità; non eravamo fidanzati alla Saint Paul School", concluse con convinzione.

"Come puoi dire una cosa del genere, Sig.ra Graham? Tu eri la mia ragazza a scuola!" insistette lui con decisione.

"Assolutamente no! Non me l’hai mai chiesto", ribatté lei, appoggiando entrambe le mani sui fianchi.

"Non c’era bisogno di parole. I fatti parlavano da sé. Ci vedevamo molto spesso, uscivamo insieme da soli, abbiamo ballato insieme alla Festa di Maggio e, se occorre che te lo ricordi, sono stato anche il primo uomo a baciarti. . ." enunciò lui con tono scherzoso.

"Tutto ciò non rendeva comunque la cosa ufficiale!" insistette lei, non avendo alcuna intenzione di cedere. Dopodiché, riprese a lavare i piatti, come se intendesse chiudere lì la discussione. Eppure, lui non aveva alcuna voglia di mettere da parte la questione.

"Beh, forse non per te, ma era chiaro come il sole per il resto del mondo. Tutti a scuola sapevano che eri la mia ragazza. Persino il Damerino aveva finito per accettarlo”, si vantò lui.

"D’accordo! Ammetto che i nostri amici sapessero che in un certo senso fossimo…coinvolti emotivamente. Ma appena quattro persone non significa di certo tutti a scuola", replicò lei, facendo valere le proprie ragioni, anche se doveva ammettere che c’era una certa dose di verità nelle parole di Terence.

"E credi che mi stessi riferendo solo ai tuoi cugini ed alle tue due amiche?"

"Non è così?"

"Assolutamente no. Quando ho detto tutti, intendevo dire proprio tutti", disse lui con forza e poi, lanciandole uno sguardo malizioso, aggiunse: "Quantomeno nel dormitorio dei ragazzi era un fatto assodato che tu fossi la mia ragazza. Non hai mai riflettuto sul perché nessun ragazzo ci avesse provato con te?"

Quando si rese conto di cosa stesse insinuando, Candy spalancò gli occhi per la sorpresa.

"E posso chiederti chi avrebbe messo in giro queste voci del tutto infondate?" gli domandò risentita, lasciando da parte i piatti e voltandosi a guardarlo con fare minaccioso.

"Come faccio a saperlo? Le informazioni trapelano in qualche modo. Passaparola, presumo", rispose lui, alzando le mani con finta innocenza.

"Passaparola? Sicuramente partito da una disonesta boccaccia", lo sfidò lei, "Sei stato tu, Terence Graham Grandchester! Non posso credere che tu abbia detto a tutti che ero la tua ragazza! Come hai osato?" lo accusò Candy puntandogli contro il dito e iniziando ad arrabbiarsi davvero.

"Non ho mai detto nulla del genere. Ero solo un ragazzo, ma cresciuto come un gentiluomo, non avrei mai osato tanto. Può essere che…forse…abbia agito in modo un po’ protettivo una volta…o due", aggiunse lui rimirandosi le unghie con aria disinvolta.

"Cosa intendi per ‘protettivo’?"

"Voglio dire che i ragazzi sono soliti parlare delle ragazze. Può essere che abbia udito per caso una conversazione in cui veniva fatto il tuo nome, in quanto ragazza carina da corteggiare, e. . ."

"E?" gli chiese lei, ormai del tutto furiosa.

"Non ricordo con esattezza. . . è tutto alquanto confuso ormai. . ." rispose lui, alzando gli occhi al cielo, "può essere che una volta…o forse due sia intervenuto e…abbia messo in guardia i presenti dal rischio che avrebbe potuto correre il ragazzo che avesse osato avvicinarti. Giusto come consiglio che avrebbe dato un qualunque buon amico. Credo che abbiano colto perfettamente cosa intendessi dire", concluse con un sorriso compiaciuto.

"Li hai minacciati! Sei un tale prepotente! Come hai potuto?"

"Come? In questo modo, madame!"

Ed a questa affermazione, le si avvicinò con movimento felino e l’abbracciò con l’intenzione di stamparle un bacio sulle labbra. Tuttavia, lei distolse il volto e le labbra di lui finirono per atterrare sulla sua guancia.

"Toglimi le mani di dosso! Sono arrabbiata con te!"

"Lo so, il che rende tutto ancora più provocante!" le sussurrò, mentre si voltava improvvisamente per congiungere finalmente le sue labbra con quelle di lei, dandole un bacio profondo a cui non poté resistere.

"Terence. . .!" obiettò lei, ma così debolmente da fargli capire che era ormai in procinto di cedere.

"Sshhhh, ragazza", le disse, prima che entrambi si dimenticassero definitivamente dei piatti per il resto della serata.

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Con l’avvicinarsi della fine di gennaio, Candy era totalmente presa dal pensiero di cosa avrebbe dovuto regalare a suo marito per il suo ventottesimo compleanno. Il compito – per quanto potesse sembrare semplice – era in realtà estremamente arduo, perché la sua mente era affollata di troppe idee, senza soffermarsi su nessuna in particolare.

Quel pomeriggio la giovane aveva passato tre ore a guardare le vetrine di Lower Manhattan senza tuttavia decidersi su nulla. Piuttosto delusa, aveva deciso di fare ritorno a casa in tutta fretta, dato che doveva ancora terminare di preparare la cena. Inaspettatamente, quando la sua auto svoltò l’angolo della sua strada, notò due uomini in lontananza. Gli sconosciuti sostavano sul marciapiede proprio di fronte al suo palazzo, osservandolo con interesse.

Fu solo quando il Sig. Barbera fermò l’auto di fronte alle scale che conducevano all’ingresso e Candy poté scendere dal veicolo che notò l’imponente Bentley grigia parcheggiata accanto ai due uomini. Quella macchina costosa e l’abbigliamento elegante degli sconosciuti la spinse ad osservare la scena con maggiore attenzione. Nel momento in cui riconobbe quell’uomo distinto che non vedeva da anni, il suo cuore saltò un battito. (2)

"Sua Grazia! È proprio Lei?" disse la giovane, rivolgendosi rispettosamente all’uomo, nonostante la sua sorpresa.

Un uomo alto si voltò verso di lei con un gesto tanto altezzoso quanto familiare. Vagamente confuso, posò lo sguardo su quella giovane bionda in soprabito nero e basco alla francese che gli aveva rivolto la parola. C’era qualcosa in quei grandi occhi verdi che gli risultava familiare; eppure, non riusciva ad identificare l’origine di quel ricordo.

"Sono così sorpresa di vederLa a New York, Sua Signoria", continuò la giovane, il cui iniziale choc aveva lasciato spazio ad un solare sorriso che le illuminava il volto.
L’uomo continuava a fissarla da dietro al suo cappello di feltro e Candy comprese che non l’aveva ancora riconosciuta.

"Si ricorda di me, Signore? Sono Candy . . . della Saint Paul School", spiegò la giovane, facendo un breve inchino.

Nel momento in cui il Duca capì in quale angolo della sua mente si fosse annidato il ricordo di quegli occhi, l’uomo accanto a lui gli sussurrò qualcosa all’orecchio.

"Credo si tratti della Marchesa, Signore", disse l’uomo, senza che Candy fosse in grado di udire le sue parole.

A quest’ultima osservazione, l’uomo più anziano sollevò un sopracciglio. Improvvisamente, tutti i pezzi del puzzle andarono al loro posto e si rese conto non solo di chi fosse la persona che si era rivolta a lui, ma anche di cosa fosse accaduto negli ultimi dodici anni.

"Mi ricordo di Lei, signorina", ammise finalmente il Duca, facendo un lieve cenno con il capo.

"Sono davvero felice di rivederLa, Signore. Che sorpresa! Terence non mi ha detto che sarebbe venuto".

"Probabilmente perché mio figlio non ne sa nulla. Di fatto, non ho ancora deciso se sia il caso di vederlo", rispose l’uomo apparentemente senza alcuna emozione, sebbene a Candy non fosse sfuggito il fugace velo di tristezza che gli aveva adombrato lo sguardo.

"Oh. . . Capisco", disse Candy, ancora più perplessa di prima. Conoscendo la natura di Terence, facile al risentimento, immaginò subito che il giovane non sarebbe stato ben disposto nei confronti di una visita inattesa da parte di suo padre.

"Credo che rimanderò ad un altro giorno", commentò Richard Grandchester con la sua consueta flemmaticità.

"Beh, Signore, se posso permettermi", disse Candy cercando di farsi coraggio, "Terence non sarà di ritorno a breve, pertanto sarei onorata se accettasse di prendere una tazza di the insieme a me. Ovviamente, se Le fa piacere".

Il Duca osservò la giovane e sentì nel profondo del suo cuore che avrebbe potuto aiutarlo nel suo intento.

"Mi farebbe molto piacere", rispose dunque.

Candy ed il Duca entrarono nell’edificio, mentre l’altro uomo rimase nell’auto con l’autista. Quando la giovane aprì la porta, non le sfuggì lo sguardo furtivo che l’uomo aveva lanciato alla dimora di suo figlio. Tuttavia, si comportò come se nulla fosse, chiedendo al suo ospite di accomodarsi, mentre si recava in cucina a dare istruzioni alla Sig.ra O'Malley.

Una volta servito il the, la giovane si accomodò di fronte a suo suocero, facendo del proprio meglio per comportarsi in modo raffinato. Notò che Richard Grandchester sembrava esattamente lo stesso, rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. L’unica differenza visibile erano i capelli, ormai completamente bianchi, e qualche ruga un po’ più marcata sul suo volto. Interiormente, anche l’uomo era intento a prendere nota dell’aspetto di Candy, rendendosi conto di come il tempo l’avesse trasformata in una vera bellezza, caratterizzata da una perfetta ma insolita commistione di dolcezza e sicurezza.

"Almeno Terence ha buon gusto", pensò.

"Non Le ruberò troppo tempo, Vostra Grazia”, esordì Candy dopo che la Sig.ra O’Malley si era allontanata per continuare le proprie faccende, “Si ricorderà certamente dell’unica occasione in cui ci siamo incontrati prima d’ora e delle cose che ci eravamo detti riguardo al futuro di Terence”.

"Certamente", rispose l’uomo, incuriosito dalla piega che la giovane aveva impresso alla conversazione.

"Sento di doverLe esprimere la mia gratitudine per aver preso in considerazione le mie parole quel giorno. Non è stato facile per Suo figlio trovare la propria strada, ma credo che la libertà che Lei gli ha concesso gli abbia giovato molto".

"Mi sembra di capire che se la passi piuttosto bene, malgrado se ne sia andato di casa senza un soldo”, ammise il Duca, non senza una certa riluttanza.

"Sì, è così, ma c’è un limite alla libertà ed al distacco, signore. Per quanto Terence avesse bisogno di prendere le distanze da entrambi i suoi genitori per diventare un uomo, nessuno desidererebbe alienarsi per sempre il proprio padre; nemmeno lo spirito più libero al mondo”, osò dire la giovane e forse l’implicito biasimo nelle sue parole fu addolcito soltanto dalla dolcezza del suo tono.

"Per quasi dodici anni Terence non ha manifestato alcun interesse ad avere un padre", sostenne il Duca, con un bagliore nello sguardo che ricordava per intensità quello di suo figlio quando assumeva un atteggiamento di difesa.

"Essendo suo padre, saprà certamente che Terence sa essere particolarmente orgoglioso e testardo”, ribatté lei, strappando un sorriso al Duca.

"È un Grandchester, anche se ha cambiato nome per rinnegare qualsiasi legame”.

"Non proprio, signore", intervenne lei, "ha deciso di adottare il suo secondo nome come cognome solo come facciata per il pubblico. In tutti questi anni non ha mai ufficializzato il cambio di nome. Lo sapeva?"

Il Duca rimase in silenzio per un secondo.

"E questo cosa vorrebbe dire?" controbatté.

"Non lo so, signore. Non ho mai sollevato la questione con lui, perché siamo sposati da meno di un mese. Ma credo che, quantomeno a livello inconscio, non voglia tagliare i ponti del tutto".

"Lei crede?" le chiese alquanto scettico, picchiettandosi la tempia con l’indice.

"Diciamo che seguo il mio istinto di moglie, Signore. Credo che Terence abbia bisogno di suo padre tanto quanto abbia bisogno di sua madre. Ricordo che diceva sempre che non gli importava nulla di lei, ma il tempo l’ha aiutato a capire che mentiva a sé stesso. È molto probabile che neghi anche di sentire la Sua mancanza. Forse, se ne aveste l’opportunità, potreste sistemare le cose, anche se l’eccessivo orgoglio è un tratto di famiglia".

Il Duca sorrise tra sé e sé di fronte a quella giovane che si rivolgeva a lui con una franchezza a cui poche persone osavano far ricorso al suo cospetto.

"Potrebbe essere più difficile di quel che crede, signorina", rispose l’uomo dopo un momento di pausa, "A giudicare dalla sua espressione sorpresa di poco fa, immagino che Terence non Le abbia mai detto che ho scritto a sua madre qualche mese addietro".

"No, non me l’ha detto", rispose Candy aggrottando la fronte, “ma se Lei fosse così gentile da illuminarmi in merito, gliene sarei oltremodo grata".

"Ho scritto ad Eleanor esprimendole il mio desiderio di riconciliarmi con mio figlio. Nella lettera, le chiedevo di sondare il terreno con Terence per sapere se sarebbe stato quantomeno disposto ad ascoltarmi. All’epoca era in tournée, ma Eleanor gli scrisse per manifestargli le mie intenzioni. Successivamente, mi informò che lui non aveva mai risposto né affrontato l’argomento con lei".

Candy restò senza parole. Sapeva che c’era voluta una bella dose di coraggio per spingere il fiero Richard Grandchester a ricorrere all’aiuto di Eleanor. Si commosse davanti alla prova d’amore nei confronti di suo figlio rappresentata da quel gesto.
"Forse non ha mai risposto perché era preso da altre questioni, Signore. Devo confessarLe che io potrei aver contribuito alla sua distrazione in tal senso, perché è stato subito dopo la tournée che è venuto da me per chiedermi in moglie. Ci siamo sposati tre settimane dopo. Temo di aver monopolizzato la sua attenzione ultimamente. Dunque, questo non vuol dire che non tenga a Lei".

"Oh, non ne avevo idea. . . . Crede dunque che dovrei aspettarlo e parlargli oggi?"

Candy inclinò il capo come se stesse riflettendo sulla risposta da dargli.

"Ecco, credo che le cose non andrebbero per il meglio se fosse colto di sorpresa", concluse finalmente, "Mi concede di parlargliene prima?. . . Potrebbero volerci alcuni giorni per convincerlo e potrei anche non riuscirci. Le dispiacerebbe aspettare per vedere se ci riesco?"

"Quando tempo Le serve?"

"Mi dia una settimana", gli propose con decisione.

"Facciamo due. Resterò a New York per i prossimi quindici giorni, nel caso decidesse di contattarmi. Qualora si rifiutasse, Le sarei grato se me lo facesse sapere".

"Siamo d’accordo allora, Signore", concluse la giovane, tendendo la mano a suo suocero.

"Assolutamente!" rispose l’uomo, stringendo la mano minuta di Candy.

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Terence e Candy erano diversi sotto molti punti di vista, ma avevano alcuni tratti del carattere in comune. La testardaggine era uno di questi. Due persone volitive e caparbie sotto lo stesso tetto non possono che fare scintille, indipendentemente da quanto amore ci sia tra di loro. Per questo motivo, sebbene Candy fosse animata dalle migliori intenzioni e desiderasse incoraggiare una riconciliazione tra suo marito ed il Duca, il rischio che correva era decisamente grande.

Quella sera, dopo che suo marito era rientrato dal lavoro, si decise ad affrontare l’argomento ed a fare del proprio meglio per persuaderlo. Ma essendo una moglie alle prime armi, non aveva considerato l’opportunità di sondare l’umore di suo marito prima di sollevare la questione.

Quel giorno avevano iniziato le prove di Riccardo III e Terence si era completamente immerso nel difficile processo di introspezione del suo personaggio. Aveva avvertito sua moglie che nel corso delle settimane a venire avrebbe avuto necessità di dedicare diverse ore allo studio senza essere disturbato, interferendo decisamente con la routine a cui si erano abituati fino a quel momento. Pertanto, temendo che si sarebbe presto eclissato in biblioteca per almeno un paio d’ore di intenso studio, Candy aveva deciso di affrontare la questione subito dopo cena.

"Terence, pensi mai a tuo padre?" osò chiedergli mentre sorseggiavano il the, dopo che la Sig.ra O'Malley si era congedata.

"No. Mai", fu la secca risposta di Terence. Di tutti gli argomenti che avrebbe desiderato affrontare quella sera, suo padre era decisamente l’ultimo; soprattutto in considerazione del fatto che si sentiva ancora turbato dalle difficoltà tipicamente associate ad una prima prova.

Candy percepì la sua tensione, ma non volendo ascoltare quella voce dentro di sé che le diceva di rimandare ad un altro momento, decise di attenersi al piano originale e continuare:
"Davvero? Non ti sembra che siano passati molti anni dall’ultima volta che vi siete visti?" insistette, prendendo pigramente un paio di zollette di zucchero per il suo the.

"Esattamente, non ci vediamo né sentiamo da troppo tempo per preoccuparci l’uno dell’altro".

Dopo questa risposta, il giovane si concentrò sul suo the. Senza accorgersene, iniziò a tamburellare con le dita sul tavolo.

"Quanto tempo esattamente?" insistette lei, non essendo intenzionata a gettare la spugna.

"Da quando ho lasciato la Saint Paul School, ovviamente. Sono passati più di undici anni”, rispose lui, sentendo questa volta montare la collera dentro di sé di fronte all’insistenza di Candy sull’argomento.

"Quindi più o meno tanto quanto la nostra separazione. Se noi siamo riusciti a sistemare le cose dopo così tanto tempo, non vedo perché tu e tuo padre. . ."

"Non sono due cose paragonabili!" la interruppe lui con evidente indignazione nella voce, stroncando sul nascere qualsiasi sua argomentazione. "Tra me e mio padre sono accadute delle cose che non sono disposto a dimenticare né a perdonare. Mi ha preso con sé solo per abbandonarmi quand’ero appena un bambino! Nessun padre degno di questo nome avrebbe mai fatto una cosa del genere!"

"Tu mi hai lasciata in Inghilterra pressoché senza alcuna spiegazione e poi sono stata io a lasciarti qui a New York. Eppure, siamo comunque riusciti a sistemare tutto", ribatté lei con pari veemenza.

"Accidenti, Candy!" sbottò lui, alzando la voce e gettando il tovagliolo sul tavolo, "la sola idea di paragonare il nostro rapporto a quello tra me e mio padre è ridicola! Quando tu ed io ci siamo lasciati credevamo che fosse la cosa migliore l’uno per l’altra. Per quanto fossimo in errore, l’abbiamo fatto per generosità. Mentre mio padre non aveva alcuna scusa per abbandonare suo figlio, ad eccezione del fatto che fossi il figlio della donna che odiava".

"Come fai ad essere certo di quali fossero le sue ragioni? Se ti concedessi l’opportunità di parlargli. . ."

"Smettila, tuttelentiggini", esclamò Terence, ormai di pessimo umore. "So dove vuoi andare a parare. Hai parlato con mio madre, non è vero?" le chiese con tono accusatorio.

"No, tua madre ed io non abbiamo mai parlato di questa questione", gli rispose lei, sentendo che il suo amor proprio aveva subito fin troppi colpi per indurla a mantenere la calma.

"Allora che cosa ti è preso? Non abbiamo mai parlato di mio padre prima d’ora e non vedo il motivo di farlo adesso. L’argomento è chiuso", concluse lui, alzandosi da tavola e accingendosi a rinchiudersi nella solitudine del suo studio. Sentiva di essere sul punto di esplodere. In tali circostanze, era preferibile restare solo per sbollire la rabbia. Tuttavia, Candy non era dello stesso avviso.

"Terence, e se ti dicessi che tuo padre è qui a New York e vorrebbe vederti? Considereresti comunque chiuso l’argomento?" azzardò lei, come ultimo tentativo di fargli considerare la questione.

"Allora è questo il punto!" finì per esplodere lui. "Mio padre è venuto qui durante la mia assenza ed ha convinto mia moglie a perorare la sua causa. Vuole usarti per ricattarmi! È proprio una mossa sleale tipica di Richard Grandchester. Non è cambiato affatto! Ti probisco di rivolgergli nuovamente la parola, Candice".

"Perché devi sempre travisare le cose e farle apparire losche e perverse?" ribatté lei, alzandosi a sua volta dalla sedia, arrossendo visibilmente in conseguenza della rabbia che sentiva crescere dentro di sé in risposta alla reazione di suo marito, "Quell’uomo ha attraversato l’Atlantico solo per vederti ed è disposto a mettere da parte il suo orgoglio e tu riesci solo a pensare che voglia ricattarti? . . . E non puoi proibirmi un bel niente!"

"Sei sempre la stessa ragazzina ficcanaso. Non hai la minima idea di quello che abbia fatto quell’uomo a mia madre ed a me. . . e di cosa avrebbe fatto a noi due, se gliel’avessi permesso. Non ho alcuna intenzione di accoglierlo nuovamente nella mia vita. Non immischiarti in cose che non capisci, Candice!"

"Pensi che sia così sciocca da non capire che ti abbia ferito con la sua assenza privandoti del suo affetto? Credi che non sappia che si è comportato da vero mascalzone con tua madre?"

"Aha!" urlò lui, puntandole contro un dito accusatorio, "Hai parlato con mia madre e l’hai negato!"

"D’accordo, mi ha raccontato della sua storia con tuo padre, della tua nascita e di come tuo padre ti avesse preso con sé come erede della famiglia Grandchester, ma non mi ha mai detto che tuo padre le aveva mandato una lettera".

"Ma sicuramente Sua Grazia ti ha aggiornato per bene, non è vero, tuttelentiggini?" sbottò il giovane in tutta la sua imponenza, come se il movimento del suo corpo lo aiutasse ad assestare meglio il colpo infertole dalle sue parole.

"Non capisco perché mi parli come se ti avessi tradito, Terence", lo rimproverò lei con tono pungente, "Ti stai comportando in modo del tutto irragionevole. Tuo padre non riprenderà certo il controllo della tua vita. Santo cielo! Di cosa hai paura? Vuole soltanto parlarti. Potresti almeno considerare l’eventualità di ascoltare quello che ha da dirti?"

"Quella irragionevole qui sei tu, Candy. Dato che sai abbastanza di questa storia, sappi che ho riflettuto attentamente su quest’idea sin dallo scorso novembre ed ho deciso di non considerarla. Sapevo che avresti cercato di immischiarti come è tuo solito, ma ti pregherei di smetterla, tuttelentiggini. Non te lo consentirò. Non questa volta. Non su questa questione. Scordatelo!"

"Scordarmelo?"

"Sì!"

"Beh, allora, mio caro signore, Lei può scordarsi del mio letto".

A quest’ultima infiammata minaccia, Terence trasalì.

"Non puoi farmi questo, Candy. Sei mia moglie!" urlò, ormai ferito ed infuriato.

"Ma questo non significa che debba essere a tua disposizione anche quando sono in collera con te!" ribatté lei con acrimonia.

"Dunque è la tua ultima parola?" le chiese lui, come se le stesse dando un ultimatum, "Bene, Sig.ra Graham, so stare al gioco. Stanotte dormirò nel mio camerino in teatro. E credimi, non sarà la prima volta che lo faccio!"

Candy rimase senza parole, ma anziché fare un passo indietro, la sua ira crebbe in modo esponenziale.

"Benissimo, faccia pure come vuole signore, ma se crede che io venga lì ad implorarla di tornare a casa, si sbaglia di grosso".

"Vedremo, madame, vedremo".

E con queste parole, Terence si voltò, prese il suo soprabito e si precipitò fuori dall’appartamento. Sua moglie, invece, restò a casa a fare i conti con le dolorose conseguenze della loro prima lite coniugale.

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Quando esplode la collera, non v’è spazio per la ragione. La rabbia annebbia il senno e nella nostra mente alberga solo la convinzione di aver subito un torto. In questi casi, il sapore amaro dell’autodifesa finisce per inquinare qualsiasi forma di altruismo ispirata nei nostri cuori dall’amore. Dopo il loro litigio, Terence e Candice si erano entrambi abbandonati all’indignazione ed all’orgoglio ferito. Avevano passato tutta la notte a rimuginare su quello che si erano detti, giungendo ognuno alla conclusione di essere la parte lesa e che l’altro fosse nel torto e pertanto in dovere di chiedere perdono.

Nulla ferisce un uomo più dell’essere espulso dal letto coniugale e, in egual misura, nulla offende una moglie maggiormente che l’aspettarsi da lei che indulga in intimità malgrado vi siano delle questioni irrisolte. In un certo senso, entrambi avevano ragione a sentirsi offesi, ma la giovane età e l’inesperienza avevano loro impedito di riconoscere la rispettiva incapacità di esprimere il proprio dolore.

Quindi, per tutto il weekend, Candy era rimasta trincerata in casa, senza avere alcuna notizia di suo marito. Dapprima si era sentita montare la rabbia per la testardaggine di lui, che gli impediva di ammettere che lei avesse ragione. Poi, si era risentita del modo in cui lui l’aveva trattata. Non riusciva a credere che si fosse rifiutato di renderla partecipe di un aspetto così importante della sua vita, aspettandosi tuttavia che lei lo accogliesse nel suo letto. Successivamente, si era adirata davanti al suo silenzio ed alla sua assenza, per poi, qualche ora più tardi, iniziare a preoccuparsi per lui ed infine sentirne profondamente la mancanza. Giunta a questo punto, aveva iniziato a ripensare al loro litigio, realizzando, con orrore, di quanto fosse stata sfrontata in alcuni momenti. Questa consapevolezza finì per essere ben più virulenta della rabbia.

A lui era successa più o meno la stessa cosa. Era stato irriconoscibile per tutto il weekend. Negli ultimi due anni gli era capitato spesso di passare una notte e persino l’intero weekend in teatro, totalmente immerso nel suo lavoro di introspezione di un personaggio. Ma questa volta la sua inquietudine non gli aveva consentito di trovare la serenità necessaria per concentrarsi sullo studio. Aveva passato ore e ore nel suo camerino come un leone in gabbia, esasperato dalla sua stessa indignazione e dall’effetto che la mancanza di nicotina aveva sul suo cervello. In preda alla collera, non era riuscito a distinguere la vera natura della sua rabbia. Non faceva che ripensare alla stessa cosa, ritornando sempre al momento in cui lei si era rifiutata di accoglierlo nel suo letto. Il suo orgoglio maschile ne era risultato talmente ferito che per tre giorni non si era reso conto di quale fosse il reale motivo della sua furia: il risentimento nei confronti di suo padre.

Tuttavia, la mattina del ventotto gennaio, Terence si era svegliato tremendamente infelice esattamente come in tutti i suoi precedenti compleanni. E forse persino di più, considerato che aveva dormito per ben quattro notti sul divano del suo camerino. Cupo e scontroso, era andato al country club per una cavalcata ed una doccia prima delle prove, trattandosi di un mercoledì. Purtroppo, però, neppure l’esercizio fisico lo aveva aiutato a sentirsi meglio, specialmente quando alcuni conoscenti che aveva incontrato negli spogliatoi avevano colto l’occasione per congratularsi con lui per le sue recenti nozze. Ovunque andasse, non riusciva a togliersi Candy dalla testa.
Ripercorse mentalmente tutti gli eventi, mentre cercava, con scarsi risultati, di buttar giù qualcosa per colazione, e per la prima volta da giorni, forse mosso dal suo crescente bisogno di lei, iniziò a vedere le proprie colpe. Tuttavia, per gran parte della giornata le pressioni del suo lavoro non gli consentirono di concentrarsi sulle sue riflessioni. Fu solo dopo cena, quando fece ritorno in un teatro ormai vuoto, che sentì gravare sulle proprie spalle l’enorme peso della colpa. Poi, improvvisamente, si ricordò del momento in cui aveva urlato a Candy di ‘scordarsi’ della storia di suo padre. Come in un incubo, ripensò all’indignazione ed al dolore dipinti sul suo volto. Sembrava che l’avessero schiaffeggiata. Come se si fosse sentito pugnalato da quel ricordo, Terence schizzò in piedi, prese giacca e soprabito e lasciò il camerino diretto al suo appartamento. Era pronto a riconoscere di aver sbagliato.

Sfortunatamente, quando arrivò a casa, trovò soltanto la Sig.ra O'Malley che si accingeva ad andarsene dopo aver sbrigato le sue faccende. La donna informò il suo datore di lavoro che la signora non era in casa e che aveva chiamato appena qualche minuto prima per dirle che non sarebbe rientrata per cena, dato che aveva deciso di raggiungere suo marito in teatro.

Com’era prevedibile, quest’ultima informazione significò tutto per Terence. Per poco non strangolò il tassista per spingerlo ad andare più veloce sulla via del teatro. Quando finalmente arrivò, notò la sua macchina parcheggiata di fronte all’ingresso e Roberto che leggeva comodamente il giornale al suo interno. Immaginando che lui e sua moglie avrebbero avuto bisogno di una lunga chiacchierata prima di essere pronti a tornare a casa, Terence lo congedò. Un attimo dopo si diresse verso il suo camerino con il cuore che batteva talmente forte da rimbombargli nelle tempie.
Quando aprì la porta, sgranò gli occhi alla vista dell’esile figura di Candy fasciata in un abito verde. Era in piedi al centro della stanza con il soprabito ancora tra le braccia e gli occhi cerchiati, segno evidente della mancanza di sonno. Eppure, quando lo vide, il suo volto si illuminò.

"Perdonami!" dissero entrambi all’unisono, un attimo prima che lui la travolgesse in un bacio appassionato che sapeva di desiderio e rimpianto. Con labbra fameliche, la sua bocca prese possesso di quella di lei, ancora e ancora, mentre il sapore del bacio si mescolava al gusto salato delle loro lacrime. Candy, che aveva pensato tutto il giorno a quello che avrebbe detto a Terence, dimenticò ogni parola, mentre le labbra di lui accarezzavano le sue ripetutamente e con crescente intensità. Proprio quella mattina si era svegliata da un sogno in cui lui la baciava con pari ardore; tuttavia, in quel sogno non tremavano come stava accadendo in quel momento.

Era come se il dolore dei lunghi anni di separazione si fosse decuplicato e dovesse essere cancellato dalla vigorosa fusione dei loro corpi. Spinti da un desiderio che non avevano mai sentito prima, acconsentirono tacitamente a perseguire inequivocabilmente lo stesso obiettivo. Lì, l’uno di fronte all’altra, con il corpo di lei stretto tra la parete e l’imponente figura di lui, con i vestiti ancora addosso e con le gambe tremanti aperte per accoglierlo, fecero di nuovo l’amore, appassionatamente ed inaspettatamente. Riversando l’angoscia dei rispettivi sentimenti in ogni loro movimento, esorcizzarono ancora una volta i loro demoni; la carne che lenisce e risana il dolore dell’anima.

Fu chiaro a entrambi che in quel preciso momento stavano oltrepassando un limite. Non si trattava semplicemente di una resa fisica, bensì di un tacito accordo secondo cui le loro rispettive volontà erano state messe da parte intenzionalmente per il bene della loro unione. Infine, mentre giacevano sul divano aspettando che il battito dei loro cuori tornasse alla normalità, la passione lasciò il passo alla tenerezza.

"Ero andato a casa per implorare il tuo perdono", fu la prima cosa che disse lui, ancora avvolto nella deliziosa nebbia della passione.

"Io ero venuta qui per fare altrettanto”, ammise lei sorridendo, mentre con un dito accarezzava delicatamente la fossetta sul suo mento.

"Ma, tu non avevi colpa. . . so che le tue intenzioni erano buone".

"Le intenzioni era senz’altro delle migliori, amore mio, ma i miei metodi di persuasione sono alquanto imperfetti”, ammise Candy con un triste sorriso.

"Se solo non avessi reagito mettendomi così sulla difensiva, avrei compreso la ragionevolezza delle tue parole".

Candy lo guardò intensamente, cercando di elaborare quello che aveva appena detto. Il suo unico obiettivo quella sera era stato quello di riprendersi suo marito. Riusciva a stento a credere che lui avesse ammesso che lei aveva ragione. Tuttavia, nella solitudine delle passate notti, Candy aveva imparato che avere ragione non è importante tanto quanto essere amati.

"Credo sia meglio mettere da parte la questione di tuo padre per adesso. È meglio che tu la risolva per conto tuo".

"E se ti dicessi che non voglio tenerti fuori da questa storia? Che ho bisogno del tuo aiuto perché non ho idea di come comportarmi?"

"In quel caso ti risponderei che sarei felice di starti accanto e sostenerti. Ma se dovesse capitare di nuovo che il mio aiuto non fosse bene accetto, ti pregherei di dirmi che preferisci gestire le cose da solo".

"Lo farò. Credi che riusciresti ad accettarlo?"

"Purché tu me lo dica in un modo che non mi faccia sentire improvvisamente esclusa dalla tua vita, credo che ci riuscirei”, accennò lei.

"Ti ho ferito quando ti ho detto di ‘scordarti’ della storia di mio padre, non è vero?" azzardò lui.

Lei annuì in silenzio, accoccolandosi sulla sua spalla.

"Sì, ma non pensarci più, Terence. Io, del resto, ho reagito nel peggior modo possibile. Anche io ti ho ferito, non è così?"

"Lo sai che ho bisogno di te. . . al mio fianco. . . nel mio letto. . . dentro di me, ogni notte. In questi ultimi giorni sono stato tremendamente infelice senza di te".

A questa confessione Candy si sentì stringere il cuore. Improvvisamente, fu assalita ancora una volta da un’ondata di rimpianto.

"E oggi era il tuo compleanno. . ." disse con una forte delusione nella voce, "Volevo che fosse tutto diverso. . . che passassimo la giornata insieme, felici. Se solo non fossi stata così sciocca da dire che. . . "

"Dimentica quello che è stato detto, amore mio", la interruppe lui, dandole un bacio sulla fronte, "Ricordiamoci solo di quello che possiamo imparare da questo assurdo litigio".

Dopo un secondo di esitazione, Terence, resosi conto che lei era ancora triste, decise di aggiungere: "Tra l’altro, questo compleanno non è stato poi così male".

"Come puoi dire una cosa del genere? È andato tutto storto! Esattamente come a Capodanno", gli disse lei mettendo il broncio.

"Tutt’altro, mia cara, quest’ultimo Capodanno sarà per sempre scolpito nella mia mente come la più bella notte della mia vita, perché sei diventata mia. E stanotte, proprio nel giorno del mio compleanno, mi hai concesso di tramutare in realtà uno dei miei sogni più antichi".

Lei corrugò la fronte, domandandogli una spiegazione. Lui esitò nuovamente per un attimo, chiedendosi se per caso non avesse toccato un argomento che lei non era ancora pronta ad affrontare. Ma poi, convinto che si fossero già addentrati abbastanza nelle profondità della sensualità, decise di parlare liberamente.

"Per molti anni ho fantasticato di fare l’amore con te qui in questa stanza, che è il mio tempio. Ti ho già detto di aver dormito qui in passato e non mentivo affatto. Ogni volta che credevo di non riuscir più a sopportare la mia vita, venivo a passare la notte qui e – nel silenzio più totale – ripensavo a te e immaginavo di possederti, anima e corpo. A volte con dolcezza e profondità, altre con intensità e passione, come stasera".

"Hai un’immaginazione davvero bizzarra, Terence", gli disse lei, incapace di contenere il suo rossore davanti alla sua audace confessione.

"Né più né meno di qualsiasi altro povero diavolo là fuori, tesoro", rispose lui, scoppiando a ridere al suo commento. "Sin da ragazzi, la maggior parte degli uomini pensano alle ragazze in quel modo".

Candy batté le palpebre sbalordita.

"Sin da ragazzi?. . . Pensavi a me in quel modo. . . a scuola?" gli chiese scioccata.

"Oh sì! Di continuo, mia cara tuttelentiggini!" rispose lui con un malizioso sorriso ad illuminargli il volto, "Credimi, Candy, il mio amore per te non è mai stato platonico".

Lei restò in silenzio per un po’, mezzo sbigottita e mezzo lusingata. Questo inatteso scorcio della psiche maschile fu un importante passo in avanti nella sua comprensione degli uomini. Improvvisamente, considerando le sue precedenti esperienze con l’amore fisico, un’inimmaginabile domanda affiorò dalla sua mente. E con sua grande sorpresa, trovò il coraggio di porla ad alta voce.

"Quali altre fantasie del genere avevi?"

Lui riusciva a stento a credere che lei stesse mostrando interesse per l’argomento, ma colse l’opportunità di aprire un’altra porta sulla loro intimità.

"Potrei scriverci un libro. Vuoi davvero saperne di più?" le chiese lui con evidente sfrontatezza.

"Oh beh . . . Io . . . sono . . . curiosa", ammise lei, mordendosi il labbro.

"Ecco! Questo non dovresti farlo così a cuor leggero", osservò lui, indicando la sua bocca.

"Cosa?"

"Morderti il labbro in quel modo. Non hai idea di cosa scateni nella mente di un uomo!" disse lui sfrontatamente, mentre con le dita tracciava il contorno delle sue labbra. "Forse potrei iniziare da lì il racconto approfondito delle mie fantasie perverse. Ma prima devi promettermi una cosa".

"Come mai ho l’impressione che tu voglia qualcosa in cambio della rivelazione?" gli chiese lei con un’impertinenza che uguagliava il tono sfacciato di lui.

"Ovviamente, ogni cosa ha un prezzo a questo mondo, madame".

"D’accordo, dimmi, quale sarebbe il prezzo da pagare per un’anteprima sulle tue fantasie?", lo sfidò sarcasticamente lei.

"Che tu mi permetta di trasformarle in realtà”.

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Come da accordi, una settimana dopo Richard Grandchester fece finalmente visita a suo figlio. I Grandchester avevano deciso di organizzare l’incontro a casa loro subito dopo cena. Per garantire la privacy, i domestici erano stati congedati prima dell’arrivo del Duca. Pertanto, fu la Sig.ra Graham in persona ad aprire la porta per accogliere suo suocero, conducendolo, dopo i consueti convenevoli, nello studio dove Terence lo attendeva.

Lasciati soli i due uomini, Candice corse alla finestra del salotto e la aprì per guardare giù in strada. Come immaginava, l’autista ed il segretario del Duca erano rimasti in macchina, come nella precedente occasione. Questa volta, però, la temperatura era decisamente più rigida ed il sole era già scomparso dietro l’orizzonte. Fedele al suo buon cuore, la giovane scese giù, attraversò la strada ed invitò i due uomini a prendere una tazza di the.

Dapprima i due uomini rimasero sconcertati dall’invito e prima che il segretario riuscisse a formulare una qualche risposta, si scambiarono un fugace sguardo carico di sorpresa.

"Vossignoria, non credo che sarebbe appropriato".

"Beh, forse se prima facessimo le dovute presentazioni, non ci sarebbe tutto questo imbarazzo. Signori, vi dispiacerebbe scendere dall’auto?"

Ancora piuttosto incerti e sorpresi dell’appellativo “signori” ad essi rivolto, i due uomini obbedirono prontamente.

"Bene", esordì Candy tendendo la mano, una volta che furono tutti e tre faccia a faccia, "la maggior parte della gente crede che il mio nome sia Candice Graham, ma penso di potermi tranquillamente presentare a voi con il mio vero nome, ovvero Candice White Grandchester".

"Edward Perkins, Vossignoria", disse il segretario, ancora sorpreso dalla cordiale stretta di mano della giovane.

"John Samuels, Vossignoria", disse l’autista, egualmente confuso dalla situazione.

Candy, divertita dalla cerimoniosità dei due uomini, decise di ignorare il modo in cui le si rivolgevano. Dopo la prima stretta di mano, fece loro strada verso l’appartamento. Una volta all’interno, li invitò ad accomodarsi in salotto e, come promesso, servì loro il the.

Essere invitati da un membro della famiglia Grandchester a prendere un the in un luogo che non fossero gli alloggi del personale era del tutto insolito per i due uomini. Ma addirittura potersi godere il suddetto the accanto a un membro della famiglia era un evento assolutamente eccezionale.

"Allora, Sig. Perkins, da quanto lavora per Sua Grazia?" chiese Candy con naturalezza, una volta accomodatasi di fronte ai due uomini, così da dare inizio alla conversazione.

Perkins, un uomo robusto sulla cinquantina ormai quasi del tutto calvo, le rivolse uno sguardo incredulo. I membri della famiglia non si rivolgevano mai a lui definendolo “Signore”, limitandosi a chiamarlo per cognome.

"Vent’anni, signora", rispose timidamente, ritenendo che forse in America fosse normale rivolgersi al personale di servizio in quel modo, "Gli americani sono una strana razza", pensò.

"È decisamente un bel po’ di tempo, Sig. Perkins. E Lei, Sig. Samuels, da quanto è al servizio della famiglia?" chiese Candy, proseguendo con la conversazione.

"Venticinque anni, signora", rispose Samuels, che doveva avere poco meno di cinquant’anni ed i cui occhi scuri erano profondamente espressivi.

"Dunque immagino che entrambi conosciate mio marito da quand’era piccolo. Era un bambino cattivo?" chiese curiosa.

"Il Marchese?" chiese Perkins, sentendosi più a suo agio grazie al tepore del the, in netto contrasto con il gelo della strada. "Beh, signora, non lo vedevo spesso perché si trovava già alla Saint Paul School quando ho iniziato a lavorare per Sua Grazia. Ma nelle poche occasioni in cui ho potuto interagire con lui, mi era sempre sembrato un bambino molto tranquillo".

Candy fu sorpresa dall’appellativo con cui l’uomo si era rivolto a Terence, ma decise di soprassedere e di parlarne con suo marito più tardi.

"Lei se lo ricorderà certamente meglio, Sig. Samuels?" chiese dunque all’autista.

"Oh, sì. Sua Grazia mi ha assunto l’anno in cui fece ritorno in Inghilterra dopo la morte del padre. Ricordo che da piccolo Sua Signoria era un bambino normalissimo. Con il passare degli anni divenne più taciturno. Immagino fosse a causa della rigide regole della scuola che frequentava".

"Interessante", rispose lei, continuando a conversare, mentre il Duca e suo figlio parlavano nello studio.

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view post Posted on 28/4/2013, 22:54     +4   +1   -1

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Quando il Duca di N***** entrò nella stanza dove Terence lo attendeva, sentì un forte desiderio di abbracciarlo. Tuttavia, essendo un Grandchester, tenne a bada qualsivoglia impulso e si affidò al proprio orgoglio. Ritenne che le confessioni che avrebbe dovuto fare quella sera fossero già abbastanza umilianti da non richiedere superflui sentimentalismi. Inoltre, era molto probabile che Terence non gli avrebbe comunque concesso di cedere ad una manifestazione d’affetto talmente inattesa. Pertanto, si limitò a fare un semplice cenno del capo in segno di saluto.

"È passato molto tempo, Vostra Grazia" esordì Terence, voltandosi verso di lui e distogliendo lo sguardo dalla finestra.

"Proprio così, Terence", rispose Sua Grazia, la cui voce era solo di qualche tono più grave rispetto a quella di suo figlio, ma molto simile per tono ed intensità.

"Prego, accomodateVi", gli disse Terence, avvicinandosi alla zona salotto che si trovava poco più in là nel suo studio.

I due uomini presero posto l’uno di fronte all’altro. Il Duca declinò il the offertogli da Terence, spiegandogli che aveva appena terminato di cenare.

"Prima di affrontare la questione per cui sono qui, Terence, desidero ringraziarti per aver accondisceso a questo incontro".

Con il gomito poggiato sul bracciolo della sua poltrona e due dita a sorreggergli la tempia, il giovane osservò suo padre mal celando un certo scetticismo.

"Non è a me che dovete esprimere il Vostro apprezzamento”, rispose freddamente. “Ringraziate mia moglie, piuttosto, perché ha fatto tutto quanto in suo potere affinché avessimo la possibilità di confrontarci".

"Sembra che tu abbia scelto bene la tua sposa”, ammise il Duca, il cui volto mostrava la stessa indecifrabile espressione di suo figlio.

"Proprio così, signore. Ma credo che Voi non abbiate fatto tutta questa strada solo per congratularVi per il mio matrimonio".

"Hai ragione. Le mie motivazioni sono decisamente più serie".

"Potrei sapere quali sono?" lo invitò Terence con un impercettibile movimento del sopracciglio sinistro.

"È già da tempo che ho iniziato a riconsiderare alcune delle più importanti decisioni maturate nella mia vita”, esordì il Duca, facendo subito dopo una breve pausa, forse in cerca delle parole giuste, “Alla luce di questa…valutazione, mi sono reso conto di alcune cose che rimpiango fortemente”.

"Ad esempio?" chiese Terence, il cui sottile tono di sfida non sfuggì al Duca.

"Ad esempio quelle riguardanti tua madre, mia moglie e te, Terence".

Questa volta, Terence non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire una risata di scherno, mentre cambiava posizione sulla poltrona.

"Una storia degna della migliore tradizione popolare, non trovate? Un uomo, due donne e un figlio bastardo”, commentò causticamente Terence.

In passato, Richard Grandchester si sarebbe sentito offeso dall’impertinenza delle parole di Terence. Ma ora era consapevole che aver acconsentito al colloquio non implicasse necessariamente la sua disponibilità a comprendere le sue ragioni. Pertanto, era venuto preparato ad eventuali commenti mordaci.

"Purtroppo hai ragione", ammise il Duca, "Molti uomini condividono con me questo disonore".

A quelle parole, gli occhi di Terence si infiammarono di un blu intenso.

"In tutta onestà, se avete attraversato l’oceano solo per parlarmi del disonore che la mia esistenza ha portato nella Vostra vita. . ."

"Figliolo, ti pregherei di farmi quantomeno il favore di ascoltare quello che ho da dirti, prima di travisare le mie parole", lo interruppe Sua Grazia, cercando di placare l’atteggiamento difensivo di suo figlio, "Non volevo lasciarti intendere che ti considero motivo di vergogna. È piuttosto il contrario".

Terence si ricordò di quello che gli aveva detto Candy una volta, riguardo alla sua tendenza ad interpretare le parole degli altri nel peggior modo possibile. Aggrappandosi a quel ricordo, il giovane si rilassò.

"D’accordo. . ." disse il giovane in tono decisamente più conciliante, invitando suo padre a continuare.

"Terence, desidero essere onesto con te riguardo ai miei sentimenti in questa questione così personale. Pertanto, lasciami prima di tutto ammettere che non sono affatto fiero del modo in cui ho gestito il rapporto con tua madre. Per molti anni sono stato in collera con lei, quando ero stato io stesso a farle un torto".

"Dare la colpa agli altri è decisamente più semplice”, fu la risposta di Terence, ma questa volta senza alcun tono pungente né accusatorio. In realtà, c’era qualcosa di malinconico nella sua voce. Il ricordo del recente litigio con sua moglie era ancora vivido nella sua mente.

"Hai ragione, figliolo, è più semplice, ma alla fine non fa che causare maggiore delusione e dolore. Affrontare la verità sarebbe stata una decisione decisamente più assennata e meno dannosa".

"Di quale verità state parlando, signore?"

"Mi riferisco ai miei sentimenti per Eleanor”, spiegò Richard Grandchester, il cui tono aveva subito un’impercettibile alterazione nel pronunciare il nome della madre di Terence, ". . . quei sentimenti che avevo erroneamente scambiato per un’infatuazione la prima volta che la vidi. Da giovane sfacciato e presuntuoso quale ero, fui incapace di guardare a fondo nel mio cuore, continuando a credere che avrei potuto porre fine alla nostra relazione in qualunque momento. Ma non avevo considerato l’eventualità che potessi innamorarmi di lei e che lei restasse incinta. Quando venni a sapere che aspettava un figlio…mio figlio…la mia gioia fu immensa, tanto quanto il mio tormento".

"Ha veramente detto gioia?" pensò Terence, sbalordito dalle parole pronunciate da suo padre.

Incapace di interpretare la reazione di suo figlio dietro la maschera che indossava, il Duca proseguì con il suo racconto.

"Improvvisamente, mi sorpresi a voler desiderare di proteggere sia Eleanor che il bambino, legandoli a me per il resto della vita, ma ero accecato dal mio rango e dal mio lignaggio. Il matrimonio era fuori questione. Quando mio padre mi propose un accordo con Beatrix, cosicché quel bambino, qualora si fosse trattato di un maschio, potesse diventare il mio legittimo erede, gli fui grato per quella possibilità. Ovviamente, Eleanor sarebbe stata esclusa dai giochi, ma giovane e sciocco quale ero, desideravo fermamente credere che sarebbe stato possibile trovare una soluzione che mi avrebbe consentito di avere tutto, senza dover rinunciare a nulla".

"Cosa praticamente impossibile, quando la posta in gioco è così alta, signore”, si intromise Terence, continuando comunque a tenere il passo della conversazione malgrado la violenza dei sentimenti suscitatigli dalle parole del padre.

"Adesso lo so, Terence, ma allora credevo di poter convincere Eleanor a sottostare al mio piano ed a restare comunque la mia amante".

"E Voi parlate di onore?" lo sfidò Terence, infuriato nel sentir parlare della madre in certi termini.

"Apparentemente l’unica persona in questa storia che sapeva cosa significasse onore era tua madre, Terence. Rinunciò a te convinta che fosse la scelta migliore per il tuo futuro, ma non acconsentì a restare nell’ombra di Beatrix per il resto della vita. Solo ora dopo tanti anni comprendo e ammiro la sua decisione, ma all’epoca ero furioso con lei. Quando mi bandì dal suo letto e dalla sua vita, perché non intendevo divorziare da Beatrix, credevo che ne sarei morto. Ma non fu così; con il tempo crebbero in me l’amarezza ed il risentimento nei suoi confronti. Adesso mi rendo conto che non era altro che un meccanismo di difesa davanti al dolore causatomi dalla sua perdita. Pensai che il mio amore si fosse tramutato in odio. Eppure, la verità è che continuai ad amarla, di un amore estremamente egoista e distruttivo".
Terence era senza parole davanti all’improvvisa franchezza di suo padre. Tuttavia, non riusciva a capire il perché avesse scelto proprio lui per confessargli certe cose.

"Non credete che io non sia la persona più adatta a cui fare queste confessioni, signore?" gli chiese il giovane.

"Mi è costato molto trovare il coraggio e la lucidità di raccontarti tutto questo, Terence. È imbarazzante per un padre confessare certe cose a un figlio, ma sono convinto che sia l’unico modo per spiegarti con chiarezza il motivo del mio comportamento nei tuoi confronti. Voglio che tu sappia che. . . che ho desiderato con tutto il cuore il figlio che Eleanor aspettava da me. Anche se si fosse trattato di una bambina avrei fatto di tutto per proteggerla. Ma quando nascesti tu e mi resi conto che avrei potuto tenerti accanto come mio legittimo erede, fu senza alcun dubbio il momento più felice della mia vita".

Di fronte a quest’ultima confessione, Terence dovette far ricorso a tutte le sue abilità istrioniche per mantenere la padronanza di sé. Il giovane non riusciva a credere di aver realmente sentito suo padre affermare che la sua nascita fosse il suo ricordo più prezioso.

Ancora una volta, il Duca non si rese conto dell’enorme peso che le sue parole avevano sul cuore di suo figlio. Pertanto, si limitò a riprendere il suo racconto.

"Sfortunatamente, per quanto sentissi un tuffo al cuore ogni volta che il mio sguardo si posava su di te, quando infine feci ritorno in Inghilterra per diventare il Duca di N*****, il ricordo di Eleanor era come una lama conficcata nel mio petto. Ogni volta che ti guardavo, il dolore del suo rifiuto si acuiva. A peggiorar le cose, man mano che crescevi, le assomigliavi sempre di più. Ogni volta che incrociavo il tuo sguardo, rivedevo gli occhi di Eleanor. A volte, pensavo di non poterlo più sopportare e temevo che in un momento di debolezza avrei finito per prendere la prima nave per l’America e gettarmi ai suoi piedi. Tuttavia, in un ultimo tentativo di riconciliazione, quando lei venne in Scozia quando tu avevi appena cinque anni, fu molto chiara con me; l’unica cosa che le avrebbe fatto cambiare idea sarebbe stato il mio divorzio da Beatrix. Da parte sua, lei sarebbe stata disposta a ritirarsi dalle scene e dedicare la sua vita a prendersi cura di te e di me. Era tutto troppo allettante. Temevo che se ci fossimo riconciliati, avrei finito per soddisfare le sue richieste. E questo avrebbe causato un terribile scandalo per il casato di N****. Ma sono un Grandchester ed il mio stupido senso dell’onore non mi ha mai consentito di cedere ai miei desideri".

"Quante volte mi sono sentito così in quegli interminabili anni passati con Susanna?", si domandò Terence.

"Per questa ragione", proseguì il Duca, "quando Beatrix mi suggerì di mandarti in collegio, pensai che fosse la soluzione migliore. Con la sua gravidanza, avevo notato la sua crescente ostilità nei tuoi confronti e temevo che la tua presenza avrebbe fatto definitivamente crollare il mio proposito di resistere ai sentimenti che provavo per Eleanor. Pertanto, nella mia stupidità, pensai che quella soluzione fosse l’unica possibile per tutelare il mio nome ed il tuo futuro dalla rovina".

"Non avete mai pensato che avrei preferito avere entrambi i miei genitori accanto piuttosto che un seggio alla Camera dei Lord?(3)" lo accusò Terence, ormai incapace di mantenere la calma.

"All’epoca no, Terence. Ero accecato dai miei pregiudizi e avevo lasciato che inasprissero il mio animo per anni. Quando venisti da me, chiedendomi di impedire l’espulsione della tua amica dalla Saint Paul School, vidi nei tuoi occhi che ti eri invaghito di lei. Dopo tutte le sofferenze a cui mi ero sottoposto per non infangare il nostro nome, ritenni erroneamente che fosse mio dovere salvarti da un probabile scandalo. Se l’avessi aiutata, sarebbe rimasta nella scuola accanto a te ed i tuoi sentimenti sarebbero diventati più forti".

"Ma se lo aveste fatto, Vostra Grazia, Vi avrei perdonato tutto quello che era successo in passato. Mi avreste regalato un altro anno insieme a lei. Non avete idea di cosa avrebbe significato per me".

Ascoltando Terence rivolgersi a lui per la prima volta con tale sincerità, soltanto a sentir nominare la moglie, il Duca comprese ancor più la profondità dei sentimenti che albergavano nel cuore di suo figlio.

"Credimi, figliolo, quando ho incontrato tua moglie la scorsa settimana e mi sono reso conto che si trattava di quella stessa ragazza, ho finalmente compreso l’importanza della richiesta che mi facesti quel giorno. Sfortunatamente, ho maturato questa consapevolezza con dodici anni di ritardo".

I due uomini rimasero in silenzio per un po’. L’eco delle cose che si erano detti aleggiava ancora nell’aria ed il loro enorme peso era tangibile.

"Candice mi ha detto che non era la prima volta che vi incontravate”, disse Terence, dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio.

"Proprio così. Devi a quella ragazza la libertà che ti ha consentito di iniziare la tua carriera. Se ricordi bene, eri ancora minorenne".

"Sono in debito con lei per molte cose, signore".

"Lo sono anch’io", ribatté il Duca. Era la prima volta che concordavano su qualcosa dall’inizio del loro difficile colloquio.

"Terence, ti ho raccontato tutto questo perché ho finalmente compreso che il mio più grave errore è stata la mia incapacità di scindere i miei sentimenti per tua madre dal mio rapporto con te. Ho lasciato che il mio orgoglio ferito controllasse le mie azioni, dimenticando il mio ruolo di padre. Ma è successo qualcosa nel corso dell’ultimo anno che mi ha finalmente consentito di rendermene conto".

"Potreste spiegarVi meglio?" gli chiese Terence, sinceramente incuriosito.

"La scorsa primavera ho assistito ad un tuo spettacolo a Londra".

Questa volta Terence fu colto totalmente di sorpresa. In tutta la sua vita, non aveva mai ritenuto possibile che suo padre potesse abbassarsi a presenziare ad uno dei suoi spettacoli. Era assolutamente certo che la professione che aveva scelto avesse inferto un altro duro colpo all’orgoglio aristocratico di suo padre.

"Voi mi sorprendete, signore", osservò il giovane, con un’espressione indecifrabile.

"Quando venisti per la prima volta in tournée in Inghilterra diversi anni fa, mi rifiutai categoricamente di vederti recitare", ammise il padre abbassando lo sguardo, come per nascondere la vergogna. "Tuttavia, la seconda volta finii per cedere, intenerito dagli anni, immagino. Ammisi che desideravo vedere mio figlio, anche se solo sul palcoscenico. Quando entrasti in scena, mi resi improvvisamente conto che oltre a non vergognarmi affatto della professione che avevi scelto, ero orgoglioso del tuo talento. Sei persino più bravo di tua madre, sai?"

Senza rendersene conto, Terence strinse ancor più la presa sul bracciolo della sua poltrona. Ascoltare suo padre pronunciare parole di elogio nei suoi confronti gli procurava un piacere talmente estraneo al suo cuore che per un secondo dubitò di essere in grado di continuare quel colloquio.

"Quello che ho provato dopo quella sera”, proseguì il Duca, totalmente assorto nei suoi ricordi, “ha fatto crollare tutte le mie convinzioni. Ho capito che avevo sacrificato la mia felicità per tutelare un nome che tu avevi scelto di celare, come se essere un Grandchester fosse una vergogna. Fu un duro colpo".

Terence, incapace di sostenere lo sguardo di suo padre, chinò il capo. Anni addietro, si era sentito sollevato dalla decisione di affrontare il mondo come Terence Graham. Aveva avuto la sensazione che cambiare nome l’avrebbe aiutato a cancellare qualsiasi legame con suo padre, nonché tutti i dolorosi ricordi ad egli legati. Ora sapeva che le cose stavano diversamente. Suo padre, il suo passato, il suo vero nome e tutto ciò che esso implicava, non potevano essere cancellati a comando.

"Eppure, quel colpo non fu il più duro", continuò il Duca, "Quello che mi colpì maggiormente fu vedere come ti eri trasformato da ragazzo in uomo, rispettato ed acclamato da tutti. Tutto ciò acuì il mio senso di perdita. Avevo rinunciato alla mia unica possibilità di fare il padre e di vederti crescere, standoti accanto".

"Avete altri figli, signore", si intromise Terence, con un velo di tristezza nella voce.

"Sai benissimo che i figli di Beatrix non sono miei!" sbottò Richard Grandchester con palese disgusto.

"Dunque, credete anche Voi alle voci", rispose Terence, ritrovando la sua freddezza.

"Non si tratta di voci, lo so per certo. Comunque, non biasimo Beatrix. Sapevamo entrambi a cosa andavamo incontro quando ci siamo sposati. Lei sapeva che ti avrei accolto come mio erede ed io sapevo che non avrebbe interrotto la relazione con suo cugino".

Sentire suo padre disconoscere apertamente i figli di Beatrix fu un’altra sorpresa per Terence. A quel punto, il risentimento del giovane nei confronti della sua matrigna si risvegliò.

"E malgrado ciò, mi ha sempre odiato per aver usurpato il posto che sosteneva appartenesse a suo figlio”, disse Terence con tono beffardo.

"Beatrix ha giocato col fuoco, ma è stata colpa mia perché le ho consentito di fare quello che più le aggradava. Ho vissuto abbastanza da pentirmi del nostro vergognoso accordo, ma quel che è fatto è fatto. Tu sei il mio unico figlio ed erede; è questa la questione fondamentale".

"Il suo erede? È dunque questo quello che cerca? Un erede?" si domandò Terence. Quella eventualità lo spinse a mettersi di nuovo sulla difensiva.

Incapace di restare seduto e immobile, il giovane si alzò.

"Vostro figlio! . . . il Vostro erede! . . ." esclamò Terence, percorrendo la stanza a grandi passi e sottolineando ogni parola con beffarda ironia, "Tempo fa mi diceste che mi avreste diseredato, se avessi osato disobbedirVi. Non è forse vero?"

"Sei abbastanza grande da comprendere che stavo solo cercando di intimidirti. Come Erede Legittimo del Ducato, non puoi essere spogliato dei tuoi diritti per un capriccio di tuo padre".

"Mio padre?" chiese Terence in tono derisorio "E dove eravate Voi, padre, quando avevo bisogno di Voi ogni estate e in ogni vacanza? Dove eravate Voi quando avevo bisogno di qualcuno che mi insegnasse come si corteggia una ragazza, anziché rendermi ridicolo a causa delle mie dannate insicurezze? Dove eravate Voi quando ho preso le decisioni più sciocche della mia vita? E quando sono quasi affogato nell’alcol? Eravate troppo impegnato con i Lord(3) per muovere un dito per quell’alcolizzato di Vostro figlio?"

Le accuse di Terence arrivarono dritto al cuore dell’uomo, colpendolo duramente. Il Duca ignorava i problemi di dipendenza dall’alcol che avevano afflitto suo figlio e scoprirlo in quel modo non era affatto facile.

"Non posso che ribadirti quanto mi dispiace, Terence", rispose il Duca con un filo di voce, "Non posso cambiare il passato, ma sono profondamente dispiaciuto per quanto è accaduto".

L’uomo abbassò lo sguardo, vergognandosi profondamente del proprio fallimento come padre. Eppure, non seppe cos’altro dire o fare. Era impietrito e desideroso che suo figlio comprendesse la sua colpa. Ma a giudicare dal tono di Terence, temeva che quel colloquio non li avrebbe portati a nulla. Le sue speranze di giungere ad una riconciliazione si affievolirono.

Nel frattempo, la mente di Terence era occupata da ben altri pensieri. Riusciva a stento a riconoscere suo padre in quell’uomo dall'aria sconfitta, seduto nel suo studio, senza più parole ormai. Una parte di sé disprezzava ancora Richard Grandchester e tutto quello che rappresentava. Eppure, non poteva negare che le cose che il Duca gli aveva confessato avevano intaccato l’idea che aveva di suo padre e del suo rapporto con lui. Inoltre, Terence sapeva di non potersi permettere di scagliare la prima pietra. Non era più il ragazzino sedicenne di una volta.

"Vostra Signoria", esordì Terence, rompendo il silenzio, accomodandosi nuovamente di fronte a suo padre, "Vi ho trattato duramente perché sento di aver subito molti torti da parte Vostra. Tuttavia, siete stato onesto con me e desidero venirVi incontro. Se foste venuto da me dieci anni fa, Vi avrei detto che esprimere il proprio rincrescimento non basta, quando il dolore inferto è stato così grande. Anzi, è molto probabile che non Vi avrei neppure concesso l’opportunità di parlarmi…tuttavia, siete venuto da me ora che sono un uomo con la propria dose di errori e vergogna alle spalle. Vedete, signore, anche io tempo fa mi sono inginocchiato davanti a una persona a cui avevo fatto un torto, implorando il suo perdono. E nel mio caso ho avuto la fortuna di trovarmi di fronte un cuore comprensivo e indulgente, per il quale dire semplicemente mi dispiace è bastato. Ora, in tutta onestà, non mi sento di rispedirVi in Inghilterra senza accettare la Vostra offerta di pace. Ma questo non significa che io sia pronto a essere Vostro figlio. Per quello ci vorrà più tempo, temo".

Il Duca, che aveva lentamente sollevato il capo mentre suo figlio gli parlava, si sentì confortato e capì che poteva tornare a sperare.

"Credo possa bastare", rispose Sua Grazia con il suo consueto tono, "Forse dovremmo innanzitutto tentare di essere amici".

"Sono d’accordo con Voi, signore".

In quel momento padre e figlio compresero che la fine di quel colloquio rappresentava in realtà un nuovo inizio del loro rapporto, già messo a dura prova. Qualunque cosa il futuro avesse in serbo per loro, era ormai nelle loro mani.

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Era già buio quando il Duca ed i suoi accompagnatori lasciarono il Greenwich Village. Al termine del colloquio privato, Sua Grazia era stato l’unico a lasciare lo studio. Terence si era già congedato da lui ed aveva preferito restare solo per metabolizzare quanto si erano appena detti. Pertanto, spettò a Candy scambiare gli ultimi convenevoli prima che suo suocero risalisse nella Bentley grigia. Aveva appena iniziato a scendere una neve leggera sulla città, quando Richard Grandchester la salutò con la mano dal sedile posteriore.

Quando l’auto scomparve dietro l’angolo, la giovane corse verso casa. Tuttavia, una volta rientrata, attese per un po’ in salotto, anziché recarsi subito nello studio. Indecisa sul da farsi, non sapendo se Terence avrebbe preferito star solo o in sua compagnia, decise di distrarsi sfogliando una rivista. Infine, preoccupata dal suo prolungato silenzio, bussò lievemente alla porta dello studio, senza tuttavia ricevere alcuna risposta. Decise dunque di entrare, quasi in punta di piedi.

La stanza era immersa nell’oscurità. Percependo l’atmosfera ancora carica di strazianti emozioni, decise di non accedere le luci. Pertanto, si incamminò in silenzio verso la poltrona su cui era seduto suo marito. Il volto di Terence era illuminato solo dalla luce fioca proveniente dal profilo della città, visibile in lontananza dalla finestra. Quando Candy si sedette sul tappeto, proprio ai suoi piedi, si accorse che il suo viso era ancora segnato dal solco delle lacrime appena versate.

La giovane poggiò la testa sulle sue ginocchia, mentre con la mano gli accarezzava dolcemente una gamba. Per un istante rimasero in silenzio. La mano di Terence si posò lentamente su quella di Candy, come se il calore di lei gli desse coraggio, ed infine sussurrò:

"Ha detto che ha desiderato la mia nascita”, le disse il giovane con voce roca, quasi singhiozzante. "Ha detto che è stato il momento più bello della sua vita”, ripeté, come per convincersene egli stesso.

Lei rispose baciandogli la mano con leggerissimo tocco, prima il dorso, poi il palmo ed infine ogni dito. Immobile e sopraffatto dalle emozioni, lui lasciò che lei lo accarezzasse, troppo esausto per reagire. Poi, quando chinò il capo ed il suo sguardo si posò su di lei, alla vista del suo volto trasfigurato dalla tenerezza, il battito del suo cuore riprese vigore.

"Suoneresti per me la Ninnananna che abbiamo provato ieri?" le chiese d’impulso.

Lei si limitò semplicemente ad annuire, si alzò in piedi e si diresse verso il salotto, lasciando aperta la porta dello studio per consentirgli di ascoltare la musica proveniente dalla stanza accanto.

Candy non era dotata di un particolare talento musicale, ma amava la musica e amava ancor più suo marito. Pertanto, malgrado alcune incertezze durante l’esecuzione, suonò la Ninnananna un paio di volte come richiesto. Terence restò nello studio, lasciando che il suo cuore spalancasse le porte della gabbia in cui il risentimento ed il rancore nei confronti di suo padre avevano dimorato così lungamente. Quando l’ultimo di quei sentimenti ebbe spiegato le ali e preso il volo per sempre, il giovane sentì nuovamente il bisogno di avere accanto sua moglie.
Dunque, si alzò e la raggiunse in salotto, sedendosi accanto a lei sullo sgabello del pianoforte.

"Suoniamola ancora. Tu la mano destra ed io la sinistra, come facevamo a scuola”, le suggerì, cingendole la vita.

Ricominciarono da capo ed eseguirono il breve pezzo coordinando le rispettive mani e dando vita alla più dolce delle melodie. Quando l’ultima nota riecheggiò nell’aria, incapace di resistere oltre, lei si voltò, prese il volto di lui tra le mani e dopo essersi abbandonata ad un profondo bacio, gli disse:

"Stanotte sarò io a fare l’amore con te, Terence".

E fedele alla sua parola, iniziò a sciogliergli il nodo della cravatta. Lui chiuse semplicemente gli occhi, sorpreso e affascinato dalla sua inattesa offerta. Emotivamente provato dal suo tormento interiore, il giovane lasciò che la bocca e le mani di sua moglie indugiassero in prolungate e seducenti carezze su ogni centimetro del suo corpo. Crescendo in intensità, l’energia generata da lei iniziò a pervadere la loro camera da letto, finché il battito del cuore di lui riprese dapprima il suo abituale ritmo, per poi accelerare in risposta alle sue carezze. Ben prima di quanto pensasse, dovette tenere a bada il suo naturale impulso di prendere il controllo del loro appassionato incontro. Non aveva di certo sognato così a lungo una notte d’amore come quella per spezzare il suo incantesimo a causa dell’impazienza. Pertanto, lasciò che lei lo viziasse con la più dolce delle torture.

Quando finalmente lei gli spalancò la porta del suo essere, i loro corpi si persero l’uno nell’altra finché l’ultima delle ombre che gravavano sul suo cuore non fu fugata. Fuori, il freddo pungente di febbraio non poté far nulla per affievolire il loro calore.

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A notte fonda i due giovani erano ancora svegli. Nella quiete della loro stanza, Candy giaceva al fianco di suo marito, ascoltando il racconto del colloquio con suo padre.

"Lo rivedrai prima che faccia ritorno in Inghilterra?" gli chiese.

"Siamo d’accordo di incontrarci prima della sua partenza, dopodiché solo Dio sa se ci rivedremo ancora", rispose lui, con un pizzico di malinconia nella voce.

"Da come parli, sembra che ti piacerebbe vederlo più spesso".

"È strano!" disse Terence corrugando la fronte, incapace di comprendere i sentimenti contrastanti che provava per suo padre. "Per molti anni non ho pensato a lui…o quantomeno ho cercato di non pensare a lui…ma adesso, sento di avere voglia di conoscerlo meglio".

"Non è affatto strano, amore mio!" rispose Candy, scuotendo il capo. "È naturale per un figlio desiderare la compagnia del padre. Avete molto tempo da recuperare, immagino".

Continuando il suo racconto, il giovane intrecciò le dita con quelle di sua moglie.
"Non ho mai pensato che…voglio dire…non ho mai immaginato di potermi sentire così", disse incespicando con le parole, "Ho sempre pensato che mi odiasse".

"L’odio è un sentimento estraneo al cuore di un padre, Terence. Tuo padre potrà anche essere un uomo con molti difetti, sarà anche stato crudele e disonesto con tua madre, ma malgrado tutte le sue mancanze, è pur sempre tuo padre e ora hai la certezza che ti voglia bene".

"Non l’avrei mai scoperto se tu non avessi insistito. . . proprio come facesti la prima volta con mia madre”, le disse con solo un filo della sua baritonale voce.

"Nulla mi rende più felice che esserti d’aiuto".

Il giovane lanciò un amorevole sguardo in direzione di sua moglie, accarezzandole il volto e allontanandole i riccioli d’oro dalla fronte.

"Sei sempre stata il mio angelo custode, non è vero?"

"Angelo custode suona decisamente meglio di Tarzan tuttelentiggini".

In risposta al suo commento, un’espressione maliziosa comparve sul suo volto "Che
ne dici di Angelo tuttelentiggini?" le chiese con un mezzo sorriso.

"Avrei dovuto stare zitta!" sbottò lei, lamentandosi e mettendo il broncio, cosa che lui trovò talmente irresistibile da non poter fare a meno di baciarla.

Quando le loro labbra si sciolsero dal bacio, Candy si ricordò di una cosa che desiderava chiedergli.

"Terence, c’è qualcosa che volevo dirti. Quando eravate nello studio, ho invitato il segretario e l’autista di tuo padre a prendere una tazza di the insieme a me".

"Hai invitato i domestici di mio padre?" le chiese lui, divertito.

"Sì. . . fuori si gelava ed erano rimasti ad aspettarlo in auto, poverini!"

"Mio padre deve aver avuto un attacco di cuore quando ti ha visto parlare con loro", disse Terence scoppiando a ridere per la prima volta dopo diverse ore. Anche nelle situazioni più tristi, Candy riusciva a dire o fare qualcosa che lo facesse ridere.

"Beh, devo ammettere che sembrava un po’ sorpreso, ma non ha detto nulla".

"Ci mancherebbe altro. Questa è casa mia, non Buckingham Palace", rispose Terence, tornando serio. "Era questo che volevi dirmi?"

"Non proprio, volevo chiederti una cosa che mi è venuta in mente quando parlavo con i domestici di tuo padre. Ho notato una cosa".

"Ovvero?"

"Sapevi che i servitori di tuo padre ti chiamano Marchese? Che cosa significa?"

"È un semplice titolo di cortesia", rispose lui con indifferenza.

"Vale a dire?"

"Mio padre detiene una serie di titoli, oltre a quello di Duca di N****. È anche Marchese, Conte e Barone".

A quelle parole, Candy non poté nascondere la sorpresa. Non aveva mai considerato la posizione altamente privilegiata del padre di Terence.

"Incredibile! Ma cosa c’entra con te?" gli chiese, confusa.

"Al primogenito di un Duca ci si rivolge utilizzando il secondo titolo del padre, come forma di cortesia. Non significa realmente che sia il Marchese di A****. È una semplice formalità. Il primogenito di un Duca resta un cittadino comune fino alla morte del padre, quando erediterà il Ducato", le spiegò, sentendosi un po’ in imbarazzo nel discutere questioni che aveva cercato di accantonare per così tanto tempo.

"Ma ora il Ducato non spetta a tuo fratello minore? Voglio dire, quando hai lasciato la famiglia Grandchester e sei diventato un attore, non hai perso la primogenitura?"
Terence sapeva che Candy gli stava ponendo tutte quelle domande ingenuamente, ma gli argomenti trattati lo mettevano piuttosto a disagio.

"Beh, non esattamente", le disse tirando un profondo sospiro, "A Beatrix sarebbe piaciuto senz’altro, ma le leggi di successione nobiliare sono complesse. Le cose cambierebbero soltanto se fosse dimostrato che sono un figlio illegittimo. E persino in quel caso, il procedimento giudiziario sarebbe lungo e difficile e alla fine potrebbe comunque uscirne sconfitta. Non dimenticare che anche lei ha preso parte all’inganno ed è legalmente riconosciuta come mia madre. Inoltre, mio padre potrebbe vendicarsi rivelando di non essere il vero padre dei suoi figli, causando un pubblico scandalo per tutte le famiglie coinvolte. Non credo che correrebbe mai il rischio di vedere i propri figli etichettati come illegittimi. Pertanto, si trova con le spalle al muro. Ed a giudicare dalle parole di mio padre, sembra che si aspetti ancora che io gli succeda un giorno".

Candy notò che, mentre parlava, i suoi occhi erano attraversati da tante emozioni diverse.

"Ed è una cosa che potrebbe interessarti?" gli chiese lei, sentendo che quella era la questione cruciale.

"Non mi sono mai visto in quel ruolo. . . ." rifletté lui. "Per anni ho pensato di essere ormai morto per Sua Grazia. Ora che mio padre vuole riavvicinarsi a me…non ne ho idea. . . sono piuttosto confuso al riguardo".

La giovane si rese conto che quella questione stava suscitando emozioni in suo marito che rischiavano di rovinare l’equilibrio precario raggiunto dopo la notte d’amore. Pertanto, decise di sdrammatizzare.

"Oh, beh, quanti anni ha tuo padre?" gli chiese.

"Una cinquantina, credo", rispose lui, alquanto incuriosito dalla domanda apparentemente irrilevante.

"Mi sembra in perfetta salute", osservò lei sorridendo, "pertanto, in base ai miei calcoli, dovresti avere ancora una ventina d’anni di tempo per decidere se desideri diventare Duca o meno".

Prendendo atto del buonsenso delle parole di Candy, il giovane si rilassò e cogliendo il suo suggerimento, le disse:

"Per il momento mi interessa solo essere il Duca di Gloucester(4)".

"Cha paura!" rispose lei, fingendo di essere terrorizzata mentre si copriva con le lenzuola, "E pensare che proprio in questo momento in quella tua testa criminale potresti tramare la mia morte!"

"Le creature deformi e losche come me hanno altri indicibili programmi per giovani donne come te. . ." proseguì lui con fare scherzoso, "forse persino peggiori della morte. . ." Il desiderio di aggiungere qualcos’altro fu interrotto da uno sbadiglio che gli impedì di completare la frase.

"A giudicare dai tuoi sbadigli, credo che il programma migliore che Riccardo III possa concepire al momento sia quello di dormire almeno qualche ora prima delle prove".

"Forse ha ragione, milady", ammise lui, avvolgendola tra le sue braccia, come era solito fare prima di addormentarsi. Poco dopo, lei sentì il suo respiro regolare e cadenzato, segno che era già caduto in un sonno profondo.

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(1) Terence recita le prime battute del monologo di apertura di Riccardo III, apportando una lieve modifica al testo.
(2) Questa scena è una delle poche ispirate all’anime.
(3) La Camera dei Lord o Camera dei Pari è la camera alta del Parlamento del Regno Unito. È composta dai Pari di Inghilterra e da Autorità ecclesiastiche.
(4) Il Duca di Gloucester era il titolo detenuto da Riccardo Plantageneto prima della sua ascesa al trono d’Inghilterra come Riccardo III. Terence qui allude al suo ruolo da protagonista nel Riccardo III.
 
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view post Posted on 28/4/2013, 23:23     +3   +1   -1

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Capitolo 11



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La Stagione dei Narcisi


Riccardo Plantageneto, Duca di Gloucester, era nato deforme e storpio. La sua gibbosità e la sua zoppia erano disgustose, ma i suoi modi seducenti contraffacevano l’effetto della sua deformità. Il suo cuore, subdolo e spietato, era abile nel mascherare l’intento di perseguire i suoi malvagi scopi. Non appena entrato in scena con la sua andatura zoppicante, si era rivolto al pubblico ammettendo apertamente di essere stato "frodato nei lineamenti dalla natura ingannatrice" e di essere "deforme, incompiuto, spedito prima del tempo in questo mondo che respira, finito a metà". Dopo aver debitamente riconosciuto la bruttezza del proprio essere, aveva così concluso:

"Perciò non potendo fare l’amante, per occupare questi giorni belli ed eloquenti, sono deciso a dimostrarmi una canaglia".

Aveva sfacciatamente confessato i suoi piani criminali, rendendo gli spettatori suoi complici, per poi voltarsi ed interagire con gli altri personaggi, mostrandosi ai loro occhi come un uomo dalle irreprensibili intenzioni. Dunque, per tutto il primo Atto, Terence aveva sedotto gli spettatori con una versione sorprendentemente matura di un cinico Riccardo III, così malvagiamente affascinante come era chiaramente nelle intenzioni del Bardo.

Robert Hathaway non recitava quella sera. Aveva concentrato tutti i propri sforzi nella regia dello spettacolo e – durante la presentazione – si era concesso il lusso di godersi il suo svolgimento unitamente alla reazioni del pubblico. Dopo il monologo iniziale, ebbe la certezza che il giorno dopo avrebbero fatto notizia nella sezione spettacolo di tutti i giornali. In trent’anni di carriera, non aveva mai assistito ad un’interpretazione così magistrale.

Nell’assegnare un ruolo talmente complesso ad un attore che non aveva ancora compiuto trent’anni, Robert Hathaway aveva corso un grande rischio. Eppure, ne era valsa assolutamente la pena. Nessun critico quella sera avrebbe potuto commentare l’interpretazione di Terence in toni meno che lusinghieri. Da quel momento in poi, anche i più maturi attori di Broadway si sarebbero sentiti legittimamente minacciati dallo strepitoso talento di Graham, giunto al suo apice malgrado la giovane età.
A giudicare dai volti totalmente affascinati che si osservavano in sala, il pubblico ne fu egualmente sedotto. In quel momento, Hathaway pensò che la sua decisione di ritirarsi dalle scene fosse giunta al momento giusto. L’allievo aveva superato il maestro. Tuttavia, lungi dall’esserne geloso, Hathaway si sentì pervadere da una sorta di orgoglio paterno, che gli diede grande soddisfazione.

Nel primo palco c’erano altri occhi che seguivano lo spettacolo con il cuore in tumulto. Conoscendo la parte quasi a memoria, a forza di ascoltare Terence mentre provava, Candy riuscì a malapena a contenere la propria ammirazione. L’uomo sul palcoscenico era talmente diverso da suo marito che riusciva a stento a credere che potesse trattarsi della stessa persona.

Riccardo zoppicò grottescamente sulla via della perdizione, cadendo sempre più in basso, finché il pubblico non poté far altro che odiarlo. Tuttavia, dopo la grande battaglia, quando Riccardo gridò disperatamente "Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!" prima di essere sconfitto e ucciso dal Conte di Richmond, apparve chiaro che quello stesso pubblico che aveva odiato Riccardo, desiderava ora acclamare Graham per la sua eccelsa interpretazione.

Come era prevedibile, l’applauso fu lunghissimo. Sotto la pioggia di fiori e “bravo” che ne seguirono, Candy riuscì finalmente a scorgere il vero volto di suo marito, austero come sempre, dietro la sua caratterizzazione del malvagio sovrano. Quando giunse il momento dell’ultimo inchino davanti al suo pubblico, che salutò con la mano, Terence raccolse una delle rose che tappezzavano il palcoscenico e la lanciò a sua moglie, proprio un attimo prima che calasse il sipario.

Sapendo che quello era il segnale per lei, Candy prese il fiore e la sua pochette e si affrettò a lasciare il palco. Fuori trovò Roberto Barbera che la aspettava. Aveva ordini di scortare la signora nei camerini e subito dopo preparare l’auto per lasciare il teatro. Tuttavia, mentre percorrevano il corridoio, una voce chiamò Candy usando il suo nome da ragazza.

"Candice White Andrew!" esclamò una voce femminile dietro di lei, costringendo Candy a voltarsi.

Un attimo dopo, lo sguardo della giovane si posò sulla stanca figura di una donna, fasciata in un abito nero, che lì per lì non riconobbe.

"Posso esserLe utile, signora?" rispose Candy, facendo un cenno a Roberto per lasciargli intendere che desiderava parlare con la donna. Quell’intoppo causò una certa inquietudine nell’autista. Il suo capo gli aveva dato precise istruzioni di non permettere a sconosciuti di avvicinarsi a sua moglie all’uscita del palco a lei riservato. Tuttavia, Roberto attese come ordinatogli dalla giovane.

"O dovrei dire Candice Graham?" chiese la donna con un pizzico di ironia nella voce, mentre le si avvicinava.

"Proprio così, signora, il mio nome è Candice Graham adesso. Cosa posso fare per Lei?" le chiese nuovamente Candy.

"Non si ricorda di me?" domandò la donna socchiudendo gli occhi, per poi aggiungere, come se ci avesse riflettuto meglio: "Ovviamente no. Devo essere cambiata parecchio negli anni, specialmente negli ultimi due".

Candy si sforzò di scorgere qualcosa di familiare nel volto della donna. I capelli erano ormai grigi, ma probabilmente erano stati di un castano chiaro una volta. Gli occhi blu avevano un bagliore tagliente, quasi bisbetico. Eppure, i suoi lineamenti erano classici e ben marcati. Candy pensò che dovesse essere stata molto bella da giovane. Improvvisamente, come folgorata, Candy riconobbe la donna che aveva davanti a sé.

"Signora Marlowe?" chiese, non senza esitazione.

All'accenno di quel nome, Roberto trasalì quasi impercettibilmente. Gettò una seconda occhiata alla donna e, non senza difficoltà, riconobbe finalmente la madre dell’ex fidanzata del suo capo. Era terribilmente invecchiata.

"Sì, sono proprio io, ragazza mia. Mi dispiace avvicinarLa in questo modo, in una splendida serata come sarà sicuramente questa per Lei in quanto sua moglie, ma non avevo altro modo di contattarLa. Terence è stato molto attento a non farmi avere il suo nuovo indirizzo".

"Non si preoccupi, Signora Marlowe", rispose Candy sforzandosi di essere cortese. Tuttavia, non avendo molto tempo, le disse: "sono certa comprenderà che sono alquanto di fretta adesso, ma se desidera parlarmi possiamo organizzare un incontro e magari prendere un the insieme uno di questi giorni. Che ne dice?"

"Non sarà necessario. Ci metterò solo un minuto", rispose la donna, tirando fuori un pacchetto dalla sua borsa. "Volevo solo darLe questo".

La Signora Marlowe le tese il pacchetto avvolto in una carta marrone e legato con un nastro rosa ormai ingiallito.

"Questo? Cosa. . . .?" balbettò Candy, confusa.

"È una cosa che Le ha lasciato mia figlia Susanna prima…prima di morire", spiegò la Signora Marlowe con voce roca. "Quando me l’ha affidato, le ho detto che avremmo potuto inviarlo per posta allo stesso indirizzo a cui aveva scritto una volta. Ma lei mi fece promettere di consegnarLe il pacchetto personalmente. Mi disse che presto o tardi, se avessi seguito da vicino la vita di Terence, avrei trovato il modo di incontrarLa ed assicurami che ricevesse questo".

Candy non sapeva cosa dire. Le intenzioni di Susanna Marlowe nell’affidare quel compito alla madre e, soprattutto, il misterioso contenuto del pacchetto, erano imperscrutabili per lei.

"Io . . . io La ringrazio per il disturbo che la cosa deve averLe arrecato, Signora Marlowe", mormorò.

"L’ho promesso a mia figlia in punto di morte. Questo è tutto, ragazza mia", rispose la donna, raddrizzando le spalle, come per difendere la propria dignità.

"Capisco".

Le due donne si fissarono, incerte su cosa dovessero dirsi in quel momento.

"Bene, non intendo trattenerLa oltre", disse finalmente la Signora Marlowe. "Le nostre strade si dividono qui ma prima di congedarmi, c’è un’altra cosa che desidero dirLe", proseguì la Signora Marlowe, facendo subito dopo una breve pausa, come se facesse fatica a trovare le parole per esprimere quello che intendeva dire, "Grazie. . ." disse infine, "Grazie per aver salvato la vita di mia figlia. Ha concesso a questa madre di godersi la propria figlia per qualche anno in più", concluse la donna e Candy notò che aveva gli occhi velati nel tentativo di trattenere le lacrime.

"Per carità, Signora Marlowe, non lo dica neanche", rispose Candy, sinceramente commossa dall’evidente dolore della donna.

"Bene. Buona fortuna per tutto, Signora Graham", disse la Signora Marlowe con un lieve cenno del capo.

"Anche a Lei, Signora Marlowe, Le auguro ogni bene".

E voltando le spalle, la donna si allontanò da Candy e dal suo autista. Dopo l’imbarazzante scena, Roberto prese la giovane per un braccio esortandola ad incamminarsi. A breve i corridoi sarebbero stati affollati da spettatori che avrebbero riconosciuto la moglie del primo attore, importunandola con una serie di domande.
Un po’ turbata da quell’incontro imprevisto. Candy affidò il pacchetto a Roberto e corse da suo marito, facendo del proprio meglio per mettere da parte la tristezza suscitatele dal ricordo di Susanna.

Quando finalmente entrò nel camerino di Terence, il giovane aveva riacquistato la sua consueta bellezza ed era intento ad annodarsi la cravatta. Dimenticando tutto il resto alla vista del suo amato, lo strinse forte, poggiando il mento sulla sua ampia schiena. Lui osservò nello specchio le sue minute mani che lo cingevano all’altezza del panciotto bianco. Per un attimo, nessuno dei due parlò. Lui chiuse gli occhi e le accarezzò le mani e le braccia, assaporando la sensazione suscitatagli dal corpo di lei premuto contro la sua schiena.

"Sei stato meraviglioso stasera!" disse finalmente lei, "Temevo che quel malvagio re gobbo avesse preso in ostaggio mio marito", scherzò.

"Sei sicura che non sia qui da qualche parte?" le chiese lui, usando la stessa particolare voce che aveva concepito per il suo personaggio, voltandosi subito dopo verso di lei senza sciogliere il loro abbraccio.

Lei rise tra le sue braccia, concedendo al suo Duca di Gloucester di assaporare le sue labbra.

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I festeggiamenti dopo la prima erano stati spumeggianti. La Compagnia Stratford aveva organizzato una specie di festa d’addio per Hathaway. Ovviamente, il posto ideale per celebrare un’occasione del genere era l’Hotel Algonquin, dimora naturale di artisti, drammaturghi, critici e attori, soprattutto dato che Robert era un membro attivo della Tavola Rotonda dell’Algonquin (1). Dunque, nel lobby-bar decorato interamente in boiserie ed illuminato da lumi color ambra, Candy ebbe l’opportunità di fare la conoscenza dei più coloriti rappresentanti degli intellettuali e degli artisti dell’esuberante New York City.

La maggior parte dei presenti amava il jazz, pertanto era impossibile fare a meno di un buon gruppo musicale. Tuttavia, quando la Compagnia Stratford fece il suo ingresso trionfale nella hall, i musicisti smisero di suonare per un attimo per lasciare spazio agli applausi ed agli incitamenti indirizzati al regista ed al primo attore. Terence Graham e la giovane donna che era al suo fianco furono letteralmente assaliti dai flash. Fasciata in un fiammeggiante abito rosso di chiffon che mostrava le caviglie sotto un orlo asimmetrico, la bionda sembrava essere il bersaglio preferito dai fotografi, entusiasti di avere l’opportunità di immortalarla, dato che si diceva fosse alquanto riluttante a fare apparizioni pubbliche tra il Jet Set di New York. Sul giornale del mattino dopo, il luminoso sorriso di lei sarebbe stato in netto contrasto con l’espressione austera di suo marito.

Uno dei primi ad avvicinarsi a Graham per congratularsi per la sua esibizione fu il famoso critico Alexander Walcott. Candy trovò che quell’uomo corpulento dai tondi occhiali fosse alquanto buffo e impacciato. Tuttavia, nel profondo dei suoi occhi, dietro quell’espressione da gufo e gli acidi commenti, la bionda riuscì a scorgere un velo di tristezza. Pensò che i suoi modi compassati nascondessero un uomo molto solo. A dispetto della sua reputazione, nel rivolgersi a Terence ed a sua moglie, Walcott fu assolutamente gentile e cortese.

Subito dopo Terence spiegò a Candice che una buona metà della comunità artistica di New York adorava Walcott, mentre l’altra metà lo odiava per le sue controverse recensioni. Eppure, quell’uomo sembrava avere una predilezione per Graham, nei confronti del quale aveva sempre dimostrato profondo rispetto. Gli fece persino le congratulazioni per il suo matrimonio e si complimentò per la bellezza di sua moglie, prima di allontanarsi per conversare con Robert Hathaway, con cui si intrattenne per un bel po’.

Dopo quel primo incontro, ne seguirono molti altri. Una pletora di nomi famosi e personaggi esuberanti sfilarono davanti alla giovane donna, che si meravigliò di quanto fosse sofisticato il mondo in cui viveva Terence. Per ironia della sorte, indipendentemente da quanto si folleggiasse intorno a lui, il giovane rimase freddo e distante, sempre cortese con tutti, ma senza andare mai troppo sul personale. Conoscendo a fondo il suo carattere ed accettandolo per quello che era, la giovane si godette la serata, approfondendo la conoscenza dei colleghi di Terence nonostante la flemmaticità di quest’ultimo.

Candy sapeva che quella sera suo marito doveva essere piuttosto nervoso e alquanto sulle spine. L’incertezza delle recensioni che lo attendevano il giorno dopo, unitamente alla presenza di così tante persone, stavano contribuendo a fargli raggiungere il limite di sopportazione. Notò che ad ogni nuova conoscenza che gli si avvicinava, il suo distacco e la sua riservatezza aumentavano. Pensò che fosse un peccato che si sentisse talmente a disagio ad una festa dove le musica era così bella. Il gruppo jazz era quanto di meglio si potesse desiderare su una pista da ballo e c’era persino un’orchestra d’archi. Moriva dalla voglia di ballare. Ma fu colta del tutto di sorpresa quando suo marito, nel momento in cui si udì un violino eseguire le note di apertura di un pezzo molto popolare in quel momento, le chiese:

"Penso che questa canzone sia per noi, tuttelentiggini. Ti va di ballare un tango?".

"Certo che mi va!" rispose lei, accettando di buon grado.

Dunque, di fronte agli occhi stupefatti di colleghi, artisti, critici e giornalisti, Terence guidò sua moglie nelle sensuali piroette del più famoso tango di Jacob Gade. Le ipnotiche note del pezzo, unitamente alla chimica che chiaramente legava la coppia, spinse molti dei ballerini a fermarsi per ammirare i due giovani.

Candy, che era sempre stata un’abile ballerina, trovò in suo marito il partner ideale. Si dimostrò creativo sulla pista da ballo tanto quanto nell’intimità. In un certo senso, pensò, il ballo non era che un modo per sedurre i ballerini trascinandoli in uno scambio che rispecchiava il fare l’amore. Ora capiva perché sin dai tempi della scuola avevano sempre sentito il bisogno di ballare.

"Perché sorridi?" le chiese, sussurrandole all’orecchio.

"Questo nuovo tango ha un nome piuttosto buffo. Lo sapevi?" gli chiese.

"No. Ti prego, illuminami".

"Gelosia", rispose lei, perdendosi nei suoi occhi.

Lui inarcò un sopracciglio e con un mezzo sorriso, commentò:

"Touché".

Dimenticandosi volutamente del fatto che avessero un pubblico, la coppia continuò a volteggiare sulla pista da ballo fino agli ultimi teatrali accordi. Dopodiché, si intrattennero ancora un po’ alla festa ballando e conversando con alcuni dei presenti. Tuttavia, ben presto, la capacità di Terence di mantenere una parvenza di cortesia giunse al limite. Pertanto, sebbene a Candy sarebbe piaciuto ballare un ben più energico Charleston o un Baltimora quella sera, fu comunque pronta ad abbandonare la festa nel momento in cui suo marito ne sentì il bisogno.
Hathaway, conoscendo le abitudini di Terence, non fu affatto sorpreso quando il giovane annunciò la volontà di congedarsi. Di fatto, rispetto alle altre feste che avevano fatto seguito ad una prima, a cui si era fermato meno di un’ora, si era trattenuto decisamente più a lungo ed aveva persino ballato, cosa mai avvenuta prima. Il veterano attore immaginò che un tale miracolo non fosse che un effetto della presenza di sua moglie. Era infatti riuscita a farlo interagire con gli altri ben più che se fosse stato solo.
Infine, dopo gli ultimi arrivederci ed auguri per le recensioni del giorno dopo, Terence fu sollevato di poter tornare a casa con sua moglie. Tuttavia, non essendo abituato ad abbassare la guardia in presenza di estranei, non disse granché finché non furono al sicuro nella privacy della loro camera da letto.

A quel punto, si concesse finalmente di discutere apertamente delle proprie impressioni sulla sua esibizione e dell’eccitazione che aveva sentito nel sapere che questa volta lei era lì per lui, a guardarlo dal palco, non come una semplice spettatrice, ma come sua moglie. Candy, seduta sul letto intenta a togliersi le scarpe col tacco, lo guardò con la coda dell’occhio. Il suo volto era raggiante. Ben lontano dallo sguardo austero che aveva mantenuto in pubblico.

Improvvisamente, mentre esprimevano le reciproche impressioni sul ricevimento e sulle persone che avevano incontrato, Terence sorprese sua moglie inginocchiandosi davanti a lei. Prima che lei potesse reagire in alcun modo, iniziò ad aiutarla a sfilarsi le calze di seta. La giovane accennò una protesta, seppur debole, dicendogli che non era necessario, ma lui, guardandola dritto negli occhi, ribatté:

"Lasciami fare. Non puoi pretendere che resti impassibile quando indossi un vestito come questo".

Nel dire quelle parole, quando le gambe di lei erano ormai nude, iniziò ad accarezzarle le caviglie con chiaro intento erotico.

"Tu non te ne accorgi. . . non te ne accorgi mai. . ." continuò soffocando un sorriso, "ma quasi tutti gli uomini alla festa ti mangiavano con gli occhi. . .ma è tutto quello che possono fare; mentre io. . . ."

E con quelle ultime parole, il giovane fece scivolare le mani sotto l’orlo del suo vestito, finché le ginocchia di lei non furono del tutto scoperte. La vista delle sue cosce ben tornite gli fece fiammeggiare lo sguardo di scintille blu e verdi. Candy iniziò a respirare in modo irregolare. Quando finalmente lui abbassò la testa iniziando a baciarle il ginocchio destro, lei sentì distintamente che il resto del suo corpo iniziava a prepararsi per quel che l’attendeva.

Diventando sempre più audace, le sue mani e le sue labbra avanzarono lentamente verso l’alto. Sollevò il tessuto trasparente della sua gonna, lasciando un’umida scia di baci e delicati morsi sull’interno coscia, finché la sua bocca non raggiunse l’ambito traguardo tra le sue gambe. Il respiro di lei, divenuto più affannoso a causa dell’intimità delle sue carezze, rese superflua qualsiasi conversazione per un bel po’. Capì che avrebbero coronato il successo di quella sera con i dovuti fuochi d’artificio e fu lieta che avessero lasciato la festa così presto.

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Era ancora buio nella tranquillità della sua camera da letto quando Candy si svegliò. Suo marito dormiva profondamente, sdraiato a pancia in giù, una della sue posizioni preferite. Per tutta la serata, aveva volutamente ignorato il pacchetto consegnatole dalla madre di Susanna. Ora che era sveglia, però, la curiosità iniziava ad avere la meglio. Dunque, si alzò, cercando di fare il minimo rumore possibile, si infilò la vestaglia di seta e chiuse la porta della camera da letto dietro di sé.

Aveva dato istruzioni a Roberto di lasciare il pacchetto nella dispensa della cucina e fu esattamente lì che lo trovò.

Con l’aiuto di un coltello da cucina strappò velocemente la carta marrone che lo ricopriva. Quando vide cosa conteneva, spalancò gli occhi incredula. C’erano oltre trenta lettere dalle buste rosa, che il tempo aveva reso giallastre. In cima alla pila, vi era una busta bianca, che sembrava essere più recente, recante il nome da ragazza di Candy.

Sempre più sorpresa, sparse le buste rosa sul marmo del bancone della cucina. Sotto la luce di un lume, riconobbe la propria grafia.

"Queste sono le mie lettere a Terence!" esclamò, esterrefatta. "Le lettere che gli ho scritto da Chicago…tanto…tanto tempo fa. . . e sono tutte sigillate! Non le ha mai lette!" aggiunse, balbettando distintamente in preda allo choc.

Incapace di darsi una spiegazione, afferrò la busta bianca, immaginando che contenesse un messaggio da parte di Susanna che l’aiutasse a capire. Seduta su uno degli sgabelli della cucina, la giovane aprì infine la busta bianca per leggerne il contenuto:

24 Ottobre, 1922

Mia cara Candy,

Questa è la seconda lettera che ti scrivo negli anni e sicuramente sarà anche l’ultima. Se ora la stai leggendo, significa che mi trovo in un luogo che spero sia migliore di questo mondo, nel quale ho patito un dolore fisico talmente intenso da lasciarmi esausta e malinconica.

Sono certa che nel momento in cui riceverai questa lettera, Terence sarà al tuo fianco. Persino adesso mentre ti scrivo e lui è qui in questa stessa stanza immerso distrattamente nella lettura, so che nel profondo del suo cuore è con te. Nei sei anni del nostro lungo fidanzamento, da quando è tornato da me, è stato sempre così. Le sue parole e la sua presenza sono qui con me, ma il suo cuore si è fermato in quel luogo dell’Indiana accanto a te.

Non avere pietà di me, Candy, ormai mi sono abituata alla sua indifferenza. Eppure, all’inizio non era così. Nutrivo la speranza, come ti scrissi una volta, che alla fine il suo cuore si sarebbe avvicinato a me, ma con il tempo tutte le mie speranze sono state disattese. Vorrei poter dire che se non fosse stato per questa terribile malattia, che sta troncando la mia vita, avrebbe potuto imparare ad amarmi, dopo i lunghi anni di separazione da te. Ma ora che mi accingo a rivedere il mio Creatore, non posso più mentire a me stessa. Anche se fossero passati decenni e fossimo invecchiati insieme, so per certo che le cose non sarebbero cambiate. Si sarebbe ostinato a restare innamorato di te, forse persino di più, poiché sembra che il suo amore per te diventi ogni giorno più profondo.

Eppure non credere, Candice, che gli porti rancore per la sua incapacità di amarmi come vorrei. Al contrario, gli sono molto grata per il generoso dono che mi ha fatto restandomi accanto, seppur spinto dalla pietà. Disdegni forse la mia patetica passione? Non mi importa! Sono stata abbastanza felice grazie alle briciole di affetto che mi ha riservato.

Leggi con attenzione, Signorina Andrew, e poi decidi pure come giudicarmi. Saperlo mio, anche se solo agli occhi degli altri e non nella realtà, mi ha fatta sentire al settimo cielo. Grazie a questo fugace barlume di gioia, sono stata felice ed il mio peccato più grave è stato esserne lieta, seppure fossi consapevole delle sue sofferenze. A causa della mia passione egoista, perché è giunto il momento di essere onesta con me stessa e definirla come si conviene, non ho esitato a tenerlo lontano da te, pur sapendo che la vostra separazione lo addolorava profondamente. Vorrei aver avuto la tua forza ed il tuo altruismo nel lasciarlo andare. Ma temo di non essere tagliata per fare l’eroina, al contrario di te, Signorina Andrew.

Quindi, anche se a volte ho pensato che la soluzione migliore fosse consentirgli di tornare da te, ho sempre finito per tenerlo incatenato a me. È stato sempre così sin dall’inizio. Dal primo momento in cui ho posato lo sguardo su di lui quando bussò per la prima volta alla porta della Compagnia Stratford, decisi che sarebbe stato mio per il resto della vita. Ero così determinata che non esitai a mentire, ingannare e tramare alle sue spalle per raggiungere il mio scopo. Rubare le tue lettere è stata solo una delle tante cose che ho fatto. Cose che ora mi fanno arrossire per la vergogna.

E credo che qui sia necessaria una spiegazione. Un giorno mi recai al vecchio appartamento di Terence per informarlo che ci sarebbe stata un’audizione per Romeo e Giulietta. In quell’occasione, mentre salivo le scale di casa sua, la sua padrona di casa mi affidò una lettera che era appena arrivata per lui. Era da parte tua! Impazzii di gelosia alla scoperta che eravate in contatto. Così, intascai la lettera e nelle settimane successive fui combattuta tra il desiderio di strapparla e quello di restituirla al suo legittimo proprietario.

Almeno quella volta, finii per fare la cosa giusta, ma con l’intento sbagliato. Quando finalmente gli consegnai la tua lettera, gli confessai il mio amore e lo implorai di lasciarti. La mia arroganza mi indusse a ritenere che la mia bellezza e la passione della mia confessione sarebbero bastate a fargli dimenticare il suo amore per te. Ma non feci altro che rendermi ridicola.

Lui reagì con fredda cortesia. Essendo un gentiluomo, rifiutò rispettosamente le mie avances e prese la tua lettera tra le mani come se si fosse trattato di un gioiello prezioso. Corsi via in lacrime e lui non mi fermò. Mi sentii talmente umiliata che in quel momento giurai a me stessa che avrei fatto di tutto per portartelo via.

Così, corruppi la sua padrona di casa affinché intercettasse le tue lettere – ovviamente non tutte, per non destare sospetti. Tuttavia, anche quando le tue lettere iniziarono a diradarsi, la sua passione non scemò. Non sapevo cos’altro fare.

Poi ci fu il fortunato incidente. Sì, fortunato, perché mi permise di portartelo via. Mi vergogno molto ad ammetterlo, ma è proprio così che la penso. Quando gli dicesti addio quella notte in ospedale, riuscii a stento a credere che lo stessi veramente lasciando a me. Nemmeno nei miei sogni più audaci avrei potuto credere che ciò potesse accadere.

In quell’occasione mi dicesti di prendermi cura di lui. Ora, mentre mi preparo ad affrontare la morte, devo confessare che non ho mantenuto la promessa che ti feci quel giorno. Lui non è mai stato felice. Per anni ho temuto che un giorno saresti ricomparsa nelle nostre vite, rinfacciandomi di non aver tenuto fede alla parola data. Se l’avessi fatto, non sarei stata in grado di controbattere e, quel che è peggio, non avrei potuto trattenere Terence. Perché so con certezza che, sebbene fosse legato a me dal suo senso dell’onore, ti sarebbe bastato schioccare le dita per averlo ai tuoi piedi. Ma in tutti quegli anni tu non ti facesti mai viva, neppure una volta.

Come ho già detto, non vado fiera di ciò che ho fatto e so che tutti mi condannerebbero, se conoscessero la mia storia. Ma io sono l’unica a comprendere la mia debolezza. La verità è che non avevo la forza di vivere senza di lui.

Malgrado ciò, sono consapevole che a causa del mio amore per Terence, ho ferito profondamente entrambi. Se potessi riscrivere questa storia, come faccio con le mie opere, stravolgerei la trama. Tornerei al primo Atto e farei di Susanna Marlowe la tragica eroina che altruisticamente esce di scena lasciando in pace gli amanti osteggiati dal destino. Ma le decisioni che ho preso nella vita reale mi hanno piuttosto trasformata nell’antagonista di questa triste storia.

Ora la mia vita volge al termine, ma non ho nulla da recriminare. Credo che sia la cosa migliore, perché la mia esistenza non ha fatto che rovinare la vita di Terence. Quando non ci sarò più, so che lui correrà da te. Lo so perché mi sono informata e so che sei ancora sola. A volte mi chiedo se non sia perché lo ami ancora. Spero vivamente che sia così. Se lo merita.

Intendo chiedere a mia madre di contattarti dopo che vi sarete sposati. Per fare ammenda, o quantomeno per ammettere i miei peccati, desidero restituirti le lettere che ho rubato.

Ecco, finalmente ti ho confessato tutto, Candice. Grazie per la generosità che mi hai dimostrato e come ultima cosa ti chiedo di perdonarmi. Stai pur certa che nell’esalare l’ultimo respiro, benedirò il tuo nome.

Cordialmente tua,
Susanna Marlowe



Quando Candy terminò di leggere la contorta lettera di Susanna, silenziose lacrime iniziarono a rigarle il viso. Faceva fatica a controllare il tumulto delle proprie emozioni, talmente complesse da esserle del tutto estranee. L’immagine di Susanna Marlowe che aveva sempre conservato nella sua mente iniziò lentamente a svanire. Sin da quando Terence le aveva in parte rivelato la verità sulla sua vita insieme a lei, la sua opinione era drasticamente cambiata. Tuttavia, conoscere le reali intenzioni di Susanna leggendo le sue confessioni era decisamente un’altra storia. In quel momento, la fiducia che Candy aveva sempre nutrito nei confronti della natura umana, vacillò pericolosamente.

Provò pena per la totale mancanza di autostima di Susanna e per la sua dipendenza, ma era anche arrabbiata – anzi, arrabbiatissima – perché aveva osato rubare le sue lettere. Per di più, il fatto che la donna avesse apertamente ammesso di essere consapevole delle sofferenze di Terence, fece decisamente infuriare Candy. Susanna avrebbe potuto decidere di lasciarlo libero, ponendo fine alla sua infelicità, ma aveva scelto di non farlo. Eppure, l’aspetto della lettera che forse l’aveva sconvolta di più, era la convinzione di Susanna rispetto a quello che sarebbe potuto accadere se Candy avesse osato ricomparire nella vita di Terence.

“Se avessi voluto, ti sarebbe bastato schioccare le dita per averlo ai tuoi piedi".

Il peso di quelle parole le fece aprire gli occhi su una realtà che non aveva mai considerato del tutto: senza volerlo, Candy si era resa colpevole dello stesso peccato. Avrebbe potuto mettere fine al dolore di Terence e non aveva mosso un dito. Turbata da questa nuova consapevolezza, pianse lacrime amare, nascondendo il volto tra le mani, e fu proprio così che suo marito la trovò.

"Santo Dio, Candy, che cosa è successo?" le disse, affrettandosi a prenderla tra le braccia, "Che c’è che non va, amore mio? Parlami!"

Lei desiderava spiegargli, ma per un po’, non riuscì a smettere di singhiozzare. Sempre più allarmato, Terence si guardò intorno finché il suo sguardo non si posò sulla carta marrone che aveva avvolto il pacchetto e sulle buste rosa sparse sul bancone della cucina.

"Che cos’è questa roba?" le chiese e Candy si voltò per vedere a cosa si riferisse.

Non riuscendo a fermare le lacrime, tirò un profondo sospiro. La giovane avrebbe voluto nascondergli quella storia, per non turbarlo con questioni che appartenevano al passato. Ora che però era impensabile mantenere il segreto, Candy pensò che l’unica soluzione possibile fosse quella di dirgli la verità.

"Questo pacchetto mi è stato consegnato stasera, alla fine dello spettacolo, quando sono uscita dal palco”, esordì con voce rotta.

Terence si mise immediatamente in stato di allerta, ma non disse nulla, lasciandola continuare.

"Mi è stato dato da una persona che non mi aspettavo di vedere".

"Ovvero. . ." la imbeccò lui, impaziente.

"La Signora Marlowe", disse lei, prevedendo quale sarebbe stata la reazione di Terence.

"Cosa? Maledizione!" esclamò lui, incapace di trattenere un’imprecazione.

"Ha detto che si trattava di una cosa che Susanna le aveva chiesto di consegnarmi”, spiegò Candy, notando che Terence era dapprima impallidito, per poi arrossire in preda all’indignazione.

"Dannata donna!" sbottò Terence, sorridendo amaramente e scuotendo la testa incredulo. "Teatrale fino all’ultimo".

"Andiamo, Terence, non agitarti. Non ne vale la pena", disse lei, cercando di placare la sua collera.

"Ma tesoro mio, ti ha fatto piangere", insistette lui, asciugandole le lacrime con le mani.

"Sto bene, Terence. Sono solo rimasta sorpresa dal contenuto del pacchetto. Hai visto di cosa si tratta?" gli chiese, voltandosi verso il bancone alle sue spalle.

"Cosa sono queste?" le chiese lui, incapace di nascondere la sorpresa quando finalmente riconobbe le buste rosa che lei era solita usare.

"Sono le tue lettere, Terence!" gli spiegò. "Quelle che non hai mai ricevuto".

"Ma. . . tutte queste. . . non può essere!" esclamò lui, esaminando una ad una le lettere sigillate, controllando le date sui francobolli e accarezzando con un dito il suo nome ed il suo vecchio indirizzo vergati chiaramente nella grafia di Candy, "Non…non mi sono mai arrivate…oh cara, tu…me ne hai scritte moltissime!"

"Sì, te l’avevo detto. Non ho mai capito come mai ne fossero andate perse così tante! La risposta è che le aveva prese Susanna. Mi ha scritto una lettera per spiegare le sue ragioni…ed in un certo senso scusarsi”, concluse Candy, indicando la missiva di Susanna che giaceva sul bancone.

Terence fissò le pagine bianche scritte da Susanna e la sua espressione si incupì. Conoscendo la mente squilibrata della donna, capì che erano stati entrambi vittima delle sue macchinazioni sin dai tempi della loro relazione a distanza.
In condizioni normali, Terence sarebbe andato su tutte le furie alla scoperta del colpo basso di Susanna. Ma rendendosi conto di quanto fosse turbata sua moglie, decise piuttosto di occuparsi di lei.

Prese la lettera di Susanna e, senza dire una parola, la stracciò in mille pezzi. Dopo averla buttata via, raccolse in una mano tutte le lettere indirizzate a lui e con l’altra attirò Candy al suo petto nudo e la baciò sulla fronte.

"Queste le leggerò domani", le sussurrò, senza staccare le labbra da lei. "Adesso, però, torna a letto con me. Voglio dormire ancora un po’ con te accanto. Che ne dici?"

Candy annuì in silenzio. Incamminandosi verso la camera da letto, con il braccio di Terence che le cingeva le spalle, Candy fece del proprio meglio per allontanare i tristi pensieri che le attanagliavano il cuore.


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Una settimana dopo la prima, i Graham avevano stabilito una comoda routine. Candy lavorava come volontaria alla Croce Rossa un paio di volte a settimana. Aveva dovuto usare un nome falso e recarsi in ospedale sempre scortata dal Signor Barbera per evitare i giornalisti. Questo era l’unico inconveniente, ma si era adeguata ben volentieri, sapendo che si trattava di un prezzo minimo da pagare per essere la moglie di una celebrità. Nelle sere in cui non lavorava, andava in teatro con suo marito. A volte assisteva allo spettacolo dal suo solito palco. Altre, restava dietro le quinte. I colleghi di lui si erano ormai abituati alla sua presenza, perché era sempre discreta e persino collaborativa. Gran parte degli artisti della compagnia si domandava come fosse possibile che una donna così affascinante si fosse innamorata di un uomo come Graham. Ma erano comunque tutti grati per la sua presenza, che sembrava metterlo di buon umore.

La mattina Terence dormiva fino a tardi, a differenza di Candy. Gli anni passati a prendersi cura dei bambini l’avevano abituata ad alzarsi presto. Pertanto, quando non lavorava come infermiera, le piaceva passare la mattinata con la Signora O'Malley. Si era accorta che la donna si trovava molto bene con lei ed entrambe amavano passare il tempo facendo due chiacchiere in tranquillità.

Una di quelle mattine, mentre le due donne erano impegnate in cucina, la Signora O'Malley osò porle una domanda che le bruciava dentro da un po’.

"Signora Graham", esordì la donna, "Conosceva la Signora Marlowe e sua figlia?"

"Beh, sì, Signora O'Malley. Come mai me lo chiede?" le rispose, smettendo per un attimo di affettare le carote.

"Deve perdonarci, intendo Roberto e me, per averne parlato alle sue spalle. Mi ha raccontato che la Signora Marlowe è venuta da Lei la sera della prima del Signor Graham. Non riuscivamo a capire cosa avesse da dirLe quella donna, specialmente visto che non vi conoscevate. O almeno così credevamo".

Candy attese un attimo per riflettere su quello che avrebbe dovuto dire alla sua governante.

"Oh, beh. .. mi è capitato di incontrarle", le rispose, cercando di sembrare il più disinvolta possibile, "Ma, in tutta onestà, la nostra conoscenza è stata piuttosto breve. Ho avuto modo di parlare con la Signorina Marlowe appena un paio di volte. Sua madre, invece, l’avevo incontrata solo un’altra volta, prima dell’altra sera".

A quel punto, la Signora O'Malley rimase in silenzio. Sapendo come vanno le cose a questo mondo, la donna iniziò a comprendere molto di più sui suoi datori di lavoro. La governante aveva letto sui giornali che la Signora Graham aveva conosciuto suo marito ai tempi della scuola. Ora, il Signor Graham aveva vissuto per anni con una fidanzata che chiaramente non aveva mai amato. Poi, due anni dopo, era tornato a casa con una moglie di cui era follemente innamorato. Per di più, l’ex fidanzata e l’attuale moglie si conoscevano. Era piuttosto ovvio dedurre l’esistenza di un triangolo amoroso, discretamente sottaciuto.

"Roberto mi ha detto che Le ha consegnato un pacchetto”, continuò la governante.

"Sì. . . era. . . una lettera indirizzata a me dalla Signorina Marlowe".

"In questo caso, Signora Graham, voglio avvertirLa di non credere ad una sola parola di quello che quella ragazza può averLe scritto".

"Perché dice così?" chiese Candy, incuriosita dall’assertività della Signora O'Malley.

"Vede, Signora Graham, per qualche tempo ho vissuto con le Marlowe. Mi avevano assunta a tutto servizio, perché la Signorina Marlowe aveva bisogno di speciale assistenza, o almeno così credeva. Diciamo che ho imparato a conoscerla. Era una piccola bugiarda manipolatrice….e sua madre…. . .!" esclamò con enfasi la governante, alzando gli occhi al cielo con disprezzo.

"Sembra che non Le piacessero granché", azzardò Candy, cercando di fare del proprio meglio per gestire la questione con garbo.

"E come avrebbero potuto piacermi?" affermò la Signora O'Malley con un sospiro. "Se posso esprimere il mio parere, credo che la Signora Marlowe fosse troppo interessata al denaro del Signor Graham. E lui è stato fin troppo generoso per i miei gusti. Quelle donne mantenevano un tale tenore di vita che avrebbero dovuto baciargli i piedi per la gratitudine. Eppure, la Signorina Marlowe non faceva che assillare il Signor Graham chiedendo sempre di più; come se quella grande casa che aveva comprato per loro non fosse abbastanza. Era una bellissima casa; molto più grande di questa. Mi addolorava molto vedere il Signor Graham maltrattato da quella brontolona. È un brav’uomo e il miglior datore di lavoro che abbia mai avuto".

"Capisco. . ." riuscì appena a controbattere Candy. In ogni caso, la Signora O'Malley non aveva certo bisogno di incoraggiamento per proseguire con la sua invettiva.

"Inoltre, la Signorina Marlowe non era che una ragazzina viziata in un corpo di donna. Era certamente infatuata del Signor Graham, ma non credo che lui fosse felice delle sue attenzioni. Per anni mi sono chiesta come facesse a stare con lei. Poi, sono giunta alla conclusione che avesse pietà di lei, per l’incidente e tutto il resto, sono certa che Lei sappia di cosa parlo. E pensare che lei non era che un’ospite, o roba del genere, perché non l’ha mai sposata! Ma si comportava come se fosse sua moglie, dandomi ordini a destra e a manca e sbraitando con me quando non era soddisfatta dei miei servigi. E poi, se posso permettermi, non ha mai cucinato per lui, né si è mai preoccupata che stirassi le sue camicie come si deve. Non ha mai fatto nulla di quello che una moglie dovrebbe fare per suo marito. Roberto ed io abbiamo dovuto mandar giù diversi bocconi amari con quelle due. Siamo rimasti solo perché tenevamo al Signor Graham".

La rabbia di Candy nei confronti delle Marlowe, ed anche di se stessa, cresceva esponenzialmente man mano che la Signora O'Malley proseguiva nel suo racconto. Eppure, riuscì a celare le proprie emozioni.

"Mi dispiace molto, Signora O'Malley, ma apprezzo la Sua lealtà nei confronti di mio marito", le disse infine, cercando di chiudere quello spiacevole argomento.

"La ringrazio, signora", rispose la governante con un cenno del capo, ma poi, non avendo esaurito tutto quello che aveva da dire, proseguì. "Quando il Signor Graham ci ha detto che avrebbe lasciato la casa alla Signora Marlowe per trasferirsi altrove, Roberto ed io ci siamo rifiutati di restare con quella strega. Allora, lui ci ha offerto questo lavoro, che devo dire non è affatto faticoso, perché non devo fermarmi qui la notte o durante il finesettimana. Sono stata fortunata. Poi, quando mi ha chiamato per dirmi che si era sposato, devo confessarLe, Signora Graham, che mi sono preoccupata". "Credo di comprendere le sue paure", rispose Candy con un mesto sorriso, compatendo quella brava donna.

"Poi l’ho conosciuta e non credevo ai miei occhi. I giornali dicevano che era una signora molto ricca, ma a me non sembra…voglio dire…Lei è una vera signora, non una smorfiosa con la puzza sotto il naso. E una magnifica padrona di casa e un’ottima moglie per il Signor Graham. Mi dispiacerebbe molto se quello che Le ha scritto quella ragazzina L’avesse turbata, signora".

"La ringrazio molto, Signora O'Malley! Apprezzo la Sua gentilezza. Ma non si preoccupi della lettera. Non…non diceva nulla di importante. Ma ora, devo sbrigarmi altrimenti lo stufato non sarà pronto in tempo. D’accordo?" Candy cercò di sfoggiare il suo sorriso più radioso e la governante, ritenendo di aver fatto il proprio dovere, obbedì senza fare ulteriori commenti.

Candy tornò alle sue faccende, affettando le verdure per lo stufato, mentre la Signora O'Malley lasciò la cucina per dedicarsi alle pulizie. Malgrado il genuino tentativo da parte di Candy di non pensare alle parole della governante, queste non fecero che alimentare il suo disagio. Man mano che scopriva nuovi dettagli sulla vita di Terence con Susanna, faceva sempre più fatica a comprendere perché suo marito non ce l’avesse con lei per aver rinunciato a lui.

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La mattina del 12 aprile, Candy si svegliò un po’ nauseata. Si alzò dal letto e si recò in cucina per prepararsi del thè alla liquirizia ed alleviare quella spiacevole sensazione. Mentre versava il liquido caldo nella tazza, controllò l’orologio della cucina. Erano le sei del mattino ed era domenica; dunque, pensò di tornare a letto ancora per un po’ dopo aver preso il thè. Sperava soltanto che quel senso di malessere si attenuasse.

Lentamente, mentre sorseggiava il suo thè, fece ritorno nelle proprie stanze. Terence era ancora profondamente addormentato, sebbene la luce rosacea dell’alba filtrasse già attraverso le tende bianche.

La giovane si avvicinò alla finestra, spalancandola per respirare la brezza del mattino. Un po’ d’aria fresca – pensò – l’avrebbe aiutata a sentirsi meglio. Subito dopo, Candy si ricordò di che giorno fosse…era Pasqua! Quando si rese conto della data, la vista dei suoi narcisi che fiorivano nel vaso di terracotta, le strappò un sorriso.

Si sedette sulla sedia da giardino che teneva sul terrazzo per contemplare i delicati fiori a forma di calice. L’aroma del thè giovò al suo stomaco in subbuglio, mentre ripensava a cosa aveva in programma per la mattinata. Sperava di riuscire ad andare a messa. Era determinata a non perdere la funzione pasquale, a costo di trascinare Terence fino in chiesa. Candy ridacchiò al solo pensiero.
Dopo aver vissuto con Terence per tre mesi, sentì che il suo cuore iniziava ad abituarsi alla sua costante presenza. Si trattava di una familiarità dolce e confortante; una beatitudine che non aveva mai provato prima; un senso di completezza. Immaginò che fosse quella la vera felicità. La maggior parte delle storie d’amore sembravano fermarsi proprio lì, quando il protagonista raggiunge quella condizione e diventa noioso per il lettore.

Eppure, Candy non poteva credere che la vita con Terence avrebbe mai potuto essere noiosa. In pubblico era perlopiù guardingo e padrone di sé; ma con lei, era divertente e piacevole, proprio come desiderava. Erano due ribelli che amavano passare il tempo insieme. Facevano lunghe cavalcate al country club, uscivano a passeggio per l’Upper East Side o restavano a casa a leggere o ad ascoltare la musica. Qualsiasi cosa facessero insieme, la facevano con gioia e non facevano che ridere dall’inizio alla fine. Ovviamente, tutto nei limiti dei rispettivi impegni di lavoro, cercando di sfuggire agli onnipresenti fotografi. Ma per lei andava bene così.

E poi c’era la questione della loro neo-acquisita intimità. Dopo quasi quattro mesi insieme, Candy comprese di aver sposato un amante assiduo, esigente e dominante. Il suo comportamento in camera da letto era prevedibile rispetto all’obiettivo ultimo – quello di possederla – ma del tutto imprevedibile per stile e approccio. Non aveva di che lamentarsi.

Per un uomo come lui – pensò, sorridendo – era una grande delusione doversi astenere anche solo una settimana al mese, ma Candy non aveva certo il potere di arrestare il corso della natura, giusto? A questo pensiero, la giovane si irrigidì.

"Oh mio Dio! Quando è stata l’ultima volta che ho avuto il ciclo?" si chiese, aggrottando la fronte.

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A marzo Riccardo III era stato un grande successo. Ad aprile, dopo cinque settimane di tutto esaurito ogni sera, la compagnia iniziò a prepararsi per l’imminente tournée. Avrebbero viaggiato verso sud-est questa volta e sarebbero partiti a fine maggio per chiudere la stagione a New Orleans entro luglio.

Nel frattempo, fu ufficialmente annunciata la cessione della Compagnia Stratford. A partire dalla stagione invernale, i fratelli Barrymore, Lionel, Ethel e John, sarebbero stati i nuovi proprietari. I tre Barrymore erano tutti sulla quarantina ed erano tra i più acclamati artisti di Broadway. Sebbene John, il più giovane dei tre, avesse raggiunto il successo recitando in commedie leggere, in passato aveva fatto delle felici incursioni nell’arte drammatica, ottenendo grandi risultati. Pertanto, girava voce che Terence Graham avrebbe dovuto trasferirsi in un’altra compagnia, perché alla Stratford non ci sarebbe stato posto per due primi attori; specialmente in considerazione della grandissima reputazione di entrambi, cosa che li faceva apparire come rivali dal punto di vista professionale. Sapendo bene come stavano le cose, il giovane attore iniziò ad incontrare altri registi interessati al suo lavoro. Tuttavia, nessuna delle offerte che gli erano state fatte fino al quel momento lo allettava.

Una pigra mattina di aprile, Terence era nel suo studio intento a rivedere la dichiarazione dei redditi che gli aveva inviato il suo contabile. Candy era impegnata in ospedale, dunque sarebbe rimasto solo praticamente fino all’ora di cena. Voleva liberarsi di quell’odiosa dichiarazione prima che lei tornasse. Mentre era assorto in quel compito, qualcuno bussò alla porta. Era la sua governante che gli portava la posta. La donna entrò nello studio, posò la corrispondenza sulla scrivania e lasciò discretamente la stanza.

Di nuovo solo, Terence iniziò a smistare le lettere indirizzate a sua moglie da quelle a suo nome. Come prevedibile, data la spiccata socialità di Candy, la maggior parte della corrispondenza era per lei e solo tre lettere erano indirizzate a lui. La prima era di William Albert Andrew. Nella missiva, l’uomo accennava ad una nuova attività che richiedeva la sua presenza in Europa. Il magnate era un po’ turbato, perché quel nuovo impegno gli avrebbe impedito di essere presente al compleanno di Candy. Per quel giorno, infatti, i due uomini avevano in programma di tenere una festa alla Casa di Pony. Nella lettera, Albert chiedeva a Terence di continuare con l’organizzazione, malgrado questo inconveniente. Da parte sua, Albert avrebbe cercato di farsi perdonare anticipatamente per la sua assenza. Inoltre, gli chiedeva se avrebbe potuto passare una settimana con loro a New York prima della sua partenza per Londra, prevista per il 24 aprile.

Mentre ripiegava la lettera di Albert per riporla nella busta, Terence pensò che gli facesse molto piacere passare qualche giorno con il suo amico. Immaginò che anche Candy sarebbe stata felicissima di avere un ospite così gradito nella sua nuova casa. Sperò sinceramente che quella visita avrebbe consolato Candy per l’assenza di Albert nei mesi a venire.

Stava ancora riflettendo sulla visita di Albert, quando il suo sguardo si posò su un’altra lettera, recante una grafia molto particolare e riconoscibile, che lo sorprese piacevolmente. Era una lettera di William Bridges-Adams, il direttore della Royal Shakespeare Company d’Inghilterra. Era passato un anno da quando Terence aveva lavorato con lui a Londra e da allora, non si erano mai più sentiti.

C’erano vari motivi per cui il giovane attore apprezzava Bridges-Adams. Aveva solo otto anni più di Terence, ma si era costruito una brillante reputazione sin dai tempi di Oxford. Era ambizioso, perfezionista e un vero purista tra i registi Shakespeariani. La gente si riferiva scherzosamente a lui come il Signor Unabridges-Adams per la sua ostinazione a presentare le opere nella versione integrale e non editata, esattamente come nel First Folio. Terence stesso era un purista inflessibile.

Pertanto, fu con grande interesse che Terence aprì la sua lettera. Il giovane regista, avendo saputo dell’abbandono di Hathaway, offriva a Graham un posto stabile nella sua compagnia. Terence aveva dovuto leggere la lettera varie volte prima di comprendere appieno il messaggio che essa conteneva. In termini di denaro, prestigio e carriera, era decisamente la migliore offerta che potessero fargli in quel momento. Inoltre, dato che il lavoro avrebbe implicato un suo trasferimento in Inghilterra, gli si offriva l’opportunità di vedere suo padre più spesso.

Tuttavia….era anche vero che l’offerta presentava degli svantaggi. Innanzitutto, sua madre sarebbe rimasta a New York. Pertanto, avrebbe ritrovato uno dei suoi genitori, per perderne un altro. Il secondo svantaggio riguardava sua moglie. Terence sapeva che Candy era profondamente affezionata all’America. Quasi tutte le persone a lei care vivevano qui. Era già stata abbastanza dura farla trasferire a New York, a centinaia di miglia di distanza dal suo adorato Indiana. Figuriamoci trascinarla ancora più lontano, stavolta addirittura sull’altra sponda dell’Atlantico! Sua moglie, talmente piena di vita, avrebbe resistito ad una così dura separazione? Nella vecchia Inghilterra, sarebbe bastata la sua presenza a consolarla per la perdita dei suoi più cari amici e parenti? L’ultima cosa che voleva era vedere la sua esuberante personalità afflitta dalla nostalgia di casa. Seriamente turbato da queste considerazioni, l’uomo ripose la lettera di Bridges-Adams in uno dei cassetti della scrivania.

Infine, la terza lettera era di suo padre. Dentro la busta, oltre al messaggio, vi era una chiave. Incuriosito da quell’oggetto, Terence iniziò a leggere la lunga lettera, nella quale suo padre faceva riferimento, tra le altre cose, alla seguente storia:

In gioventù, ai tempi di Elisabetta I, Duncan Grandchester, prima di entrare in possesso del titolo di Terzo Duca di N****, servì nella Marina militare britannica e combatté contro l’armata spagnola nell’eroica difesa dell’Inghilterra nel 1588. Nel corso di quelle gloriose imprese, conobbe un giovane timoniere più o meno della sua stessa età, incredibilmente coraggioso e abile con la spada come qualsiasi gentiluomo di buona famiglia. Quel giovane, il cui nome era William Adams, fu salvato dal giovane Marchese durante una battaglia e da allora un fortissimo legame si creò tra i due.
Tuttavia, dopo la guerra, le strade dei due amici si divisero. Duncan fece ritorno in Inghilterra per prendere possesso del Ducato, mentre Adams, che era un avventuriero, si imbarcò in una serie di spedizioni che lo portarono dapprima fino all’Artico, poi in Siberia ed infine in Estremo Oriente. Dopo varie peripezie, Adams giunse in Giappone dove fu scambiato per un pirata. Dopo essere rocambolescamente scampato all’esecuzione, Adams riuscì ad entrare nelle grazie dello Shogun(2) e negli anni divenne una figura di spicco in quelle lontane terre.

Il marinaio non fece mai ritorno in Inghilterra, ma mantenendo sempre vivo il ricordo del suo nobile amico il Duca, gli scrisse ogni qualvolta una nave portoghese salpava per l’Europa. Così, Adams venne a sapere del matrimonio del suo amico e di come sua moglie, per dieci dolorosi anni, avesse tentato invano di dargli un erede per il casato dei Grandchester. Finalmente, nel 1606, la duchessa diede alla luce un bambino sano che sarebbe divenuto il 4° Duca di N****. Nell’anno in cui il giovane Marchese compiva due anni, Adams gli inviò un presente molto speciale.

Si trattava di un cofanetto di acciaio scuro ossidato, decorato con intarsi in oro, rame, argento, madreperla e smeraldi. I frammenti di metallo e le pietre erano incastonati a mano con grande maestria a formare l’estroso decoro di boccioli di susino (3) che circondavano una fenice. Il cofanetto era accompagnato da una lettera che ne illustrava l’origine ed il significato.


Edo, 3 gennaio 1608

Eccelso e Nobile Principe, (4)

È giunta voce in queste terre lontane che il Signore abbia benedetto il Vostro onorevole casato con l’arrivo di un erede. Poiché anni dividono le nostre missive, spero che questo modesto dono giunga nelle Vostre mani in occasione del terzo genetliaco di Sua Signoria. Il dono, per quanto umile possa sembrare agli occhi di un Pari di Inghilterra di illustre lignaggio come Vostra Grazia, viene dal profondo del cuore del Vostro umile servitore.

La lavorazione è molto simile a quella dei Mori di Toledo, ma ritengo che gli artigiani giapponesi siano persino più abili. Quest’opera di artigianato viene chiamata Shakudo.

Questo cofanetto ha una propria storia, poiché apparteneva ad una nobile dama di queste terre, particolarmente cara al Vostro umile servitore. Dopo la sua morte, suo figlio me l’ha donata come ricordo, affermando che i fiori e l’uccello su esso incisi rappresentino pace, giustizia, prosperità e l’inizio di una nuova era. Per quanto questo oggetto mi sia caro, essendo legato al ricordo di un’adorata creatura, nutro il desiderio di donarlo al Vostro casato. La mia vita fu salvata dalle Vostre mani una volta, Vostra Grazia, ed il Vostro servitore non dimentica questo servigio. Possa questo dono rappresentare il simbolo di eterna amicizia tra la Vostra onorevolissima famiglia e quella del Vostro umile servitore.

William Adams


Il Duca fu particolarmente lusingato da quel dono e lo offrì a sua moglie come presente. Da allora, è tradizione nel casato dei Grandchester che, alla nascita del primogenito, il Duca doni alla Duchessa questo cofanetto, tramandato di generazione in generazione. È inoltre tradizione che la Duchessa lo doni a suo figlio il giorno del suo matrimonio, cosicché egli possa darlo a sua moglie in occasione della nascita del loro erede.

Figlio mio, quando ho commesso il terribile errore di sposare Beatrix, mio padre mi affidò questo cofanetto damasceno. Tuttavia, mi disse chiaramente di conservarlo per te e mi proibì di donarlo a Beatrix. Sapeva che la mia situazione era piuttosto particolare nella storia della famiglia, perché la madre del mio erede non sarebbe mai stata mia moglie e mia moglie non sarebbe mai stata la madre del mio erede. Pertanto, mi disse di consegnarlo a te quando ti fossi sposato.

Dunque, ho spedito questo prezioso oggetto presso una banca di New York. Nella busta troverai la chiave della cassetta di sicurezza in cui è conservato. Essendo ormai sposato, il cofanetto ora spetta a te, affinché tu possa donarlo a tua moglie quando lo riterrai opportuno. Consideralo un segno della nostra ritrovata armonia, indipendentemente dalla tua decisione di diventare il 15° Duca di N**** dopo la mia morte o di restare un cittadino comune.

Tuo padre Richard Grandchester



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Albert finalmente giunse a New York per passare un po’ di tempo con i Graham. La sua visita fu molto gradita, perché, come d’abitudine, si rivelò per quello che era, ovvero un uomo affascinante, interessante e divertente. I sospetti che Terence aveva nutrito nei confronti dell’amico erano svaniti ormai da tempo. Pertanto, aveva deciso di godersi appieno la loro amicizia – seppur per poco tempo. Candy, ovviamente, non stava nella pelle e voleva mostrare tutta New York ad Albert nel giro di qualche giorno. Il buon uomo aveva dunque dovuto rammentarle che già conosceva la città piuttosto bene.

"Qualche giro turistico mi va anche bene, ma l’obiettivo della mia visita è perlopiù quello di stare un po’ con voi due ragazzacci!" le aveva detto, trattenendo una risata.

Tuttavia, nel tentativo di moderare l’esuberanza di Candy, Terence aveva organizzato qualche escursione. Una serata a teatro era ovviamente d’obbligo. Dopo lo spettacolo, Albert aveva passato tutta la sera a prendere in giro Terence per la sua caratterizzazione di Riccardo III, facendo morir dalle risate Candy. Il programma prevedeva anche una passeggiata a cavallo tutti insieme, ma in questo caso Candy aveva declinato l’invito, lasciando da soli i due amici, mentre gustava un bel thè freddo al ristorante del Country Club insieme a George. Inoltre, non poteva mancare una lunga passeggiata a Central Park, corredata dalla rocambolesca fuga dei tre – seguiti dal buon vecchio George - per sottrarsi ad un gruppo di fotografi che non la smettevano di assillare Terence. Una volta rientrati nell’appartamento dei Graham, Albert aveva confessato che si era trattato della più emozionante fuga a cui avesse partecipato da quando aveva diciassette anni. Aveva raccontato, poi, di quando aveva rubato una delle auto di suo padre per scappare alla Casa di Pony. George era intervenuto commentando con discrezione e facendo presente di non conservare un ricordo altrettanto piacevole di quello stesso episodio, sebbene successivamente tutto fu perdonato, poiché fu proprio in quell’occasione che la Signorina Candy conobbe il Signor Andrew. Secondo George, l’incontro con la Signorina Candy era stata una delle cose più belle mai accadute alla famiglia.

Una sera, Albert prese possesso della cucina per preparare una cena all’italiana. Ovviamente, furono invitati anche la Signora O'Malley e Roberto. Quest’ultimo fu così piacevolmente sorpreso dall’abilità di Albert che fu quasi sul punto di baciarlo dopo aver assaggiato il suo sugo, affermando che era persino migliore di quello di sua madre. Anche la Signora O'Malley fu molto soddisfatta, ma per altre ragioni. Di fatto, quando la padrona di casa le aveva annunciato che il loro ospite si sarebbe dedicato alla preparazione della cena, la governante si era lasciata cogliere dal panico. La brava donna temeva che il Signor Andrew avrebbe messo completamente a soqquadro la cucina, come quasi tutti gli uomini. Tuttavia, fu sorpresa dal suo ordine e lo ringraziò di cuore per non averla costretta a fare gli straordinari.

Quella stessa sera dopo cena – quando Terence era già andato in teatro – Candy ed Albert rimasero a casa per una tranquilla serata insieme. La giovane era ansiosa di passare un po’ di tempo da sola con il suo vecchio amico. Comodamente seduta nello spazioso salotto, Candy raccontò ad Albert delle confessioni postume di Susanna Marlowe.

"Capisco come ti senti. Quella donna aveva decisamente una personalità complessa”, commentò Albert dopo che Candy ebbe terminato il suo racconto.

"Sono così delusa, Bert!" gli confessò lei, "Credevo che fosse capace di qualsiasi sacrificio per Terence e ora scopro che non lo ha mai veramente amato!"

"Su questo hai ragione, Candy. Qualsiasi cosa provasse per lui, di certo non era amore. Devo ammettere che fui tratto in inganno anche io la prima volta che mi raccontasti la storia dell’incidente. Avrei dovuto essere più perspicace e consigliarti meglio", disse l’uomo, abbandonando la sua consueta espressione giovale e divenendo improvvisamente serio.

"Oh, no, Albert, non sentirti responsabile. Sono stata io a venire a New York quella volta ed a non vedere la verità. Sono stata io a prendere quella fatidica decisione", rispose lei, giocherellando nervosamente con l’anello di fidanzamento.

Visibilmente turbata, Candy si alzò dalla sedia e si avvicinò al focolare. Poi, prese tra le mani una delle fotografie di Terence che si trovavano sulla mensola del camino.
"Quella sera Terence era talmente confuso e sopraffatto dal dolore da non essere sé stesso”, proseguì fissando la foto con tenerezza. "Quando si offrì di accompagnarmi alla stazione, credo che non fosse pienamente consapevole della mia decisione di lasciarlo".

La voce di Candy esitò per un momento.

"Fu solo quando gli dissi che avrebbe reso tutto più difficile che finalmente comprese che era finita. Avevo già preso la mia decisione, senza neppure consultarlo", concluse rimettendo a posto la fotografia e voltandosi subito dopo verso Albert.
"Poi, negli anni che seguirono, mi rifiutai ostinatamente di dare ascolto ad Annie ed Eleanor. La pensavano entrambe allo stesso modo su questa questione. Mi addolora il pensiero che Terence abbia sofferto perché non ho dato credito alle loro parole. Ho semplicemente rinunciato a lui, anziché lottare per il nostro amore. Sono così arrabbiata con me stessa…e con Susanna! Come ho potuto essere così sciocca?" esclamò Candy, alzando gli occhi al cielo per evitare di cedere alle lacrime.

"Ne hai parlato con Terence?" le chiese Albert, dopo che ebbe terminato il suo monologo autoaccusatorio.

"Ne abbiamo parlato quel giorno al tuo chalet, quando ci siamo finalmente chiariti. Ma lui non vede le mie colpe. Insiste a ritenersi responsabile, scusando me. Non capisco come possa non volermene per averlo abbandonato".

"Beh, per come la vedo io, ognuno di voi insiste ad assumersi tutta la colpa, giustificando l’altro. Così non va, Candy", affermò Albert, poggiando la tazza sul tavolino davanti a sé.

"Che vuoi dire?"

"Penso che per accantonare questi spiacevoli ricordi una volta per tutte dobbiate entrambi vedere le cose nella giusta prospettiva. Vuoi la mia onesta opinione, Candy?" le chiese, guardandola dritto negli occhi. Candy annuì in silenzio.

"Ebbene, credo che siate entrambi da biasimare per quanto è accaduto. L’ultima volta che abbiamo parlato di questa questione prima del tuo matrimonio, avevi un’opinione decisamente più equilibrata rispetto a come erano andate le cose ed eri convinta che aveste sbagliato entrambi in egual misura. Ora stai lasciando che la lettera di Susanna interferisca con la tua visione delle cose. La verità è che la tua decisione è stata inflessibile e impulsiva e che l’indecisione di Terence è stata vile. Per di più, lui ha gestito in modo incauto la crescente ossessione della Signorina Marlowe sin dall’inizio. La Signorina Marlowe e sua madre hanno ovviamente la loro parte di responsabilità, ma questo è affar loro. In base a quanto mi dici della lettera, sembra che la Signorina Marlowe se ne fosse resa conto, sebbene fosse ormai troppo tardi per riparare in qualche modo”, concluse Albert, alzandosi in piedi per sgranchirsi le lunghe gambe.

"In ogni caso, il passato è passato, Candy", le disse, con un pizzico di malinconia nella voce, "L’ho imparato molti anni dopo la morte di Anthony. Sicuramente ricorderai che mi ritenevo responsabile dell’incidente. Ora so che non è possibile riparare agli errori del passato. Tutto quel che ci resta è il futuro. Intendi lasciarti logorare dal rimpianto e dal risentimento? Non è mai stato nel tuo stile, piagnucolona".

"Lo so. . . ma è così difficile!" esclamò Candy, riprendendo posto sul divano, piuttosto abbattuta.

"Perdonare gli altri e soprattutto sé stessi richiede tempo, temo. Ma è sempre meglio gettarsi tutto alle spalle, Candy". Disse Albert, poggiando la mano sulla sua spalla destra, mentre prendeva posto accanto a lei. Poi, nel tentativo di sembrare più spensierato, aggiunse: "Riguardo al dolore che Terence può aver patito in passato e che ti preoccupa così tanto, mi sembra che si sia ripreso del tutto. A giudicare dal suo costante buonumore da quando sono arrivato qui da voi, credo che tu stia facendo un ottimo lavoro per farti perdonare".

Candy sorrise debolmente a quest’ultimo commento.

"Continuo a pensare che dovresti parlarne con lui”, insistette Albert.

Candy si mordicchiò il labbro inferiore, consapevole del buon senso delle parole di Albert, ma ancora incerta sul da farsi.

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Albert e George partirono per l’Europa alla data stabilita. Subito dopo, Candy ebbe a malapena il tempo di preparare le valigie. La stagione era giunta al termine e Terence aveva fatto in modo di avere una settimana libera prima dell’inizio della tournée estiva. La coppia avrebbe passato qualche giorno alla Casa di Pony, per poi raggiungere il Signor Hayward ed il resto della compagnia a Philadelphia. Candy aveva prontamente accettato l’invito di Terence ad accompagnarlo in tournée, immaginando che in futuro sarebbe stato ben più difficile accontentarlo. Avevano anche in programma di organizzare una luna di miele tardiva dopo l’ultimo impegno della stagione; pertanto, sarebbero stati lontani da casa per circa tre mesi. In considerazione di una così prolungata assenza, era fondamentale preparare le valigie con particolare cura.
Oltre a ciò, Candy e la Signora O'Malley avevano deciso di dedicarsi ad un’approfondita pulizia dell’appartamento, dato che sarebbe stato chiuso per così tanto tempo. Erano appunto impegnate nelle pulizie di primavera, quando Candy, intenta a svuotare il cestino nello studio di Terence, trovò una cosa.

Era una lettera ancora custodita nella sua busta, che era stata incautamente accartocciata e gettata via. Candy l’aveva notata perché sulla busta era apposto un francobollo britannico. Inizialmente, pensò che si trattasse di una lettera del padre di Terence. L’idea che potesse essere nuovamente ai ferri corti con il Duca la indusse a raccogliere la lettera per esaminarla meglio. Fu dunque sorpresa quando si rese conto che la busta recava l’intestazione della Royal Shakespeare Company.

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La mattina del 7 maggio, Candy si svegliò nuovamente con lo stomaco in subbuglio. Sapendo ormai cosa fare, indossò la vestaglia e andò nella cucina di Miss Pony per prepararsi un po’ di thè. Mentre attendeva che l’acqua bollisse, si ricordò che quel giorno compiva ventisette anni. Le venne in mente la grande festa che Miss Pony e Suor Maria avevano organizzato per lei l’anno precedente. Era stata meravigliosa! Era venuta persino Patty! Tutti i suoi amici e, ovviamente, Albert l’avevano ricoperta di regali. Eppure, all’epoca ignorava che il più bel regalo che avesse mai ricevuto era in preparazione proprio in quel momento. Ricordava perfettamente che era stato nel giorno del suo compleanno che Terence le aveva scritto la sua prima lettera dopo dieci anni di silenzio. Quelle poche righe, apparentemente semplici, buttate giù in preda a grandi tormenti ed esitazioni, avevano radicalmente cambiato la sua vita.
Mentre sorseggiava il suo thè, Candy pensò che sarebbe stato bello iniziare la giornata del suo compleanno guardando il sole sorgere dal suo adorato giardino. Entrò in punta di piedi nella stanza degli ospiti che condivideva con suo marito. Si vestì, premurandosi di lasciare un biglietto sul cuscino, nel caso Terence si fosse svegliato prima del suo rientro dalla passeggiata mattutina.

Una volta fuori, la giovane respirò profondamente la brezza del mattino. Si lasciò inondare le narici dal tipico profumo della sua amata campagna e un sorriso le increspò le labbra. A passo sostenuto, com’era sua abitudine, attraversò l’orto di Suor Maria. I suoi pomodori erano ormai maturi e pronti per la famosa zuppa di Miss Pony. Passando accanto al granaio, fece una breve sosta per salutare Cesare e Cleopatra. Poi, alle spalle dello stesso, fece una veloce incursione nel frutteto di Miss Pony. Ben presto, pensò, il melo sarebbe stato in fiore. Infine, raggiunse la vecchia cappella.

Aprì il cancelletto del cortile antistante la chiesa e rimase incantata dalla vista del suo giardino in fiore. Una delle nuove suore, amante dei fiori, se n’era presa cura. In questo modo, aveva detto, avrebbero sempre avuto fiori freschi per l’altare. Candy pensò che stesse facendo un ottimo lavoro. Le rose e le peonie fiorivano nelle più varie sfumature di colore e sembravano sane e forti. I non-ti-scordar-di-me che Candy aveva piantato l’autunno precedente avevano dato vita ad un piccolo squarcio di blu in una delle fioriere. Probabilmente le loro piccolo gemme erano sbocciate intorno a febbraio. Era un peccato che non avesse potuto vederli allora.

Candy si sedette sulla panchina che Miss Pony aveva recentemente fatto mettere in giardino.

"Voglio avere un posto da cui osservare il giardino di Candy ogni pomeriggio e pregare per lei", aveva detto l’anziana donna.

Da lì, la giovane poteva ammirare una folla, una schiera di narcisi bianchi e dorati che erano ancora in fiore. Il sole baciava le loro corolle, chiaramente orgoglioso della loro genuina bellezza.

In quel momento, mentre respirava il profumato zefiro del mattino, Candy aprì il suo cuore, lasciando che i rimpianti ed il senso di colpa volassero via senza fare mai più ritorno. Per un attimo, chiuse gli occhi, e nel profondo del suo essere rivide il volto di Susanna. Poi, mormorò a fior di labbra:

"Ti perdono".

. . . e il volto di Susanna svanì, trasformandosi in un altro sfocato ricordo del suo passato.

Mentre era seduta lì, con gli occhi socchiusi ed il cuore finalmente scevro da ogni peso, sentì le labbra di Terence poggiarsi sulle sue in un delicato e umido bacio.

"Buon compleanno, signorina tuttelentiggini!" le disse, quando staccò le labbra da lei.

"Grazie, Terence", gli rispose con il più solare dei sorrisi. "Come mai ti sei svegliato così presto?"

"È successo e basta. Chissà, magari sono solo emozionato perché oggi rivedrò il Damerino!" disse ironicamente, alzando gli occhi al cielo.

"La pianterete mai voi due?" gli chiese Candy, aggrottando la fronte.

"Che posso farci? Quel pivello non sa accettare la sconfitta!" rispose lui, alzando le spalle e sfoderando un brioso sorriso.

"Sciocchezze! Quando la smetterai di fantasticare sul fatto che sia innamorato di me?" mise il broncio lei, incrociando le braccia al petto.

"Non sto fantasticando. A scuola aveva una cotta tremenda per te. Potrà anche amare sua moglie adesso, ma nel profondo del suo cuore ce l’ha ancora con me per averti conquistata. Credo che sia una questione di orgoglio ferito".

"Che interpretazione assurda!" disse lei, scuotendo la testa.

"Chiamala come vuoi", ribatté lui, sorridendo furbescamente mentre la attirava in un abbraccio, "ma non cambierà il fatto che ho vinto io".

"Sei veramente un folle presuntuoso!" disse lei sorridendo, prima che lui la baciasse di nuovo.

"Mia cara, qualcuno ha detto che siamo tutti folli in amore”, le rispose tra i baci.

Quando si separarono per riprendere fiato, lei gli rivolse uno sguardo carico di significato. La sua espressione allegra era improvvisamente diventata seria.

"Terence, c’è qualcosa che voglio dirti", esordì con una certa esitazione.

Terence percepì il suo cambiamento di umore e divenne anch’egli serio.

"Cosa c’è?"

"Terence. . . hai appena detto qualcosa di estremamente profondo. Siamo decisamente tutti folli in amore e temo di non aver fatto eccezione".

"Che vuoi dire?"

"Recentemente ho dovuto fare i conti con dolorosi rimpianti, Terence".

Sentendola parlare di rimpianti, la prima reazione di Terence fu di panico. Ma cinque mesi di matrimonio felice lo avevano rassicurato a sufficienza. Capì immediatamente che non poteva trattarsi della sua decisione di sposarlo. Pertanto, la lasciò continuare.

"Più rifletto sul periodo in cui siamo stati separati, più mi rendo conto dell’enorme dolore che la mia inflessibile decisione di lasciarci ha arrecato alla tua vita".

"Candy, ne abbiamo già parlato", la interruppe lui, ma lei alzò una mano pregandolo di lasciarla finire.

"Terence, ho bisogno di parlarne, è importante per me. Vedi, in quei lunghi anni, ho avuto tre avvertimenti che mi dicevano che avevo commesso un errore. Eppure, non ho voluto prestarvi attenzione", gli spiegò, tenendogli la mano. Dunque, dopo una pausa ed un profondo sospiro, gli chiese. "Dimmi, Terence, in tutta onestà, se in quei dieci anni fossi venuta da te a chiederti di rompere il fidanzamento con Susanna per tornare da me, lo avresti fatto?"

Alla domanda di sua moglie, Terence corrugò la fronte.

"Candy, non ha senso pensarci adesso", le disse, restio a risponderle.

"Ti prego, rispondimi, Terence. Mi avresti accolta, se fossi venuta da te?" insistette, guardandolo negli occhi.

Il giovane abbassò lo sguardo per un attimo. Conosceva molto bene la risposta a quella domanda, perché aveva spesso sognato che le cose potessero andare in quel modo.

"Candy, continuo a pensare che avrei potuto fare lo stesso e venire io da te. Avrei dovuto farlo molto prima. Ma se vuoi davvero che risponda a questa domanda, la risposta è semplice. Se solo tu l’avessi voluto, ti avrei accolta a braccia aperte senza alcuna esitazione!"

Candy nascose il volto sul petto di lui e rimase in silenzio per un po’, finché il battito del suo cuore non tornò alla normalità.

"Allora devi perdonarmi, amore mio", gli disse finalmente, sollevando il viso per guardarlo. "Perché ho rinunciato a te per il bene di una persona che non meritava il dolore che abbiamo patito".

"Candy. . ." protestò lui, accarezzandole il braccio con affetto, mentre la stringeva.

"Mi perdoni?" gli chiese ancora una volta.

"Hai veramente bisogno del mio perdono?"

"Sì!"

"Allora, ti perdono, ma forse sei tu che devi perdonare te stessa".

"L’ho appena fatto, Terence".

"Dunque se è tutto passato, voglio che tu mi prometta una cosa", le chiese. "Promettimi che non parleremo più di questa questione e che d’ora in poi penseremo solo al nostro futuro".

Candy acconsentì di buon grado ed entrambi indugiarono in un altro silenzioso bacio. Il sole splendeva raggiante su di loro, avendo preso il posto della luce dalle sfumature rosacee e dorate del cielo del mattino. Poi, Terence ruppe il silenzio.

"Oggi voglio essere il primo a darti un regalo", le disse, consegnandole un pacchetto che aveva lasciato sulla panchina. Totalmente assorbita dai suoi baci, Candy non l’aveva notato prima.

Essendo abituata a reagire sempre con grande alacrità ogni qual volta le veniva fatto un regalo, Candy lo ringraziò baciandolo diverse volte sulle guance e sulle labbra prima di aprire il pacchetto.

Una volta scartato, Candy sgranò gli occhi alla vista dei delicati motivi del portagioie così finemente intarsiato. Accarezzò con le dita le ali della fenice, circondata dai fiori, mentre suo marito le raccontava la storia di quel cimelio di famiglia che ora apparteneva a lei. Mentre ascoltava Terence terminare il suo racconto, Candy scosse la testa, sorridendo.

"Stai infrangendo una tradizione di famiglia, Terence. Non avresti dovuto darmi questo cofanetto adesso”, osservò scherzosamente.

"Lo so…ma ho pensato che potesse essere un buon sostituto per quel vecchio cofanetto che tieni nell’armadio. Dopotutto, i ritagli delle mie recensioni meritano una custodia migliore, non credi?" le chiese, dandole un buffetto sulla punta del naso.

"Sei un tale pallone gonfiato! Non avrei mai dovuto mostrarti quei ritagli", mise il broncio lei, fingendo indignazione. "Comunque, il mio vecchio cofanetto è ancora in buone condizioni. Credo dovresti rimettere questo nella cassetta di sicurezza della banca. È meglio che io non abbia qualcosa di così prezioso".

"No, voglio che tu lo abbia adesso", insistette lui.

A quel punto, Candy lo guardò con un’espressione che Terence non aveva mai visto prima nei suoi occhi; talmente sincera e piena di tenerezza, che il suo cuore saltò un battito.

"Beh, se proprio insisti. . . lo terrò, ma non inizierò ad usarlo prima di dicembre”, gli disse con un sorriso sornione.

"Perché aspettare?" le chiese, incuriosito dalla sua espressione sibillina.

"Perché per allora sarò del tutto legittimata ad averlo", gli rispose lei, con lo sguardo fisso sui narcisi che danzavano nella brezza.

"Che intendi dire?"

"Terence. . . sono incinta", gli disse infine, voltandosi a guardarlo negli occhi.

Il vento sollevò il suono delle sue parole finché non giunsero dolcemente alle orecchie di lui, come le note di una canzone. Lui batté le palpebre un paio di volte, incapace di reagire in alcun modo. La notizia non avrebbe dovuto sorprenderlo più di tanto. Sapeva che si trattava della conseguenza naturale della loro convivenza come marito e moglie. Di fatto, doveva ammettere di averci pensato qualche volta, senza tuttavia parlarne con lei. Ma ora che quella possibilità sembrava essere ormai una certezza, il suo cuore batteva a mille in preda ad un tornado di emozioni diverse. Gioia, orgoglio, tenerezza, speranza, euforia, paura ed ansia si alternarono sul suo volto. Aspettava un bambino! Il suo bambino!

"Sei. . . sei sicura?" le chiese infine con un filo di voce.

"Assolutamente sì!" gli rispose lei annuendo, con gli occhi verdi scintillanti di lacrime di gioia.

"Mio Dio!" fu tutto quello che riuscì a dire lui, subito prima di spalancare le braccia e stringerla in un serrato abbraccio.

Con l’orecchio poggiato sul suo petto, Candy poté sentire il battito accelerato del cuore di Terence.

"Sei felice della notizia?" gli chiese, senza sciogliersi dal suo abbraccio.

Per tutta risposta, lui abbassò la testa per accarezzarle le labbra con un dolce e prolungato bacio. Istintivamente, la sua mano scese ad accarezzarle la pancia.

"Mi hai reso infinitamente felice, amore mio", le disse con un sorriso. Poi, dopo un attimo di esitazione, aggiunse con tono speranzoso: "Vorrei solo trovare un buon lavoro prima che nasca nostro figlio".

Candy lo guardò. Era proprio l’occasione che aspettava per sollevare un certo argomento.

"Terence, perché hai gettato via la lettera della Royal Shakespeare Company? Non ti hanno forse offerto un lavoro?"

Terence fu colto di sorpresa. Notando il suo sconcerto, lei pensò di che gli fosse dovuta una spiegazione.

"Ho trovato la lettera nel cestino della carta straccia mentre facevo le pulizie, Terence, ma non l’ho letta”, gli disse con un timido sguardo.

"Allora come facevi a sapere della proposta di lavoro?" le chiese lui, sollevando un sopracciglio.

"Beh, se tu hai letto il mio diario, avrei potuto leggere anch’io la tua corrispondenza. Ma non l’ho fatto. Ho tirato a indovinare quale fosse il contenuto della lettera. Intuito femminile, credo", gli rispose con sguardo malizioso, "ma non ho idea del perché la cosa non ti interessi. Non si tratta forse di una prestigiosa compagnia?"

Terence la guardò in silenzio, cercando di trovare un modo per spiegarle la sua scelta.

"Candy, ho già preso la mia decisione", esordì in modo alquanto pragmatico; "Non accetterò la loro offerta. Non ho alcuna intenzione di trascinarti in un altro continente lontano dalla tua famiglia e dai tuoi amici. Specialmente adesso che stai per diventare madre."

"Spero che tu non stia parlando seriamente, Terence!" esclamò Candy, stupita. Il suo sincero desiderio di risparmiarle un dolore l’aveva commossa, ma la sua decisione unilaterale era un insulto alla sua intelligenza.

"Non sto scherzando, Candy. Sono serissimo! Tu e nostro figlio siete molto più importanti della mia carriera per me. Non ti costringerò mai a vivere in un posto che non ti piace solo per accontentare il mio ego. Sono certo che non appena la stagione si sarà conclusa troverò un altro lavoro a New York".

"Terence, amore mio, sei molto generoso. Ma c’è una cosa che devo rimproverarti. Perché hai preso questa decisione senza neppure consultarmi? Perché pensi al posto mio?"

"Perché la tarzan tuttelentiggini che conosco è una persona talmente altruista che non esiterebbe a spingermi a perseguire le mie ambizioni senza pensare a sé. Ecco perché. Ma non permetterò che accada, Candy".

"Terence, apprezzo la tua premura, ma non mi aspettavo che il nostro matrimonio funzionasse in questo modo. Non voglio che tu decida per me. Non sono una fragile creatura da tenere in una torre d’avorio dove nulla possa scalfirmi. Ho l’impressione che questa offerta di lavoro sia decisamente vantaggiosa e sei davvero avventato a rifiutarla in modo così categorico. Così non va".

Terence era confuso e imbarazzato. Non aveva mai considerato le cose dal punto di vista di Candy.

"Candy . . . "

"Ho un’idea migliore", lo interruppe lei, intrecciando le dita della sua mano destra con quelle di lui.

"Oh, davvero?" le chiese Terence, divertito dal suo tono risoluto. Tra sé e sé, si rammentò di aver sposato una ragazza alquanto impicciona. "D’accordo, sentiamo".

"Scrivi a questo tizio in Inghilterra. . . questo Signor. . .Signor Bridge Vattelapesca".

"Bridges-Adams". "Ecco, appunto! Digli che sei lusingato della sua offerta, ma devi prima verificare altre opzioni qui in America…stabilisci una data…quando è previsto l’inizio dei preparativi per la stagione invernale?"

"Beh, dopo luglio o agosto. Dipende", rispose lui, mal celando un sorriso. Sapeva essere tremendamente incantevole anche quando era autoritaria, pensò.

"D’accordo. . . digli che qualora non ti offrissero nulla di meglio entro luglio, sarai lieto di collaborare con loro".

"Sembra che tu abbia già pensato a tutto”, le disse lui in un sussurro, accennando il suo ben noto mezzo sorriso.

"Non prendermi in giro. Si tratta di semplice buonsenso. Non ti sto dicendo di accettare l’offerta immediatamente; ma di certo dovresti lasciarti una porta aperta e, al momento opportuno, accettare l’offerta migliore. Non ha alcuna importanza che il lavoro sia in America o in Inghilterra. Questo è quello che ti direbbe Albert e, credimi, lui sì che se ne intende di affari".

A quel punto, Terence dovette ammettere che le parole di sua moglie erano assolutamente sensate. Tuttavia, le conseguenze emotive di una decisione professionale di quel tipo avrebbero potuto essere enormi per lei.

"E se l’offerta migliore venisse dall’Inghilterra?"

"In quel caso, preparerei le valigie e verrei con te, come hanno fatto milioni di mogli prima di me ed altrettante lo faranno in futuro. Non è una tragedia, Terence", gli rispose lei candidamente.

"Ma saresti lontana da casa", obiettò nuovamente lui, allungando una mano per accarezzarle il volto.

"La mia casa è ovunque tu sia, Terence".

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Il resto della giornata trascorse piacevolmente. I Cornwell erano arrivati dopo colazione ed il resto degli amici di Candy che vivevano nelle vicinanze, come il Dottor Martin ed il giovane Cartwright, si erano uniti a loro per cena. Al tramonto, erano tutti riuniti nel giardino della Casa di Pony come in altre solenni occasioni.
Archie aveva portato alcune bottiglie di vino dalla cantina della Zia Elroy, ma fu sorpreso quando Candy si rifiutò di bere. La giovane pensò che fosse giunto il momento di comunicare la bella notizia; pertanto, si alzò in piedi, raggiante in volto, e annunciò di aspettare un bambino. Tutti si affollarono immediatamente intorno a Candy ed a suo marito per congratularsi. Solo Miss Pony e Suor Maria non sembrarono sorprese. Nei due giorni precedenti, sin dal suo arrivo, avevano entrambe notato il malessere mattutino di Candy, nonché l’aura di beatitudine che la avvolgeva. Le due donne avevano altresì compreso che il giovane futuro padre era stato messo a parte della notizia quella mattina stessa, perché il suo volto raggiante mal celava quel segreto.

Annie era euforica, il Dottor Martin era felice, anche il piccolo Stair si era unito alla felicità generale, anche se non ne comprendeva bene il motivo. In sintesi, l’atmosfera era così gioiosa e allegra che persino Archie sentì il bisogno di congratularsi con Terence. Finché Candy era felice, il giovane milionario ed il famoso attore potevano sotterrare l’ascia di guerra.

Quella sera, quando tutti erano già andati via o si erano ritirati nelle proprie stanze, Terence indugiò ancora un po’ in salotto. Aveva con sé una copia del più famoso romanzo di Hugo (5), che aveva intenzione di leggere durante la tournée. Il giovane pensò che la scelta di un libro che parlasse così eloquentemente di amore paterno, proprio ora che stava per diventare padre egli stesso, fosse una felice coincidenza.
Mentre si soffermava sul commovente passaggio in cui Valjean salva Cossette dai Thénardier, non poté evitare di pensare all’infanzia di sua moglie. A onor del vero, la vita di Candy alla Casa di Pony non era stata segnata dalla tragedia come quella della povera Cossette, ma un bambino senza genitori porta comunque dentro di sé delle insanabili ferite, indipendentemente da quanto premurose ed incoraggianti siano le persone che lo circondano. Inoltre, l’esperienza di abusi emotivi che Candy aveva patito a causa dei Legan era stata straziante proprio come nella storia di Hugo. Terence era grato ad Albert per aver svolto il ruolo di Valjean nella vita di Candy. Consapevole dell’irrazionale odio che Iriza nutriva nei confonti di Candy e dell’insana passione di Neil, Terence tremò al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere alla sua Candy, se non fosse stato per Albert. Dopo una vita così piena di sofferenze malgrado la tenera età, il giovane si meravigliò di come sua moglie fosse diventata una donna così piena di energia e voglia di vivere.

Dopo averla vista insieme al piccolo Alistair ed ai bambini della Casa di Pony, non ebbe dubbi che sarebbe stata una madre dolce e amorevole. Non era però altrettanto certo delle sue abilità di padre. Tuttavia, l’amore per quel bambino che doveva ancora nascere che aveva istintivamente sentito bruciare nel petto lo indusse a ritenere che avrebbe quantomeno tentato di essere all’altezza dell’ardua impresa che costituiva la paternità.

Terence indugiò nella lettura per un’altra mezzoretta. Quando l’orologio batté le dieci, immaginò che Candy avesse ormai terminato le sue preghiere. Pertanto, lasciò il salotto per ritirarsi per la notte. Quando aprì la porta della camera degli ospiti, vide sua moglie seduta vicino alla finestra che chiudeva il breviario. Nel profondo del suo cuore, si unì alle preghiere di lei per il futuro della loro famiglia. Quando Candy si voltò a guardarlo, un sorriso le illuminò il volto.


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(1) La Tavola Rotonda dell’Algonquin fu un circolo di attori, critici d’arte, scrittori e intellettuali che si riunirono presso l’Algonquin Hotel di New York tra il 1919 ed il 1929.
(2) Shogun era un titolo attribuito ai comandanti militari che governarono il Giappone tra il 12° e il 19° secolo. Gli Shogun erano nominati dall’Imperatore ed i loro poteri erano pressoché illimitati.
(3) Boccioli di susino. In Giappone il frutto che è qui tradotto come “susino” è in realtà una variante orientale dell’albicocca.
(4) Eccelso e Nobile Principe. Titolo estremamente formale confacente ad un Duca dei Pari di Inghilterra.
(5) I Miserabili.

Epilogo
Un giardino all’inglese



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Nell’agosto del 1925, dopo una settimana tranquilla in Scozia, Terence Graham e sua moglie giunsero a Stratford-Upon-Avon. Nei mesi appena trascorsi, la coppia aveva attraversato il sud-est degli Stati Uniti in tournée, per poi rientrare a New York a luglio, appena in tempo per preparare i bagagli per il definitivo trasferimento in Inghilterra. Con profonda malinconia avevano salutato gli Hathaway e congedato i loro fidi dipendenti, ovviamente senza dimenticarsi di una appropriata liquidazione e delle dovute referenze per una futura occupazione.

Un’ultima visita in Indiana od a Chicago era risultata impossibile. Candy si era premurata di informare telefonicamente sia i Cornwell che Miss Pony e Suor Maria della sua imminente partenza. Con sua grande sorpresa, non appena ricevuta la notizia, Archie aveva in quattro e quattr’otto organizzato un viaggio a New York per un ultimo saluto. Ovviamente, erano state invitate anche Miss Pony e Suor Maria, ma le due donne, per quanto avrebbero potuto lasciare i bambini nelle capaci mani delle novizie, avevano deciso di declinare l’invito. Il loro altruismo, infatti, le aveva spinte a non rendere le cose più difficili per la loro adorata figliola. Pertanto, avevano preferito restare a casa e pregare per Candy, come avevano sempre fatto da quando era una bambina.

Malgrado ciò, la separazione fu straziante come era prevedibile. La Signora Baker ed Annie avevano promesso ai Graham che sarebbero andate a trovarli molto presto. Albert aveva inviato un telegramma dalla Francia per informarli che avrebbe fatto loro visita insieme a George verso la fine di agosto, prima di far rientro in America. Quando infine la nave lasciò il porto, Candy, vedendo i suoi amici e parenti allontanarsi lentamente per poi scomparire, tirò un profondo sospiro, mentre suo marito la stringeva a sé. Malgrado la tristezza del momento, nel profondo del loro cuore, la certezza che il loro reciproco amore li avrebbe sempre sostenuti, indipendentemente da quello che il futuro avesse in serbo per loro, li confortò.

Con tutto quel viaggiare e le tante e intense emozioni vissute nei primi mesi della gravidanza, un’altra donna si sarebbe ammalata o sarebbe caduta in depressione. Era una fortuna che Candy non fosse mai stata una ragazza svenevole né debole. Dopo aver superato le iniziali nausee mattutine, la gravidanza procedeva tranquillamente, consentendole di essere in forze e pronta ad affrontare la sua nuova vita, sostenuta dall’amore di Terence. Tuttavia, al quinto mese di gravidanza, Candy si sentì sollevata quando poté finalmente varcare la soglia della sua nuova casa.
Terence aveva preso in affitto lo stesso cottage dove aveva soggiornato l’anno precedente, durante il suo ritiro primaverile. Quando aprì le porte dello studio, il suo cuore saltò un battito. In quella stessa stanza, era stato tormentato dall’esitazione e dalla paura, tentando di scrivere quella prima lettera a Candy. Ritornare in quello stesso luogo, dopo essere riuscito a riconquistare il suo amore, gli suscitò delle sensazioni decisamente piacevoli, un misto di ebbrezza e vittoria mai vissute prima. Guardarla mentre canticchiava indaffarata, con la silhouette che si arrotondava giorno dopo giorno man mano che suo figlio cresceva dentro di lei, lo rese ancora più felice, semmai ciò fosse stato possibile.

Com’era prevedibile, Candy sentiva la mancanza dei suoi amici e della sua famiglia. Tuttavia, il cambiamento da New York a Stratford le fece decisamente bene. Essendo fondamentalmente una ragazza di campagna, il contesto decisamente più naturale e tranquillo le si addiceva maggiormente e contribuì al miglioramento del suo umore. Il vecchio cottage aveva un grande giardino sul retro, proprio di fronte al fiume, oltre ad un giardino un po’ più piccolo sul davanti che i precedenti inquilini avevamo tristemente trascurato. Dal primissimo momento in cui aveva posato lo sguardo sull’erba pressoché secca e sull’edera sbiadita, aveva deciso di dedicarsi al giardinaggio. Essendo ormai giunti quasi alla fine dell’estate, era il momento ideale per iniziare quel suo nuovo progetto. Aveva assunto qualcuno che la aiutasse ad estirpare le erbacce e ad arare il terreno, mentre lei pensava a come organizzare il giardino in vista della primavera.

Quando il Duca fece loro visita a metà settembre e suo figlio si informò ironicamente della salute della sua matrigna, Richard Grandchester si voltò a guardare sua nuora ed il giardiniere che lavoravano in giardino. Dunque, con un sorriso allusivo, esclamò:

"Sai bene che l’erba cattiva. . ."

"Forse dovrei mandare Candy a mettere in riga i tuoi giardinieri ad Arundel Park", aveva quindi replicato Terence, riferendosi alla principale residenza di suo padre nel Cheshire, dove la Duchessa era solita passare l’autunno.

Ovviamente, fu solo una coincidenza che Eleanor Baker fosse arrivata a Stratford proprio in quei giorni. Aveva cancellato i propri impegni per l’intera stagione invernale pur di prendersi cura di Candy fino al momento del parto. La donna aveva in programma di aiutare la nuora dopo la nascita del bambino, passare le vacanze con la giovane famiglia e partire subito dopo il compleanno di suo figlio. Per non risultare invadente, aveva preso in affitto una casa vicina. Malgrado ciò, l’incontro con Richard Grandchester era di quando in quando inevitabile. Fortunatamente, in quelle rare occasioni si erano entrambi comportati con distante cortesia. Negli anni a venire, i due avrebbero dovuto abituarsi a quegli incontri per il bene di loro figlio e dei loro nipoti.

La nascita del bambino era prevista per l’inizio della tournée londinese di Terence. Sfortunatamente per la giovane coppia, Terence non poteva concedersi il lusso di mettersi in aspettativa, trattandosi della sua prima stagione con la Royal Shakespeare Company. Dunque fu più che grato a sua madre ed alla nuova governante per il sostegno che avrebbero offerto a sua moglie al momento del parto.
Tuttavia, le cose andarono diversamente. Inaspettatamente, il bambino, caparbio e imprevedibile come i genitori, aveva deciso di venire alla luce con due settimane di anticipo, consentendo a Terence di essere presente alla nascita del suo primogenito. Decise di chiamarlo Richard, come il personaggio shakespeariano che aveva impersonato quando era stato concepito. Candy sapeva che Terence non avrebbe mai ammesso apertamente la vera motivazione di quella scelta, ma decise di stare al gioco. Dopotutto, quello che veramente contava era che il suo cuore si stesse lentamente riavvicinando a suo padre. Incurante della reticenza del giovane, il fiero nonno non stette nella pelle per la gioia. Finalmente, il giorno successivo alla nascita di Richard, Candy trasferì tutte le sue lettere ed i suoi ritagli nell’antico cofanetto damasceno.

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Nei dieci anni che seguirono, il tempo nel cottage dei Graham trascorse pacificamente, per quanto reso possibile dalla convivenza di due persone ostinate e volitive che affrontano insieme le difficoltà della vita. Indipendentemente da un bel po’ di porte sbattute seguite da appassionate riappacificazioni, la loro vita fu assolutamente felice e appagante. Con il tempo la famiglia si allargò ad accogliere una bambina, nata due anni dopo il primogenito, ed un altro bambino, che giunse come ultima benedizione cinque anni dopo. Tra questi felici eventi, però, la coppia aveva dovuto fare i conti con la dolorosa esperienza di un aborto. Malgrado i tempi bui, il nome di Terence divenne sempre più rispettato sui palcoscenici d’Inghilterra e la reputazione di Candy come volontaria per la Croce Rossa, nonché benefattrice di ogni nobile causa, crebbe in tutto il Warwickshire e oltre. Avevano finito per acquistare il vecchio cottage e Candy l’aveva trasformato in uno dei luoghi più belli della zona, merito perlopiù del rigogliosissimo seppur piccolo giardino che lo rendeva unico nella contea. Patty, che dopo la sua laurea nel 1926 si era trattenuta ad Oxford come professoressa, faceva loro visita regolarmente ogni estate. Altri cari amici vennero periodicamente a trovarli nel corso degli anni ed i più assidui furono senz’altro William Albert ed i Cornwell.

Il Crollo di Wall Street del 1929 fu un’amara sorpresa per la maggior parte degli investitori e delle imprese. Il patrimonio di Albert Andrew non fu immune agli effetti della crisi, ma in generale subì delle perdite contenute. Le decisioni che Albert aveva prudentemente preso nei cinque anni precedenti avevano finalmente dato frutto, garantendo il posto a tutti i suoi dipendenti. In quello stesso anno, proprio qualche mese prima del crollo della borsa, Lakewood fu messa in vendita, in linea con i piani finanziari di Albert.

I Legan furono persino più fortunati. Ricorrendo ad ogni sorta di espedienti – non tutti necessariamente legali – il Signor Legan e suo figlio avevano approfittato dello stravolgimento dei tempi per imbarcarsi in nuove avventure commerciali in America ed all’estero. Gli alberghi ed i casinò di loro proprietà si moltiplicarono con grande successo. Sfortunatamente, la loro maggior ricchezza non contribuì a migliorarne il carattere, né a renderli più felici. Neil finì per cedere ad un matrimonio di comodo e senza amore, mentre Iriza restò nubile.

Nel 1931 Beatrix Grandchester morì. Prima della sua morte, il suo primogenito e sua figlia avevano già stretto vantaggiose unioni sposandosi con altri rappresentanti della nobiltà inglese. Quindi, solo il Duca ed il figlio minore di Beatrix restavano nella grande villa dei Grandchester in città (1). Tuttavia, fedele ad una promessa fatta alla madre, il giovane si trasferì infine da suo zio, il Conte di M****, che era in realtà il suo vero padre. Un anno dopo questi tristi eventi, il Duca fece visita al suo unico figlio nello Warwickshire per annunciargli la sua intenzione di ritirarsi dalla politica ed iniziare un lungo viaggio. Fu ancora una volta una pura coincidenza che quel viaggio terminasse proprio a New York. Al suo ritorno in Inghilterra nel 1933, il Duca vendette la sua villa nel Distretto dei Laghi e fece ristrutturare quella ad Edimburgo.

La Casa di Pony continuò ad operare, accogliendo più di 30 bambini ogni anno. La Signora Carnegie tenne fede alla sua promessa, coprendo le spese dell’istruzione universitaria di tutti i bambini che restarono alla Casa di Pony senza essere adottati. Al contempo, Candy ed Annie continuarono ad occuparsi del sostegno finanziario all’istituto ben oltre il 1933, anno in cui la Signorina Giddings decise di andare in pensione.

Non potendo continuare ad occuparsi dei suoi adorati bambini, poiché debole di cuore, negli ultimi due anni della sua vita la Signorina Giddings aveva vissuto con William Albert Andrew. Nel 1935 Terence si era preso un’aspettativa di sei mesi, cosicché Candy ed i loro tre figli potessero essere presenti al capezzale della Signorina Giddings. Era un’assolata mattina di aprile quando Suor Maria e Candy dissero un’ultima preghiera, salutando l’anima dell’amorevole donna che faceva ritorno alla casa del Padre. Se non fosse stato per la presenza di Terence al suo fianco, Candy non avrebbe saputo come far fronte ad un evento talmente straziante.
Nella primavera del 1936, come ogni anno, Eleanor Baker fece visita alla famiglia di suo figlio. Si era ritirata dalle scene tre anni prima e viveva ormai ad Edimburgo, impegnata nella stesura delle sue memorie. Un caldo pomeriggio, mentre i bambini facevano il loro sonnellino, Eleanor e Candy sedevano nel gazebo sorseggiando una tazza di thè e facendo due chiacchiere tra donne. L’aria profumava di rose, lavanda, fiori di melo e narcisi. In lontananza, l’Avon borbottava, mentre le sue acque venivano accarezzate dalla brezza primaverile.

Le due donne formavano un bel quadretto. Eleanor, sempre elegante ed avvenente malgrado i suoi sessant’anni, era decisamente affascinante nel suo abito da giorno di Madeleine Vionnet. Candy, invece, indossava un abito bianco a fiori che le segnava la vita, ancora piacevolmente snella a dispetto delle quattro gravidanze e dei suoi trentotto anni. Il tempo sembrava essere stato clemente con entrambe le donne, che portavano i rispettivi anni con estrema grazia.

Come la maggior parte della gente quell’anno, avevano parlato della relazione tra Re Edoardo e Wallis Simpson. Si trattava del più grande scandalo che avesse mai coinvolto la Monarchia Britannica dopo gli eccessi del Principe Reggente risalenti a quasi cento anni prima. Ovviamente, sia Eleanor che Candy parteggiavano per gli amanti e auguravano loro il meglio. Nel corso della conversazione, Candy aveva alluso più volte, davanti alla suocera, al diritto di vivere liberamente ed alla luce del sole un amore vero e puro. Tuttavia, Eleanor si era limitata a sorridere in modo sibillino.

Quando Candy servì il thè, Eleanor osservò il giardino all’ombra del suo bianco cappello fiorentino. Ripensando allo stato di evidente trascuratezza in cui si trovava nel 1925, non riusciva a credere alla trasformazione che quel luogo aveva subito nel corso degli anni.

"Hai fatto veramente miracoli con questo posto, Candy", disse Eleanor, cambiando astutamente discorso per tessere ancora una volta le lodi di sua nuora nel giardinaggio.

"Beh, i fiori sono la mia passione, ovviamente subito dopo Terence ed i nostri figli", aveva risposto lei con sguardo sognante. "E poi il Signor Simms mi aiuta moltissimo a curare il giardino. In realtà mi considero solo la sua assistente".

"Suvvia! Sai benissimo che il merito è perlopiù tuo. Quando guardo questo giardino e ripenso allo stato pietoso in cui era, rimango stupefatta dai miracoli che fai con i fiori. . . e con i cuori della gente. Basta guardare come vanno d’accordo Terence e suo padre adesso".

"Hanno fatto un bel po’ di progressi, non è vero?" le chiese Candy, felice al ricordo dell’ultima visita del Duca.

"Assolutamente sì! Ma le cose non sarebbero andate altrettanto bene se non avessi convinto Terence a registrare i vostri figli all’anagrafe con il nome dei Grandchester. Il cuore di Richard si è sciolto come neve al sole, mia cara. È stato un vero colpo da maestro!"

"Beh, dopotutto è quello il vero nome di Terence. Qui a Stratford sanno tutti chi sia. A volte, quando usciamo e la gente lo saluta per strada, lo chiamano sua signoria. All’inizio metteva il broncio ogni volta che accadeva. Ma ora credo che ci si sia abituato. Comunque, come ben sai, usa ancora il nome Graham quando recita".

"A proposito di questo, che intendeva dire Terence l’altro giorno quando ha parlato di lasciare la Royal Shakespeare Company?"

Candy questa volta divenne seria, poggiando la sua tazza di thè sul tavolino da giardino.

"Il Signor Bridges-Adams darà le dimissioni al termine della stagione. Sembra che voglia dedicarsi ad altri progetti, dirigere un’opera e forse collaborare con la Royal Academy o il British Council. Hanno offerto il suo posto a Terence, ma è probabile che lui non accetti".

"Teme che gli attuali problemi di bilancio possano andare a scapito anche delle produzioni future e del Festival (2), vero?"

"Sì. . .e sembra stia considerando un pensionamento anticipato”. “Dici sul serio?” le chiese Eleanor sollevando un sopracciglio. Terence compirà quarant’anni il prossimo anno ed è all’apice delle sue abilità istrioniche. Pochissimi nella sua posizione penserebbero al ritiro dalle scene”.

"Lo so, ma abbiamo considerato la cosa molto attentamente. Terence ama ancora molto Shakespeare, ma credo sia un po’ stanco di viaggiare, Eleanor. Lo fa da quasi ventritré anni ormai. I nostri figli crescono talmente in fretta che sente il desiderio di passare più tempo con loro, prima che sia troppo tardi. Dopotutto, la nostra situazione finanziaria è più che agevole al momento, malgrado la crisi internazionale".

"Capisco. . . viaggiare è uno degli inconvenienti della nostra professione, temo", concordò Eleanor torcendo le labbra. "Se avessi potuto scegliere tra la gloria del palcoscenico e quella di una famiglia, avrei scelto quest’ultima. E come ben sai, ci ho provato una volta…ma ecco…lasciamo stare…non ha senso vivere di rimpianti, giusto?

"Giusto! Ci ha pensato il Signore a rimettere le cose a posto negli anni, non è forse vero?"

"Parole sante, mia cara", concluse Eleanor sorseggiando lentamente il suo thè, per poi cambiare nuovamente discorso. "Credo sia ora di fare programmi per l’estate. Sarei felicissima di badare ai miei nipoti, mentre voi due piccioncini vi rilassate un po’. Dove pensate di andare quest’anno?"

"Ci crederesti se ti dicessi che stavolta vogliamo restare a casa? Ci siamo improvvisamente resi conto che non abbiamo la casa tutta per noi da quando è nato Richard. Quindi, penso che quest’anno ci prenderemo una bella vacanza a casa".

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Chicago, 14 maggio 1936

Caro Zio G,

come state tu e zia Candy? Io sto benissimo, malgrado quella pestifera di mia sorella. So che la cosa ti farà ridere, ma sai, avere una sorella di 10 anni è veramente una spina nel fianco. Nonostante Anne, credo che l’estate sarà fantastica! Zio Bert mi ha promesso di portarmi in Africa con lui. Dice che è la prima vacanza che si prende da più di venti anni e vuole renderla speciale. Visiteremo il Cairo, il Marocco ed infine il Kenya. Non sto nella pelle per i preparativi, ma papà mi ha avvertito che mi lascerà partire solo se mi confermerò primo del mio corso a scuola. Ma sai bene che non è mai stato un problema per me. Gli esami finali sono già iniziati e finora sono andati benissimo. Quindi, sto già preparando le valigie per l’Africa.
Comunque, credo che lo Zio Bert abbia bisogno di svagarsi ben più di me. Sai, dopo che Miss Pony e poi la Zia Elroy se ne sono andate, è stato molto triste. Ma da quando ha iniziato a organizzare questo viaggio, il suo umore è decisamente migliorato. Sono certo che ci divertiremo un sacco. Mi ha detto che probabilmente passeremo qualche giorno con voi prima di ripartire per l’America.
Ora, parlando del futuro, voglio dirti un segreto. Il prossimo sarà il mio penultimo anno di liceo e papà sta già iniziando a pensare all’università. Vuole che studi economia ad Harvard come ha fatto lui. Ma temo che lo deluderò. Voglio studiare ingegneria a Boston e poi, se sarò fortunato, specializzarmi al MIT. Credo sia la cosa migliore per me. La Zia Candy dice sempre che le mie invenzioni sono migliori di quelle di Zio Alistair, perché le mie resistono un po’ di più prima di esplodere. Se andassi al MIT potrei trovare il modo di farle funzionare a dovere. Che ne pensi?
Ne ho parlato con la Zia Patty quando è stata qui lo scorso Natale e lei mi ha detto che a Boston c’è un ottimo corso di ingegneria. È mia complice in questo e mi aiuterà con la domanda di ammissione, quando sarà il momento. Conosce alcuni colleghi che lavorano lì. Ora non mi resta che convincere papà che l’economia non fa per me. Ma per quello conto sulla Zia Candy. Quindi, per favore, dille che avrò bisogno del suo potere di persuasione quando verrete a trovarci il prossimo dicembre. So che, quando vuole, riesce a rigirarsi papà con un dito.
Beh, credo sia tutto per ora. Per favore, salutami tanto la Zia Candy ed i miei cuginetti Rick, Gwen e Terry. La prossima volta che ti scriverò sarà dal Cairo.

A presto,
Stair



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Terence ripiegò la lettera di Alistair con il volto ancora illuminato da un sorriso. Ridacchiò ancora una volta al ricordo del riferimento del ragazzo al potere di persuasione di Candy. Avendo sperimentato sulla propria pelle la misura del suo fascino, l’uomo pensò che l’inconsapevole "buon vecchio Damerino" avesse già perso la battaglia in partenza.

Con l’ascesa al potere di Adolph Hitler e la sua recente alleanza con Mussolini, le tensioni politiche in Europa stavano assumendo una dimensione quantomeno preoccupante. Essendo profondamente democratico, Terence disprezzava le politiche promosse dai leader politici, poiché le considerava estremamente pericolose e molto vicine a una dittatura. In un momento in cui le brutte notizie erano all’ordine del giorno, ricevere una lettera allegra e spensierata come quella di Alistair costituiva una boccata di aria fresca. Terence aveva sempre avuto un debole per quel ragazzo. Tra l’altro, era convinto che Archibald dovesse consentirgli di trovare la sua strada. Tuttavia, nell’eventualità di una nuova guerra, pensò, avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per aiutare Archibald a tenere il ragazzo al sicuro.

L’attore si alzò dalla sedia, avendo terminato di leggere tutta la sua corrispondenza. Erano già i primi di giugno ed i suoi figli erano ad Edimburgo per l’estate. Osservò gli scaffali della sua imponente libreria, riflettendo su quale libro di poesie avrebbe potuto leggere quella sera prima di andare a letto. Il suo sguardo si posò sulla sua ormai ricca collezione di edizioni pregiate di opere e poesie di Shakespeare. Eppure, quella sera non aveva voglia di leggere i sonetti di Shakespeare. Per contro, prese l’antico volume delle poesie di William Wordsworth che apparteneva a Candy.
Quando lasciò il suo studio, la casa sembrava particolarmente silenziosa e si domandò cose stesse facendo la sua chiassosa mogliettina. Una volta in camera da letto, il silenzio fu rotto dal grammofono che diffondeva le note di "More than you know" e dal rumore dell’acqua corrente proveniente dalla toilette.

"Oh! Eccoti qui! Dove ti eri nascosto?" gli chiese Candy, uscendo dalla stanza da bagno.

La donna si avvicinò a suo marito, gli prese le mani, poggiandosene una sulla spalla e l’altra sulla vita, e lo coinvolse divertita in qualche passo di danza. Terence fu lieto di accontentarla. Sapeva che amava particolarmente quella canzone. Aveva acquistato il disco in occasione di una della sue tournée, affermando che ascoltarlo le era di consolazione per la sua assenza. Di fatto, dopo aver perso il loro terzo figlio a causa di un aborto quell’anno, Candy era stata particolarmente depressa nei mesi successivi al triste evento. La sua assenza, seppur per una breve tournée di beneficienza, le aveva reso tutto più difficile. In qualche modo, quella canzone riusciva a tirarla un po’ su.

Ripensò a quella sera del 1929, quando aveva finalmente fatto ritorno a Stratford qualche giorno in anticipo senza avvertirla, ansioso di stare un po’ con lei. L’aveva trovata da sola in salotto, seduta al buio. Persino nel dolore, il suo sguardo si era illuminato quando l’aveva visto arrivare. Dopo quell’episodio, aveva deciso di rinunciare alla stagione invernale per stare con sua moglie ed i loro due figli. Addolorati per la perdita subita, avevano bisogno l’uno dell’altra più che mai. Con il tempo, il dolore si era affievolito e le ferite rimarginate. Tre anni dopo nasceva Terence Junior.

Ora che si era del tutto ripresa, il suo sorriso era splendente e luminoso come quando l’aveva conosciuta. Ma mentre si muovevano lentamente sulle note della canzone,Terence notò una punta di malizia nel suo sguardo.

"Amore, che ne dici di fare un bagno caldo prima di andare a letto?" gli chiese con fare allusivo.

Per tutta risposta, lui ricambiò il sorriso ed iniziò a slacciarsi la cravatta. Poi, lei si voltò verso il tavolino da toilette. Quando finalmente entrò nella stanza da bagno, con indosso solo le culottes ed una graziosa camiciola, lui si era già accomodato nella vasca.

Candy si soffermò per un attimo ad ammirare il suo fisico asciutto, pregustando il contatto dei loro corpi sotto l’acqua calda. Ma ricordandosi che doveva ancora sciogliersi i capelli, si voltò verso lo specchio del bagno ed iniziò a togliersi le mollette.

"Novità nella posta?" gli chiese, mentre i riccioli fino a quel momento elegantemente sistemati nell’acconciatura ricadevano sulle sue spalle.

"Solo da Alistair e Albert. Hanno in programma un viaggio in Africa ed è probabile che vengano a farci visita prima di rientrare in America a fine estate!" rispose Terence, mentre si godeva la vista di sua moglie che si toglieva la biancheria davanti a lui. I suoi riccioli, ora più lunghi, le incorniciavano le spalle e sentì il bisogno di accarezzarli.

"Quando la vedo così, mi sento ancora come un ventenne. Mio Dio, ha la schiena più bella che abbia mai visto!'' pensò.

Quando Candice, con i capelli ormai sciolti, si voltò ed entrò nella vasca, Terence ebbe la stessa sensazione che si prova quando si rilegge una bella poesia. Ogni strofa ci è familiare, eppure, l’effetto che produce sulla nostra anima è sempre nuovo.
Senza dire una parola, si accomodò tra le gambe di lui, poggiando la schiena sul suo petto. Quando le sue mani iniziarono ad accarezzarla dappertutto, con la scusa di insaponarla, non ebbe dubbi su come sarebbe andata a finire tra di loro. Ormai esperto nell’accendere in lei il fuoco della passione, ben presto Candy non riuscì a resistere alla tentazione di voltarsi verso di lui. Un secondo dopo, erano una cosa sola.

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Nella primavera dell’anno seguente, Richard Grandchester ebbe un ictus nella sua villa di Edimburgo e morì. Dunque, suo figlio Terence divenne il 15° Duca di N****. Dopo lo scandalo dell’abdicazione di Re Edoardo VIII del dicembre precedente, il fatto che Terence fosse succeduto a suo padre dopo aver vissuto come un cittadino comune così a lungo era considerato un peccato veniale. Con la minaccia di una nuova guerra, Re Giorgio VI aveva cose più importanti a cui pensare, che mettere in dubbio la successione del Ducato.

Terence e la sua famiglia si trasferirono ad Arundel Park, che diventò così la loro residenza principale, trascorrendo dunque gli inverni a Londra e le estati in Scozia. Fu veramente un peccato che Iriza Legan non fosse mai stata invitata a far visita alla sua "cara cugina" la Duchessa in una delle sue proprietà in Inghilterra.
Quell’autunno la neo-Duchessa fece estirpare tutte le erbacce da Arundel Park e negli anni ne trasformò completamente i giardini. I suoi roseti ed i suoi narcisi divennero famosi in tutto il Cheshire.


Al tempo dei Narcisi

Al tempo dei narcisi (che sanno
che la vita è crescere)
scorda il perché, ricorda il come

Al tempo dei lillà che proclamano
che il risveglio porta al sogno,
ricordalo (dimenticando i forse)

Al tempo delle rose (che meravigliano
il qui ed ora con un paradiso)
dimentica il se, ricorda il sì

E nel tempo delle dolci cose oltre
ciò che la mente comprenderà
ricorda di cercare (dimentica trovare)

E, nel mistero che sarà
(quando il tempo dal tempo ci libererà),
dimenticandoti di me, ricordami

- E.E. Cummings -

FINE


(1) Città - Londra
(2) Il Festival - Eleanor fa riferimento al Festival di Stratford-on-Avon, famoso per la musica ed il teatro, che Bridges-Adams diresse per 15 anni.
 
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13 replies since 28/4/2013, 15:13   57794 views
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