Candy Candy

ROUND ROBIN IN ATTESA DI TITOLO!, Fan Fiction a più mani

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view post Posted on 18/2/2016, 19:21     +1   -1

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Carissima Candy75 bellissimo anche questo secondo capitolo, ci sono però due mosche che ronzano fastidiosamente, i fratelli Legan, Iriza sempre una perfida strega e Neal ossessionato da Candy mi mette ansia e mi preoccupa non poco, per seguirla vuole pure arruolarsi e partire per Londra.
Brava hai introdotto anche Richard un personaggio a mio parere interessante e pieno di sfaccettature, può sembrare all'apparenza un uomo duro e freddo, ma dentro di lui si nasconde un cuore che soffre silenzioso.
Stò già morendo dalla curiosità di sapere come e quando due fari blu si incontreranno con due fari verdi e Dominique mi ricorda vagamente qualcuno di nostra conoscenza con la passione per le invenzioni.................
Forumelle,avete dato vita ha una storia interssante e intrigante, in bocca al lupo alla prossima :1311thumbnailij2.gif:
Camilla
 
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luna71
view post Posted on 18/2/2016, 21:12     +1   -1




Ma che bello anche questo secondo capitolo.
Iriza con la sua cattiveria ed arroganza non si smentisce mai ed il fratello Neal opportunista fino al midollo se ne vorrebbe partire per Londra in un'ufficio a fare il timbracarte.
Qualcosa mi dice che partirà e che romperà le uova nel paniere magari ad un certo Duca dagli occhi blu.
Albert, pacato come sempre fatica a non perdere la pazienza ce lo vedo benissimo in moto gli calza a pennello.
Ci vedrei bene anche il nostro Duca ma vedremo se la comprerà.
Che brivido la nostra Candy quando per le mani tiene "quella lettera" non poteva fare la curiosa e leggere a chi era spedita?

Ora aspettiamo Terence .....
E Dominique anche io penso ad un certo inventore...

Grazie ancora aspetto bramosa un nuovo capitolo
 
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view post Posted on 20/2/2016, 21:54     +1   -1
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Po' Candynaaaaaaa il tuo capitolo è meraviglioso! E meno male che avevi delle remore nel tuffarti in quest'avventura perchè non ti ritenevi capace! Ti prego, tesoro, lascia giudicare noi altre: sei bravissima! Ho apprezzato ogni riga, trovato perfetto il modo in cui hai descritto i vari personaggi, perfettamente delineati nelle loro caratteristiche originali. Sei stata brava a toccare punti diversi ed ad aprire più giochi se mi consenti l'espressione, il tutto con uno stile curato, ricercato e che attira l'interesse del lettore. Ti faccio i miei più sinceri complimenti :ok.gif:
Intanto io ho approfittato dei tuoi spunti ;) Eccomi con il mio contributo a questa storia. Spero di non essere troppo inferiore alle mie amiche, ma soprattutto spero vi piaccia come ho deciso di proseguire. Kisses :love3.gif:


Cuori in tempesta



Terence sedeva nel suo studio da diverse ore, una sigaretta in una mano e l’altra dietro la nuca, le lunghe gambe incrociate e appoggiate sulla scrivania. Aveva letto diverse volte la lettera del dottor Cox, l’unica alternativa era partire per Londra, solo così Susanna avrebbe potuto sottoporsi al suo vaglio per stabilire se fosse stato possibile o meno applicarle una protesi ortopedica. Intraprendere la traversata dell’Atlantico per lei non sarebbe stato facile, le sue condizioni di salute erano piuttosto precarie, aggravate soprattutto dallo stato depressivo in cui era caduta da diversi mesi. Le cose tra loro non funzionavano, lei non si accontentava di averlo al suo fianco, voleva di più, anelava il suo amore, desiderava le sue carezze, i suoi baci, ma lui non poteva, non riusciva ad aprirsi a lei, il suo cuore gridava ancora e più intensamente di prima il nome di Candy, i suoi desideri, i suoi ardori erano tutti per la sua Tarzantuttelentiggini, per quanto si sforzasse di avere contatti fisici con Susanna, non poteva darle di più che mere effusioni di affetto e gentilezza. Più si mostrava tenero e accondiscendente, più Susanna si spazientiva ed inveiva contro Candy, contro il triste destino che le era capitato e contro di lui, contro la sua ingratitudine e la sua incapacità di amarla. Tant’è che i loro incontri si erano ridotti ai minimi termini, Terence rincasava sempre tardi e usciva molto presto la mattina, per cui, a volte, passavano interi giorni senza incontrarsi, pur vivendo sotto lo stesso tetto. Aveva provato con tutto se stesso a farla felice, tuttavia non era mai abbastanza per lei, forse Susanna davvero meritava di più, ma cosa poteva farci se non riusciva ad innamorarsene? Per quanto si impegnasse non riusciva a cancellare dalla sua mente, dalla sua anima, il ricordo e l’amore che provava per Candy, se solo avesse potuto riversare la passione che nutriva per lei su Susanna! Ma non era possibile, per quanti sforzi facesse, non ci riusciva, non poteva amare nessun’altra. I pochi momenti che trascorrevano insieme, lui e Susanna, finivano sempre in maniera melodrammatica: con lei che l’accusava di punirla per averlo separato da Candy, lui che cercava, per l’ennesima volta, di spiegarle che era con lei che aveva deciso di restare, e lei che l’implorava di amarla e farla sua e lui che la guardava in silenzio e abbandonava la stanza, lasciandola in preda allo sconforto e alla frustrazione. Perché non riusciva a dare a Susanna quello che chiedeva? Eppure era bella! Se l’era chiesto tante di quelle volte, finché era giunto all’unica conclusione possibile: in realtà lui non voleva dimenticare, l’amore che nutriva per Candy l’aveva reso un uomo migliore, gli donava l’energia e la passione per dare il massimo nel suo lavoro, non desiderava cancellare i suoi sentimenti per Candy, erano parte di lui, della persona che aveva scelto di essere.
Il rumore di un vaso rovesciato lo destò dai suoi pensieri, si alzò di scatto e si lanciò fuori dallo studio, dirigendosi a passi svelti verso la camera di Susanna. La scena che gli si presentò era davvero struggente: Susanna riversa sul pavimento in una pozzanghera di acqua, tra i cocci di un vaso rotto e i fiori stretti tra le mani in un gesto quasi convulso. Terence le si avvicinò e dolcemente le tolse i fiori dalle mani, oramai con le teste chine, come a manifestare la disperazione di quella stretta, l’aiutò a sedersi sul letto e le mise addosso la vestaglia, frizionandole le braccia con le sue mani.
“Va tutto bene, ci sono io ora”. Con un tono calmo e suadente. Lei alzò i suoi occhi angosciati e li posò in quei due zaffiri blu, che l’osservavano con estrema dolcezza.
“Volevo….io volevo…venire..a salutarti”.
“Non importa, sono qui”. L’attirò a sé e le posò un bacio sui morbidi capelli, lei si girò in cerca delle sue labbra, ma lui, prontamente le baciò la fronte. Si sentiva più un amico o meglio un fratello per lei, che un fidanzato. Sapeva che la conseguenza del suo gesto sarebbe stata una scenata, ma non se l’era sentita di baciarla, proprio non ci riusciva, era come farsi una violenza. Il suo corpo, così come il suo cuore, indipendentemente dalla sua volontà, avevano giurato eterna fedeltà a Candy. Lei, invece, non disse nulla, lo guardò e due lacrime solcarono il suo volto, poi si allontanò da lui, con le mani giunte, strette in mezzo alle gambe e il capo chino, guardava fisso la punta del suo unico piede.
“Susanna, ti devo parlare. Oggi Robert mi ha consegnato una lettera di un certo dottor Cox, un suo amico di Dublino, specializzato nell’applicazione di protesi ortopediche. Ha acconsentito a vederti, tuttavia, poiché ora lavora a Londra in un ospedale militare, è impossibilitato a venire negli Stati Uniti, l’unica alternativa è andare noi in Europa”. Susanna trasalì, alzò la testa e fissò il suo sguardo smarrito negli occhi di Terence, ma continuò a restare zitta. Lui approfittò del suo silenzio per aggiungere: “Oramai la stagione teatrale si è conclusa e con la guerra che dilaga non siamo sicuri di riprendere in autunno, per cui potremmo approfittare di questa pausa per andare a Londra. Certo mi rendo conto che viaggiare per te non sarà facile, ma ci sarò io e potremmo portare con noi l’infermiera Tess, che già si occupa delle tue necessità qui a casa. E’ chiaro che la decisione spetta a te, Susanna, pensaci. Ti lascio dormire, buonanotte”. Le posò un bacio sulla guancia e uscì.
Susanna restò ancora qualche minuto frastornata da quella notizia sconvolgente: c’era la speranza di poter riavere una gamba, la possibilità di tornare a camminare e magari un giorno risalire sul palco insieme a Terence! Lacrime di gioia le rigarono il volto, sì dovevano assolutamente fare questo viaggio, sentiva come un presentimento, qualcosa di straordinario sarebbe successo laggiù, la sua vita sarebbe cambiata e chissà, forse, Terence avrebbe cominciato a guardarla con occhi diversi. In effetti il destino beffardo, ancora una volta, riservava un’inaspettata sorpresa.

*****




Albert camminava su e giù per lo studio, non poteva credere che quella nullità di Neal fosse stato così scaltro da riuscire nel suo intento: farsi mandare a Londra evitando anche di andare in trincea, oramai non poteva fare più nulla per impedire la sua partenza. Non aveva dimenticato Candy o cercava sola vendetta per l’umiliazione subita a causa del suo rifiuto? Quest’ultima possibilità fece rabbrividire Albert, la vendetta era ancora più pericolosa della sua malsana ossessione, perché se la sua infatuazione poteva in qualche modo preservare l’incolumità di Candy, la rivalsa nei suoi confronti non lo avrebbe fermato dal commettere una scelleratezza. Albert batté i pugni sulla sua scrivania, maledizione! Non poteva permettere a quell’individuo di avvicinarsi alla sua Candy, sarebbe partito anche lui per Londra, non poteva lasciarla senza alcuna protezione, se le fosse successo qualcosa per colpa di Neal lui l’avrebbe….No, non poteva permettere che corresse alcun pericolo. Le aveva promesso di non ostacolarla, ma non certamente di non preoccuparsi e proteggerla. Oramai non aveva scelta, la sua intera esistenza era dedita a soccorrere quella splendida donna dagli occhi verdi, non ne poteva fare a meno, lei rappresentava tutto il suo mondo.


*****



Candy quella mattina si sentiva stranamente agitata, aveva dormito male, uno strano sogno l’aveva turbata non poco: Stear era tornato, ma non era lo stesso allegro ragazzo di un tempo, aveva il volto preoccupato e zoppicava. Lei gli era corsa tra le braccia, ma lui non l’aveva stretta, con aria grave le aveva detto: “Ti avevo consegnato la felicità, ma tu non hai saputo custodirla”. Candy si era svegliata di soprassalto con il cuore in tachicardia. Non aveva mai sognato Stear, avrebbe dovuto essere contenta di poterlo rivedere nei sogni, ma quel suo sguardo, quelle sue parole le procuravano ansia, ripeté a se stessa che si trattava solo di un sogno, ma non poteva fare a meno di sentirsi scossa.
Mentre era intenta a medicare uno dei tanti feriti che in quei giorni erano arrivati lì alla Saint Paul School, Clelia le comunicò che il dottor Cox voleva vederla nel suo studio. Nel percorrere il corridoio che la portava alla stanza del primario, Candy sentiva una certa inquietudine mista ad eccitazione e proprio non ne capiva il motivo, forse il sogno l’aveva talmente scombussolata che ancora ne risentiva i postumi. Arrivata dinanzi alla porta dello studio di Cox, si fermò un attimo, tirò un sospiro e poi bussò.
“Avanti”.
“Dottor Cox voleva vedermi?”
“Si, entri signorina Andrew, voglio presentarle questi signori”.
Sulle due poltrone di pelle marrone site di fronte alla scrivania di mogano sedevano un uomo e una donna, che, all’udire la voce della nuova entrata e il pronunciare di quel nome da parte del medico, s’irrigidirono. Candy diede una vaga occhiata alle loro teste, poi si avvicinò al dottor Cox. Quando fu di fronte ai due visitatori il cuore le si fermò nel petto, non poteva essere, che cosa ci facevano lì? Susanna era bianca come un lenzuolo, sembrava aver appena visto un fantasma, Terence aveva le mascelle serrate, ma i suoi occhi brillavano di un blu intenso, sembravano emettere bagliori, sintomatici del tumulto che si stava scatenando nel profondo della sua anima. Cadde un silenzio gelido, era impossibile non notare la tensione che sembrava tagliare l’aria, il dottor Cox avvertì il disagio che si era creato e dopo aver richiamato l’attenzione dei presenti, che sembravano essere caduti in uno stato comatoso, con due colpi di tosse, disse: “signorina Candy, essendo americana, avrà certamente sentito parlare di Terence Graham e Susanna Marlowe”. Candy dovette ricorrere a tutte le sue forze per ricacciare indietro le lacrime che prepotentemente cercavano di affluire dai suoi occhi, e con un sorriso che mosse solo le sue labbra, mentre il suo sguardo gridava tutta l’angoscia che stava attanagliando il suo cuore, rispose: “Terence, Susanna, sono felice di rivedervi”. Non riuscì a dire altro, la sua voce avrebbe tradito sicuramente i singhiozzi che cercava di ingoiare e che sembravano, invece, non darle tregua e premere incessantemente per venire a galla.
“Vi conoscete già, dunque”, constatò Cox.
“Sì, Terence e Candy hanno studiato proprio qui, dottore, e noi ci siamo conosciute quando io ancora recitavo”. Dopo aver detto queste parole, Susanna posò la sua mano sul braccio di Terence e con voce affettata aggiunse: “caro ti ricordi di Candy, vero?” Poi rivolgendosi al dottor Cox continuò: “io e Terence non facciamo molta vita sociale, sa, gli impegni di lavoro sono tanti, per cui quando possiamo preferiamo starcene soli nell’intimità della nostra casa e godere l’uno della sola compagnia dell’altro”.
Cox sorrise. “Immagino che due giovani innamorati, come voi, preferiscano stare più tempo possibile insieme da soli”. Terence stava per sbottare, non ne poteva più di quell’assurda farsa, voleva solo alzarsi prendere Candy e portarla via da lì, sulla loro collina e stringerla forte a sé e non lasciarla andare mai più. Stava per farlo, ma fu bloccato dallo sguardo della sua Tarzantuttelentiggini, che aveva saputo leggere nel suo cuore, e che con un sorriso caldo e confortevole, gli suggerì di lasciar perdere. Ma Terence non aveva nessuna intenzione di mollare, si rivedevano dopo tanto tempo, non poteva aspettare nemmeno un altro minuto, voleva restare solo con lei. Si alzò e si congedò: “Dottor Cox forse è il caso che Susanna si sistemi, ha bisogno di riposare ed io vorrei tanto portare i miei ossequi alla madre superiora. Candy mi faresti la gentilezza di accompagnarmi da lei? Cox le affido Susanna. Cara a più tardi”. Baciò la fronte ad una Susanna sbalordita e fuori di sé dalla rabbia. Aprì la porta e con un gesto cavalleresco lasciò passare prima Candy, dopo di che si apprestò a seguirla richiudendo la porta. Candy camminava senza parlare, ma sentiva lo sguardo di lui fisso su di sé, così penetrante da farle provare un senso di calore percorrerle la schiena. Giunti fuori dall’edificio, Terence le prese la mano e cominciò a correre trascinandola con veemenza. “Terence, cosa fai? Lasciami ti prego, no, no non farmi questo…” Le lacrime che aveva trattenuto cominciarono ad erompere come un fiume in piena. Terence sembrava una furia, aveva lo stesso sguardo furibondo di quel giorno alla festa di maggio quando l’aveva trascinata con la forza su Teodora. Era ancora il ragazzo irruento di una volta, lui non sarebbe cambiato mai e nemmeno lei, e i loro sentimenti? Lei lo amava ancora, anche più di prima, ma Terence? Prima Susanna aveva lasciato intendere che erano innamorati, ma l’intensità dei sentimenti che aveva letto nel suo sguardo quando si era posato su di lei, era stato più loquace di qualsiasi parola: anche lui non aveva dimenticato. Arrivati sulla seconda collina di Pony, Terence arrestò la sua folle corsa, ma non lasciò andare la mano di Candy. Le volgeva le spalle, restarono così qualche secondo, poi si voltò e il blu del mare in tempesta s’incrociò con il verde dei prati mosso dal vento. Era così inebriante perdersi l’uno nello sguardo dell’altro, che restarono così per un tempo che sembrò indefinito, poi Terence s’avvicinò e le accarezzò lievemente una guancia, le asciugò le lacrime che copiose inondavano le sue gote. “Hai idea di quanto tu mi sia mancata e dell’inferno che ho vissuto da quella maledettissima notte?”
“Terence….”
Terence la zittì posandole l’indice sulle labbra tremanti, che cominciò ad accarezzare con un gesto delicato e sensuale allo stesso tempo.
“Ti amo Candy, con tutto il mio cuore, con tutta l’anima”. L’attirò a sé e la baciò con grande ardore. Candy rispose a quel bacio con lo stesso trasporto, sembravano due naufraghi assetati che finalmente potevano abbeverarsi alla fonte dell’amore. In quel loro cercarsi e esplorarsi si stava esaurendo tutta la solitudine che, da quando si erano detti addio, aveva albergato nei loro cuori. Quando si sciolsero da quell’abbraccio tanto anelato, i loro occhi ardevano di passione, ma anche di profonda angoscia: sapevano entrambi che l’impedimento al loro amore era ancora lì reale, non potevano ignorarlo e che d’ora in poi i loro cuori sarebbero stati ancora più soli di prima. Candy sentì la necessità di scappare da lui, non poteva restargli accanto, non avrebbe potuto lasciarlo, ancora una volta, a lei altrimenti. Corse via inseguita dal grido disperato di Terence che chiamava il suo nome.


Più tardi Candy fu messa al corrente dal dottor Cox dell’intervento a cui si sarebbe sottoposta la Marlowe, durante il quale si sarebbe avvalso della sua collaborazione, ma soprattutto le affidò le cure della giovane donna. Candy stava per chiedere che Susanna venisse assegnata a qualcun’altra, quando Cox le disse: “Non so che cosa ci sia fra voi tre, Candy, ma la prego di mettere da parte le questioni personali. Questo è un grosso intervento, un’occasione per accrescere il mio prestigio come chirurgo ortopedico e anche per lei è un’esperienza unica. Ho bisogno di lei, Candy, non c’è nessun’altra con la sua bravura e la sua dedizione”.
Candy non avrebbe voluto, ma si ritrovò a rispondere, per il giuramento fatto di dedicare se stessa prima di tutto al benessere dei pazienti: “Va bene dott. Cox, le prometto la mia massima professionalità in questa faccenda, può contare su di me”.
“Bene, la ringrazio”.
Erano già cinque minuti che Candy si trovava fuori dalla porta della camera di Susanna. Avrebbe potuto guardarla negli occhi dopo quello che era successo con Terence poche ore prima? Avrebbe potuto mantenere la promessa fatta al dottor Cox e tenere un rapporto puramente professionale con Terence e Susanna? Perché, perché il destino ancora una volta voleva metterla alla prova?

***



Albert era fermo davanti all’imponente cancello della Saint Paul School, quanto tempo era passato dall’ultima volta che si era trovato dinanzi a quella possente struttura e soprattutto quanto diversi erano i suoi sentimenti…Era stato proprio lui a decidere di mandare la sua pupilla a studiare tra le mura di quel rinomato collegio inglese, animato dal proposito di prendersi cura di quella bizzarra ragazzina che le era subito entrata nel cuore, perché, quando si specchiava nei suoi limpidi ed innocenti occhioni verdi, aveva la sensazione di ritrovarsi di fronte alla sua amata sorella Rosemary. Era davvero questa la ragione per cui aveva deciso di prendersi cura di Candy? L’aveva creduto fino a quando non aveva avuto quel terribile incidente, da allora tutto era cambiato…i suoi sentimenti si erano trasformati, la convivenza nell’appartamento magnolia, giorno dopo giorno, l’aveva costretto ad arrendersi all’evidenza: lui amava quella ragazzina, e non come un fratello o un amico, ma come un uomo ama una donna. Questa consapevolezza dapprima l’aveva reso contento, quando ancora ignorava la sua vera identità, (è vero lei era innamorata di un altro, ma la loro storia era finita, c’era una speranza per il suo amore), mandato in disperazione quando aveva scoperto il vero legame che l’univa a Candy. Non erano un uomo e una donna che si erano conosciuti casualmente e che potevano innamorarsi, lui era il suo padre adottivo! Seppure avessero voluto sfidare le convenzioni sociali, del resto, lui e Candy, le avevano sempre ignorate, quello che più lo spaventava era la sua piccolina: una volta venuta a conoscenza della verità avrebbe mai potuto guardarlo con occhi diversi, non come un benefattore, un amico, ma come un innamorato?
Questo era stato il suo dilemma da quando si era rivelato a lei quel giorno a Lakewood. Cosa avrebbe dato per restare per sempre Albert, lo spiantato, ma libero di essere se stesso, invece che diventare lo zio William, con tante responsabilità e imprigionato in un ruolo che non gli si addiceva. Tuttavia aveva assunto la posizione che gli spettava per nascita e aveva deciso di soffocare quell’amore che era candidamente sbocciato nel periodo più bello della sua vita. La verità purtroppo è che non si può smettere di amare qualcuno solo perché si è deciso di farlo, quell’amore che aveva inteso reprimere, in realtà si era alimentato piano piano nel profondo del suo cuore ed ora divampava di una fiamma forte e vigorosa, che non era più in grado di dissimulare. Forse era giunto il momento di rivelare i suoi sentimenti, Candy avrebbe potuto cominciare a vedere in lui l’uomo, non più l’amico, il suo salvatore, avrebbe potuto cominciare a capire che non si può vivere nel passato, che era giunto il momento di dire addio al blu dell’oceano e guardare al futuro, pennellato dell’azzurro del cielo d’estate.



Edited by italia74 - 22/2/2016, 23:43
 
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luna71
view post Posted on 21/2/2016, 22:02     +1   -1




Bravissima anche a te Italia74, capitolo bellissimo, pieno di aspettative.
Aspettative su più fronti da parte dei nostri uomini, mi sa tanto ma presto ne vedremo delle belle.
(Io sono una terenciana doc. questo Albert così innamorato mi fa male) ma la nostra Candy sapra cosa vuole.
Povera Candy che colpo ritrovarsi la coppia d'oro proprio lì a Londra nello studio del medico e prendersi cura di Susanna aiuto!
Ma i sentimenti sono sentimenti e finalmente un bacio come si deve senza schiaffi ed insulti.

grazie per aver postato
 
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view post Posted on 22/2/2016, 10:09     +1   +1   -1
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CITAZIONE (luna71 @ 21/2/2016, 22:02) 
Bravissima anche a te Italia74, capitolo bellissimo, pieno di aspettative.
Aspettative su più fronti da parte dei nostri uomini, mi sa tanto ma presto ne vedremo delle belle.
(Io sono una terenciana doc. questo Albert così innamorato mi fa male) ma la nostra Candy sapra cosa vuole.
Povera Candy che colpo ritrovarsi la coppia d'oro proprio lì a Londra nello studio del medico e prendersi cura di Susanna aiuto!
Ma i sentimenti sono sentimenti e finalmente un bacio come si deve senza schiaffi ed insulti.

grazie per aver postato

E sì Luna, dovevo vendicare quell'unico bacio che ci ha fatto sognare ;). Che ci piaccia o no Albert è innamorato di Candy. E questo per volere dell'autrice. Quello che possiamo sperare è che gli sia passata :risata: :sorrisone: Grazie a te per averci dedicato il tuo tempo. Ebbene sì, ne vedremo delle belle. Ma non ti spoilero niente :odyssea: Baci.
 
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view post Posted on 22/2/2016, 21:15     +1   -1
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Grazie Italia
Anch'io riesco a vedere candy solo con terence ... Chissà che succederà
 
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view post Posted on 22/2/2016, 22:28     +1   -1

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Cara Italia sei bravissima, l'attesa per quest'altro bellissimo capitolo è stata ripagata.
Susanna tenace e intraprendente pretende da Terence amore e devozione due cose che lui non potrà mai darle perchè nel suo cuore c'è un'unica donna, la sua tuttelentiggini.
L'incontro tra Candy Terence e Susanna è sconvolgente e inaspettato per tutti e tre, comunque il bacio c'è stato vedremo..........
Albert innamorato e Neal ossessionato, quanta carne al fuoco !!!!
Complimenti e brave brave brave, alla prossima
Un abbraccio camilla :auri: :auri:
 
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view post Posted on 22/2/2016, 23:18     +1   -1
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Sanlu, Camilla grazie a voi :giusy:
 
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view post Posted on 22/2/2016, 23:27     +1   -1
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Bravissime Candyna e Italiuccia... Avete messo un sacco di carne al fuoco!
:giusy:
CdF
 
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view post Posted on 28/2/2016, 00:08     +1   -1
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Eccomi qua, è arrivato il mio turno... "Ma chi sei?", si staranno chiedendo le forumelle che mi hanno visto poco o niente su questo forum... e avrebbero, ahimè, ragione da vendere.
Chi sono? Sono una forumella come voi, arrivata qui piena di voglia di sognare, di conservare la mia parte bambina, di crescere senza perdere del tutto la leggerezza della fanciullezza. La vita poi ci ha messo del suo, e non sono rimasta presente come un tempo, per tanti problemi che ancora mi risucchiano tante energie, ma sono felice di essere qui a condividere questa esperienza con le mie amiche-sorelle, le amiche che fanno parte di me e della mia vita in modo meraviglioso, che da qui sono partite con me per un viaggio che ci vede sempre più unite.
Questo RR è stato il filo che ci ha avvicinate e legate, ed è bello condividerlo con tutti voi che frequentate questo piccolo mondo incantato. Sono onorata e grata di farne parte, insieme a persone speciali che hanno saputo, con maestria, scrivere tutte dei capitoli bellissimi, trasmettendo ognuna la sua essenza e le sue caratteristiche.
Su questo mio capitolo vorrei dire solo una cosa, o meglio dedicarlo a qualcuno d'importante. Lo dedico ai miei nonni, che anche se non ho avuto la fortuna di conoscere, sono parte essenziale della mia vita. C'è qui un omaggio a loro, che la prima guerra mondiale l'hanno vissuta e sofferta in maniera tale da cambiare completamente le loro vite. A loro, che sono la dimostrazione che l'amore può vincere ogni difficoltà e sopravvivere a ogni devastazione, del corpo e dello spirito, grazie per tutto ciò che mi hanno insegnato.
Buona lettura (spero) e un abbraccio a tutti!



CAPITOLO IV
L’inaspettato



I colpi d’arma da fuoco si facevano sempre più forti e più vicini. Il loro fragore ormai copriva quasi del tutto le urla degli uomini che avanzavano nel loro implacabile attacco e quelle degli uomini che strenuamente continuavano a lottare per coprire la fuga dei propri compagni, consapevoli di non poter resistere ancora a lungo.
-Dominique non c’è più tempo! Andiamo!-
-Ho finito! Un attimo, un attimo solo!-
Il giovane uomo, con un’ultima manata, rovesciò dal tavolo nella sua sacca tutto ciò che poté. Diede un ultimo sguardo addolorato a tutti gli strumenti e a tutti i lavori, terminati o meno, che stava abbandonando. Sapeva che i suoi compagni avrebbero fatto esplodere il fienile non appena arrivati a distanza di sicurezza, gli ordigni erano già posizionati. Non avrebbero lasciato cadere niente in mano nemica.
Suo malgrado, non riuscì a non pregare perché nessuno fosse abbastanza vicino da restare coinvolto nell’esplosione. Quelli che ora chiamavano nemici non erano altro che ragazzi come loro, solo nati in una diversa parte del mondo, con indosso una divisa dai colori diversi. Lui questo non riusciva a dimenticarlo nemmeno per un istante, e chiedeva ogni giorno perdono per ogni vita spezzata a causa sua.
Sapeva di non poter lasciare il suo incarico, sapeva di dover fare qualcosa perché quella guerra finisse nel giusto modo e con meno danni possibile, sapeva che fino ad allora non aveva diritto a un’esistenza che non fosse dedicata ad altro che a questo. Eppure la consapevolezza che quell’immenso spreco di vite umane fosse profondamente ingiusto e crudele, non lo abbandonava mai.
Proprio lui, che per quella guerra era partito volontario, animato dai più grandi ideali e dal grande desiderio di fare del bene, proprio lui poteva più di chiunque altro dire che “guerra” e “bene” sono due concetti impossibili da conciliare.
-Dominique, ora!-
Si riscosse dai suoi pensieri, corse via insieme a Luc e saltò sul retro della jeep, che subito partì a tutta velocità.
Il capo, che viaggiava come loro sull’ultimo mezzo in partenza dalla sede operativa, si voltò subito verso di lui.
-Hai le carte con te, Dominique?-
-Si, sono al sicuro- rispose battendosi una mano sul petto, in corrispondenza del punto della giacca all’interno della cui fodera erano custodite le preziose formule sottratte ai tedeschi, in particolar modo quella dell’iprite e del suo antidoto. Insieme alle formule portava gli schemi delle maschere antigas che aveva progettato, ma la cui realizzazione era stata impedita da quell’attacco improvviso.
Charles Lucieto annuì, soddisfatto della risposta.
Non avrebbe voluto interrompere quel progetto, ma le circostanze imponevano un cambio di programma che purtroppo avrebbe ritardato tutto. Lui doveva tornare al quartier generale di Parigi, ma quel lungo viaggio attraverso la Francia era troppo pericoloso e non potevano rischiare di attirare l’attenzione spostandosi in gruppo. Fare ciò che nessuno si sarebbe aspettato era la cosa più sicura.
-Ascoltami bene adesso: dobbiamo dividerci, non c’è altra scelta. Non c’è modo di tornare indietro e portarti dove tu possa continuare il tuo lavoro senza correre il rischio di un assalto come questo, qui in questo paese. Non siamo lontani dalla costa, perciò tu e Luc raggiungerete le truppe inglesi, che vi aiuteranno a raggiungere Londra in sicurezza. Là troverete chi vi darà istruzioni, e porterai a termine la tua missione.-
Al silenzioso cenno d’assenso di Dominique, si volse verso l’altro agente.
-Luc, non posso rischiare affidandoti un altro compagno, in due sarete più veloci e vi sarà più facile muovervi. Tu sai dove andare e a chi rivolgerti. Ti affido Dominique, sai cosa significhi questo. Proteggilo con la tua stessa vita, e fai in modo che arrivi a Londra sano e salvo, costi quel che costi.-
Il boato dell’esplosione interruppe il discorso di Lucieto. Tutti gli uomini si volsero a guardare le fiamme che avvolgevano il fienile e la vecchia cascina, fino a quando una curva della strada nascose l’incendio alla loro vista. Rimasero silenziosi per il resto del viaggio, sempre con i sensi all’erta.
Dominique rinnovò la sua preghiera affinché nessuna vita fosse andata persa, e poi si immerse nei suoi pensieri.
Londra. Il cerchio della sua vita, forse, iniziava a richiudersi.

*****



Ancora immobile davanti alla porta della camera di Susanna, incapace di trovare il coraggio di entrare, Candy si chiedeva che fine avessero fatto tutta la sua forza e la sua determinazione. Sembravano essersi polverizzate in quella giornata, in quell’incontro che aveva riaperto le sue ferite e messo il suo cuore alla prova così all’improvviso, come mai si sarebbe aspettata. Un turbine di pensieri e di emozioni l’avvolgeva, pensare in maniera razionale sembrava impossibile.
Cercò di concentrarsi ancora per riuscire a riprendere e mantenere un contegno professionale. Non era certa di farcela, ma ormai non poteva più tirarsi indietro.
Trasse infine un respiro profondo e lentamente allungò la mano verso la maniglia. Fece appena in tempo a sfiorarla, quando dal fondo del corridoio sentì dei passi affrettati e una voce che la chiamava.
-Candy! Candy corri, c’è bisogno di te!-
Si affrettò subito incontro a Clelia.
-Cosa è successo?-
-Altri attacchi aerei in città, stanno arrivando decine di feriti! Il dottor Cox ha bisogno di te in sala operatoria!-
Una scarica di adrenalina attraversò il corpo di Candy e le fece ritrovare d’un colpo tutta la sua lucidità. Era stata così presa dai suoi drammi personali da non ricordarsi più dov’era e perché, tanto da non sentire nemmeno il fragore dei bombardamenti, ai quali si era tutt’altro che abituata.
Era una crocerossina, il suo compito in quel momento era fare il possibile per salvare vite e lenire sofferenze. Per le sue, ci sarebbe stato tempo.

Trascorsero interminabili ore tra la sala operatoria e le corsie dell’ospedale, un giorno finì e un altro ebbe inizio, prima che medici e infermiere potessero tirare il fiato. Ma quanto sarebbe durata quella tregua?
Candy stava controllando le condizioni di un paziente che aveva subito l’amputazione di un braccio, quando il dottor Cox la raggiunse, a mattina ormai inoltrata.
-Ha già parlato con la signorina Marlowe?- le chiese il medico, appena ebbero terminato di valutare insieme la situazione generale dei ricoverati.
-No dottor Cox, stavo per farlo ieri, quando sono arrivati i feriti.-
-Bene, forse è meglio così. Venga con me, ho qualcosa da comunicare alla signorina e al suo fidanzato, e vorrei che lei fosse presente.-
Candy annuì e lo seguì in silenzio. Nonostante tutte le ore passate in piedi a lavorare senza sosta, non si era mai sentita così stanca e provata come in quel momento. Aveva accantonato i suoi pensieri in un angolo della mente e del cuore, ma ora tornavano con prepotenza a invaderla, rendendo i suoi passi lenti e pesanti. Arrivati davanti a quella porta che inutilmente aveva cercato di varcare da sola, si fece coraggio e a testa alta entrò, restando accanto al dottor Cox, il suo unico, inconsapevole appiglio in quel momento.
Susanna era nel suo letto e guardava Terence che, in piedi accanto alla finestra, sembrava intento a osservare qualcosa pur non avendo l’aria di vederlo davvero. Non appena il dottor Cox li salutò lui si voltò e i suoi occhi si fissarono in quelli di Candy, perdendo quell’aria assente, diventando ardenti e tumultuosi.
Lei poteva leggere tante cose in quegli occhi tanto amati, un misto di sentimenti contrastanti, una lotta furiosa tra l’istinto e la ragione, tante domande che aspettavano una risposta… ma quello non era il luogo né il momento per loro due, perciò cercò di imporsi con tutta la sua volontà di distogliere lo sguardo da quello di lui.
-Dottor Cox- disse ansiosamente Susanna, interrompendo quella pericolosa conversazione muta tra i due che non le era sfuggita, riportando l’attenzione su di sé, -è venuto a dirmi quando potrò essere operata?-
Il medico si schiarì la voce prima di parlare, e i suoi occhi divennero più dolci pur restando determinati.
-Si, in un certo senso è così. Signorina Marlowe, Signor Graham, sono molto dispiaciuto per ciò che sto per dirvi. Intendo sempre eseguire l’operazione per la quale siete venuti fin qui, ci tengo molto e sono sicuro che i risultati saranno molto più che soddisfacenti. Mio malgrado però mi trovo costretto a rimandarla, senza potervi comunicare una data precisa.-
-Che significa questo? Perché?- chiese Terence con voce alterata, allontanandosi con uno scatto dalla finestra e avvicinandosi al medico con aria bellicosa.
Il dottor Cox non si scompose, con calma fermezza guardò Terence negli occhi e gli rispose.
-Signor Graham, lei ha certamente sentito i bombardamenti di ieri. Ha senza dubbio visto quanti feriti sono arrivati qui. Tutto il personale dell’ospedale ha lavorato ininterrottamente fino ad ora per assisterli, e molti di loro sono in gravi condizioni. Inoltre numerosi feriti arriveranno presto dal fronte francese, stamattina mi è stato comunicato che alcune navi sono già in viaggio, perciò dobbiamo tenerci pronti ad accoglierli e curarli con tutta l’attenzione che merita chi rischia la propria vita per tenere al sicuro la nostra.-
Il dottore fece una pausa, poi si rivolse direttamente a Susanna.
-Signorina Marlowe, il suo è un intervento delicato che necessita di molta cura e di costante assistenza post operatoria per un lungo periodo, e questo è qualcosa che in questo momento non sono in grado di garantirle. Io desidero operarla e desidero farlo al meglio, perché lei possa riprendere a camminare. Ma siamo in guerra, questo è un ospedale di guerra. L’emergenza appena passata mi ha ricordato perché sono qui, perché non posso prendermi un impegno come questo proprio ora. Tutto il personale ed io dobbiamo essere pronti a ogni emergenza in qualsiasi momento si renda necessario, senza soste e senza limiti di tempo, con tutte le nostre energie.-
-Questo cosa significa?- chiese Susanna con voce flebile e sguardo smarrito. -Dobbiamo andar via da qui?-
-No!- esclamò Terence con veemenza. -Non possiamo tornare negli Stati Uniti adesso, il viaggio è troppo faticoso per Susanna e non so se sarebbe in grado di tornare qui un’altra volta. Andare via adesso significherebbe rinunciare del tutto all’intervento!-
Era furioso, ma gli bastò voltarsi e vedere l’espressione addolorata di Candy per sentirsi in un istante uno stupido egoista. Come sempre, come un tempo, lei era capace di rimetterlo al proprio posto e di farlo ragionare, anche senza bisogno di parlare. Riaprì le mani che aveva involontariamente stretto in due frementi pugni, sospirò e si rivolse al medico in tono più mite.
-Mi perdoni, dottor Cox. Comprendo quello che mi ha detto, ha pienamente ragione, e quello che fate qui è ammirevole. La mia reazione è stata eccessiva e le chiedo scusa, anche se ciò che ho detto resta comunque la verità. Non possiamo rinunciare a questa operazione, non ora che sappiamo che è possibile farla e siamo a un passo dal riuscirci.-
-Non si preoccupi signor Graham, la sua reazione è più che comprensibile e non ha niente di cui scusarsi. Anch’io comprendo le vostre difficoltà, eppure al momento mi è impossibile venirvi incontro se non con la promessa di operare la signorina Marlowe non appena la situazione si sarà stabilizzata. Certo, se voi trovaste nel frattempo il modo di non dover affrontare di nuovo il viaggio fino a New York…-
-Forse potremmo cercare un alloggio qui a Londra…-
-No, non qui in città, non è sicuro e non ve lo consiglio. I bombardamenti si fanno sempre più frequenti, e la signorina non potrebbe scappare con la velocità necessaria verso i rifugi, in caso di allarme.-
-Potreste venire con me nella nostra residenza in Scozia- disse improvvisamente una terza voce.
Si voltarono tutti verso la porta. Sulla soglia era fermo Richard Grandchester, i cui occhi profondi scrutavano quelli di suo figlio farsi scuri come un oceano in tempesta, riconoscendovi i segni di quella ribellione che sempre aveva accompagnato il loro rapporto. Se ne sentiva assurdamente confortato. Era sempre meglio di anni di silenzio, era meglio dell’indifferenza.
-Cosa ci fai tu qui? Chi ti ha chiamato?-
Il tono di Terence era apertamente ostile, le sue mani si erano nuovamente serrate a pugno e il lieve tremore tradiva la sua furia a malapena contenuta, eppure il padre mosse alcuni passi verso di lui mantenendosi, almeno all’apparenza, perfettamente calmo.
-Non mi ha chiamato nessuno. Sono venuto a trovare Suor Margaret, come faccio periodicamente, così ho scoperto che eri qui. Pare che io sia arrivato al momento giusto, se così si può dire.-
-Terence, chi è questo signore?- chiese timidamente Susanna. Ma lui rimase in silenzio, così fu Richard a rivolgersi direttamente a lei.
-Sono Richard Grandchester, signorina Marlowe. Il padre di Terence- le disse, con un lieve inchino.
La ragazza spalancò gli occhi e li fece scorrere dall’uno all’altro, incapace di proferire parola, se non un quasi impercettibile “oh” di sorpresa. Non sapeva niente di quell’uomo, ma era chiaro che Terence non era felice di rivederlo, la sua tensione era palpabile. Decise perciò di non dire niente, anche se la proposta di Richard Grandchester le sembrò, in cuor suo, provvidenziale.¬¬
-Mi sembra la soluzione perfetta- disse invece il dottor Cox, dando voce ai suoi pensieri.
-Non andrò da nessuna parte con quest’uomo!- fu la rabbiosa risposta di Terence.
-Invece dovresti.-
Erano le prime parole che Candy pronunciava da quando si trovava in quella stanza, e furono pronunciate con tono fermo e deciso. Il mento alto e le spalle dritte, lo guardava con un misto di sfida e rimprovero. Per Terence fu quasi una coltellata al petto.
Si erano appena ritrovati e non solo Candy voleva che lui andasse via, ma voleva che andasse via con suo padre, pur sapendo che lo disprezzava al punto da aver messo un oceano tra di loro, per non avere più niente a che fare con lui e con tutto ciò che rappresentava.
Restò fermo a fissarla per qualche istante, incurante del silenzio intorno e del fatto che gli occhi di tutti fossero puntati su loro due. Poi si mosse in fretta e, afferratala per il braccio, la trascinò fuori.
-Io e te dobbiamo parlare- disse con un ringhio sordo.
Candy non si fece intimidire e, invece di lasciarsi condurre fuori come lui sembrava voler fare, si divincolò e lo costrinse a seguirla nell’ufficio del dottor Cox.
Terence chiuse la porta alle loro spalle, mentre lei avanzava nella stanza, mettendosi dietro la scrivania.
Lui interpretò quel gesto come un altro segno della distanza che Candy sembrava voler mettere tra loro, e la sua collera traboccò.
-Si può sapere che ti è preso?- le urlò contro.
-Terence, ti prego, calmati e…-
-No che non mi calmo! Ti ho baciata, ti ho detto che in questi anni ho continuato disperatamente ad amarti e che ti amo ogni giorno di più, e tu? Tu prima scappi via e non ti fai più trovare, e ora mi dici di andar via? E di farlo con quell’uomo? O mi odi o sei impazzita, io non trovo altre spiegazioni!-
Candy abbassò lo sguardo, addolorata, mentre lui camminava avanti e indietro per la stanza, passandosi nervosamente le mani tra i capelli. Sentirgli dire che l’amava faceva traboccare ogni volta il suo cuore di gioia, ma durava solo un istante, subito tornava il dolore a lacerarlo. Di tutto ciò che lui le aveva detto, si concentrò solo sull’aspetto che in quel momento le era più facile affrontare, rimandando il più possibile ciò che più le era difficile dire.
-Partire con tuo padre è la cosa giusta da fare, Terence.-
Lui si fermò di colpo e la guardò. La furia ardente nei suoi occhi avrebbe intimidito chiunque, ma Candy sostenne il suo sguardo senza lasciarsi spaventare. Sapeva che quella rabbia nasceva dal tormento, un tormento che sentiva anche lei, in ogni cellula del suo corpo.
-Quello non è più mio padre. In verità non lo è mai stato. Io lo disprezzo.-
-Qualsiasi cosa tu possa dire Terence, lui rimarrà sempre tuo padre, che ti piaccia o no. E lascia che ti dica che sbagli, non dovresti disprezzarlo in questo modo.-
-Ma cosa ne sai tu? Tu non lo conosci!-
-Credo di conoscerlo meglio di te, invece.-
Terence scosse la testa e la guardò con sorpresa e diffidenza.
-Non vedo come potresti.-
Candy sospirò e prese a spiegare, tormentando nervosamente l’angolo di un foglio poggiato sulla scrivania.
-Appena arrivata qui ho incontrato tuo padre per caso. Abbiamo scambiato qualche parola, mi ha chiesto se ci fossimo mai visti prima di allora, così gli ho detto che ci eravamo incontrati una volta, quando studiavo qui. Ci siamo presentati, poi lui è andato via. Ma da allora torna qui più o meno due volte al mese, e ogni volta si ferma a parlare un po’ con me.
Non so nemmeno se sa chi sono davvero, anche se già alla sua seconda visita mi sono convinta di si. Non parliamo mai del passato e non abbiamo mai fatto il tuo nome, è come un tacito patto tra noi. Ma nelle nostre parole, nei nostri discorsi apparentemente innocui e generici, c’è molto di più. Stare in compagnia l’uno dell’altra, in un certo senso fa sentire ognuno di noi accanto a una parte di te.-
Terence era incredulo. Era davvero di suo padre che stava parlando? Quell’uomo sempre così rigido, così attento alle convenzioni, a evitare la mescolanza di classi sociali, davvero trascorreva del tempo a parlare con una semplice crocerossina? E non si trattava di una crocerossina qualunque, ma della donna per amore della quale suo figlio aveva rinnegato il suo nome ed era partito per intraprendere una carriera che, Terence ne era sempre stato più che certo, lui non avrebbe mai approvato. Così come era certo che Richard Grandchester sapesse benissimo chi era Candy. Allora perché le dava confidenza e parlava con lei?
Candy poteva sentire i suoi dubbi e la sua confusione, anche senza che li esprimesse ad alta voce. Gli sorrise con tenerezza prima di riprendere a parlare.
-A volte si può capire molto di una persona anche quando dice poco di sé, Terence. Tuo padre è un uomo solo, che forse si è reso conto dei suoi errori passati e ne paga le conseguenze, non sapendo come rimediare. Non giustifico quegli errori, ma posso cercare di comprendere il perché delle sue azioni, e puoi provare a farlo anche tu se vuoi. In fondo è solo un uomo, e ora anche tu lo sei.
Anche tu dovresti sapere ormai cosa significa prendere una decisione, certo che sia quella giusta, anche se il tuo cuore sanguina nel farlo, e portarla avanti nonostante tutto…-
A queste parole la voce le tremò e si spezzò. Terence si voltò dall’altra parte, le labbra serrate e gli occhi lucidi.
Le parole di Candy lo colpivano nel profondo non solo perché gli ricordavano la decisione presa quella maledetta notte su una terrazza ricoperta di neve, ma anche perché spesso in quei lunghi anni lui stesso aveva accostato il proprio modo di agire a quello del padre. Solo che invece di portarlo a comprendere lui, quei pensieri l’avevano sempre portato a odiare se stesso. Paragonarsi a suo padre era qualcosa di estremamente penoso, difficile da accettare, e Candy stava ora tirando fuori dal suo animo tutti quei pensieri che lui tentava strenuamente di nascondere nei più profondi recessi di se stesso.
Candy sapeva di aver aperto una breccia in lui, perciò non si fece scoraggiare dal suo ostinato silenzio, e proseguì.
-Ti prego Terence, prova a fare un passo verso tuo padre. So quanta fatica ti costi, ma non può essere un caso se vi siete rincontrati proprio qui, proprio ora, proprio in mia presenza. Ero presente anche mentre stavi cacciando via tua madre dalla tua vita, allora mi hai dato ascolto, sei tornato sui tuoi passi e non credo che tu te ne sia mai pentito. Mi sbaglio?-
Lui si voltò nuovamente a guardarla.
-No, non ti sbagli. Ma stiamo parlando di due situazioni e di due persone molto diverse. Mio padre è…-
-È tuo padre- lo interruppe lei. -Tu hai un padre e una seconda chance con lui. Se non vuoi farlo per te stesso, ti prego ancora una volta di farlo per me, che un padre non l’ho mai avuto e mai l’avrò. Non gettare via ciò che altri vorrebbero tanto…-
Lui tacque ancora per qualche istante, poi un angolo della sua bocca si incurvò leggermente in una smorfia amara.
-Sai sempre come ottenere ciò che vuoi, infermiera tuttelentiggini- mormorò.
-Vorrei che fosse vero…- sussurrò lei, chinando la testa.
-E sia, farò come dici tu, darò una possibilità a mio padre. Ma posso farlo restando qui, non è necessario andare in Scozia. Anche il fatto che noi due ci siamo ritrovati proprio qui, in questo luogo, non può essere solo un caso. Non voglio allontanarmi da te, non posso farlo un’altra volta!-
Candy tremò davanti a quell’affermazione tanto veemente e risoluta. Non poteva più scappare ora, era un discorso che dovevano inevitabilmente affrontare, per quanto pronunciare le parole che stava per dire, equivalesse quasi a strapparsi il cuore dal petto.
-Dimmi Terence, è cambiato qualcosa e io non me ne sono accorta? O Susanna è ancora la persona che ti ha salvato la vita perdendo una gamba, disposta a morire per te, e di cui tu hai promesso di prenderti cura per sempre?-
Lui sussultò e non disse niente, così lei proseguì, alzando la voce senza nemmeno accorgersene.
-Sei cambiato tu, forse? Non sei più la persona che conoscevo, con un senso dell’onore senza macchia, che mai si sarebbe tirata indietro di fronte ai propri doveri?-
-Quel dannato senso dell’onore ci sta rovinando la vita!- urlò lui con rabbia. -Dove ci ha portati, se non alla disperazione? Non vedi che così non siamo niente affatto felici, come ci eravamo stupidamente promessi?-
-E dimmi, tu saresti felice se lasciassi Susanna sola per tornare da me? Se la lasciassi proprio ora che deve affrontare una sfida importante come l’intervento per la protesi? Dimmi Terence, la tua coscienza ti lascerebbe dormire sereno la notte, o il tarlo del senso di colpa ti roderebbe dentro? Saresti davvero felice? Dimmelo Terence, dimmelo!-
-No, dannazione! No!-
Sferrò un pugno sulla parete con tutte le sue forze, poi vi si accasciò contro. Perché gli stava facendo questo? Perché gli ricordava tutte quelle cose che anche lui sapeva, ma che si era illuso di poter dimenticare? Perché, perché il destino li aveva fatti incontrare ancora una volta, se non era per riunirli? Quanta sofferenza e quante separazioni potevano ancora affrontare?
Tacque a lungo, e quando parlò lo fece senza voltarsi a guardarla.
-Ancora una volta non ho scelta. Starò accanto a Susanna in attesa dell’intervento, sarò con lei quando lo farà e finché non si sarà ripresa. Ma arriverà il giorno in cui non avrà più bisogno di me, e allora io tornerò a cercarti, e tu non avrai più scuse per allontanarmi da te. Hai capito cosa ti ho detto?-
-Non parlare di ciò che non puoi prevedere… non fare promesse che potresti non mantenere... Io so solo che devi restare con lei, e che ancora una volta devo lasciarti andare per sempre…-
Anche senza vederla, sentì il pianto nelle sue parole. Si staccò dalla parete e si mosse verso di lei, intenzionato a non andarsene senza averla prima presa tra le braccia un’ultima volta, ma Candy alzò la mano come a volerlo fermare, arretrando spaventata.
-Non farlo, ti prego- lo supplicò. -Se solo mi sfiorerai io non sarò più in grado di resistere… non rendere tutto più difficile…-
Terence serrò la mascella, i pugni, gli occhi, le labbra, si costrinse a voltarsi e dirigersi verso la porta. Era come se non fosse lui a fare quei movimenti, come se si vedesse dal di fuori, come se il dolore fosse così tanto e così insopportabile da averlo invaso tutto, spingendo la sua anima fuori dal corpo, a osservare la scena come un incredulo spettatore.
Furono i singhiozzi soffocati di Candy a riunire anima e corpo, fu la forza della disperazione a muoverlo. Stava andando via, lo stava facendo con suo padre come lei voleva, ma l’ultima condizione che gli aveva imposto no, proprio non poteva accettarla.
Si mosse veloce come un fulmine, aggirò la scrivania, l’attirò a sé e prima ancora che potesse emettere un solo fiato, le sue labbra si impossessarono di quelle di lei.
Il sapore salato delle lacrime si mescolò a quello amaro di un destino crudele, i loro corpi si strinsero in un abbraccio convulso, il sentimento e la ragione ingaggiarono una furiosa lotta, nella quale il primo fu costretto lentamente a soccombere alla seconda.
Quando le loro labbra si separarono, Terence strinse tra le mani il volto di Candy e la costrinse a guardarlo. L’intensità dei sentimenti palpitanti in quegli occhi, blu come il più profondo dei mari, le fece tremare le gambe e le tolse quel poco fiato che le era rimasto in petto.
-Questo non è un addio- le disse con voce bassa e roca, ma più ferma e decisa che mai.
Per suggellare quella promessa la baciò ancora una volta, con lenta e profonda passione, come a volerle dire che il suo amore non sapeva solo incendiarsi, ma anche pazientemente aspettare, senza spegnersi né perdere di intensità.
Rapidamente come si era accostato a lei la lasciò, prima che i suoi propositi venissero meno, e ancora una volta nella sua vita si allontanò dalla donna che amava. Ma stavolta il seme della speranza aveva messo radici nel suo cuore e, a dispetto di tutto e tutti, lui non l’avrebbe mai estirpato.
Solo quando l’eco dei suoi passi si fu spento nel corridoio, Candy permise alle proprie gambe di cedere e si accasciò a terra.
Pianse a lungo, pianse per l’amore e per lo strazio, per la vicinanza e il distacco, per i suoi sogni e per la realtà, per il cuore e per la mente che non volevano far pace. Pianse per lavare l’anima, pianse fino a svuotarsi, pianse per fare spazio al coraggio di rimettersi in piedi e proseguire il suo cammino: ovunque volesse condurla, non poteva fare altro che seguirlo.

*****



Che diamine ci faceva lì quel maledetto inglese? Di tutte le persone al mondo era l’ultima che si sarebbe aspettato di incontrare proprio in quel luogo e in quel momento. La sua presenza rischiava di rovinare tutti i suoi piani, dannazione! Era lì che camminava avanti e indietro nervoso come un leone in gabbia, di certo non era del suo umore migliore e lui sapeva bene quanto potesse essere pericoloso provocarlo in un momento simile. Per fortuna era voltato di spalle quando lui era arrivato sul viale d’ingresso, perciò era riuscito a nascondersi tra i cespugli senza essere visto.
Mentre lo osservava pensando a come fosse meglio agire per non doversi incontrare con lui, vide una giovane ragazza dai lunghi capelli neri, la cui bellezza era visibile anche a quella distanza, avvicinarlo e rivolgergli la parola nonostante l’aria tutt’altro che disponibile di quell’insopportabile sbruffone. Ammirò il coraggio di quella ragazzina, pur provando fastidio per quel sentimento, che gli ricordava la propria codardia.
Approfittò della distrazione del momento per avvicinarsi di più e cercare di ascoltare la loro conversazione. I due parlavano a bassa voce e l’inglese, dopo l’evidente fastidio con cui aveva accolto l’arrivo della sconosciuta, sembrava essere diventato più gentile. Era perfino arrivato a sorriderle quando lei gli aveva consegnato una lettera, mentre il viso le diventava rosso come una mela matura.
Non riuscì a sentire che qualche parola. “Mark”, “Scozia”, “bagagli”, “automobile”, “stasera”… non era granché, ma sperava che le sue congetture in merito fossero esatte.
Si mosse incautamente, spezzando un piccolo rametto sotto i suoi piedi, e subito due paia di occhi della stessa identica tonalità di blu, seppur animati in quel momento da sentimenti molto diversi, si voltarono nella sua direzione. Si appiattì il più possibile contro il tronco dell’albero dietro al quale si era nascosto e trattenne il fiato, pregando di non essere visto. Dopo qualche istante di ispezione i due, non notando e non sentendo nulla, ripresero la loro conversazione e si incamminarono insieme verso il collegio.
Decise di non rischiare oltre per quel giorno, perciò lentamente e con cautela guadagnò l’uscita e si allontanò da quella che un tempo era stata la sua scuola. L’indomani sarebbe tornato e, se davvero quel maledetto inglese fosse partito quella sera stessa, non ci sarebbe stato più niente a ostacolare i suoi piani.
Un ghigno soddisfatto si dipinse sulla sua faccia. Quella volta, tutto sarebbe andato come lui voleva.

*****



Luc e Dominique avevano viaggiato su una nave che trasportava feriti alla volta dell’Inghilterra, cercando di dare nell’occhio il meno possibile per tutta la durata della traversata. Una volta arrivati al porto si erano ancora più discretamente dileguati, grazie alla confusione delle operazioni di scarico dei feriti e carico di munizioni e rifornimenti, e si erano diretti a Londra.
Preso alloggio in una zona della città ritenuta sicura, Luc si era dato da fare per mettersi in contatto con gli agenti dei servizi segreti inglesi, secondo i protocolli da lui già seguiti in altre missioni. Dopo 48 ore trascorse senza ottenere risposta si era però visto costretto ad attivare la procedura d’emergenza, che consisteva nel recarsi di persona a un determinato indirizzo, in determinati giorni e determinati orari, senza attendere ulteriori riscontri. Non conosceva la ragione di quel silenzio, sapeva solo che poteva significare molte cose, nessuna delle quali positiva per loro: forse le procedure erano state cambiate per questioni di sicurezza e non c’era stato modo di comunicarlo, o forse gli agenti della cellula di raccordo che conosceva erano stati eliminati… o forse poteva trattarsi di una trappola. Ritenne però improbabile quest’ultima ipotesi: se l’intera rete di collegamento tra agenti fosse stata nota ai servizi segreti nemici, il loro tentativo di contatto sarebbe stato intercettato e chi di dovere non avrebbe di certo aspettato due giorni per trovarli. In ogni caso era necessario agire con estrema cautela.
Lucieto era stato chiaro, Luc non doveva perdere di vista Dominique nemmeno per un istante, perciò i due uomini si recarono insieme a quell’appuntamento dall’esito incerto. Fecero per precauzione un percorso molto più lungo del necessario, ma arrivarono comunque a Kensington con largo anticipo rispetto all’orario prestabilito. Esplorarono tutta Holland Park Avenue e i suoi dintorni, studiando possibili vie di fuga, poi entrarono in una libreria dalle cui finestre, aggirandosi tra gli scaffali, potevano tranquillamente osservare chi entrava e chi usciva dal pub in cui avrebbero dovuto incontrare il loro uomo.
Luc non riconobbe nessuno degli avventori, se un agente c’era, si trattava di qualcuno che lui non conosceva. Aveva comunque già individuato due o tre uomini da tenere d’occhio, arrivati prima dell’orario concordato e, nonostante avessero lasciato trascorrere un’altra mezzora, ancora all’interno del locale quando anche loro decisero finalmente di entrare.
Sedettero a un tavolo e ordinarono due birre. Luc non voleva che il suo accento francese -per quanto sapesse mascherarlo abbastanza bene- potesse destare sospetti, perciò lasciò che fosse Dominique a ordinare. Aveva già avuto modo di constatare, quando avevano raggiunto i soldati sulla costa francese, che il suo compagno parlava un inglese talmente perfetto da eliminare qualsiasi dubbio sul fatto che fosse quella la sua lingua madre. Inoltre, fin dal loro arrivo in città, aveva dimostrato di conoscere molto bene Londra. Che non fosse francese lo avevano sempre sospettato tutti, ma la sua lealtà era qualcosa di cui aveva dato prova già da tempo, perciò Luc non era stato affatto turbato da quelle scoperte.
Si guardarono intorno senza darlo a vedere, fingendosi assorti nella loro conversazione e nel gustare lentamente le loro birre. Uno degli uomini che Luc aveva adocchiato, quello che gli ispirava meno fiducia di tutti, era seduto a un tavolo poco distante dal loro. Li osservò più volte, poi prese un quotidiano e lo aprì alla pagina della cronaca internazionale. Era il primo dei segni di riconoscimento concordati, e i sensi del francese si misero all’erta più che mai.
Decise di attendere senza fare nessuna mossa. Se fosse stato davvero un agente inglese, l’uomo avrebbe dovuto sapere quali erano le semplici azioni successive da compiere per confermare la propria identità al di là di ogni dubbio: chiudere il giornale e ripiegarlo con la prima pagina verso l’interno, chiedere l’ora esatta al cameriere, accendere una sigaretta e spegnerla dopo quattro boccate, tutto in questo esatto ordine. Ma l’uomo non fece niente di tutto ciò: continuò a tenere il giornale ostentatamente aperto, rivolgendolo sempre verso di loro, guardandoli di tanto in tanto.
Non c’erano più dubbi per Luc: quell’uomo era un agente, ma non era uno dei loro e non era certo lì per aiutarli. In qualche modo una parte della procedura di contatto era stata scoperta, dovevano allontanarsi e mettersi al sicuro. Fece a Dominique il cenno prestabilito e lui capì che qualcosa era andato storto. Senza fretta terminarono le loro consumazioni, lasciarono i soldi sul tavolo e si avviarono verso l’uscita.
Nonostante le precauzioni e l’assenza di segnali di riconoscimento da parte loro però, forse per istinto, forse perché bravo nel proprio mestiere, forse perché davvero sapeva chi erano e li stava aspettando, l’uomo li seguì fuori dal locale e iniziò a pedinarli. Non si avvicinò troppo finché continuarono a camminare in mezzo alla gente, ma la sua andatura rallentava o accelerava di pari passo alla loro, fugando ogni dubbio sulle sue intenzioni.
Dopo diversi minuti di camminata su Holland Park Avenue, Dominique e Luc svoltarono bruscamente in una stretta strada laterale e presero a camminare in fretta verso la fine di quello che sembrava un vicolo chiuso, con l’inseguitore sempre alle loro spalle. I passi sempre più rapidi dei tre uomini echeggiavano tra le alte pareti degli edifici, tra le quali filtrava a malapena qualche spiraglio di luce.
Improvvisamente si fermarono e anche l’uomo si fermò. Luc estrasse la sua pistola e iniziò a voltarsi, mentre con una mano spingeva Dominique verso lo strettissimo e quasi invisibile passaggio tra due palazzi. Ma l’uomo aveva probabilmente già estratto da tempo la sua arma, perché il primo sparo risuonò prima ancora che lui riuscisse a girarsi del tutto. Il secondo colpò gli ferì di striscio il braccio sinistro, ma non gli fece perdere il suo sangue freddo. Grazie alla sua mira perfetta, Luc colpì l’uomo in pieno petto con un solo colpo.
Solo allora, voltandosi verso Dominique, si accorse che giaceva a terra, ferito. Lo chiamò e lui rispose con un debolissimo lamento. Sospirò di sollievo al saperlo vivo. Lo trascinò piano dentro all’imboccatura del passaggio, causandogli dolori che lo fecero rinvenire del tutto. Dominique era abbastanza cosciente da mordersi la lingua per non urlare: sapeva che il rumore degli spari avrebbe presto fatto accorrere qualcuno, e loro non dovevano attirare l’attenzione, ma mettersi in salvo.
Luc gli controllò la ferita: il proiettile aveva attraversato da parte a parte la coscia sinistra, poco sopra il ginocchio, ma per fortuna non era rimasto all’interno. Probabilmente però nell’impatto, o nella caduta, doveva essersi spezzato l’osso, perché la gamba gli ciondolava in modo innaturale.
Muovendosi rapidamente Luc estrasse dalla giacca una fiaschetta di liquore e ne fece bere un sorso a Dominique, prima di versarglielo sulla ferita per disinfettarla. Strappò una striscia di stoffa dalla sua camicia e improvvisò una fasciatura, in modo da rallentare il più possibile la fuoriuscita di sangue. Velocemente controllò anche la propria ferita al braccio e, vedendo che non era niente di grave, si limitò a versarvi sopra un poco di liquido.
Si sollevò da terra, si diresse verso un punto preciso della parete di mattoni dell’edificio alla loro destra e con decisione ne sfilò uno, recuperando i preziosi documenti che avevano precedentemente nascosto durante la loro esplorazione, per metterli in salvo in caso nessuno dei due fosse rimasto vivo per proteggerli. Li infilò di nuovo nella fodera della giacca di Dominique e cercò di aiutarlo ad alzarsi, sostenendolo in modo che potesse saltellare su una gamba.
Avevano fatto solo pochi passi quando sentirono delle grida: come avevano previsto non c’era voluto molto prima che qualcuno, in seguito ai colpi d’arma da fuoco, trovasse il corpo esanime dentro il vicolo. Dovevano scappare più in fretta possibile.
-Perdonami amico, ma non ho scelta- disse Luc a Dominique, prima di caricarselo in spalla e iniziare a correre.
Sapeva che sballottarlo in quel modo non era l’ideale per la sua gamba, ma non potevano rischiare di farsi prendere dalla polizia: non c’era niente che dimostrasse la loro identità, nessuno avrebbe creduto alla loro storia. E se mai l’avessero fatto, sarebbe stato troppo tardi.
Si allontanò più in fretta che poté, tenendosi sempre all’interno di vicoli e stretti passaggi, fermandosi e restando nascosto quando si avvicinava qualcuno. Si era accorto che ogni tanto Dominique perdeva i sensi, probabilmente in parte per il dolore e in parte per l’emorragia.
Appena ritenne di essere sufficientemente distante dal luogo della sparatoria, si infilò in un portone e nella penombra di un androne silenzioso si accinse a disinfettargli e fasciargli di nuovo la gamba nella stessa rudimentale maniera. Non c’era altro che potesse fare.
Cercò di pensare a dove andare. Aveva corso a lungo, anche il suo braccio iniziava a far male e le forze iniziavano a venir meno. Non era prudente tornare al loro alloggio, inoltre Dominique aveva bisogno di essere curato.
-Dobbiamo trovare un posto sicuro, amico… ma quale?- chiese ad alta voce, convinto però che il suo compagno non fosse cosciente e non lo sentisse.
-So… so io dove… andare- mormorò invece Dominique, a fatica.
-Dove?- chiese subito Luc, ansioso di avere una risposta prima che lui perdesse i sensi di nuovo.
-Il mio… il mio collegio. Saint Paul… le suore… ci aiuteranno.-
Luc si fece dire l’indirizzo e memorizzò tutte le indicazioni che Dominique riuscì a dargli, prima di caricarselo di nuovo in spalla e rimettersi in movimento. Non poteva percorrere le strade principali, avrebbero dato decisamente troppo nell’occhio, perciò il loro tragitto fu più tortuoso di quanto avrebbe voluto. Ogni volta che Dominique rinveniva, lo costringeva a parlare e lo teneva sveglio più a lungo che poteva.
Arrivarono alla Saint Paul’s School quando la luce del sole stava iniziando a calare. Tenendosi a debita distanza, Luc ebbe modo di osservare i movimenti all’interno e di accorgersi che quello non era più solo un collegio: erano fortunati, c’era certamente un ospedale, o comunque c’erano delle crocerossine all’interno della struttura. Qualcuno avrebbe curato Dominique mentre lui avrebbe cercato il modo di riallacciare i contatti con i servizi segreti. Prima però voleva essere certo di trovare qualcuno di cui fidarsi, meno persone venivano a conoscenza della loro presenza lì, più sarebbero stati al sicuro. Se l’agguato di quel giorno non era stato casuale, significava che qualcuno era a conoscenza del perché si trovavano a Londra, e questo li metteva ancora di più in pericolo.
Raccogliendo le ultime energie rimastegli, issatosi a fatica Dominique sulla spalla un’altra volta, percorse il muro di cinta del collegio fino a quando non trovò un piccolo cancello secondario che per lui fu un gioco scassinare, e si addentrò nel parco. Quando ritenne di essere a una distanza ragionevole dagli edifici abitati si fermò, avendo cura di scegliere un punto in cui nascondere bene in mezzo alla vegetazione il suo compagno. Doveva per forza andare in avanscoperta senza di lui. Non avrebbe mai dovuto lasciarlo solo, lo sapeva, ma era certo che lì sarebbe stato sufficientemente al sicuro.
Lo sistemò a terra più delicatamente che poté, si sedette accanto a lui per riprendere fiato e per darsi modo di controllare con attenzione i dintorni, poi lo costrinse a svegliarsi.
-Ci siamo quasi, amico. Siamo arrivati al collegio. Non fare scherzi e aspettami qui mentre vado a cercare aiuto.-
Dominique gli sorrise debolmente e annuì, poi chiuse di nuovo gli occhi. Il collegio. La visione di dolci occhi color caramello nascosti dietro un paio di occhiali e di un timido e meraviglioso sorriso, tornò a fargli compagnia ancora una volta, facendolo sentire protetto e al sicuro.

*****



Era stata un’altra giornata impegnativa per medici e infermiere alla Saint Paul’s School, come tutte quelle degli ultimi mesi, in cui i feriti che arrivavano dalle trincee francesi e quelli vittime dei bombardamenti in città si susseguivano senza sosta. Le camere non bastavano più e anche i corridoi dell’ospedale si erano presto riempiti di letti, i ritmi lavorativi erano serrati e quasi senza soste.
A Candy non dispiaceva avere le mani e la mente continuamente occupati, per quanto avrebbe preferito che non lo fossero in circostanze tanto tragiche. Vedere tante giovani vite perse o stravolte per sempre dalle mutilazioni, contribuire al miracolo di salvarne alcune, tutto ciò la scuoteva nel profondo e l’aiutava a ridimensionare i propri dolori. Finché si resta vivi c’è speranza, continuava a dirsi, anche se quella guerra infinita sembrava voler seppellire anche la speranza sotto le sue macerie.
Di un paziente in particolare si era particolarmente presa a cuore la sorte, un soldato poco più che ventenne, che a causa di una bomba aveva perso la vista e la voglia di vivere. Ephrem era arrivato lì in preda alla disperazione più totale, così pieno di ferite nel corpo e nell’anima e talmente impotente al loro cospetto, da suscitarle una tenerezza e un istinto di protezione così forti da lasciare sorpresa lei per prima. Si era presa cura di lui come fosse suo fratello, cercando di lenire le sue sofferenze fisiche e incoraggiandolo a non cedere, a imparare a costruirsi una nuova vita, nella quale lui sembrava non voler credere. Aveva scritto alla sua fidanzata, Hannah, che Ephrem voleva lasciare, convinto di non doverle imporre per tutta la vita il giogo di un marito menomato, e con immensa gioia gli aveva poi letto la risposta di lei. Una risposta piena d’amore, di gioia per non averlo perso, di fiducia nel futuro, una risposta in cui quella donna coraggiosa chiedeva al suo uomo di affidarsi a lei, di tornare da lei presto, perché insieme avrebbero saputo affrontare ogni cosa. Da quel momento lui aveva iniziato a impegnarsi con tutte le sue forze per ristabilirsi al meglio, e vedere ogni giorno i suoi progressi era per lei una grande gioia.
La storia di Ephrem e Hannah era così bella da riconciliarla di nuovo con l’idea stessa dell’amore, tanto da riuscire ancora, nonostante la sua esperienza personale, a farle credere che l’amore è una forza straordinaria che può davvero tutto.
I momenti di solitudine, tuttavia, erano quelli che temeva di più. Al buio della sua stanza, quando avrebbe dovuto trovare pace e riposo, i suoi fantasmi e i suoi tormenti tornavano a farsi vivi e presenti, così intensi da non lasciarle altra scelta che abbandonarvisi in una resa totale. Ogni volta però ritrovava in sé e in ciò che aveva attorno la forza per riprendere a lottare, e ad ogni ripresa si riscopriva sempre un poco più forte di prima.
Pur di allontanare il più possibile quei suoi privati combattimenti, che la lasciavano esausta molto più dell’intenso lavoro fisico, cercava di tenersi sempre impegnata anche con mansioni che non sarebbero state di sua competenza. Anche quel pomeriggio, nonostante fosse reduce da quasi quindici ore filate di lavoro e il dottor Cox l’avesse allontanata con l’ordine perentorio di andare a riposarsi, lei non aveva nessuna intenzione di obbedirgli.
Senza nemmeno passare dalla sua camera per togliersi la divisa, decise di recarsi nei locali adibiti a magazzino per controllare le forniture di materiali e medicinali, per stilare una lista di ciò che era necessario richiedere e di ciò che dovevano usare con cautela fino ai prossimi approvvigionamenti.
Stretta tra due file di scaffali, intenta nel suo lavoro, non si accorse che qualcuno l’aveva raggiunta fino a quando una voce non la fece trasalire.
-Serve aiuto?-
Sobbalzò, le cadde dalle mani la scatola piena di bende che stava contando e una rotolò fino ai piedi di Neal, fermo davanti a lei. Candy sospirò e si chinò a raccogliere la scatola.
Neal era apparso alla Saint Paul’s School il giorno dopo la partenza di Terence e Susanna per la Scozia, in un momento in cui lei aveva bisogno di tutto tranne che di qualcuno che le complicasse ulteriormente la vita. Vederlo in divisa era qualcosa che non si sarebbe mai aspettata, non si poteva certo dire che il coraggio fosse una sua peculiarità, perciò non si era stupita affatto nello scoprire che, lungi dal volersi distinguere in battaglia, Neal era riuscito a farsi affidare dei compiti d’ufficio. Casualmente, quei compiti riguardavano la coordinazione tra l’esercito e i vari ospedali in cui operava la Croce Rossa, perciò le scuse per aggirarsi da quelle parti non gli mancavano mai.
Inizialmente si era illusa che, tutto sommato, Neal non le avrebbe dato fastidio. Era stato estremamente gentile durante i loro primi incontri e lei, memore della strana sensazione di triste solitudine che il suo sguardo in passato le aveva trasmesso, considerando un gesto generoso quello di arruolarsi per dare in qualche modo il proprio contributo, anche se non in battaglia, e comunque troppo offuscata dai recenti avvenimenti per valutarlo con reale obiettività, aveva un poco abbassato la guardia e gli aveva concesso il beneficio del dubbio.
Non era stato necessario molto tempo perché si accorgesse di aver commesso un errore. Quella che inizialmente le era sembrata gentilezza, aveva pian piano perso la sua patina dorata rivelandosi per quello che era in realtà: insistente, invadente ossessione. Anche se lui andava a trovarla ogni due o tre giorni, Candy si era accorta che la spiava ogni giorno. In qualsiasi momento poteva capitarle di vederlo nascosto nel parco, osservare i suoi movimenti. Dopo essere caduta più volte nel tranello di un finto incontro casuale, aveva preso l’abitudine di osservare i dintorni prima di muoversi, in modo da cambiare strada quando si accorgeva della sua presenza, o di essere in compagnia di qualcuno in quelle occasioni. Non sempre però le riusciva di evitare di trovarsi sola con lui. Spesso Neal arrivava lì per sottoporle questioni relative al lavoro che Candy non poteva evitare, approfittandone poi per incollarsi a lei come un insetto alla carta moschicida. Le sembrava di essere tornata indietro di anni, al periodo in cui Neal aveva tramato alle sue spalle per attirarla in quella solitaria villa prima, e cercato di costringerla a sposarlo poi. Stavolta però c’erano loro due soltanto, nessuno poteva dare man forte né all’uno né all’altra, e anche se lei non dimenticava di quanta bassezza lui fosse capace, sapeva anche che aveva sempre avuto bisogno di essere spalleggiato da qualcuno per portare avanti le sue meschine prepotenze, e questo la faceva sentire un po’ più tranquilla.
Solo pochi giorni prima comunque, stanca di quel gioco niente affatto divertente che iniziava ad inquietarla sempre più, si era decisa a parlargli chiaro e tondo, dicendogli di smettere di assillarla in quel modo. Lui aveva a quel punto buttato giù ogni maschera, rivelandole quelle che erano le sue reali intenzioni: voleva sposarla, era anzi certo di averla ormai conquistata e ne parlava con tale delirante sicurezza, da farle dubitare seriamente della sua sanità mentale.
A niente era servito dirgli che mai e poi mai sarebbe riuscito a conquistarla, che aveva già rifiutato una volta di sposarlo e non aveva in nessun modo cambiato idea, che per un uomo come lui non avrebbe mai potuto provare nemmeno un briciolo di rispetto. Adesso se lo ritrovava di nuovo di fronte, con quel sorrisetto mellifluo e insopportabilmente viscido, e i suoi nervi già stremati da tutte le prove che stava affrontando fecero fatica a restare saldi.
-Non mi serve il tuo aiuto- gli rispose dura, mentre lui si chinava a raccogliere la benda fermatasi contro la punta della sua scarpa, -te ne puoi anche andare. Addio Neal.-
Gli voltò le spalle e rimise la scatola al suo posto sullo scaffale, cercandone un’altra da controllare.
-Oh, io credo invece che tu ne abbia molto bisogno- replicò lui, imperterrito.
Candy lo sentì avvicinarsi e si voltò a guardarlo. Qualcosa nei suoi occhi, un riflesso maligno diverso da quello a cui era abituata, la inquietò e la spinse a indietreggiare.
-Sentiamo, per quale motivo avrei bisogno del tuo aiuto?- gli chiese spavalda, mascherando l’improvvisa paura che l’aveva assalita.
-Per capire che mi ami, piccola stupida- fu l’assurda risposta.
Candy, che aveva continuato a camminare all’indietro, si ritrovò in quel momento con le spalle contro il muro, troppo tardi per accorgersi di non poter più scappare. Lo spazio tra gli scaffali era troppo stretto e Neal lo occupava quasi del tutto, mentre continuava ad avanzare verso di lei con espressione soddisfatta.
Decisa a non stare ferma senza far niente, si lanciò con forza contro di lui, certa di poterlo far cadere a terra con una spinta e così fuggire dalla trappola in cui si era cacciata. Ma Neal non era più il fragile ragazzino che lei ricordava, l’urto non lo scosse che di un millimetro, strappandogli una risata divertita.
-Bene, così va bene, sei così impaziente da buttarti addosso a me! Ti accontenterò subito, tesoro!-
Le afferrò le braccia e la costrinse a portarle dietro la schiena nonostante lei si dimenasse, poi con orrore Candy si accorse che le stava legando i polsi con la benda che aveva raccolto da terra.
-Spero che i nostri figli non crescano ribelli come te- furono le parole che le alitò sul viso prima di spingerla contro la parete. -Se avessi immaginato di dover arrivare a questo, non avrei perso tanto tempo a corteggiarti. Ma se tu collaborassi, comunque, sarebbe molto più divertente per entrambi. -
Spaventata e disgustata, lei sentì le mani di Neal arpionarle le spalle mentre lui accostava sempre più il proprio corpo al suo, lentamente, gustandosi il momento con un sadico sorriso dipinto sul volto. Quando ritenne che la distanza fosse quella giusta, Candy contrasse i muscoli e sollevando di slancio una gamba gli diede una ginocchiata tra le cosce. Lui le si accasciò contro con un gemito, lei si preparò a spingerlo via con tutto il peso del proprio corpo per poi iniziare a correre, ma in un attimo una forza improvvisa e sconosciuta lo staccò di colpo da lei e lo scaraventò contro la parete dall’altro lato della stanza.
-Verme schifoso! Sei un lurido bastardo!- furono le parole che Neal si sentì urlare contro con rabbia, prima di essere sollevato per il bavero e ricevere un pugno che gli spezzò il setto nasale.
-Zio… io…- balbettò incredulo mentre il sangue gli scorreva sul volto, fissando quegli occhi, solitamente sereni come un cielo d’estate, guardarlo con furia e disprezzo.
-Zio? Io non sono tuo zio! Tu non sei e non sarai mai niente per me! Chiaro?-
-Albert! Bert!-
Quel richiamo disperato frenò un altro pugno già a mezz’aria. Albert si voltò e corse verso una tremante Candy, mentre Neal, lasciato cadere a terra, ne approfittava per scappare via strisciando più in fretta che poteva.
-Piccola, sono qui piccola mia…- sussurrò Albert affrettandosi a sciogliere le bende intorno ai polsi di Candy, per poi baciarglieli con delicatezza prima di stringerla a sé.
Lei gli buttò le braccia al collo, si strinse a lui con tutte le sue forze e iniziò a singhiozzare, non riuscendo a capire se in quel momento era più forte la paura per quello che Neal avrebbe potuto farle, il sollievo per lo scampato pericolo, o la sorpresa di trovarsi stretta al suo principe, arrivato ancora una volta a salvarla nel momento del bisogno.
-È passato tutto piccolina, ssssshhhh, è passato tutto- continuò a sussurrarle Albert tenendola stretta e accarezzandole i capelli, fino a quando i suoi singulti non si calmarono, per poi fermarsi del tutto.
Allora si scostò appena, le prese il volto tra le mani e con i pollici asciugò le scie lasciate dalle lacrime, per poi baciarla delicatamente sulle guance.
-Usciamo da qui, vuoi? L’aria fresca ti farà bene.-
Lei annuì e, sostenuta dal suo braccio intorno alla vita, lo seguì all’esterno dell’edificio. Una volta fuori, una folata di vento le sferzò il viso facendole ritrovare il fiato e la lucidità. Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Quello che era successo, per quanto spaventoso, iniziava già ad apparirle come un brutto incubo da dimenticare… ma la presenza al suo fianco, quella era tanto reale quanto inaspettata.
-Bert, ma tu cosa ci fai qui?-
Quelle furono le prime parole che pronunciò e che lui accolse con una risatina, sollevato nel vedere le sue guance riprendere colore.
-Non lo so in effetti… dovrei essere alla ricerca di quell’essere vigliacco che ho lasciato scappare senza che ne prendesse quante ne avrebbe meritate!-
-Bert!-
-Che c’è? Non sai quanto vorrei averlo ancora sotto le mie mani… se solo penso a ciò che stava per farti…-
Un fremito lo scosse, mentre stringeva i pugni con rabbia.
-Se non fossi arrivato tu non so come sarebbe finita…- sussurrò lei, tornando a impallidire.
Albert cercò di respirare normalmente e di calmarsi, non era con la sua rabbia che avrebbe aiutato Candy a reagire.
-Piccola mia, saresti riuscita a sfuggirgli, ho visto come l’hai colpito! Uno scossone e saresti stata libera di scappare anche senza il mio aiuto.-
-Si, forse per questa volta… ma ci avrebbe ritentato presto. Ci ritenterà presto, ne sono certa, è completamente impazzito! Parla di sposarci e di avere figli, dice che sono innamorata di lui… sicuramente escogiterà ancora qualcosa…-
-Oh, stai pur certa che non ne avrà modo! Neal non tornerà più qui, non aver paura. So a chi rivolgermi per fare in modo che lasci il suo comodo ufficio di Londra!-
-Che hai in mente, Bert? Non vorrai farlo mandare al fronte, vero?- gli chiese spaventata. Non tanto perché le importasse davvero di Neal, ma perché conosceva Albert e sapeva che, se a quel verme fosse successo qualcosa in battaglia, lui avrebbe finito per sentirsi in colpa e pentirsi di quella decisione.
-No,- rispose lui con aria feroce, -la punizione che ho in mente per lui è molto, molto peggiore.-
-Cioè?-
-Lo rispedirò tra le grinfie di sua madre e di sua sorella.-
Un lampo di malizia e divertimento gli attraversò lo sguardo nel pronunciare quelle parole. Candy rimase un istante sbigottita, poi scoppiò a ridere di cuore, subito seguita da lui. Risero fino alle lacrime, risero a lungo e in quel riso entrambi sciolsero la paura e la tensione, sentendosi finalmente più leggeri.
Mentre si asciugava gli occhi e il riso si placava, Candy si rese conto che quella era la prima volta che rideva davvero da quando si trovava a Londra. Ridere era così liberatorio e salutare, soprattutto nei momenti più difficili, come aveva potuto dimenticarlo? L’arrivo di Albert era stato davvero provvidenziale anche in quel senso, lui sapeva sempre farla ridere, e lei gliene era più che mai grata.
Lo fissò in silenzio per qualche istante, quasi volesse ancora convincersi che fosse davvero lì di fronte a lei.
-Ora che abbiamo chiarito questo punto e possiamo dire che la questione Neal è grazie al cielo chiusa, precisando che qualunque sia la tua risposta io ne sono immensamente felice… mi vuoi dire come mai sei qui, Bert?- gli chiese infine, con un sorriso splendente che gli tolse il fiato.
-Ti va di passeggiare un po’ mentre te lo racconto?-
Lei annuì e lo prese sottobraccio, iniziando a camminare al suo fianco.
-Ufficialmente sono in missione- disse lui dopo qualche istante trascorso a passeggiare in silenzio.
-Missione? Di che tipo e per conto di chi?-
-Per conto del War Industries Board, l’agenzia governativa che si occupa di coordinare e razionalizzare la produzione e l’acquisto di forniture di guerra. Serviva qualcuno che stesse sul posto per verificare e monitorare costantemente le reali necessità e priorità dell’esercito e del personale medico che si trova qui in Inghilterra, e così…-
Albert sollevò le spalle e lasciò la frase in sospeso.
-…e così ecco spiegato tutto. Nessun altro motivo ti ha spinto a venire fin qui, giusto?-
-Certo che no! Dubiti forse del mio patriottismo?-
-Oh no, non mi permetterei mai!-
-Vorrei ben dire!-
Albert fece un sorrisetto furbo che Candy ricambiò, decidendo per il momento di stare al suo gioco.
-Avresti anche potuto avvisarmi prima di partire, sai? Non ricevo tue lettere da parecchio tempo, stavo iniziando a preoccuparmi.-
-In realtà io ti ho scritto piccola mia, ma temo che la consegna della corrispondenza non sia sempre puntuale, date le circostanze in cui ci troviamo…-
-Hai ragione, Bert. Solo che mi sembra che ultimamente le persone si divertano a comparire a sorpresa da queste parti…-
Un brivido la scosse e lui, certo che le fosse tornata in mente l’aggressione di Neal nonostante avesse detto di considerare la questione chiusa, l’attirò più vicino a sé. Voleva farla sentire tranquilla e al sicuro, perciò provò a farla chiacchierare perché si distraesse e si rasserenasse.
-Visto che nemmeno io ricevo tue notizie da parecchio tempo, mi vuoi raccontare qualcosa? Qualsiasi cosa, pendo dalle tue labbra.-
Candy gli sorrise debolmente. Era il caso di raccontargli di Terence e Susanna e dello sconvolgimento che quell’incontro inatteso aveva portato nella sua vita e nel suo animo? Voleva parlargliene, aveva bisogno del suo conforto e del suo sostegno, eppure in quel momento non se la sentiva di sfiorare quei tasti per lei troppo dolenti. Ci sarebbe stato tempo e modo, ne avrebbero parlato, ma non ora. Ora voleva lasciarsi riempire dal benessere che la sola presenza di Albert sapeva infonderle, voleva lasciar crescere la forza che sempre sentiva quando si trovava al suo fianco, voleva sentire quella serenità che sembrava impossibile trovare altrove se non in lui.
Mentre proseguivano la loro camminata gli raccontò com’era diventata la vita in ospedale ora che i feriti erano sempre più numerosi, di quanta sofferenza si trovasse ad affrontare ogni giorno, condivise con lui le sue riflessioni più profonde e i sentimenti che provava per ognuna delle persone di cui si era presa cura, certa che lui avrebbe capito quanto tutto ciò toccasse le corde del suo animo. Gli raccontò di quanto teneva alle ragazze che lavoravano con lei, di quanto le piacesse guidarle, incanalare la loro volontà e la loro dedizione perché portassero buoni frutti sia per loro stesse che per coloro che assistevano. Gli parlò del dottor Cox e di quanto stesse imparando grazie a lui, medico sempre attento a ogni suo paziente, capace e pieno d’umanità. Gli parlò ancora di Rosemary e Mark, che per lei erano stati l’esempio di come l’amore può fiorire anche tra la disperazione della guerra, e gli raccontò di Ephrem e Hannah, che per lei erano la prova che l’amore può resistere anche alle più grandi devastazioni.
Man mano che parlava e raccontava, si sentiva come se stesse riprendendo in mano i fili della propria vita e delle proprie emozioni. Paura e confusione andavano diradandosi come nebbia, e il merito era tutto della persona che le camminava accanto, che anche senza far niente aveva il potere di tirar fuori il meglio da lei. Sapeva che le era mancato, ma solo ora si rendeva davvero conto di quanto.
Smise di parlare e si fermò all’improvviso. Gli prese le mani e lo guardò negli occhi.
-Mi dici perché sei qui?- gli chiese dolcemente ancora una volta.
Lui sospirò e chiuse gli occhi un istante, prima di risponderle con voce roca e vibrante. Tutto il suo essere fremeva.
-Potrei ripeterti che sono qui in missione. Potrei dirti che sono qui perché quando ho saputo che Neal si era arruolato ed era riuscito a farsi mandare a Londra, ho avuto paura che potesse trovarti e farti del male. Potrei dirti tutto questo all’infinito e sarebbe vero… ma la verità più grande è che senza di te al mio fianco mi sembrava di morire un poco ogni giorno… perché se tu non ci sei io non respiro…-
Ecco, l’aveva detto… nonostante tutti i suoi buoni propositi di procedere per gradi, di non spaventarla con dichiarazioni improvvise, al cospetto di quello sguardo che cercava di scrutare nel suo cuore, non era riuscito a trattenere quell’amore e quella passione che da troppo tempo gli scoppiavano in petto. Abbandonato ogni controllo, sapeva bene che anche ora che in silenzio attendeva una reazione, i suoi occhi stavano parlando per lui.
Candy ascoltò quelle parole con un sussulto di stupore e di familiarità allo stesso tempo. Che Albert le parlasse in quel modo era una novità per lei, eppure era come se non lo fosse per il suo cuore: il suo cuore accolse quelle parole come se le stesse aspettando da tempo, iniziando a battere impazzito contro il suo petto.
I suoi occhi erano incatenati a quelli di lui. Quegli occhi così familiari ardevano ora di una luce nuova, di un desiderio, di una magia e di un calore che l’avvolgevano, senza darle nessun desiderio di fuga. Si chiese cosa i propri occhi stessero rispondendo alla domanda che leggeva in quel cielo azzurro, perché nel tumulto dentro di sé lei non riusciva a capire più niente.
Le sue gambe iniziarono a farsi molli come gelatina, perciò fu grata ad Albert quando le passò le braccia intorno alla vita, sostenendola con forza e delicatezza, mentre lei poggiava le mani sul suo petto. Sentì così che il cuore di lui stava danzando la stessa danza del suo, e sospirò mentre tremava.
Albert si mosse con molta lentezza. Le diede tutto il tempo di capire cosa stava per fare, le diede tutto il tempo per scappare, ma nemmeno per un istante lei pensò di farlo.
Quando le labbra di lui si poggiarono lievemente sulle sue, calde, morbide, delicate ed esitanti, istintivamente ne seguì il movimento. Lentamente le loro labbra si mossero in armonia perfetta, come se fossero nate per non fare altro che quello, finché non li resero preda di una sete insaziabile. Allora il bacio si fece sempre più profondo e bruciante, si strinsero ancora di più l’uno all’altra, le loro mani corsero come mosse da volontà propria alla scoperta dei loro corpi.
Il resto del mondo non esisteva. Un turbine di passione li travolgeva implacabile, niente contava se non loro due, accecati da sensazioni sconvolgenti.
Candy non sapeva più dov’era, né da quanto tempo si fosse persa tra quelle braccia. Non solo i suoi sensi erano in tumulto, tutto il suo essere era scosso fin dalle fondamenta: sentiva muri crollare dentro di sé e portare alla luce sentimenti che nemmeno lei sapeva di provare, ma che le erano in quel momento così ardentemente familiari da lasciarla priva di dubbi sulla loro natura e sulle forti radici che avevano a sua insaputa messo nel suo animo, nel suo cuore, nelle sue viscere.
Ma davvero l’avevano fatto a sua insaputa? O era lei che non aveva voluto vedere, spaventata alla sola idea di cosa tutto ciò avrebbe potuto significare?
A fatica le loro bocche si separarono, alla ricerca di aria, i polmoni ormai senza fiato. Fronte contro fronte, come se non osassero allontanarsi più di così, rimasero fermi a lungo mentre i loro respiri affannosi si calmavano pian piano, mescolandosi tra loro. Attratte come calamite, le loro labbra si ritrovarono poi ancora e ancora, ora lente e dolci e ora voraci e fameliche, mentre pian piano il sole iniziava a calare dolcemente alle loro spalle.
-Ti amo, mia piccola Candy- sussurrò a un tratto Albert, come se non potesse più fare a meno di dirlo, accarezzandole il viso e i capelli e guardandola in una maniera tale che tutto il mondo si capovolse ancora una volta dentro di lei. -Ti amo da quando ti ho incontrata dopo aver perso la memoria, da quando tutto il mio mondo eri tu. Da allora non hai mai smesso di esserlo. Qualsiasi cosa io faccia è il mio amore per te a muovermi, ogni secondo della mia esistenza…-
-Bert…-
Era talmente forte il battito del suo cuore, che sentiva pulsare fino in gola in quel momento, che non fu capace di dire altro. Si strinse forte a lui, nascondendo il viso contro la sua spalla. Non riusciva a lasciare il calore di quell’abbraccio, e vi si abbandonò finché la sua coscienza non rimase quieta. Ma non poteva ignorare i suoi richiami, anche se rovinare quel momento le sembrava la cosa più crudele che potesse fare a entrambi.
-Io… Bert, c’è una cosa che devi sapere- sussurrò scostandosi un poco da lui. -Ho incontrato Terence. È stato qui di recente…-
Albert si irrigidì e le braccia gli ricaddero bruscamente lungo i fianchi, lasciando libera Candy di fare un passo indietro, mentre lo guardava addolorata. Ecco che la realtà tornava feroce a strapparlo con i suoi artigli dal sogno in cui gli era sembrato di vivere, da quando l’aveva sentita abbandonarsi completamente a lui. No, sapeva che non sarebbe stato tutto così meravigliosamente perfetto come in quei momenti, ma questo era più di quanto si sarebbe aspettato di dover fronteggiare. A un ricordo era preparato, non a una presenza di nuovo reale.
-Tu… sei di nuovo impegnata con lui?- le chiese con voce strozzata.
-Non nel senso che intendi tu… anche Susanna è stata qui con lui…-
Brevemente gli raccontò dell’intervento che Susanna avrebbe dovuto affrontare, del perché era stato rimandato, di dove si trovavano i due adesso, della promessa che Terence le aveva fatto di tornare da lei una volta che Susanna avesse ritrovato la propria indipendenza.
Albert ascoltò in silenzio, cercando di fare ordine nei suoi pensieri e di non farsi assalire dallo sconforto. Si passò una mano sugli occhi, incerto su cosa dire, poi decise che la sincerità era l’unica via, a costo di essere duro. Non poteva, non più, stare a guardare mentre lei si struggeva per un amore impossibile… né poteva tirarsi indietro ora che i suoi sentimenti erano stati svelati: se aveva anche solo una piccolissima possibilità di guadagnarsi un giorno il suo amore, non poteva rinunciarvi.
-Tu sai che questo potrebbe anche non succedere mai, vero?- le disse. -Sai che qualcosa potrebbe andare storto, che Susanna potrebbe non tornare a essere indipendente, vero?-
-Si,- mormorò lei abbassando lo sguardo, -lo so molto bene.-
-Candy… So che ami ancora Terence, so che forse lo amerai per sempre, so che potrei dovermi rassegnare a questo e rinunciare definitivamente a ogni mio sogno di vita con te, ma dimmi solo una cosa: da quando avete deciso di dirvi addio a New York, quest’amore ti ha portato qualcos’altro che non fosse sofferenza?-
Lei sussultò e le si strinse il cuore davanti a quella dura ma reale constatazione. Potevano le promesse probabilmente impossibili da mantenere, i pochi attimi che avevano rubato alla realtà, i baci sui quali sognare e struggersi, lenire tutta la sofferenza passata e futura? E non aveva lei stessa detto a Terence che dovevano ancora una volta dirsi addio, esattamente come se niente fosse cambiato?
-Candy, piccola mia, perdonami se ti parlo così, ma non c’è niente al mondo che mi importi più della tua felicità, credimi…-
I suoi occhi pieni di dolore incontrarono quelli parimenti sofferenti di Albert, e un pensiero improvviso la folgorò. Albert le aveva confessato di amarla da anni, questo significava che l’aveva amata in silenzio, di nascosto, senza mai chiederle niente, guardandola anzi consumarsi d’amore per un altro uomo… chi più di lui poteva comprendere i tormenti di un amore impossibile?
Si sentiva ancora una volta capita e accettata per quello che era e che provava, ma per la prima volta con la consapevolezza che tutto ciò provocava dolore in lui, un dolore che sopportava per amor suo.
-Bert, so che mi vuoi felice, lo so da sempre, ma io non posso sopportare che tu soffra a causa mia!- gli disse con le lacrime agli occhi.
-Se è per questo, non preoccuparti: sappi che oggi mi hai reso felice come mai mi ero sentito prima d’ora. Ho sempre temuto che saresti scappata inorridita al sentirmi confessare i miei sentimenti per te, mai avrei potuto immaginare di poterti stringere tra le braccia e sentire che io e te potremmo essere una cosa sola, qualcosa di molto più bello di ogni mio sogno.-
Le prese di nuovo le mani tra le sue, e una scossa elettrica corse tra i loro corpi, risvegliando le sensazioni che li avevano portati fin lì, a guardarsi fino in fondo all’anima.
-Io non pretendo niente da te, piccola mia. So che le cose non cambiano da un giorno all’altro. Non posso cancellare con un colpo di spugna qualcuno di così importante come Terence è per te, né voglio farlo, perché il vostro amore ha contribuito a farti diventare la meravigliosa donna che sei. Ma non posso cancellare nemmeno quello che io provo per te, né voglio più nasconderlo. E ora sento che anche tu provi qualcosa per me, lo sento da come trema la tua mano nella mia, lo vedo da come mi guardi, lo avverto da come il tuo corpo si avvicina al mio senza che tu te ne accorga…-
Abbassò lo sguardo sui loro corpi di nuovo vicinissimi e sorrise quando Candy arrossì, rendendosi conto di essere stata lei ad accostarsi così a lui.
-È qualcosa che non ha a che fare con il semplice affetto, ti conosco e so che non ti saresti lasciata andare come hai fatto poco fa, tra le mie braccia, senza sentirti davvero coinvolta. Non sei quel tipo di donna…
Io ti chiedo solo di darmi una possibilità. Prova a continuare a guardarmi con questi occhi, a stringermi con queste mani, non avere fretta e scruta dentro te stessa. Non ti voglio a tutti i costi, non voglio vivere col dubbio di essere un ripiego, voglio amarti ma solo se anche tu mi amerai quanto ti amo io. Solo non allontanarmi da te adesso, ti prego...-
-Allontanarti?- chiese lei incredula. -Io non so nemmeno immaginare una vita senza di te! Ho una gran confusione dentro ora, ma ho sempre una certezza ancora più grande: c’è un filo che ci lega, lo sai anche tu, e io non l’ho mai sentito tanto forte come ora…-
Il dolce sorriso di Albert la spinse a sorridere a sua volta e ad accarezzargli teneramente il viso. Si, aveva una grande confusione dentro, ma quello che sentiva era molto più chiaro di quanto non gli avesse detto a parole… anche se il suo corpo aveva parlato e stava parlando per lei. Ma come poteva pronunciare in quel momento parole così grandi, quando tutto era così difficile da capire e da gestire?
Albert aveva ragione, niente si può cancellare con un colpo di spugna, neanche quando un uragano di emozioni come quello che lei sentiva dentro, ti travolge. Aveva davvero bisogno di fare chiarezza in se stessa, di pensare senza che quegli occhi di cielo facessero fare continue capriole al suo stomaco, senza sentire il richiamo di quelle labbra che, dopo averne scoperto il gusto, voleva assaporare ancora.
Dargli una possibilità, solo questo le chiedeva… senza rendersi conto che era lui a darle una possibilità, la possibilità di essere veramente e totalmente felice, una possibilità inaspettata e incredibilmente meravigliosa.
Incapace di resistere all’istinto, si sollevò in punta di piedi e siglò la sua silenziosa promessa con un bacio dolcissimo.

Un secco rumore proveniente dal fitto degli alberi improvvisamente attirò la loro attenzione, facendoli sobbalzare e allontanarsi l’uno dall’altra. Videro un uomo dai vestiti sporchi e dal volto affaticato ma guardingo, che camminava verso di loro con le mani alzate. Le mani erano sporche di sangue, così come i suoi abiti. Candy istintivamente iniziò a muoversi verso di lui, ma Albert la trattenne. Qualcosa nell’atteggiamento dell’uomo lo rendeva sospettoso.
-Infermiera,- disse l’uomo, con un forte accento francese, -non voglio spaventarla, ma ho bisogno del suo aiuto.-
-È ferito?- chiese subito lei.
-La mia ferita non è grave, ma quella del mio amico si- disse indicando un punto imprecisato alle proprie spalle. -Ha bisogno urgente di cure.-
-Dove si trova? Se non può muoversi, mi porti subito da lui.-
-Un attimo- si intromise Albert. -Chi è lei? Come è arrivato qui? E soprattutto, perché si nasconde nel parco con un ferito, invece di portarlo all’ospedale?-
Un mezzo sorriso amaro e stanco piegò l’angolo della bocca dell’uomo.
-Vedo che lei è molto più cauto della signorina, americano. E fa bene, anche se siamo dalla stessa parte della barricata. Solitamente anch’io sono più cauto, ma adesso non ho altra scelta che rivolgermi a voi. Della ragazza mi fido, perché è una crocerossina, di lei devo, perché è abbastanza forte da aiutarmi a trasportare il mio amico. Da solo non sono più in grado di farlo, ma la sua vita deve essere salvata a ogni costo. E nessuno deve sapere che siamo qui. Sono stato chiaro?-
Per chiarire ancora meglio il concetto, aprì la giacca in modo che potessero vedere che era armato, ma immediatamente la richiuse.
Albert si portò subito davanti a Candy per farle da scudo, ma l’uomo alzò di nuovo le mani, come a fargli capire che non era sua intenzione far loro del male.
Candy strinse il braccio di Albert e gli parlò in tono dolce.
-Non ci farà nulla Bert, non temere. Ti prego, vieni con me ad aiutare quell’uomo ferito.-
Ma lui esitava ancora, continuando a guardare negli occhi quello sconosciuto sbucato dal nulla.
-Se ci aiuterete non saremo solo noi a esservene grati, credetemi- disse l’uomo in tono più mite, ma fermo e deciso. -Il mio amico ha una missione da portare a termine, che potrà salvare molte vite e cambiare l’esito di questo conflitto. Vi prego. Ho già detto molto più di quanto avrei dovuto. Fiducia per fiducia.-
Sentendo finalmente la sincerità vincere la diffidenza nella sua voce, e riconoscendo la limpida determinazione del suo sguardo, Albert capì che poteva fidarsi davvero. Prese Candy per mano e con lei si accinse a seguire il francese.
Percorsero solo pochi metri e, aggirato un gruppo di alti cespugli, videro un uomo sdraiato a terra. La prima cosa che Candy notò fu la gamba piegata in una posizione innaturale, e la fasciatura di fortuna che a malapena fermava il flusso di sangue proveniente da una ferita. Stava già pensando a cosa fare per assisterlo, quando la stretta convulsa della mano di Albert nella sua, seguita da un’esclamazione di stupore, la spinse a guardare il volto del ferito.
Il suo cuore si fermò, dal suo petto tutta l’aria sembrò essere risucchiata in un vortice che le diede le vertigini. Non poteva credere a quello che i suoi occhi stavano vedendo, non poteva essere vero, non poteva… eppure era lì, proprio lì davanti a lei!
Il suo cuore riprese improvvisamente a battere velocissimo, come se volesse sfondare la cassa toracica, uscire dal suo petto e andare verso quel volto amato. Le ginocchia assecondarono i voleri del cuore, piegandosi e portandola a inginocchiarsi proprio accanto a lui.
-Stear…- sussurrò con voce quasi impercettibile, accarezzandogli il viso con tenerezza.
Due lacrime rotolarono giù dal suo volto e scesero a bagnare quelle guance pallide, e finalmente lui aprì gli occhi. Quegli occhi dolci e profondi che tutti credevano persi per sempre, quegli occhi che anche velati dalla sofferenza erano più intensi che mai.
Stear allungò a fatica una mano verso di lei, e con una carezza le asciugò una guancia.
-Candy… non… non piangere... Io ho… finalmente ho inventato qualcosa che funziona. Non… non ti farà ridere, ma salverà… molte vite. Aiutami a salvarle...-
Il braccio gli ricadde lungo il fianco e perse di nuovo conoscenza.
-Stear, no! Non ti perderemo di nuovo! Stear!-
La voce spaventata di Albert la riscosse da quella immensa sorpresa per l’ennesimo incontro inaspettato di quel periodo, il più miracoloso tra tutti.
-No Bert, non lo perderemo. Non lo perderemo mai più!- disse risoluta e ferma.
Si sollevò e gli strinse di nuovo forte la mano per un attimo, poi iniziò a dare istruzioni a lui e al francese, che aveva assistito silenzioso e incredulo a quella scena.
Stear era tornato. Non sapeva come, non sapeva perché non fosse tornato prima, ma non le importava in quel momento. Era un miracolo, e lei non avrebbe lasciato che svanisse.

 
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view post Posted on 28/2/2016, 21:43     +1   -1
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Brava pirycandy
Capitolo pieno di sentimento e pathos
Però candy e albert ... Non ce la faccio
 
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luna71
view post Posted on 29/2/2016, 15:44     +1   +1   -1




Grazie Piricandy per questo capitolo ricco di emozioni.
Molto forte lo scontro verbale tra Candy e Terence.
Candy che con due frasi molto significative e veritiere lo riporta bruscamente alla realtà.
Molto toccante la promessa di Terry che caparbiamente spera in un futuro migliore.
Neal il solito maledetto idiota che non si smentisce mai menomale che qualcuno ha pensato a spaccargli il naso.
Peccato questo qualcuno fosse Albert.
Anch'io da terenciana doc non riesco ad immaginare una vita accanto ad Albert.
Vedremo che accadrà e la nostra Candy dubbi ne ha.
 
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view post Posted on 29/2/2016, 19:34     +2   +1   -1

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Grazie piricandy sei bravissima per come scrivi e per le emozioni che mi hai regalato leggendo questo capitolo.
Terence e Candy, duro il loro incontro/scontro, lui è innamorato e non vuole rinunciare a lei, ma ha le mani legate, spero che il tenue legame che li unisce non si spezzi questa volta.
Che Neal fosse pazzo lo sapevamo già da un pezzo, questa volta ho temuto il peggio ma fortunatamente è intervenuto Albert, che trova, anche la forza per dichiarare i suoi sentimenti a Candy,da terenciana persa quale sono stò patendo le pene dell'inferno.
Infine il tuo capitolo mi ha lasciato con il fiato sospeso e il batticuore......... Stear.
Complimenti a te e a tutte le altre forumelle :giusy: :giusy:
 
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view post Posted on 29/2/2016, 22:01     +1   +1   -1
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E si prosegue! Rileggere questa FF a distanza di tanto tempo è come scoprirla per la prima volta!
Che emozioni!
Bentornata Piryna, si sentiva la tua mancanza!
:giusy:
CdF
 
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view post Posted on 2/3/2016, 11:29     +2   +1   -1
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:doll: :doll: :doll: :doll: :doll: :doll:
Scusate il ritardo!!!! Sono in un vortice che mi risucchia tempo ed energie ed ogni volta che provo anche solo a pensare di venire a commentare i capitoli mi ritrovo immancabilmente a fare altro. Ma oggi ho preso il toro per le corna ed eccomi qui.
Andando in ordine :
per prima cosa devo dire a Candy75 che il suo capitolo è bellissimo, il rientro in scena di Stear è stata la ciliegina sulla torta ed un ottimo spunto per il proseguimento della storia, ma anche il fatto di inserire i più acerrimi nemici di Candy mi è sembrata una bellissima idea.
Infondo una storia senza Neal e quell'arpia cercamarito di sua sorella sarebbe stata di gran lunga più noiosa. Anche l'incontro con Richard secondo me è stata una scelta azzeccata, un'ottima occasione per redimerlo dai suoi peccati. Bravissima Candyna. Non hai sfigurato nemmeno un po' nonostante tu fossi dop Cerchi. Il che mi fa pensare che forse la sopravvalutiamo sta ragazza! :risata: :risata: :risata: :risata: :risata:
Ad Italiuccia voglio dire che: Come mi ispira lei nessun altra mai...
Per gli intrecci amorosi non la batte nessuno, e se avete letto OMNIA sapete di che parlo ( cercherò mio malgrado di essere alla sua altezza )
Mi è piaciuto particolarmente il sogno di Candy dove Stear le dice "Ti avevo consegnato la felicità, ma tu non hai saputo custodirla”. Molto enigmatica...
Bravissima anche tu Italia, sei una garanzia!
Ed ecomi infine alla mia dolce Piryna!
Il suo capitolo è commovente dalla prima all'ultima parola. Mi piace tutto di ciò che ha scritto. Nonostante il mio cuore terenziano sanguini nel leggere di Candy che allontana il suo Duca, nonostante la mia voglia di urlare : "BRUTTA IDIOTA CHE NON SEI ALTRO, MA CHE TI FREGA DELL'ONORE, PRENDILO SOTTOBRACCIO E SCAPPATE DA QUALCHE PARTE DOVE NON VI CONOSCE NESSUNO A RIFARVI UNA VITA E COPULARE COME RICCI " ( che tanto di boschi Piry è esperta :risata: :risata:), insomma nonostante io ami Terence alla follia, non ve la prendete, ma a me il suo Albert piace! E mi piace molto.
Piry secondo me ha il dono di far avvicinare ad Albert anche le persone più insospettabili. Sono certa che conquisterà molte di voi anche se sono pronta a scommettere che poche lo ammetteranno.
E questo perché riesce a mostrarcelo con altri occhi, quelli con cui lo vede il suo cuore. Bello, gentile e dolce, ma anche fermo e implacabile di fronte alle ingiustizie. Un uomo d'oro, in tutti i sensi :sorrisone:
E non fatevi ingannare dalle bellissime descrizioni fatte di lui in questo RR anche dalle altre amiche-sorelle prima del suo capitolo, perché se ora sono cosi belle gran parte del merito è di Pirycandy che nonostante le nostre riluttanze ci ha iniziate a questa "riscoperta" dell'Albert uomo e non solo zio, padre adottivo, amico e principe della collina!!!
Credo che sarà davvero difficile per Candy fare una scelta che sia definitiva e senza rimpianti. Anzi diciamo che ne sono quasi certa :sorrisone:
Infine voglio solo aggiungere che la storia di Hannah ed Ephrem mi ha fatto venire i brividi.
Devo farti i complimenti perché so quanto tieni a quelle poche righe su di loro che, ti assicuro, sono scritte divinamente ed arrivano dritte al cuore.
Grazie dolce amica mia per il tuo impagabile contributo.

Oh mamma... sabato prossimo tocca a me... devo procurarmi uno scudo per i pomodori che mi tirerete. :risata: :risata: :risata: :risata: :risata:
 
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80 replies since 6/2/2016, 15:51   4445 views
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