Candy Candy

ROUND ROBIN IN ATTESA DI TITOLO!, Fan Fiction a più mani

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view post Posted on 4/3/2016, 13:42     +1   -1
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Un'isola da sogno che non vorrei abbandonare mai

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Grazie a tutte amiche per aver letto questo capitolo e per aver lasciato un vostro commento qui, è sempre un'emozione grandissima condividere ciò che si è scritto e trovare un riscontro nelle vostre parole!
Grazie a chi ha apprezzato nonostante il colpo al cuore che sapevo di infliggervi introducendo la dichiarazione di Albert con la relativa reazione di Candy, mi spiace che vi faccia soffrire... ma volevo, così come le mie amiche-sorelle che partecipano a questa avventura, che in questa ff a più mani fossero rappresentate tutte le anime di chi appassionatamente ama la nostra bionda eroina e tutti coloro che la circondano.
Un grazie speciale a Ladyna mia e alle sue parole che mi hanno profondamente commossa, tanto che non so come replicare se non dicendole quanto la amo... grazie tesoro per le tue delicate parole anche sulla piccola storia di Ephrem e Hannah, grazie per averle fatte arrivare al tuo cuore grande.
Ora non vedo l'ora che tocchi a te... e sappi che con i pomodori mi ci sono giusto oggi fatta una bella insalata! ;) :D
A tutte :giusy: :giusy: :giusy: :giusy: :giusy: :giusy: :giusy:
 
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view post Posted on 6/3/2016, 12:43     +1   -1
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Ed eccoci al capitolo più bruttto di tutto questo Bat RR...
Prima di postare vorrei precisare che pirina non mi tirera pomodori insieme a poche altre solo perché è Albertiana... :risata:
So già che il Terence di questo capitolo farà storcere la bocca... ma pazienza! Così l'ho pensato in quel momento e così ve lo beccate... :sorrisone:

Buona lettura e scusate il ritardo, e siccome sono in ritardo non l'ho nemmeno riletto. Qualsiasi errore segnalatemelo :giusy:

CAPITOLO QUINTO: Rivelazioni



“Senso dell’onore senza macchia … senso dell’onore senza macchia …” queste erano le parole che rimbombavano nella testa di Terence da quando, lasciata la St Poul School, aveva infine deciso di accettare l’ospitalità di suo padre in Scozia.
Se solo lei avesse saputo, se avesse anche lontanamente immaginato quanto il suo senso dell’onore si era macchiato solo fino a qualche settimana prima, l’avrebbe di certo guardato con altri occhi, pieni di biasimo e di rimprovero. Era certo che i due bellissimi occhi verdi che riempivano i suoi pensieri lo avrebbero crocifisso!
Eppure non poteva tornare indietro e quel che era stato ormai non poteva essere cambiato.
Aveva resistito a fatica alla tentazione di riabbandonarsi all’alcol, perché sarebbe stato davvero imperdonabile da parte sua sprecare quella visione angelica che lo aveva aiutato a risalire la china a Rocktown, ma inconsapevolmente aveva cercato e trovato altri modi, che non prevedevano l’annebbiamento della ragione, per flagellare la sua anima con la consolazione di deliziare il suo corpo, e tutto al solo scopo di trattenere quella visione a lui, anche se solo brevemente nei suoi sogni.
Il maniero era silenzioso in quel momento e, diversamente da quanto accadeva di solito, in quel posto, dove ogni ricordo parlava di Candy e della loro estate speciale, quella sera Terence chiuse gli occhi e si abbandonò ad un’altra serie di ricordi, più recenti e meno onorevoli.
Poggiò la testa sullo schienale della sedia, chiuse gli occhi un momento sprofondando nella totale indolenza e rivide il sé stesso di qualche settimana prima, quello che combatteva contro i propri incubi eppure li cercava insistentemente.
Ricordò … ricordò …...
Ricordò di aver aperto gli occhi una mattina e, dopo infiniti secoli passati a fantasticare, di averla vista lì, sdraiata al suo fianco, la testa voltata dalla parte opposta.
La schiena scoperta faceva si che potesse ammirare la curva che terminava all’attaccatura del fondoschiena, i capelli sciolti la incorniciavano, bellissima ed eterea come sempre l’aveva immaginata.
Ricordò di essersi voltato verso di lei e con il cuore colmo di amore di averla quasi toccata, ma nell’attimo esatto in cui la sua mano stava per godere di quel contatto la forma della ragazza si era dissolta, disattendendo le sue aspettative.
Ricordò di essersi infine svegliato davvero, al calore delle lacrime che gli rigavano il viso, e di aver mugugnato piangendo “No, no, non di nuovo!”
Lentamente si era seduto sul letto con la testa tra le mani e, ripensando a quell’incubo meraviglioso che lo perseguitava ormai da tempo, aveva lasciato che alcune di quelle gocce di rugiada fluissero liberamente dai suoi occhi blu, passassero per le sue guance bruciandole e arrivassero alle sue labbra per essere assaporate.
Si era poi voltato alla sua destra e aveva osservato indifferente la donna che dormiva inconsapevole accanto a lui.
Ventenne forse, naturalmente bionda, con la pelle chiara e liscia come il marmo e due occhi ingannevolmente verde smeraldo.
Non ricordava nemmeno il suo nome, e come lei quella della sera precedente e di quella prima ancora, ma in fondo che importanza poteva avere, era solo una pallida imitazione dell’originale che avrebbe dovuto trovarsi lì se il destino con lui non fosse stato così impietoso. Solo l’ennesima delle sue innumerevoli ammiratrici, poco diversa da tutte le altre, un mezzo che gli permetteva di incontrare in sogno la sua Candy.
Era un po’ ormai che la storia si ripeteva e, da qualche settimana, dopo gli spettacoli teatrali, era solito prendere la mano di una delle sue ammiratrici e condurla con lui sulla vettura che lo aspettava, tra lo stupore della prescelta e lo sconforto delle altre.
Tutto era iniziato per caso, quando, dopo essere tornato a vestire i panni del grande attore Terence Graham, chiusa la parentesi di Rocktown, aveva conosciuto Betty.
Al termine delle prove in teatro, con la camicia già quasi completamente fuori dalla calzamaglia pronta per essere lanciata sul sofà, aveva aperto la porta e scorto questa figura dai capelli biondo grano di spalle nel suo camerino.
Per un attimo, solo per un attimo, aveva pensato fosse lei, la sua dolce Candy, che lo stava aspettando. Nonostante più volte avesse sognato una cosa del genere, per un lunghissimo istante il cuore aveva cessato di battere lasciandolo senza fiato, ma proprio mentre stava per chiamarla con voce tremante, la ragazza si era voltata spezzando l’incantesimo.
Deluso e amareggiato le aveva inveito contro credendola sulle prime un’ammiratrice riuscita ad eludere la sorveglianza, errore che avrebbe potuto evitare se solo l’avesse osservata meglio.
“Chi è lei? Che cosa ci fa qui?” le aveva chiesto in malo modo.
“Mi perdoni Signor Graham, mi chiamo Betty e sono qui per le pulizie.” Aveva risposto lei mortificata a capo chino.
“Le pulizie? E che ne è stato della signora Smith?” Aveva chiesto allora lui ancora adirato.
“La signora Smith si è dovuta assentare per motivi familiari. Mi hanno mandato a sostituirla. Ma non si preoccupi, tra due giorni sarà di ritorno. Ad ogni modo io ho terminato, stavo andando via.” Aveva concluso la ragazza tenendo sempre lo sguardo basso.
Rendendosi forse conto di averla terrorizzata Terence aveva addolcito un poco la voce.
“Va bene Betty, scusa se ti ho aggredita, credevo che fossi qualcun'altra. Sappi però che non mi piace avere gente intorno, quindi per le prossime volte ti prego di finire le tue faccende prima del termine delle prove”
“Certo Signor Graham. Sapevo già di dover rispettare l’orario ed infatti pur essendo qui da una settimana non mi ha mai vista. Oggi purtroppo ho avuto un contrattempo che mi ha fatto tardare. Non succederà più, e domani comunque sarà il mio ultimo giorno, come le ho detto tornerà la signora Smith.”
Così dicendo per la prima volta la ragazza aveva alzato lo sguardo per un secondo, mostrando due meravigliosi occhi verdi, e abbandonato in fretta la stanza lasciandolo solo.
‘Dio quanto le somiglia’ aveva pensato lui mentre la guardava andare via, e, nel tempo che aveva trascorso a cambiarsi, si era scoperto a pensare a lei con accesa curiosità!
“Le somiglia si, ma solo fisicamente!” aveva poi concluso quasi a volersi giustificare per quell’inspiegabile interesse. “Quella ragazza sembra così remissiva. Candy non si comporterebbe mai così”
Sapeva che se fosse successa con Candice una cosa del genere, la sua Signorina Tuttelentiggini gliene avrebbe dette quattro, ne era certo!
Un sorriso amaro si era dipinto sul suo volto al pensiero di lei che lo redarguiva, così come tante volte aveva fatto in collegio.
“Ma chi ti credi di essere, Signor Graham dei miei stivali?! Credi che essere un grande attore ti dia il diritto di trattare male il prossimo?! Sei solo il solito sbruffone maleducato!!” aveva detto a voce alta davanti allo specchio scimmiottandola come avrebbe fatto se fosse stata presente. Poi era scoppiato a ridere, ma la sua rimaneva una risata triste.
“Sai una cosa? Hai ragione amore mio! Sono solo uno sbruffone maleducato. Senza di te non sono niente” aveva concluso ancora davanti allo specchio mentre, terminato di vestirsi, accendeva una sigaretta.
Non aveva più pensato a Betty fino al giorno successivo, quando, realizzando che era il suo ultimo giorno e che non avrebbe più avuto modo di vederla, si scoprì a cercarla tra le quinte durante le prove.
Qualcosa di lei lo aveva colpito, probabilmente la somiglianza con Candy ed incredibilmente aveva voglia di rivederla.
Accusando un mal di testa, aveva lasciato il palco con venti minuti di anticipo sperando che non fosse troppo tardi. Quasi correndo aveva raggiunto il camerino fino a che, scorgendola da lontano che lasciava la stanza, aveva rallentato, preso a camminare con passo sicuro a testa bassa e finto di urtarla per caso.
“Signor Graham?! Mi perdoni! Stavo andando via!” cercò subito di scusarsi lei. “Ma... Ma, sono in ritardo?!” farfugliò involontariamente dando un occhiata all'orologio sulla parete.
“No Betty, tranquilla. Sei in perfetto orario! Sono io che sono tornato prima!” l’aveva rassicurata lui portandole una mano sulla spalla.
A quel contatto la ragazza era arrossita visibilmente.
Terence, che ci stava prendendo gusto, aveva portato le mani alle tempie e da grande attore quale era aveva esclamato, entrando nel camerino: “Ho un terribile mal di testa. Hai per caso qualcosa da darmi?” Sperava con quella scusa di trattenerla ancora per un po’.
“No Signor Graham, purtroppo non ho nulla con me, ma se vuole posso recuperare qualcosa nella farmacia qui all'angolo. Ci metto solo qualche minuto.”
“Faresti questo per me?!” le aveva chiesto lui incredulo, pensando nuovamente a quanto questa ragazza le ricordasse Candy; anche lei quando lo aveva creduto necessario era corsa a cercargli delle medicine, anche se lui in quell'occasione si era dimostrato davvero un ingrato andandosene senza aspettarla.
“Certo. Ho finito qui. Sono libera. Ha preferenze?” chiese Betty distogliendolo da quel ricordo
“Cosa?” domandò lui che sovrappensiero stava già dimenticando il suo mal di testa
“Sulla medicina da prendere. Ha preferenze?”
“Ah, no, no! Prendi quello che hanno, qualsiasi cosa!” rispose infine tornando a recitare e accasciandosi platealmente sul sofà.
“Va bene, cerchi di riposare Signor Graham, tornerò subito!” disse lei facendo per uscire.
“Betty? …” la fermò lui sulla porta
“Si, Signor Graham?”
“Non chiamarmi Signor Graham, ti prego, mi fa sentire vecchio! Sarei felice se volessi darmi del tu chiamarmi Terence” le aveva detto con il solito sorriso amaro, il meglio che riuscisse a fare.
“D’accordo Signor Gr… ehm… Terence. Ora vado”
Era già con un piede fuori che lui la fermò di nuovo.
“Betty? … ”
Lei si voltò ancora, cercando di mascherare con un sorriso smagliante gli occhi che guardavano involontariamente al cielo in un’espressione esasperata.
“Si? Terence…”
Lui sorrise nell'accorgersi di quella piccola smorfia e questa volta il suo sorriso, incredibilmente, non aveva ombra di tristezza.
“Grazie!” le disse solamente
“Di nulla” rispose lei, e scappò via prima che lui potesse fermarla di nuovo.
Rimasto solo Terence aveva avuto tempo di realizzare quello che stava accadendo.
Stava indubbiamente flirtando con Betty e questo non andava bene. Non era giusto approfittare di quella ragazza che si era dimostrata così gentile e premurosa.
Sapeva di stare solo giocando con lei, sapeva di non poterle offrire nulla di concreto se non qualche ora di piacere, sapeva che nessuna mai avrebbe potuto prendere il posto di Candy nel suo cuore, eppure non voleva che questa caccia alla volpe che lo stava eccitando come non gli capitava da tempo, finisse così presto. Inoltre gli era sembrato che anche lei stesse flirtando con lui e la cosa non gli era affatto dispiaciuta. Quando l’aveva chiamata l’ultima volta e lei gli aveva risposto con quel “Si Terence...” gli era sembrato di intravedere un filo di malizia nei suoi occhi verdi, o forse, pensò, era quello che aveva voluto vedere e si stava sbagliando.
Tutti i suoi sensi erano in allerta nell'attesa di sentirla tornare, ma senza dubbio avrebbe dovuto tagliare corto.
Si, avrebbe dovuto…
Stava quasi per convincersi a lasciar perdere che lei era tornata, decisamente troppo presto e, con un sorriso, frantumato tutti i buoni propositi che era riuscito a malapena a elaborare.
“Deve prenderne metà. Sono molto forti, ma mi hanno assicurato che il mal di testa passerà in pochi minuti” disse avvicinandosi al carrello e riempiendo un bicchiere d’acqua che porse poi a lui ancora steso sul sofà.
Terence si mise a sedere, prese dalle sue mani la mezza pasticca e il bicchiere e, approfittando del fatto che lei fosse di nuovo voltata, avvolse l’una in un fazzoletto che aveva in mano per gettarla nel cestino nascosto all'angolo del sofà e bevve un sorso d’acqua dal secondo fingendo di ingoiare.
Non gli piaceva prendere medicinali, soprattutto se non ne aveva alcun bisogno!
“Grazie ancora Betty, sei stata molto gentile” le aveva poi detto guardandola dritta negli occhi.
“Oh, Sig … ehm, Terence, non è stato nulla. Avevo finito il turno e potevo farlo. Non mi è costato davvero niente.” Aveva risposto lei abbassando il viso incapace di tenere il contatto visivo che lui cercava.
“Vorrei fare qualcosa per sdebitarmi” incalzò lui.
“Non è necessario. Ti ripeto che non è stato nulla di che, volevo farlo e l’ho fatto con piacere. Diciamo che mi sono fatta perdonare il ritardo di ieri.”
“Non avevi niente da farti perdonare, ed io sono stato troppo precipitoso. Quindi sono ancora in debito.
E quella cosa che mi hai dato era davvero forte perché credo che il mal di testa stia passando. Permettimi solo di offrirti la cena. Dovrai pur mangiare no?! Ed io sono affamato!”
“Io… non credo sia il caso!” aveva risposto lei più per pudore che per vera e propria voglia di rifiutare.
Ogni singolo muscolo le si era contratto, il suo stomaco era ridotto ad uno straccetto strizzato e il cuore stava per schizzarle fuori dal petto.
Avrebbe voluto gridargli ‘altro che cena, io con te verrei anche in capo al mondo ’ ma non poteva, perché la ragione le diceva che doveva rifiutare.
Sapeva che era ufficialmente legato a Susanna Marlowe, la giovane attrice che per amor suo aveva rischiato la vita rimanendo invalida, tutti lo sapevano. Proprio pochi minuti prima infatti, andando in farmacia, si era rimproverata per aver istintivamente ammiccato una o due volte mentre lui le parlava lasciandosi confondere e ammaliare dal suo indiscutibile fascino, pur sapendo che era impegnato e che probabilmente, data la sua innegabile bellezza e certamente favorito dalla popolarità, faceva il cascamorto con tutte quelle che gli capitavano a tiro.
Ma Betty non sapeva quanto la sua convinzione fosse lontana dalla realtà.
Certo, non si poteva negare che c’era stato un tempo in cui Terence si era concesso ben più di una distrazione e sarebbe stato da ingenui credere che fosse ancora illibato, ma questo risaliva a un tempo che sembrava ormai remoto, prima di conoscere Candy.
Una volta, pensandoci, si era accorto di aver avuto all'epoca una netta preferenza per le ragazze more; un qualsiasi psicologo da quattro soldi avrebbe detto, e probabilmente a ragione, che questa sua predilezione era da attribuirsi al rifiuto per il rapporto conflittuale che aveva con la madre, quella madre che tanto lo aveva fatto soffrire e con la quale evitava qualsiasi accostamento.
Ma poi era arrivata lei e tutto aveva preso una nuova piega. Candy aveva cambiato ogni cosa, e quel colore di capelli ora, vitale come il sole, era la tonalità che più amava. Ma era stato il suo carattere a farlo innamorare perdutamente di lei, quel suo modo di trattarlo e di rispondergli a tono.
Lei era stata l’unica a non trattarlo con condiscendenza; anche quella mummia di Suor Gray aveva un occhio di riguardo per l’eccentrico figlio del Duca di Granchester e sopportava le sue insolenze senza troppe lamentele. Ma lei no! Lei gli teneva testa, fregandosene di chi fosse suo padre e insensibile al fatto che un giorno lui stesso avrebbe potuto essere Duca.
Con lei Terence riusciva ad essere sé stesso più di quanto avrebbe voluto confessare, ed anche se gli piaceva credere di essersi innamorato di lei dai tempi dell’incontro sul Mauritania, con il tempo aveva dovuto ammettere a se stesso che invece l’aveva trovata buffa e insopportabile, ed aveva iniziato ad amarla solo in seguito, giorno dopo giorno, apprezzando sempre più ogni più piccola angolazione della sua personalità.
La sua scimmietta era riuscita a capirlo come nessuno aveva mai fatto, ed era stata l’unica a non cadere vittima del suo fascino, era immune al suo sex-appeal, o almeno così credeva all'epoca, e questo particolare la rendeva ancora più interessante. Quando chiunque altra avrebbe smaniato per avere le sue attenzioni, quella vipera di Iriza ad esempio e un’altra ventine di studentesse, lei era stata capace di rifiutarlo e mollargli un ceffone appena aveva provato a baciarla.
Con la comparsa di Candy aveva imparato cosa significasse davvero amare, le brune conquiste erano cessate e le era rimasto fedele nonostante Susanna avesse tentato più volte di avvicinarlo e implorato di lasciarsi amare.
Ma questo gli era impossibile, il disprezzo che provava gli impediva di avvicinarsi a lei.
Come avrebbe mai potuto essere felice con Susanna se ogni volta che la guardava gli tornavano in mente tutti i motivi per i quali non era riuscito a realizzare i suoi desideri?
Come avrebbe mai potuto amarla se nel profondo del suo cuore tutto di lei lo urtava?
Provvedeva al suo mantenimento, soddisfaceva i suoi bisogni materiali, seguiva costantemente i suoi progressi per il reinserimento in società, quella società che l’aveva vista inevitabilmente allontanarsi a seguito dell’incidente, ed era in attesa di ricevere una risposta da Robert per un possibile intervento risolutivo con un suo amico chirurgo, ma questo non significava di certo rispettarla e tanto meno amarla.
In cuor suo la odiava per averlo costretto a infrangere quella promessa di essere felice che si era scambiato con Candice su quelle maledette scale.

E nonostante tutto, proprio cercando di tener fede a quella promessa, ci aveva provato una volta.
Con la disperazione nel cuore e il volto di un condannato a morte aveva accettato, credendo doveroso fare almeno un tentativo.
Senza alcuna emozione aveva provato a lasciarla fare e impassibile si era sdraiato al suo fianco, ma appena lei aveva avvicinato le labbra al suo collo tentando con una mano di sbottonargli la camicia, istintivamente si era ritratto e l’aveva allontanata, poi, senza dire una parola, si era rialzato ed aveva abbandonato la stanza lasciandola li da sola a sbraitare ed inveirgli contro in maniera melodrammatica, che era la cosa che le riusciva meglio.
“Mi dispiace” era riuscito solo a sussurrarle sulla porta, due parole che gli erano costate una fatica immane e che lei non aveva nemmeno sentito, tanto era impegnata a lagnarsi; ma poco importava, in fondo nemmeno lui sapeva se erano davvero rivolte a lei, se le aveva pronunciate a sé stesso o se inconsciamente addirittura a Candy, proprio per non esser riuscito a mantenere quella maledetta promessa.
Aveva appena avuto la conferma che non avrebbe mai e poi mai potuto onorarla e questa consapevolezza lo disgustava.
Umiliato e mortificato, era stato così male che aveva dovuto trovare conforto in mezza bottiglia di whisky. Da allora comunque i rapporti tra lui e Susanna erano peggiorati ulteriormente e non c’erano stati altri tentativi, nonostante lei continuasse a chiedergli di darle una possibilità.
Aveva infranto la promessa si, ma era rimasto fedele al suo unico grande amore, almeno fino a quel giorno.
“Ora sarà meglio che vada, grazie dell’invito.” Aveva detto Betty facendo per andarsene, ma lui l’aveva afferrata per un polso costringendola a voltarsi.
“Ti prego, aspetta…“ le aveva detto solo, e la sua volontà era già naufragata dentro quegli occhi del colore del mare in tempesta.
“Non rifiutare! Una cena veloce e ti riaccompagno a casa, va bene?” aveva chiesto di nuovo.
“Una cena veloce” aveva acconsentito alla fine lei, già sapendo che non sarebbe riuscita a negargli niente altro!
Quella notte, con Betty che dormiva di fianco a lui, per la prima volta aveva sognato Candy e l’aveva sognata così come la desiderava!
Era stato talmente realistico che provare di nuovo, appena ne aveva avuto l’occasione era venuto naturale, così dopo Betty c’era stata Myriam e poi Judy, e così di seguito quasi ogni notte fino a che non aveva avuto più importanza nemmeno conoscerne i nomi, tanto per lui erano tutte Candy e la realtà si era confusa al sogno.
A ripensarci ora, nel silenzio del maniero, dopo averla rivista, dopo averla abbracciata ed aver assaporato il gusto fruttato delle sue labbra, si rendeva conto di quanto fosse stato stupido e di quanto la realtà fosse assai più bella del sogno.
Ma il senso dell’onore a cui lei faceva riferimento, dopo quello che aveva fatto, non esisteva più e Terence, prima di chiudere gli occhi ormai esausto, si chiese se lei avesse dovuto saperlo


*****

Albert era rimasto ospite, in via del tutto eccezionale e, certamente, grazie anche ai suoi trascorsi di ottimo finanziatore dell’istituto, in una delle stanze all'interno del collegio; questo gli permetteva di rimanere quanto più possibile accanto alla sua piccola Candy ogni momento che non era occupato dai suoi impegni e che ella riusciva a ritagliarsi tra i turni di guardia e il tempo che passava vicina a Stear.
Ancora non riuscivano a credere di averlo ritrovato!
Eppure, quando se lo era visto davanti agli occhi, con quella ferita il cui dolore gli impediva persino di rimanere cosciente, dimagrito e indubbiamente con un’espressione più matura di quanto lo ricordasse, non aveva avuto alcun dubbio sul fatto che fosse proprio lui; e quando poi aveva infine riconosciuto la cugina e pronunciato il suo nome, ogni più piccolo sospetto era stato fugato e il suo cuore aveva potuto gioire a pieno in quella che era stata la giornata più bella della sua vita fino a quel momento.
Certo, non c’era stato tempo di pensare granché al come e al perché di quello che stava accadendo e avevano dovuto immediatamente preoccuparsi di curare Alistear e il suo compagno d’avventura prima che fosse troppo tardi. Ci sarebbe stato modo in seguito per le spiegazioni, ora bisognava correre contro il tempo.
L’operazione di pulizia e sutura era stata più lunga e complicata del previsto, in quanto, benché il proiettile non fosse rimasto all’interno dell’arto, il ragazzo aveva perso molto sangue ed era estremamente debole; Candy però aveva giurato a se stessa che non lo avrebbe mai e poi mai lasciato fuggire di nuovo e, con la tenacia che la contraddistingue, aveva lottato con tutte le proprie forze riuscendo, grazie al prezioso aiuto del Dott. Cox, a salvargli la vita e anche la gamba!
Solo due giorni dopo il giovane aveva già riacquistato conoscenza e aveva potuto dare le sue spiegazioni, apprendendo a sua volta l’incredibile rivelazione sull’identità dello zio William.
In alcuni momenti ad Albert sembrava che tutto stava andando per il meglio per lui e per i suoi cari, almeno quando riusciva a sorvolare sul piccolo particolare della guerra che incombeva, sulla scomoda esistenza di un nipote inetto e di una nipote ancor peggiore di lui, ma soprattutto su un fantasma dal nome Terence Granchester che tornava ad occupare prepotentemente i pensieri di Candy con una fiammella di possibilità e speranza.
Spesso si domandava cosa volesse realmente Candy e la risposta che si dava era sempre la stessa.
Voleva Terence, certo! E se non fosse stato legato a Susanna non ci sarebbe mai stato spazio per lui su quel fronte. Ma, se razionalmente sapeva che era così che stavano le cose, in cuor suo non era questo che aveva percepito dai baci e dal corpo di Candy dopo essersi messo a nudo ai suoi occhi!
Dopo quell’esplosione di sentimenti non era più sicuro di essergli stato sempre “indifferente” ed era giunto alla conclusione che forse aveva sbagliato a non dichiararsi prima.
La reazione che aveva ricevuto era stata più rosea di quella che lui stesso avesse mai sperato immaginare; lei gli si era donata con un trasporto che non si aspettava e questo lo aveva un po’ spiazzato e portato, purtroppo, ad un eccesso di ottimismo destinato a scemare nei giorni immediatamente successivi.
Quell'arrendevolezza, quello slancio inaspettato infatti non si era più ripetuto ed Albert aveva avuto l’impressione che lei si fosse quasi pentita di essersi lasciata cosi andare, tant'è che nei due giorni che seguirono nessuno dei due toccò più l’argomento, né tentò la ricerca di alcun contatto fisico.
Albert, che si era preparato da tutta una vita alla pazienza, non avrebbe certo iniziato ora a metterle fretta e, anche se dopo la sua reazione iniziale aveva sperato di non dover attendere chissà quanto, aveva momentaneamente lasciato da parte i propri sentimenti per concedere a Candy il tempo necessario per capire quali fossero i suoi, approfittando del diversivo ottenuto dalla ricomparsa del suo amato nipote.
L’altro nipote in compenso, quello meno amato e per niente amabile, era ancora a Londra disgraziatamente, in quanto, nonostante le sue intenzioni di rispedirlo dritto a casa e le sue conoscenze influenti, non era riuscito a farlo tornare da quelle due dolci arpie che erano la madre e la sorella.
L’ordine che lo teneva a Londra per il momento era irrevocabile e il generale aveva fatto sapere che non aveva tempo da perdere con stupide questioni familiari e non avrebbe cambiato i suoi piani nemmeno per la richiesta del capofamiglia degli Andrew, questo anche in virtù del fatto che il giovane Legan era riuscito, inspiegabilmente, a svolgere i compiti che gli erano stati assegnati in maniera ineccepibile.
Se Albert avesse voluto, avrebbe potuto chiedere ancora più in alto, magari a qualche amico senatore, ma non voleva smuovere troppo le acque; sperava solo di non doverselo trovare più davanti in nessun modo, perché ogni volta che pensava a lui e a quello che aveva tentato nuovamente di fare a Candy, il sangue gli ribolliva nelle vene e provava solo una gran voglia di prenderlo a calci. Per un attimo, quando lo aveva scorto a posare le sue luride mani su Candy, aveva creduto di poterlo uccidere senza pensarci due volte, poi per fortuna, la ragione aveva vinto sull’istinto e si era limitato a dargli una lezione.
Non valeva la pena rovinarsi il futuro per un simile verme in fondo.
Tirando le somme dunque, Albert si accorgeva di aver fatto un passo avanti e tre indietro con Candy, perché lei ora, anche se cercava di non mostrarlo, era più distante di quanto fosse mai stata.


*****


Se Candy avesse dovuto scegliere un aggettivo per descrivere sé stessa sarebbe stato senza dubbio: confusa.
La dichiarazione di Albert, che in quel momento le era sembrata come la cosa più naturale del mondo e l’aveva riempita di gioia, iniziava a renderla inquieta perché la metteva di fronte ad una scelta che non voleva fare.
Sapeva che se avesse deciso di concedere il suo amore ad Albert, il nome di Terence sarebbe dovuto sparire dalla sua mente e dal suo cuore una volta per tutte, perché Bert non meritava un amore mutilato.
Al suo angelo spettava di diritto il meglio, perché lui era il meglio!
Il meglio che fosse mai esistito dai tempi in cui Adamo era stato l’unico uomo sulla terra, il meglio che sarebbe mai potuto esistere fino alla fine dei tempi.
Aveva diritto ad un amore esclusivo il suo Bert, ad una donna che pensasse solo a lui e che riuscisse a venerarlo come meritava, da Dio dell’Olimpo quale era ai suoi occhi.
Ma sarebbe mai potuta essere lei quella donna?
Sapeva che non avrebbe mai e poi mai potuto giocare con i suoi sentimenti e che anche il solo più piccolo dubbio l’avrebbe dovuta far desistere dal concedersi alle sue attenzioni, e allora perché si era lasciata così andare? Perché la sua volontà e il suo corpo sotto le mani di lui erano stati così cedevoli?
Ora più che mai, si domandava se era pronta a lasciarsi Terence alle spalle? E soprattutto se lo era in questo momento che una piccola speranza pareva riaccendersi?
Adorava Albert! Lui era stato ed era ancora tutto il suo mondo; l’amico incondizionato, il confidente silente, il benefattore, la spalla su cui piangere e il cielo in cui volare.
Avrebbe potuto amarlo si, avrebbe potuto, e sarebbe stato semplice … Come era possibile non amare uno come Albert?!
Eppure non era certa di volerci nemmeno provare, perché il suo cuore gridava ancora a gran voce il nome di Terence ad ogni battito, perché al solo pensiero di lui le sue gambe tremavano, perché il ricordo dei suoi baci e delle sue braccia che la stringevano, provocava scosse di brividi lungo tutto il suo corpo e un languore inspiegabile alla bocca dello stomaco.
Ma non erano forse le stesse sensazioni provate nel corrispondere il bacio di Albert?
Si che lo erano, lo ricordava bene quel momento accaduto solo qualche giorno prima e del quale nemmeno lei era riuscita a capacitarsi. Era possibile essere innamorate di due persone, e per giunta così diverse?
E perché nel ricordare quel momento quelle stesse sensazioni non la assalivano di nuovo come avveniva quando pensava a Terence?
Per un attimo pensò che forse, tutto sommato, anche lei poteva classificarsi nella sciocca donna media che rincorre e si strugge per un amore impossibile e rimane cieca di fronte alla felicità che ha a portata di mano.
Ma poteva essere solo questo? Terence era davvero solo il frutto proibito?
Senza dubbio al momento non aveva la mente lucida per pensare, figurarsi per decidere.
E nonostante le dispiacesse immensamente tenere Albert appeso ad un filo, non poteva farne a meno.
Terence non si sarebbe fatto vedere, almeno per le prossime settimane, il Dott. Cox era stato chiaro: l’operazione di Susanna non era prioritaria rispetto ai feriti che continuavano ad arrivare e pertanto avrebbero dovuto attendere.
Sarebbero passati mesi prima di doverlo rivedere, mentre sulla pazienza di Bert non aveva alcun dubbio e nonostante non volesse approfittarne si sarebbe concessa un po’ di tempo per riflettere.
Le emozioni di quei giorni l’avevano sopraffatta e una grande stanchezza si stava impossessando di lei man mano che le ore passavano; aveva davvero bisogno di riposare.
Una cosa però non poteva più essere rimandata, così prima di coricarsi prese carta e penna e iniziò a scrivere.

Londra, 31 Luglio 1917
Carissima Patty,
scusa se ti scrivo solo ora pur essendo arrivata a Londra ormai da settimane, ma sono stata davvero così presa che me ne è mancato il tempo. Spero vorrai perdonare questa mia negligenza.
Ora però non posso più rimandare e devo ammettere che l’ho fatto da fin troppo tempo. Avrei dovuto iniziare a scriverti almeno due giorni fa.
Oh, Patty ti prego di perdonarmi ancora, probabilmente non starai capendo niente con tutte queste mie frasi sconclusionate. Rimedio subito.
Intanto sappi che, a differenza di quelle che non ti ho scritto, sono certa che questa mia lettera ti riempirà di gioia.
La notizia che sto per darti tuttavia, potrebbe farti avere un mancamento, quindi ti prego di sederti, possibilmente su un letto o qualcosa di morbido.
Oh, no, non preoccuparti amica mia, è una notizia buona, te lo assicuro, però ti prego dammi ascolto e va a sederti prima di continuare con la lettura.
Sei pronta? Si?!
Ok, allora posso dirtelo!!!
Il nostro amatissimo Stear è vivo!
Sei rinvenuta?
Si amica mia, non sto scherzando, non potrei mai burlarmi di te su una cosa così seria.
Stear è vivo e te lo ripeto, è vivo! Lo abbiamo ritrovato nel parco della St. Paul School.
Era ferito, ma ora sta meglio. Non posso dirti altro per il momento, avrai maggiori chiarimenti quando verrai qui. Perché verrai vero?
Sarai felice di sapere che la prima persona di cui ha chiesto sei stata tu!
Non dirlo mai ad Archie però, sarebbe in grado di ucciderlo con le sue mani se sapesse una cosa del genere!
Bert spedirà oggi una lettera anche a lui, chiedendogli però di non venire per il momento.
Non è il caso che tutta la famiglia si sposti in Europa adesso che la guerra bussa ogni giorno alla nostra porta.
Oh Patty, mi rendo conto solo ora di quello che ti ho appena chiesto.
Nella gioia, per un attimo, avevo dimenticato della guerra.
Scusami, se deciderai di non venire ti capirò e penso che se Stear sapesse che te l’ho chiesto si arrabbierebbe con me!
Scrivici presto però. Questo puoi farlo senza esitazioni. Sono certa che Alistear impazzirebbe di gioia nel ricevere tue notizie e sono altrettanto certa che appena ne avrà la forza ti scriverà lui stesso!
Ora devo andare. È molto tardi e i miei occhi si stanno chiudendo.
Ti abbraccio con affetto,
Candy.



*****

Chicago, 22 Agosto 1917
Carissima Candy,
tutto quello che vorrei dirti è troppo lungo e complicato per poterlo esprimere in una lettera.
Sappi solo che verrò!!
Alla nonna è quasi preso un infarto quando l’ho informata della partenza, ma non posso farne a meno.
Al momento posso anche prendere una pausa dagli studi, siamo in estate e le lezioni non riprenderanno prima di inizio Ottobre.
Arriverò il 07 Settembre, spero di trovarti al porto.
Nel frattempo porta i miei saluti ad Alistear, non vedo l’ora di riabbracciarvi tutti.
Con immenso affetto,
Patty.

*****

‘Suor Margareth non sarebbe proprio riuscita ad essere severa come Suor Gray, neanche volendo, meglio così. ’ Pensò Candy, mentre si dirigeva ad informare Albert della novità e rivivendo nella mente la conversazione appena avuto con la direttrice.
“Oh, Candy, per quanto io possa essere felice di rivedere la Signorina O’Brien, e il Signore sa che sarei felice di rivedere anche la sua tartaruga, devo ricordarti che questa è una scuola, per giunta per metà concessa momentaneamente al governo, e non un hotel. Abbiamo già fatto un’eccezione per il Signor Andrew e anche volendo al momento non abbiamo una stanza per poterla ospitare. Purtroppo devo chiederti di trovarle un altro posto dove alloggiare.” Aveva esordito la suora appena appreso dell’arrivo di Patty.
“Non deve preoccuparsi Suor Margareth, Patty può stare con me nell’area dove alloggiano le infermiere. Ci sono ancora un paio di letti vuoti. Le prometto che non si accorgerà nemmeno della sua presenza.”
“Non è la sua presenza a preoccuparmi Candy, ti ripeto che sono felice di rivederla, ma…”
“La prego Suor Margareth, è di vitale importanza che Patty possa alloggiare qui. Lasci fare a me non se ne pentirà” la interruppe Candy incrociando le mani in segno di supplica.
“E va bene! Suor Gray non approverebbe ma io mi fiderò di te. Hai dimostrato di essere diventata una donna coscienziosa. La Signorina O’Brien potrà rimanere nell’alloggio infermiere, naturalmente se nessuna delle altre avrà nulla da ridire.”
“Nessuna si lamenterà, glielo assicuro! Grazie Suor Margareth, lei è un angelo. Dovrebbero farla santa!” concluse Candy schioccandole un inaspettato bacio sulla guancia. Prese la porta e uscì sorridendo soddisfatta, mentre la direttrice, che era poco abituata a qualsiasi contatto fisico, portava la propria mano sulla gota che le pareva in fiamme.
Raggiunta la stanza di Albert, ancora entusiasta per il risultato ottenuto, Candy bussò e sovrappensiero entrò senza attendere risposta.
Albert era davanti a lei, più bello di quanto ricordasse; frizionava con un asciugamano i capelli color dell’oro ancora umidi e indossava solo un pantalone nero. Era a piedi nudi.
“B..Bert… perdonami” balbettò Candy arrossendo fino alla punta del più piccolo ricciolo ma incapace di distogliere lo sguardo da quello splendore.
“Candy cosa c’è? Non è mica la prima volta che mi vedi senza camicia! Abbiamo vissuto insieme ricordi?” cercò di sdrammatizzare lui elargendole il più splendente dei sorrisi.
“Era una situazione diversa. Allora io non … Io ... io … Devo andare!” Disse lei portandosi infine le mani davanti agli occhi e girandosi per uscire dalla stanza.
“Candy aspetta” la bloccò lui sulla porta mettendole una mano sulla spalla.
Aveva promesso a se stesso che non l’avrebbe forzata, ma i suoi comportamenti contraddittori rischiavano di farlo impazzire. Aveva bisogno di capire, di dare una risposta agli interrogativi che affollavano i suoi pensieri in quel momento. Scappava per pudore? Scappava perché ora che sapeva del suo amore non voleva incoraggiarlo? Non era mai fuggita in quel modo imbarazzante con lui! Cosa stava succedendo alla sua piccola Candy?
Rimase dietro di lei ed evitandole di doverlo guardare negli occhi tentò di chiederle quello che voleva sapere. Magari di spalle sarebbe stato più facile per lei esprimere quello che provava, magari di spalle avrebbe anche avuto il coraggio di rifiutarlo una volta per tutte.
“Candy cosa c’è che non va? Cosa significava quello che hai detto? Sappi che se pensi che la situazione all’epoca era diversa perché io non provavo niente per te, ti sbagli. Io ti amavo fin da allora. Se vorrai rimanere a parlare e dirmi quello che devi nonostante l’assenza della camicia non mi illuderò nel pensare che lo fai per il piacere di quello che vedi. Penserò come facevo allora che la mia vista non ti inquieta perché per me provi solo un affetto fraterno. Oppure indosserò qualcosa, ma ti prego non te ne andare. Allontanarmi da te in maniera così rapida non mi è possibile. Non cambiamo le nostre abitudini per quello che ti ho detto. Non lo sopporterei. Magari più avanti, quando avrò sentito dalle tue labbra che non provi niente per me, quando capirò che la tua presenza è più deleteria che salutare, allora forse sarò io ad allontanarmi, ma non ancora. Ti prego, non ancora.”
Disse tutto d’un fiato, per paura che se si fosse concesso un respiro non sarebbe riuscito a terminare, e sull’ultima frase non resistette e cercò di abbracciarla.
Intuendo la sua presenza più vicina Candy evitò velocemente quel contatto che troppo le avrebbe ricordato un altro abbraccio, si voltò, prese le sue mani e decise che era giusto dare ad Albert una spiegazione seppur parziale.
“Bert… “cercò di iniziare lei.
“Non devi decide ora Candy, io posso aspettare, ti chiedo solo di non evitarmi! Ma se vuoi tagliare subito, ok, sono pronto!” sospirò lui ormai certo dell’imminente rifiuto.
“Lasciami finire ti prego, ok?” chiese lei guardandolo dritto negli occhi.
“Vedi, tu mi credi più buona e altruista di quella che sono! Hai pensato che fuggissi per preservare te!! Hai un’immagine di me davvero “mariana” mio dolce Bert! Ma non immagini nemmeno quanto sei lontano dalla realtà. Non scappavo affatto perché confidandomi i tuoi sentimenti sono diventata improvvisamente sensibile e riguardosa, ma perché da quel momento ho iniziato a rendermi conto di vederti con occhi diversi. Occhi di donna Albert, e quello che vedo mi piace, mi piace tanto, troppo. Sono scappata perché rimanere così vicina in questa situazione mi provoca sensazioni che non credevo di poter provare per qualcuno che non fosse… si insomma, lo sai! … “prese fiato e continuò “Quando ho cercato di andarmene sostenendo che la situazione era diversa, non mi riferivo a te ma a me e a quello che provo quando sono con te! Quando abitavamo insieme ti vedevo con occhi fraterni è vero, ma ora non più, e questo mi spaventa, e mi confonde! Non ero pronta a questo. Io… devo cercare di capire, perdonami, ma non posso restare altrimenti … altrimenti io …” si interruppe incerta se proseguire
“Tu cosa Candy? Tu cosa?” la incoraggiò Albert avvicinandosi pericolosamente a lei costringendola ad appoggiare la schiena alla porta
“Io… questo!!!” esplose infine avvicinandosi ancora di più, e, sollevandosi sulla punta dei piedi, poggiò le sue labbra a quelle di lui.
Albert accolse la sua bocca morbida stringendole più intensamente le mani ancora intrecciate alle proprie fino a che entrambi non le sciolsero per dar vita ad una danza di carezze.
Candy poggiava le sue intorno ai bicipiti definiti di lui mentre Albert ne infilò una tra i ricci di lei e fece passare l’altra dal collo, per la spalla fino al centro della schiena, provocandole un brivido.
Ma, così improvvisamente come aveva cercato quel contatto, fu proprio lei altrettanto improvvisamente ad allontanarsi.
“Non avrei dovuto Bert, perdonami!” cercò di giustificarsi mortificata
“Stai scherzando vero?” chiese lui ancora più confuso di prima
“Ero solo venuta a dirti dell’arrivo di Patty. Io, io non volevo… non dovevo… non fino a che non saprò con certezza cosa voglio. Chi voglio! E’ meglio che me ne vada!”
E nel dire questo prese la porta e scappò via di corsa per evitare che tentasse di fermarla di nuovo, così rapidamente che lui non riuscì nemmeno a rendersene conto.

*****


Patricia, dopo aver affrontato un viaggio relativamente tranquillo considerando il momento storico che stavano vivendo, sbarcò a Londra, e non la riconobbe.
I bombardamenti dei Zeppelin e l’esplosione della fabbrica della Imperial Chemical Industries avvenuta a Silvertown, aveva spaventato la popolazione a tal punto che la gente evitava di lasciare la propria casa quando non era strettamente necessario. La città era praticamente deserta.
Una volta giunti in porto Patty si rese conto che ormai era difficile persino trovare una carrozza o taxi disposti ad affrontare il rischio di morire per la misera ricompensa di qualche corsa.
Fortunatamente non ne aveva bisogno perché Candy e Albert erano lì ad aspettarla per condurla a fare i conti con il suo passato.
Ricevere la lettera di Candy che rivelava la notizia di Stear l’aveva sconvolta.
Non aveva avuto mancamenti ma ci era andata vicina, la nonna si era molto preoccupata nel vederla all’improvviso pallida come un lenzuolo quando solo un momento prima le sue gote erano rosee. Amorevolmente le aveva fatto preparare una tisana e l’aveva aiutata a berla fino a che lei non era stata abbastanza calma da raccontare cosa era successo da sconvolgerla a tal punto. In meno di un attimo Patty aveva deciso che sarebbe andata e con molto tatto mise al corrente la nonna dell’inaspettata rivelazione e della conseguente decisione di partire appena possibile.
“No, no, e poi no!” Era stata l’immediata risposta dell’arzilla vecchietta. “Ti vieto categoricamente di andare Patricia! E’ troppo pericoloso! C’è la guerra!” Aveva urlato come se le stesse comunicando qualcosa che lei ignorava.
“Andrà tutto bene nonna! Non vado mica in guerra io! Le operazioni belliche sono in altri Paesi dell’Europa, in Inghilterra non c’è un gran rischio!”
“Grande o piccolo il rischio c’è! Ci sono stati i bombardamenti! No mia cara, non andrai. Sono felice che il tuo amico non sia morto e capisco la tua impazienza di rivederlo, ma questa è la mia ultima parola!”
Patty sospirò al pensiero delle frasi che stava per pronunciare. Non voleva dare un dispiacere alla nonna, ma lei non le lasciava altra scelta.
“Nonna, non costringermi a disubbidirti, ti prego. Io andrò con o senza il tuo permesso, scapperò se necessario, quindi, te lo chiedo per favore, acconsenti alla mia partenza senza ostacolarmi! Sono una donna ora, e lo sono soprattutto grazie a te. Saprò badare a me stessa, starò molto attenta e non mi muoverò mai dalla St Paul School se non per ritornare a casa. Non temere non succederà niente!”
Nonna Martha si domandò dove fosse finita quella timida ragazza dagli occhi nascosti dietro un vetro che era sempre stata sua nipote e chi fosse questa nuova donna che le parlava con tono sicuro di se! Era sempre la sua Patricia senza dubbio, solo che nel frattempo era cresciuta e lei non se ne era accorta fino a quel momento, e non era nemmeno tanto sicura che fosse per merito suo come aveva appena tentato di farle credere la nipote. La ragione andava forse ricercata proprio in quel lutto che l’aveva colpita facendola tanto soffrire e che ora si rivelava falso!
“Va bene! Ti aiuterò a partire se è questo quello che vuoi, ma cosa dirai a James? Non credo proprio che lui sarà d’accordo.”
“James? Cosa c’entra James adesso?!”
“Quel ragazzo ti ama Patricia! Non ti lascerà partire!”
“Questo è un mio problema nonna e poi non dire queste cose! Non c’è niente tra me e James!” rispose mestamente Patty arrossendo al pensiero del giovane studente di medicina che aveva conosciuto al corso di letteratura e che le era stato tanto vicino da diventare caro al suo cuore.
Alle parole della nonna, per un attimo, era tornando ad essere la timida ragazza di un tempo, ma subito si era ricomposta fingendo indifferenza.
Ora però, tra la nebbia di Southampton poteva ammettere a se stessa che parlare con James non era stato facile, confermare la veridicità delle parole della nonna riguardo all'amore che le aveva dichiarato ormai da tempo e al quale non si era concessa non perché lui non le piacesse ma perché farlo le era sembrato come tradire la memoria di Alistear. Ora, che non c’era più alcuna memoria da onorare, era giunta a Londra con il solo scopo di fare chiarezza nel suo cuore! Vedere Stear era l’unico modo per sapere se provava ancora qualcosa per lui o se quello che provava per James lo aveva del tutto soppiantato.
Una cosa era certa, in quel preciso istante, mentre percorreva i pochi metri che separavano la nave dalla terra ferma, mentre l’aria salmastra del porto le si appiccicava alla faccia, nonostante il volto di Candy le sorrideva dabbasso e si sbracciava per salutarla, James le mancava terribilmente.


Edited by lady oscar - 7/3/2016, 09:11
 
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luna71
view post Posted on 8/3/2016, 16:30     +1   +1   -1




Aiuto, ma che succede qui le faccende di cuore si son capovolte!!!
Di un Terence così spregiudicato e cinico non avevamo ancora mai letto, poverino chiodo scaccia chiodo ma attento che non si schiacci le dita.
Patty timida che si ritrova confusa e felice.
Candy che pensa a come si può amare due uomini.
La storia si è capovolta, intervenga qualcuna a rimettere tutto a posto.
Mannaggia che intrecci, e qualcosa mi dice che ne vedremo delle belle.

Grazie anche a te Ladina per questo regalo difficile da scartare.
 
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view post Posted on 11/3/2016, 21:33     +1   -1
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Oh buona sera, manco da un po', e cosa trovo? una nuova FF! Che bello! Ora inizierò a leggerla, sarà sicuramente bella, visto i talenti che la scrivono....ma soffrirò, lo so già.
 
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view post Posted on 11/3/2016, 21:49     +1   -1

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Capitolo al cardiopalma e ricco di emozioni questo, cara Ladyna !!!
L'ho letto tutto d'un fiato fino a quando Terence..... lo so che è tormentato e infelice, che pensa solo a lei e che la sua è solo una soddisfazione effimera ma grrr... che rabbia !!!
Candy mi preoccupa molto di più, è agitata e confusa, spero solo che capisca presto a chi veramente appartiene il suo cuore, ed io sono una sciocca lo so, ma provo sempre un certo disagio quando leggo storie in cui Candy e Terence sono presi in altre relazioni amorose che non sia la loro.
Felicissima che Neal si sia tolto da piedi una volta per tutte e felicissima che Stear sia vivo non vedo l'ora di leggere di lui e Patty.
Complimenti, bravissima e grazie a tutte le autrici è davvero un piacere leggervi.
Un abbraccio camilla
 
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view post Posted on 12/3/2016, 18:38     +1   -1
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Anch'io mi complimento con tutte le autrici... Su questo capitolo la vedo come luna71... Un regalo difficile da scartare. Comunque brava lady oscar
 
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view post Posted on 13/3/2016, 11:54     +1   -1
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Eh lo sapevo che il mio Terence su questo RR avrebbe lasciato perplesse.. E non invidio per niente chi sarà dopo di me che dovrà sbrogliare tale matassa. Comunque, al di la del fatto che anche a me piace immaginarlo come un cavaliere senza ombre, trovo che in questo caso averlo reso un po' più realistico non ha guastato e anzi ha dato spunto per i due finali che dovranno essere scritti.. Della serie Terence confesserà le sue scappatelle? Candy saprà perdonarlo? E lui potrà accettare questa attrazione che Candy ha per Albert? La cosa si complica parecchio! E poi non dimentichiamo che una delle regole di questo RR era proprio di tenere la situazione aperta per il doppio finale quindi qualche problema doveva pur esserci! Comuqnue Triangolo Terence/Candy/Albert/ a parte, a me ha fatto molto piacere scrivere sopratutto di questa nuova Patty, che sta cercando di rifarsi una vita e dovrà fare anche lei una scelta...
Vedremo come evolve...
Grazie sempre a tutte/i voi che state leggendo :giusy:
 
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luna71
view post Posted on 13/3/2016, 16:13     +1   -1




Hai ragione Ladina la situazione si complica, si complica assai!!!!
Attendiamo i risvolti
 
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view post Posted on 13/3/2016, 18:23     +1   -1
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Anf anf arieccomi! Scusate il ritardo, ma ho avuto dei problemi con forumfree, e per un po' il mio account è stato disabilitato. Ho semplicemente cambiato la mia mail e la risposta di convalida mi era finita nello spam :(
Ma veniamo a questi ultimi aggiornamenti. @Piryna mia sai quanto adori il tuo modo di scrivere :love10.gif: Questo tuo capitolo, rileggendolo a distanza di tanto tempo, mi ha emozionato ancora di più. Anche se grazie a te e al tuo modo di raccontare un eventuale amore tra Candy e Albert, non mi traumatizza più siffatta eventualità :sorrisone: credo che le parti che più mi hanno toccato il cuore siano state la separazione ennesima tra Candy e Terence, quanto pathos, quanto amore e quanta disperazione! Di' la verità neanche a te piace separarli ;) :risata: E poi la parte di Ephrem e Hannah mi ha toccato particolarmente il cuore 💖. Complimenti amica mia!
@Ladyna, rileggendo il tuo capitolo l'ho apprezzato ancora di più. Lo sai che anch'io credo che Terence non sia stato un santo. E ti dirò non m dispiace affatto sia stato infedele a Susanna anzi :diavoletto.gif: Sugli intrecci amorosi mi batti di sicuro :risata: Sinceramente mi è piaciuta moltissimo la scena in camera di Albert. A quando vedo non è solo Piryna a farci vedere bene insieme Albert e Candy. Anzi ti dirò mi è piaciuto più come li hai resi tu, mentre come ho suddetto Piryna ha descritto un'ulteriore e necessaria separazione in modo magistrale. Brave :ok.gif: Ma non è che vi siete scambiate i ruoli :sconvolto5.gif: Mi è piaciuta molto la tua Patty, anch'io immagino un'evoluzione di questo personaggio che amo tanto più o meno come la tua. Patty è una donna intelligente e di svariate possibilità di crescita. Staremo a vedere che cosa le riserverà il futuro. Ah dimenticavo: bellissimo il ritorno di Stear! Chapeau! Aspettiamo il seguito di Sciaruzza. A proposito è in ritardo.
 
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view post Posted on 14/3/2016, 13:35     +1   -1
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WOW!!!
Appena finito di leggere l'ultimo capitolo. Londra delle sorprese, dei ricordi e quanti...Quando ho letto che sarebbe andata alla St. Paul School ho avvertito un piccolo crampo allo stomaco.
Che dirVi?
CdF sei formidabile!
Candy 75 bravissima! hai acceso la curiosità aprendo varie porte.
Italia 74 sconvolgente, certi baci quando ci vogliono, ci vogliono.
Piricandy emozionante, dichiarazioni da batticuore.
Lady Oscar da INFARTO! Però, ci può stare, mio malgrado. E vaiii coi sensi di colpa!
A tutte, grazie per la passione che infondete in ogni parola, in ogni ricerca. Lo ripeto siete proprio brave. :ok.gif:

uh! scusate, dimenticavo Albert sull' Harley ci sta benissimo!!!
 
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view post Posted on 14/3/2016, 19:25     +1   -1
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Faccio veramente schifo! Non solo non ho né seguito, né commentato le precedenti puntate, ma sono anche in clamoroso ritardo con la pubblicazione del prossimo capitolo. Ma ehm... ecco, come spiegava anche Cerchiuzzi nella sua favolosa ed esilarante premessa, io sono una di quelle che ha cambiato casa o meglio ha cambiato proprio città o meglio si divide tra tre città diverse e distanti una delle quali si trova a sud, un'altra al centro e la terza non si trova neanche in Italia. Troppo complicato da spiegare, sappiate solo che sono perennemente in viaggio e perennemente rinco e talvolta non ricordo neanche chi sono e cosa voglio dalla vita.

Vi ho fatto abbastanza pena? Mi avete perdonato? No? E allora peggio per voi: eccovi il sesto capitolo! Ve lo siete proprio meritato!

:sorrisone: :sorrisone: :sorrisone: :risata:


CAPITOLO SESTO
sciara




La seconda collina di Pony era l’unico luogo che avrebbe potuto restituirle un po’ di quiete, il rifugio perfetto per cercare di riordinare le idee e le emozioni. Seduta con i piedi penzoloni sul ramo più accogliente del maestoso amico, Candy era ancora scossa per l’incidente occorso in corsia durante la notte. Una distrazione che avrebbe potuto avere conseguenze gravissime se non si fosse accorta in tempo che stava per somministrare a un soldato un farmaco sbagliato. Fortunatamente il dott. Cox conosceva molto bene la preparazione e la diligenza di Candy e, imputando l’accaduto alla stanchezza, le consigliò di prendersi 48 ore di pausa. “Forse non sono stato chiaro, il mio non è un consiglio, ma un ordine. Lei lavora troppo, sig.na Candy. Apprezzo la sua abnegazione, mi creda, ma le ricordo che anche il riposo è un suo dovere! La stanchezza può giocare brutti scherzi alla concentrazione e nel nostro lavoro una distrazione può essere fatale, quindi non discuta e si riposi. In queste condizioni non è utile a nessuno!”

In effetti Candy era davvero provata. Da quando era arrivata a Londra, aveva lavorato senza mai risparmiarsi. Sul suo visetto sciupato i suoi occhioni e le sue lentiggini sembravano ancora più grandi e la sua divisa avrebbe potuto ospitarla mezza volta di più. Ma non era la stanchezza fisica che impensieriva Candy, in fondo era sempre stata abituata a lavorare duramente sin dalla casa di Pony dove, ancora bambina, faceva da mamma a bambini poco più piccoli di lei. In realtà era la stanchezza mentale che metteva a dura prova la sua serenità. Le ultime settimane erano state sconvolte da eventi stupefacenti e conturbanti. I suoi pensieri avevano il numero e la forma dei suoi capelli: tanti e ricci e le sue lentiggini, se avessero trovato un modo, si sarebbero trasferite volentieri su guance più distese e meno soggette a sbalzi termici.

Non aveva ancora avuto il tempo di metabolizzare l’inaspettato incontro con Terence e Susanna insieme che subito si era ritrovata a dover fare i conti con i baci di lui, l’arrivo del duca di Granchester, la promessa di Terence, la sua partenza in Scozia, il tentativo di violenza di Neal, il salvataggio di Albert, la sua dichiarazione, i suoi baci, il ritorno di Stear, l’arrivo di Patty! Troppa roba in troppo poco tempo! Ma tutto questo non attutiva minimamente il rimorso per la sua inabituale e imperdonabile negligenza a lavoro. Miss Pony glielo diceva che non si può mai sapere cosa c’è dietro l’angolo. Aveva vissuto da sempre con questa aspettativa nel cuore, ma mai avrebbe potuto credere che ci fossero così tanti angoli lungo le strade della vita. Adesso l’unico desiderio che aveva era vivere in un luogo senza incroci, in una retta infinita che la portasse dritta a destinazione senza più angoli da scoprire, senza più scelte da fare, senza più responsabilità da assumersi. Il suo cuore era un campo di battaglia, le emozioni si sfidavano a duello, i ricordi divenivano sospiri e a pagarne le spese erano le povere lentiggini ustionate dalle ricorrenti vampate di calore che sbottavano sulle sue gote. Quanto rimpiangevano i tempi in cui l’unica preoccupazione era scansare le briciole dei biscotti di Suor Maria! Ma i pensieri quando arrivano non sono mai soli e infatti, anche questa volta, giunsero in compagnia di una cricca di “amici” esigenti, austeri e invadenti: i sensi di colpa… per non avere detto ad Albert dei baci di Terence, a Terence dei baci di Albert, per avere infranto una promessa non pronunciata a parole ma ugualmente sacra al suo cuore, per non essere stata in grado di tenere a bada le sue tensioni a lavoro e anche davanti a Stear. Avrebbe voluto riservare al suo amico ritrovato tutte le sue attenzioni e le sue energie e invece era stato lui, ancora una volta, a doverle prestare soccorso, spalla e orecchio. L’aveva ascoltata senza interrompere, senza giudicare, senza esprimere opinioni per un intero giorno, durante le brevi pause in cui Candy poteva allontanarsi dal lavoro, ma a fine giornata non riuscì a fare a meno di commentare: “Se avessi saputo cosa mi sarebbe aspettato, non avrei chiesto a Luc di portarmi alla Saint Paul’s School!”. La fragorosa risata di Candy rasserenò per un istante le sue lentiggini che già da qualche giorno meditavano la fuga. “In tutta questa storia – continuò Stear - l’unico da cui si pretende l’onore è il povero Terence!”. Questa battuta non sortì su Candy lo stesso effetto della prima, la risata le si spezzò tra i denti e le labbra vi si incollarono sopra donando alla sua bocca un così orripilante sorriso che perfino il principe della collina l’avrebbe implorata in ginocchio di continuare a piangere. Ma Stear, fortunatamente senza occhiali, pur intravedendo dei dentoni bianchi scoperti non si rese conto a quale terribile visione era scampato. L’unica cosa che intuì fu d’essere rimasto da solo a ridere. Si schiarì la voce e riprese: “Capisco la tua confusione, Candy, ma se segui il tuo cuore, difficilmente potrai sbagliare.” Le labbra di Candy si ammorbidirono e staccandosi dai denti abbandonarono la posizione inquietante che avevano assunto. “E se il mio cuore volesse portarmi dove non è possibile andare?”. Domandò scoraggiata la ragazza. “Se anche avessi la certezza di non poter avere quello che desideri – rispose sicuro Stear – non è andando nell’altra direzione che farai la cosa giusta o che troverai la felicità. Non puoi mettere sulla bilancia Terence e Albert come se dovessi scegliere se andare a vivere a Londra o a New York! Non devi scegliere la strada più percorribile o la più certa o la più conveniente, anzi non devi proprio scegliere perché non stiamo parlando di scarpe. Devi solo ascoltare il tuo cuore.” “Io non vorrei che qualcuno soffrisse a causa mia.” Replicò prontamente Candy. “Non puoi avere tutto sotto controllo. Accetta che ci sono cose che non dipendono da te. Ognuno ha la sua strada da percorre, le sue lezioni da imparare con i propri successi e i propri fallimenti, non puoi impedirlo, non sarebbe corretto.” Candy assorbiva le parole di Stear come le foglie di notte la rugiada. “Prenditi il tempo che ti serve, Candy, non avere nessuna fretta. E se non vuoi alimentare false speranze o cadere ulteriormente in confusione, evita incontri ravvicinati con entrambi. I baci nel disordine generano altro disordine. E poi non cercare di accontentare tutti altrimenti potrei decidere di mettermi in coda e aspettare anch’io il mio turno!”. Candy scoppiò nuovamente a ridere, ma ingoiò immediatamente la risata quando, vedendo Stear improvvisamente serio, le venne il dubbio che quella potesse non essere una battuta. Le lentiggini, nell’incertezza, onde evitare altro stress, ripresero a fare le valigie.

“Ha fatto bene il dott. Cox a ordinarmi un po’ di riposo!” Pensò Candy sdraiata sulla seconda collina di Pony mentre tentava di ripararsi dall’ennesimo bacio, quello del sole. “Devo darmi una calmata! Non posso permettere alle mie ansie di rubare lucidità al mio lavoro.” Più cercava di schiacciare via i pensieri che la rendevano inquieta più sentiva il suo sangue ribollire e una inusuale e sconosciuta collera lievitare. “Sono arrabbiata, arrabbiata, arrabbiata! Tutta colpa di Terence, avrei dovuto schiaffeggiarlo invece di ricambiare i suoi baci e avrei dovuto fare altrettanto con Albert! Che egoisti a preoccuparsi solo di loro stessi senza tenere conto di me, di quello che sento, di quello che voglio, della complessità del mio lavoro! Che cosa credono quei due, che io sia qui in vacanza a divertirmi? Non so se ve ne siete accorti, ma siamo in guerra, ragazzi, IN GUERRA e io sono una crocerossina, ho bisogno di stare tranquilla, ho bisogno di pace, di ordine mentale, non di altre tensioni”. Candy stentava a riconoscersi in quei discorsi rancorosi sfuggiti casualmente al suo controllo, ma immediatamente dopo si sentì stranamente più leggera.

“Ha ragione Stear, non devo scegliere tra Terence e Albert, devo solo occuparmi della mia serenità, soprattutto in questo momento delicato del mio lavoro. Tutto il resto verrà da sé! Alla loro serenità dovranno pensarci da soli! Non sia mai che io impedisca loro di crescere anche attraverso una esperienza dolorosa come può essere il mio rifiuto. Anzi meglio! Così impareranno la loro lezione che certamente è il rispetto verso gli altri e soprattutto il rispetto verso me!”. E mentre affidava le sue parole al vento, Candy, sentendo il suo cuore alleggerirsi, capì quanto fosse salutare e curativo dare libero sfogo alla sua rabbia invece di reprimerla e rialzandosi in piedi con un salto continuò col suo terapeutico psicodramma urlato al cielo e ai suoi virtuali interlocutori.

“Innanzitutto dirò al dott. Cox di trovarsi un’altra assistente per l’intervento di Susanna. Non posso occuparmene io, sono troppo emotivamente coinvolta. E poi perché dovrei aiutarla? Non ne vedo la ragione! Ha nascosto le mie lettere! Mi ha mentito, ingannato, ci ha provato con il mio uomo e alla fine se l’è pure preso! Cosa vuole ancora da me? Devo rimetterle a posto io la gamba per poi spassarsela con il mio uomo??? Se mai dovessi metterle le mani addosso, lo farò solo per spaccarle la faccia. Ah! L’ho detto! Che liberazione! E poi ricorderò a Terence che ci vorrà tanto tempo perché Susanna si ristabilizzi. Non è che metti una protesi e cominci immediatamente a giocare a saltarello sui prati! Susanna avrà ancora più bisogno di lui durante tutto il periodo della riabilitazione quindi, sono spiacente Terence, ma dovrai prenderti cura di lei ancora per tanti, tantissimi anni, forse per sempre! Non che me ne importi un fico secco, per quanto mi riguarda potresti benissimo gettarla in mare con una pietra al collo e poi allontanarti facendo l’indifferente e fischiettando allegramente “Annie Laurie”, ma almeno avrei una scusa per sbarazzarmi definitivamente di te! Sempre tetro, sempre cupo, sempre musone, sempre arrabbiato col mondo intero. Ma che ti ha fatto il mondo? Ti farei vivere in una stalla con i cavalli e servire Irisa e quel viscido di suo fratello per un paio di anni e poi vediamo se non arrivi a rimpiangere la tua “povera”, “triste” e “sfortunata vita da duca”! Ma fammi il piacere, viziato! Facile fare il "bullo nobile d'animo" che infrange le regole e risponde male ai suoi superiori, quando poi sai che arriva paparino con i suoi soldi a saldare il conto. E poi come ti sei permesso di rapirmi e baciarmi senza assicurarti se io ti amassi ancora, senza informarti se il mio cuore fosse ancora libero per te o se nel frattempo non avessi fatto, che ne so, un voto di castità! Sì, mio caro Terence, non te l’ho detto perché tu non mi hai dato il tempo di aprire bocca che ci hai subito infilato la lingua, ma io preferirei farmi suora, suora, SUORA, piuttosto che tornare con te! E’ assurdo, pazzesco! Prima parte lasciandomi in questa scuola, in balia dei fratelli Legan, in un’atmosfera da incubo. E la cosa assurda è che voleva farla passare come una decisione dolorosa, un sacrificio fatto solo per amore mio, per salvare me! Ma che razza di sacrificio sarebbe lasciare la scuola per andare a fare teatro? E mi scrive una insignificante letterina con a stento due misere parole. Che gran pezzo di tirchio, si è sprecato! Poi riappare magicamente, come se nulla fosse successo, ma dopo poco mi lascia ancora, solo perché una cretina ha avuto la bellissima idea di perdere un arto per salvargli la vita! E adesso cosa pretendi da me? Eh? Ma che ti pare che io sia a tua disposizione in base alle tue esigenze e ai tuoi cambiamenti di umore e al tuo intermittente senso dell’onore… che oggi c’è, domani boh, forse, non lo so!

E quell’altro Albert, il mio caro, dolce amico, fratello, zio, padre, Albert! Ma che cavolo! Dammelo il tempo di realizzare chi sei prima di tirare fuori un nuovo personaggio dal cilindro! Facile fare il vagabondo affascinante che vive di espedienti, quando hai le spalle coperte dai soldi degli Andrew, eccola spiegata tutta la tua serenità, eccoli spiegati i Ray-ban, avrei dovuto capirlo! Ma non ti bastava avermi preso in giro tutta la vita facendomi credere di essere quello che non sei e di non essere quello che in realtà sei, giocando a fare il misterioso che capiva tutto senza bisogno che io parlassi. Ma che bravo! E io, imbecille, che ho creduto a tutte le tue bugie! Credevo che fossimo per davvero uniti da un filo invisibile e che ci fosse tra noi una sorta di magica telepatia che ti avvertiva ogni volta che ero in pericolo e che ti faceva sbucare fuori dagli alberi, guarda caso, tutte le volte che ero in lacrime. Facile risultare affascinanti quando fai credere di saper leggere nel pensiero, quando fai credere che tutto sia così straordinariamente casuale! E invece non c’era niente di casuale! Tutto squallidamente programmato, tutto tristemente calcolato, tutto dannatamente premeditato. Nessuna magica telepatia, soltanto le soffiate di un vecchio guardone di nome George che veniva a riferirti ogni mio pensiero, ogni mia mossa! Che associazione a delinquere, dovrebbero arrestarvi entrambi, chissà quante risate vi sarete fatti alle mie spalle, bugiardi! Io vi odio! Amico, vagabondo, zio, padre, principe… non gli bastavano questi ruoli, no! Adesso si propone pure come amante! E ha perfino il coraggio di tranquillizzarmi! Ho una confusione in testa che non distinguo un bullone da una brugola e lui mi bacia. Ma ti sei mai chiesto se avevo tutta questa voglia di rivoluzionare nuovamente il mio rapporto con te? Se mi interessi? Se mi piaci? Come hai potuto baciarmi quando mi avevi da poco confessato di essere mio padre adottivo??? Ma come ti permetti? Come hai osato? A che gioco stiamo giocando? O anche tu pensi di poter disporre di me come meglio credi? Che io debba essere sempre a tua completa disposizione, immediatamente pronta nel ruolo che tu mi imponi, in base al tuo umore o al tuo personaggio del momento? A proposito, come cavolo dovrei chiamarti io? Principe della collina? Albert? Signor William? Zio? Papà, Amore, come??? Ti ricordo che sono un’infermiera, non una psichiatra, se sei schizofrenico, gioia, io non posso aiutarti! E poi non capisco, era proprio necessario farmi rapire per adottarmi? Non potevi adottarmi in maniera più normale, più classica invece di crearmi dei traumi infantili gravissimi e che ancora oggi rivivo negli incubi notturni? Ma ti rendi conto di cosa hai fatto diventare la mia vita? Una persona più fragile, al mio posto, come minimo, si sarebbe drogata o suicidata. Ma con tutti i soldi che hai, cosa ti costava chiedere il parere di un pedagogista? Pezzo di tirchio, miserabile!!! Ma possibile che io attiri solo uomini con le braccine corte??? In tutta questa storia l'unica autentica sono io!”.

Candy cominciò a ridere a crepapelle.
:risata:
Non riusciva a smettere di ridere e in quella risata liberatoria sentì tutte le sue tensioni sciogliersi. Il suo psico-delirio era ovviamente una esagerazione, una estremizzazione, ma le era servito moltissimo per capire e capirsi meglio. Adesso sapeva cosa fare. Avrebbe chiesto a entrambi di rispettare il suo bisogno di quiete e di lasciarla lavorare serena senza ulteriori tensioni perché non poteva permettersi distrazioni di alcun genere almeno per il momento. Loro, era certa, avrebbero capito.

Stirò le braccia come se finalmente avesse riposato davvero e mentre meditava su come avrebbe potuto trascorrere i suoi due giorni di riposo prescritti dal dott. Cox, vide in lontananza una macchiolina che si ingigantiva sempre di più avvicinandosi.
“Rosemary? Ma che fine avevi fatto? È da circa 4 capitoli che non avevo tue notizie, come stai?”. La ragazza la guardava sbigottita senza capire di che parlasse… poi sorridendo le diede una lettera. “E’ arrivata questa… volevo portartela di persona. Sapevo che ti avrei trovata qui!”.
La lettera profumava di biscotti, latte e miele… era una lettera che aveva i colori della casa di Pony.

***

“Cara Candy,
Un anonimo benefattore ci ha fatto un’importante donazione. La Casa di Pony per qualche mese sarà impraticabile perché sarà completamente rinnovata e, dovendo necessariamente trasferirci da qualche altra parte, durante i lavori di ristrutturazione, e potendocelo permettere, abbiamo fatto scegliere ai bambini il luogo dove andare… e… indovina? All’’unanimità hanno scelto tutti di venire a trovare te… non ce la siamo sentita di deluderli. Quindi a presto nostra cara piccola Candy!
Ps. Non ti premurare a risponderci perché stiamo arrivando! Forse arriveremo prima della lettera!”

***

“Santo cielo! Ma sono tutti impazziti? Ma cosa è passato per la mente di Miss Pony e Suor Maria? Come possono portare i bambini in un posto dove c’è la guerra??? Deve trattarsi sicuramente di uno scherzo! Non è possibile che facciano sul serio!”

Candy era tutta tremante altro che due giorni di pausa! Neanche con un mese di riposo forzato se la sarebbe cavata!
“Rosemary – chiese Candy alla sua giovane amica - chi ti ha dato questa lettera?”
“Ehm… è… ecco sì, è arrivata con la posta di oggi, Suor Margareth ti stava cercando e allora l’ho presa io. Perché cosa c’è che non va?”
“Niente, è tutto a posto!”
La ragazza la guardava con un sorrisetto malizioso che faceva capire chiaramente a Candy che sapeva che stava dissimulando.
“Ti ricordi quando ti ho parlato della casa di Pony? - Si slacciò la bocca Candy – Ebbene, sta arrivando qui!”
“Chi?” chiese ridacchiando la ragazza.
“La casa di Pony, o meglio tutto quello che ci sta dentro!”.
“Ma è meraviglioso, Candy, non sei felice?”.
“No, cioè sì… cioè… NO! non lo so! Sono preoccupata Rosemary. In questo periodo sembra che tutti abbiano dimenticato che siamo in un paese in guerra. Ma ti sembra normale portare dei bambini qui? In un ospedale militare, durante la seconda guerra mondiale? E poi dove li metto? Chi glielo dice a suor Margareth che stanno per arrivare 15 persone???”.
“Ma non erano 18?” Domandò confusa Rosemary. “
No, 15! Ma tu che ne sai? E perché pensi che siano in 18?” Domandò intimorita Candy .
“Ehm… niente io non so niente!”
“Non mentirmi, Rosemary!”
“Scusami Candy, forse sono io che faccio confusione, avevo contato alla mensa 18 coperti in più e ho creduto che anche quei tre facessero parte della casa di Pony! Evidentemente sono per conto loro, mi sono sbagliata Candy. Tutto qui”.
“Cosa? La casa di Pony è già qui?”
“Oh, perdonami Candy, ti ho rovinato la sorpresa!”
“Quale sorpresa?” Chiese Candy con un filo di voce. “Chi ti ha dato questa lettera?”
“E’ stata Miss Pony, sono arrivati questa mattina, ma non devi preoccuparti Candy, Suor Margareth sapeva già ogni cosa. Era da tempo che era in contatto con Suor Maria, anzi credo che la proposta sia partita proprio da lei del resto questa è una scuola ed è già attrezzata per ospitarli. E poi la donazione che ha fatto la casa di Pony sarà di grande aiuto per la R. S. P. School. Ma ti prego non dire che ti ho svelato tutto, l’ho fatto solo perché mi sembravi troppo agitata e volevo rasserenarti, ma questa doveva essere una sorpresa per te”.
“Non preoccuparti, Rosemary, non dirò niente a nessuno, sarà il nostro piccolo segreto!”.
Candy cercava di sorridere e mentre si dirigeva velocemente verso la mensa, cambiò discorso col tentativo di distrarre Rosemary dalle sue apprensioni.
“E gli altri tre ospiti chi sono?” Chiese Candy fingendo interesse per l’argomento.
“Non saprei. Io credevo fossero insieme ai tuoi perché si sono salutati affettuosamente con Suor Maria e Miss Pony”
“Cosa? Affettuosamente… ma…”
“Beh non proprio tutt’e tre. La vecchia in effetti non sembrava tanto felice di stringere la mano alle tue mamme”.
“La vecchia? Santo cielo, ho un brutto presentimento. Ti ricordi i nomi delle tre persone che pranzeranno con noi oggi?” Domandò nervosamente Candy.
“No, ma lei e lui sono bellissimi, eleganti, raffinati, molto alla moda e anche molto gentili… estremamente gentili. La vecchia invece sembra un po’ scorbutica, superba e non ha l’aria di una che sorride spesso. Hanno chiesto di quel tuo amico che avete ricoverato l’altro giorno.
“Archie, Annie e la zia Elroy!”.
“Esattamente! È proprio così che si chiamano!” Urlò felice Rosemary.
“Santo cielo, credo di non sentirmi bene. Rosemary, ti prego, se dovessi accadermi qualcosa, non dire niente a nessuno! Sento il disperato bisogno di stare da sola anche da morta!”. La ragazza scoppiò a ridere come se Candy avesse fatto una battuta esilarante.

***

La zia Elroy se ne stava seduta in silenzio, senza toccare cibo e, fingendo un leggero malore dovuto al lungo viaggio, chiese congedo e si fece accompagnare in una delle stanze della scuola in attesa che George venisse a prenderla per portarla in albergo. I bambini erano felici e spensierati e subito dopo pranzo corsero a giocare nello spazio all’aperto adibito a questo scopo, circondati da armi, cannoni fuori uso e bombe disinnescate. Archie e Annie, dopo avere onorato elegantemente la tavola, corsero nuovamente nella camera di Stear e lì rimasero fino a quando Stear non si addormentò. I due ragazzi erano felici, ma preoccupati per lo stato d’animo di Stear rimasto scosso dalla notizia del fidanzamento di Patty. Suor Maria e Suor Margareth sembrava si conoscessero da una vita e con la chitarra e un tamburello fecero il giro delle corsie per allietare i feriti di guerra. Miss Pony aveva capito che c’era qualcosa che turbava Candy e dopo tanta insistenza ottenne una risposta.

“E’ vero, Miss Pony, sono preoccupata, molto preoccupata per il mio lavoro. Ieri ho commesso un errore che avrebbe potuto essere fatale se non mi fossi accorta in tempo. Non riesco ad essere serena, non riesco a concentrarmi, ho troppi pensieri per la mente, sembra che tutti qui si siano scordati che siamo nel bel mezzo di una guerra e se la spassano a tarallucci e vino! Anche lei e Suor Maria, come avete potuto portare i bambini qui come se foste in gita??? Non lo so, Miss Pony, credo d’essere soltanto molto, molto stanca”.

Miss Pony guardava la sua bambina ormai donna come una mamma guarderebbe una figlia. Avrebbe voluto toglierle tutti i pensieri rimasti impigliati nei sui ricci e con un soffio spedirli via come si fa con i baci.
“Candy sono così orgogliosa di te. Guarda cosa sei diventata e sii orgogliosa pure tu della donna che sei. Non devi preoccuparti più del necessario. Tu hai già il tuo lavoro a cui pensare fattelo bastare e rilassati. Questa esperienza influenzerà positivamente le loro vite. Tu sei sempre stata un modello per loro, un punto di riferimento, non puoi neanche immaginare quanto sia educativa questa esperienza per quei bambini, per la loro crescita, per la loro vita, per i loro sogni. Vederti a lavoro con le tue responsabilità, con i tuoi doveri, con i tuoi valori è una cosa che non ha prezzo. E noi e loro non ti ringrazieremo mai abbastanza per tutto questo. E anche se, malauguratamente dovessimo perdere qualcuno durante questa esperienza, ne sarà comunque valsa la pena.”
“Miss Pony!” Disse Candy Allarmata!
“Sto scherzando”. La rassicurò prontamente la donna ridendo. “Rasserena il tuo cuore Candy, qui l’unico rischio che possiamo correre è di tornare in America migliori di quando siamo partiti”.

Le parole di Miss Pony erano coccole e baci e carezze per la sua anima. Adesso sì che poteva riprendere serenamente a lavorare con l’energia e la concentrazione che le erano mancate negli ultimi tempi.

***

La luna era alta nel cielo. Tutti dormivano tranne Candy che volle fare una passeggiata notturna prima di andare a dormire con i nuovi propositi. Attese una determinata ora per fare una cosa che le stava a cuore da tempo e che l’avrebbe riconciliata con un suo passato troppo a lungo rimasto in sospeso. Andò nelle scuderie per fare pace con quella notte di tranelli e di inganni che le cambiò per sempre la vita.
Stava per entrare nella scuderia quando sentì forte l’allarme suonare. Dei nuovi feriti erano stati portati nella parte della scuola adibita a ospedale. Candy era a riposo per ordine del direttore in persona, ma era più forte di lei, non poteva restare con le mani in mano in un momento così difficile.
I feriti giunsero scortati e sorvegliati dalle forze militari. Si trattava di prigionieri. Ma di fronte a una vita che si spegne non c’è colore che tenga. Candy, senza fare domande, si mise subito a lavoro. La sua attenzione fu attirata da un soldato della scorta che piangeva su un ferito tedesco. “Non è necessario che tu resti qui.” Gli disse Candy con tono consolatorio. “Vai a bere un po’ d’acqua, mi occuperò io di lui”. “Non posso allontanarmi, sono stato io a sparargli, non me ne andrò da qui fino a quando non lo rivedrò rialzarsi sulle sue gambe!” Le spalle del ragazzo erano forti ma la sua voce era rotta dal pianto. Una voce dolce, gentile, familiare. Il sangue sulla sua testa lasciava intravedere a stento il colore biondo dei suoi capelli. “Ma se non ti alzi, di lì, io non potrò curarlo” Gli disse Candy mettendogli una mano sulla spalla. Il contatto con quella persona le suscitò una strana, fortissima, devastante sensazione fisica. Candy sentì scoppiare il cuore, il respiro le si congelò ai polmoni e una valanga di ricordi senza nome presero a scardinarle il cervello senza lasciare alla mente il tempo di capire, di realizzare, di fare associazioni. Il ragazzo si alzò in piedi come percosso da una scossa elettrica e, mostrando per la prima volta il suo viso a Candy, le chiese terrorizzato “Chi sei tu?”. Era passato troppo tempo perché il cervello rielaborasse velocemente le immagini archiviate durante tutti quegli anni… ma i corpi hanno una loro intelligenza, una loro memoria, una loro sensibilità e talvolta capiscono più velocemente di quanto riesca a fare la mente. La sua pelle infatti lo aveva riconosciuto sin dal primo istante, sin da quando Candy si sentì misteriosamente attratta da quella figura di spalle che piangeva. E prima ancora che la mente realizzasse cosa stesse accadendo, Candy si ritrovò inspiegabilmente col suo nome in bocca… “Anthony”!

Edited by sciara - 14/3/2016, 19:56
 
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view post Posted on 15/3/2016, 15:15     +1   -1
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Sciara: SPIAZZANTE! Uno Tsunami non avrebbe portato così scompiglio. Dopo tutte le sorprese trovate dietro a tutti quegli angoli, uno sfogo ci voleva proprio! Sì, ci voleva, eccheccacchio!!!! Certo che anche tu, con gli angoli, mica scherzi!!! barmy
Bene, sotto a chi tocca...
 
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view post Posted on 15/3/2016, 18:10     +1   -1
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Che sfogo candy!
Sempre più affollata la Saint paul school !
 
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luna71
view post Posted on 16/3/2016, 10:27     +1   -1




Ma che capitolo elettrico, la nostra Candy fuori dalle divine grazie ne ha per tutti i fanciulli che la intrigano ma la fanno soffrire.
Ottimo sfogo ma non sarà facile trovare la serenità desiderata in quel tumulto di emozioni,in un luogo tanto importante come la scuola e tanto affollato come non mai.
Solo Miss Pony e l'intero orfanotrofio ora ci mancava.
Complimenti Sciara, mi hai fatto ridere leggendo lo sfogo di Candy, battute su battute dallo scompisciarsi dalle risate.
 
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view post Posted on 18/3/2016, 11:37     +1   -1
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Carissime Gaia, Sanlu e Luna! Grazie per avere letto e commentato :giusy:

SIETE FANTASTICHE: pur essendo state molto diplomatiche, in maniera delicatissima, avete fatto trapelare una comprensibile mancanza di entusiasmo per questo capitolo e anche il pensiero che io abbia un tantino esagerato! ahahahahahaah VI LOVVO!!! emoji-E106 ahahahahahaah Beh, è quello che penso anche io! Credo di avere un tantino esagerato, ma un tantino TROPPO! E va bene lo sfogo contro Terence, va bene anche lo sfogo contro Albert, ma Suor Maria che suona il tamburello tra le corsie dei malati non si può tollerare... ahahahahaahhahah :D per non parlare del ritorno di Anthony! Ahahahahahaha... Siete grandiose perché, tra le righe, la vostra "preoccupazione" per queste scelte folli si evince.
Bene è giunto il momento della verità: questo capitolo ehm... ecco.... è uno scherzetto! Uno scherzetto che ho fatto alle mie colleghe del RR e che ho voluto riproporre anche qui... spero vi abbia fatto sorridere. E... perdonatemi se potete!!!
Baci a iosa per voi:
:love3.gif:
Comunque visto che avete apprezzato lo sfogo quello lo lascio! :ok2.gif: E adesso eccovi il capitolo VERO! :ok2.gif:



CAPITOLO SESTO (Quello VERO!)
di sciara




Aveva contato, uno dopo l’altro, tutti i passi che l’avevano condotta dall’uscio di casa all’ingresso della Royal St Paul School, la scuola che li aveva visti crescere. Ogni passo era un ricordo, ogni passo era una riflessione, ogni passo una domanda, una sensazione, un’aspettativa, un desiderio, un rimpianto.

Un estraneo avrebbe potuto giudicare freddo e distaccato il saluto senza parole che Patty aveva riservato a Candy, nonostante fosse passato molto tempo dall’ultima volta insieme. Patty la strinse forte, senza dire una parola, senza l’accenno di un sorriso. Ma Candy non aveva bisogno di parole per capire che in quell’abbraccio c’era tutto, per capire che Patty stava raccogliendo tutte le sue energie per prepararsi all’incontro che aveva mille volte sognato e mai osato sperare.

Da qualche tempo non lo sentiva né lontano né vicino e tuttavia si svegliava ancora col suo nome in bocca. Ricordava perfettamente la sua faccia, la sua voce, il suo sorriso, quel sorriso ormai lo aveva scolpito dentro al cuore. Ma la sua scala dei valori era improvvisamente impazzita e adesso non sapeva più che valore e che senso avesse ricordare.

Davanti alla porta che la separava da lui, Patty esitò. Forse era ansia, forse eccitazione, forse gioia, forse rabbia, forse era semplicemente paura. Paura! Era strano per Patty associare Stear a questo sentimento, eppure Patty aveva paura. Per l’ennesima volta Stear metteva a soqquadro la sua vita. Aveva imparato da poco ad affrontare a testa alta la sua disperazione, a lottare contro il disfattismo che aveva pilotato ogni suo pensiero, a cercare un modo diverso di vivere la vita, a dare un colore all’abisso nero dal quale era lentamente e dolorosamente riemersa. Quando il mondo ti crolla addosso non c’è luogo né pensiero né parola né azione che possa attutirne l’impatto. Solo il tempo può insegnare, non a dimenticare, non a rassegnarsi e forse nemmeno ad accettare, ma a rimettersi in piedi, ritrovare un equilibrio e riprendere, piano piano, a respirare, guardare avanti e camminare. Ma il tempo da solo non basta! Non serve a niente se lo si spreca a piangersi addosso, a crogiolarsi nel dolore. Occorre uno sforzo. Occorre impegno, fatica, lavoro, volontà. Occorre assumersi la responsabilità della propria vita, del proprio destino. Questo era il traguardo che Patty, la timida ed esitante Patty, era miracolosamente, nonostante tutto, riuscita, poco alla volta, a guadagnarsi.

Aveva conosciuto James una mattina d’inverno. La lezione di letteratura quel giorno cominciava in ritardo a causa del cattivo tempo che aveva impedito al professore di arrivare in orario. Se la neve non avesse scoraggiato un gran numero di studenti a presentarsi al corso, forse James non si sarebbe mai accorto di lei. Non perché il suo aspetto non meritasse attenzione, ma perché Patty aveva la straordinaria capacità di mimetizzarsi in mezzo agli altri e passare inosservata. Il numero degli studenti del Prof. Gunther quel giorno non superava la decina e Patty, per la prima volta, senza la naturale barriera di protezione che spontaneamente e inconsapevolmente le offriva la folla, fu costretta a rapportarsi agli altri.

Stanco degli atteggiamenti delle sue disinvolte colleghe interessate a lui un po’ per la gradevole prestanza fisica, un po’ meno per la posizione sociale della sua famiglia e molto per la promettente carriera, James fu invece attratto dall’impacciato portamento di Patty nel suo tentativo fallimentare di ottenere informazioni sull’orario di inizio della lezione. C’era qualcosa in quella delicata e gentile riservatezza, in quella “aggraziata goffaggine” che gli suscitava una serena allegria e un innato senso di protezione che… “Ehm, signor Hampton – interruppe i suoi pensieri il prof. Gunther – sarebbe così cortese da leggere il sonetto di Shakespeare alla pagina 238? Ho dimenticato gli occhiali a casa”. “Volentieri”, rispose svelto James avvicinandosi al leggio accanto al professore.

“Non piangere per me quando mi saprai morto”



A quelle parole Patty trasalì e cominciò a fissare James come se fosse il portatore di un messaggio.

“non oltre il suono tetro della campana lugubre
che dà notizia al mondo che io sono fuggito
dalla sua codardia per vivere coi vermi.”



James sentiva gli occhi della ragazza incollati ai suoi e non poteva fare a meno di ricambiarli. Era la prima volta che i loro sguardi si incrociavano. Cambiò il tono della lettura come se leggesse quei versi per lei… solo per lei.

“Anzi, se leggerai queste righe, dimentica
la mano che le ha scritte: io t'amo così tanto
che vorrei scomparire dalla tua cara mente
se il pensiero di me può portarti dolore.”



“E’ la tua assenza, non il pensiero di te, a portarmi dolore, mio amato e adorato Stear…” Sussurrò Patty a labbra strette per trattenere in bocca quella insostituibile sensazione che le procurava pronunciare il suo nome.

Oh se mai tu posassi gli occhi su questi versi
quando forse sarò già sfatto nella terra,
ti prego non chiamare il mio povero nome
ma lascia che il tuo amore con la mia vita muoia.



“Non chiedermi questo, Stear, non posso cancellarti.” Nonostante tutto il tempo trascorso, Patty non aveva ancora elaborato il lutto. Viveva sospesa in un limbo di silenzio e costernazione dove l’unica attesa era la morte. Sguazzava nella sofferenza come se solo questa le desse il diritto di respirare, di esistere. Il dolore era il suo conforto, il suo rifugio e Patty si prendeva cura di lui, lo accudiva, lo nutriva, lo difendeva da tutti, sopra ogni cosa. Superarlo sarebbe stato imperdonabile, offensivo come sputare sulla tomba del suo amato. Il dolore era l’ancora per restargli attaccata, per restargli fedele per sempre. Lasciarlo andare era perdere Stear un’altra volta. Anche riprendere gli studi per lei non aveva avuto alcun valore. Era il contentino per mettere a tacere la sua coscienza e tappare la bocca a chi osava ricordarle costantemente che la vita va vissuta, non mortificata. Un’altra maschera per distrarre chi la esortava a rialzarsi e lottare. Ma questa volta era il suo Stear che le stava chiedendo di andare avanti. Le lacrime rigavano il volto di Patty bruciando tutto quello che incontravano, non avevano mai fatto così male… eppure tante volte l’avevano abitata. Morire dentro è doloroso, ma per rinascere ci vuole tanto, troppo coraggio! È facile, vivere accusando il destino delle proprie miserie; troppo comodo vivere senza scegliere, senza sbagliare, senza cadere, senza sporcarsi. Questo Patty aveva capito in quell’istante. Questa era la sfida che Patty, per la prima volta, dopo la morte di Stear, era pronta ad affrontare. “Non chiedermi quello che non posso mantenere. Io non ti dimenticherò mai, Stear, ma ti prometto che riprenderò a camminare… tu, però, dammi la mano, amore mio, accompagnami, fai un altro pezzo di strada assieme me. Addio mio dolce e infelice amore. Mai volerò nel bosco caldo dei tuoi occhi, mai più danzerò nelle giostre briose del tuo sorriso… ma quegli occhi e quel sorriso io li canterò per sempre.”

James non la conosceva, non l’aveva mai vista, non aveva idea di chi fosse né da dove venisse, sapeva solo che mai, da quando era al mondo, s’era sentito attraversato e riempito d’Amore come in quella mattina d’inverno.

Da quel giorno erano trascorsi pochi mesi durante i quali James si era adoperato molto per aiutare Patty ad abbandonare la zattera dell’apatia e della depressione, come la volta in cui si presentò a mezzanotte sotto la sua finestra, a cantare le canzoni di Elizabeth Bessie Smith imitandone grottescamente la voce. Patty si stupiva a scoprirsi agitata quando sentiva la sua automobile arrivare. Si meravigliava a ritrovarsi a farsi bella per un altro. E la cosa che la sbalordiva di più era sorprendersi a parlare con Stear di questi nuovi palpiti, chiedendogli consigli su cosa indossare, cosa dire, come comportarsi. Lo avrebbe già baciato da tempo se il suo vissuto non le avesse suggerito di non incoraggiare l’inequivocabile interesse che James nutriva nei suoi confronti. Patty voleva essere certa dei propri sentimenti. Non desiderava un rapporto malato. Non voleva che James diventasse un altro rifugio, un nuovo rimedio, un’altra ancora, una nuova maschera. La dipendenza non è amore, è dipendenza. E l’unico modo per essere certa che il suo fosse amore e non bisogno era imparare per prima cosa a stare bene da sola perché per amare un altro come se stessi bisogna prima imparare ad amare se stessi. Ma quella di Patty non era una ricerca affannosa, timorosa e irrequieta… Patty era, per la prima volta, dopo tanto tempo, rilassata, serena, paziente… a tratti anche felice. Rinascere costa certamente fatica, ma una volta che torni al mondo l’unica cosa che ti chiedi è perché hai atteso così tanto.

Adesso Patty era di fronte a quella porta, le mancavano gli ultimi passi per raggiungere l’uomo per il quale i suoi occhi non avevano mai del tutto smesso di piangere. Aveva la sensazione di ripiombare indietro nel tempo. Le immagini della sua storia con Stear le passavano davanti come un film a ritroso: l’angosciante lutto, il funerale, la notizia della sua morte, le sue lettere, il giorno della sua partenza, tutti i tentativi fatti per convincerlo a non arruolarsi, il giorno in cui le comunicò il suo desiderio di partire per la guerra. Era come se qualcuno le riaprisse a forza le cicatrici e ci buttasse sopra la calce viva.

“Non posso, non ce la faccio”, Patty si voltò indietro e si allontanò correndo veloce. Ma le immagini della loro storia insieme continuavano a scorrere senza fermarsi: il giorno in cui Patty lo riabbracciò in America, l’addio alla R. S. P. School, le lettere, gli appuntamenti segreti, l’estate in Scozia, le passeggiate sul lago… E mentre le immagini scorrevano riempiendola di palpiti, Patty rallentava sempre di più la sua corsa: le risate, le sue folli invenzioni, la festa di maggio, il primo ballo insieme, il primo incontro… Patty puntò i piedi a terra e si fermò “Che sciocca sono!” Invertì la marcia e riprese a correre più veloce di prima. “Come ho potuto lasciare che la paura guidasse il mio cuore? Come ho potuto credere, anche solo per un istante, di poter respirare ancora senza di lui, sapendolo qui, vivo?” Spalancò la porta senza nemmeno bussare ed entrò nella stanza. Stear era lì e pur a fatica si alzò in piedi. Patty aveva perso il conto di tutte le lacrime versate, di tutte le ferite nella sua anima, di tutte le toppe al cuore, di tutti i momenti in cui aveva solo desiderato morire, di tutti i passi fatti fino all’uscio di quella porta. Non credeva ai suoi occhi, dopo tanto tempo la vita glielo aveva restituito, un po’ malconcio e ammaccato, ma sano e salvo. Sì, Stear era vivo, era vivo, era vivo! Ed era lì, a un passo da lei, l’ultimo per sfiorarlo.

La gioia trova tanti modi e tante strade per manifestarsi, in Patty e Stear aveva voluto esprimersi attraverso il silenzio e l’immobilità. Tutti i nodi ingoiati erano risaliti alla gola e lì fermentavano impedendo al respiro d’essere regolare e costante e rendendo le lacrime così cariche di emozioni da sembrare quasi solide. Gli occhi di entrambi lottarono faticosamente per affrancarsi da quelle lacrime. Ogni lacrima era un macigno che si portava via zavorre d’angoscia, ogni lacrima giù dagli occhi era una faticosa e sofferta conquista. Come se tutti i patimenti vissuti non fossero stati abbastanza! Come se quei due avessero ancora qualcosa da doversi meritare! Patty era sul punto di svenire ma non avrebbe permesso a niente e nessuno di interrompere quel momento. Nemmeno a se stessa. Prese coraggio e sfidando il suo precario equilibrio fece quell’ultimo passo verso di lui. Adesso bastava davvero poco per sfiorarsi e quando i due furono tanto vicini da respirare l’uno il fiato dell’altro, Patty realizzò! Concentrò tutto il dolore patito, tutte le lacrime versate, tutta l’ansia sofferta, tutti i nodi ingoiati, tutti i passi fatti in un unico gesto che sorprese lei più di quanto non sorprese Stear. Gli mollò uno schiaffo con tutta la forza che aveva in corpo!

“Perché sei partito? E perché lo hai fatto senza dirmi niente? Perché mi ha abbandonata?” – Patty vomitava parole gridando, senza prendere fiato, colpendo a pugni stretti e a occhi chiusi il petto di Stear, per non rischiare che quella voce troppo amata e troppo spasimata potesse placare la rabbia che sentiva ribollire dalle ossa all’anima. “Perché mi hai lasciato credere d’essere morto? Come hai potuto farmi questo? Come? E perché sei qui adesso? Cosa vuoi da me? Chi ti credi di essere per mandare a monte ancora una volta la mia vita? Cosa ti aspettavi? Che ti venissi incontro gettandoti le braccia la collo? Scordatelo! Io ti odio, ti odio, ti odio“.
“Patty - disse Stear, senza difendersi dai pugni e con le lacrime che gli brillavano negli occhi e gli spezzavano la voce -
Io t'amo così tanto che vorrei scomparire dalla tua cara mente se il pensiero di me può portarti dolore. Io t'amo così tanto che vorrei scomparire dalla tua cara mente se il pensiero di me può portarti dolore. Io t'amo così tanto che vorrei scomparire dalla tua cara mente se il pensiero di me può portarti dolore.”
Stear continuò a ripetere come un mantra le parole di Shakespeare… Patty perse il conto pure di questo. Sciolse i pugni, allentò braccia e cuore e si arrese alla delicata e sensuale stretta di Stear più per la spossatezza che per desiderio. O almeno questo era quello che voleva fortemente credere. Doveva essere per forza così altrimenti cosa ne sarebbe stato di lei? Cosa ne sarebbe stato di James? Era davvero disposta a rivoluzionare per l’ennesima volta la sua vita per lui? A rimettere in discussione il ritrovato equilibrio? E perché avrebbe dovuto farlo? Lei lo odiava adesso! Ma allora perché, perché non c’era altro luogo al mondo dove voleva stare se non lì, tra le sue braccia, in balìa delle sue mani, a respirare nuovamente la pelle che più l’appagava, a sfiorare l’anima che più la dissetava… “Io ti odio, Stear - gli sussurrò teneramente guardandolo negli occhi in un modo così dolce, così amorevole, così benevolo che lo fece fremere tutto - ti odio. Non ti permetterò più di farmi del male. Io… io… ti odio”. Mentre la sua voce diceva una cosa, il suo corpo, la sua anima, il suo cuore ne faceva un'altra e ricambiò il suo abbraccio.

***



La seconda collina di Pony era l’unico luogo che avrebbe potuto restituirle un po’ di quiete, il riparo perfetto per cercare di riordinare le idee e le emozioni. Seduta con i piedi penzoloni sul ramo più accogliente del maestoso amico, Candy era ancora scossa per l’incidente occorso in corsia durante la notte. Una distrazione che avrebbe potuto avere conseguenze gravissime se non si fosse accorta in tempo che stava per somministrare a un soldato un farmaco sbagliato. Fortunatamente il dott. Cox conosceva molto bene la preparazione e la diligenza di Candy e, imputando l’accaduto alla stanchezza, le consigliò di prendersi 48 ore di pausa. “Forse non sono stato chiaro, il mio non è un consiglio, ma un ordine. Lei lavora troppo, sig.na Candy. Apprezzo la sua abnegazione, mi creda, ma le ricordo che anche il riposo è un suo dovere! La stanchezza può giocare brutti scherzi alla concentrazione e nel nostro lavoro una distrazione può essere fatale, quindi non discuta e si riposi. In queste condizioni non è utile a nessuno!”

In effetti Candy era davvero provata. Da quando era arrivata a Londra, aveva lavorato senza mai risparmiarsi. Sul suo visetto sciupato i suoi occhioni e le sue lentiggini sembravano ancora più grandi e la sua divisa avrebbe potuto ospitarla mezza volta in più. Ma non era la stanchezza fisica che impensieriva Candy, in fondo era abituata a lavorare duramente sin dalla casa di Pony dove, ancora bambina, faceva da mamma a bambini poco più piccoli di lei. In realtà era la stanchezza mentale che Candy cominciava a soffrire seriamente.

Le ultime settimane erano state sconvolte da eventi eccessivamente stupefacenti e conturbanti. I suoi pensieri avevano il numero e la forma dei suoi capelli: tanti e ricci e le sue lentiggini, se avessero trovato un modo, si sarebbero trasferite volentieri su guance più distese e meno soggette a sbalzi termici.
Non aveva ancora avuto il tempo di metabolizzare l’inaspettato incontro con Terence e Susanna insieme che subito si era ritrovata a dover fare i conti con i baci di lui, l’arrivo del duca di Granchester, la promessa di Terence, la sua partenza in Scozia, il tentativo di violenza di Neal, il salvataggio di Albert, la sua dichiarazione, i suoi baci, il ritorno di Stear, l’arrivo imminente di Patty! Troppa roba in troppo poco tempo! Ma tutto questo non era sufficiente per giustificare la sua imperdonabile negligenza a lavoro. Miss Pony glielo diceva che non si può mai sapere cosa c’è dietro l’angolo. Aveva vissuto da sempre con questa aspettativa nel cuore, ma mai avrebbe potuto credere che ci fossero così tanti angoli lungo le strade della vita. Adesso l’unico desiderio era vivere in un luogo senza incroci, in una retta infinita che la portasse dritta a destinazione senza più angoli da scoprire, senza più scelte da fare, senza più responsabilità da assumersi. Il suo cuore era un campo di battaglia, le emozioni si sfidavano a duello, i ricordi divenivano sospiri e a pagarne le spese erano le povere lentiggini ustionate dalle ricorrenti vampate di calore che sbottavano sulle sue gote. Quanto rimpiangevano i tempi in cui l’unica preoccupazione era scansare le briciole dei biscotti di Suor Maria! Ma i pensieri quando arrivano non sono mai soli e infatti, anche questa volta, giunsero in compagnia di una cricca di “amici” esigenti, austeri e invadenti. I sensi di colpa… per non avere detto ad Albert dei baci di Terence, a Terence dei baci di Albert, per avere infranto una promessa non pronunciata a parole ma ugualmente sacra al suo cuore, per non essere stata in grado di tenere a bada le sue tensioni a lavoro e davanti a Stear. Avrebbe voluto riservare al suo amico ritrovato tutte le sue attenzioni e le sue energie e invece era stato lui, ancora una volta, a doverle prestare soccorso, spalla e orecchio. L’aveva ascoltata senza interrompere, senza giudicare, senza esprimere opinioni per un intero giorno, durante le brevi pause in cui Candy poteva allontanarsi dalla corsia, ma a fine giornata non riuscì a fare a meno di commentare: “Se avessi saputo cosa mi sarebbe aspettato non avrei mai chiesto a Luc di portarmi alla R. Saint Paul’s School!”. La fragorosa risata di Candy rasserenò per un istante le sue lentiggini che già da qualche giorno meditavano la fuga. “In tutta questa storia – continuò Stear - l’unico da cui si pretende l’onore è il povero Terence”! Questa battuta non sortì su Candy lo stesso effetto della prima, la risata le si spezzò tra i denti e le labbra vi si incollarono sopra donando alla sua bocca un così orripilante sorriso che perfino il principe della collina l’avrebbe implorata in ginocchio di continuare a piangere. Ma Stear, fortunatamente senza occhiali, pur intravedendo dei dentoni bianchi scoperti non si rese conto a quale terribile visione era scampato. L’unica cosa che intuì fu d’essere rimasto da solo a ridere. Si schiarì la voce e riprese: “Capisco la tua confusione, Candy, ma se segui il tuo cuore, difficilmente potrai sbagliare.” Le labbra di Candy si ammorbidirono e staccandosi dai denti abbandonarono la posizione inquietante che avevano assunto. “E se il mio cuore volesse portarmi dove non è possibile andare?”. Domandò scoraggiata la ragazza. “Se anche avessi la certezza di non poter avere quello che desideri – rispose Stear – non è andando nell’altra direzione che farai la cosa giusta o che troverai la felicità. Non mettere Terence e Albert sulla bilancia, non stai valutando se andare a vivere a Londra o a New York! Non è la strada più percorribile o la più certa o la più conveniente che devi scegliere, devi solo capire cosa desideri veramente.” “Io non vorrei che qualcuno soffrisse a causa mia.” Replicò prontamente Candy. “Non puoi avere tutto sotto controllo. Accetta che ci sono cose che non dipendono da te, lasciale andare dove devono andare. Ognuno ha la sua strada da percorre, le sue lezioni da imparare con i propri successi e i propri fallimenti, non puoi impedirlo, non sarebbe corretto.” Candy assorbiva le parole di Stear come le foglie di notte la rugiada. “Prenditi il tempo che ti serve, Candy, non avere nessuna fretta. E se non vuoi alimentare false speranze o cadere ulteriormente in confusione, evita incontri ravvicinati con entrambi. I baci nel disordine generano altro disordine. E poi non cercare di accontentare tutti altrimenti potrei decidere di mettermi in coda e aspettare anch’io il mio turno!”. Candy scoppiò ancora a ridere fragorosamente. Le lentiggini, assolutamente prive di senso dell’humor, nell’incertezza, onde evitare altro stress, ripresero a fare le valigie.

Candy se ne stava lì, raccolta su quel ramo della seconda collina di Pony, a cercare inutilmente di schiacciare via i pensieri che la rendevano inquieta. “Devo darmi una calmata! Non posso permettere che le mie preoccupazioni rubino lucidità al mio lavoro. Sono arrabbiata, arrabbiata, arrabbiata. Tutta colpa di Terence, avrei dovuto schiaffeggiarlo invece di ricambiare i suoi baci e altrettanto avrei dovuto fare con Albert. Hanno pensato solo a loro stessi. Non si sono minimamente preoccupati per me e di quanto sia delicato il mio lavoro. Non siamo in vacanza, siamo in guerra e io sono una crocerossina! Ho bisogno di calma, di ordine mentale, non di altre tensioni.” Candy si sorprese per la severità esternata ad alta voce nei confronti di Terence e Albert, ma, sentendo il suo cuore alleggerirsi, intuì che sarebbe stato più salutare dare libero sfogo a tutta sua rabbia invece di reprimerla e, saltellando acrobaticamente da un ramo all’altro, continuò il suo terapeutico psicodramma urlato al cielo e ai suoi interlocutori virtuali.

“Innanzitutto dirò al dott. Cox di trovarsi un’altra assistente per l’intervento di Susanna. Non posso occuparmene io, sono troppo emotivamente coinvolta. E poi perché dovrei aiutarla? Non ne vedo la ragione! Ha nascosto le mie lettere! Mi ha mentito, ingannato, ci ha provato con il mio uomo e alla fine se l’è pure preso! Cosa vuole ancora da me? Devo rimetterle a posto io la gamba per poi spassarsela con il mio uomo??? Se mai dovessi metterle le mani addosso, lo farò solo per spaccarle la faccia. Ah! L’ho detto! Che liberazione! E poi ricorderò a Terence che ci vorrà tanto tempo perché Susanna si ristabilizzi. Non è che metti una protesi e cominci immediatamente a giocare a saltarello sui prati! Susanna avrà ancora più bisogno di lui durante tutto il periodo della riabilitazione quindi, sono spiacente Terence, ma dovrai prenderti cura di lei ancora per tanti, tantissimi anni, forse per sempre! Non che me ne importi un fico secco, per quanto mi riguarda potresti benissimo gettarla in mare con una pietra al collo e poi allontanarti facendo l’indifferente e fischiettando allegramente “Annie Laurie”, ma almeno avrei una scusa per sbarazzarmi definitivamente di te! Sempre tetro, sempre cupo, sempre musone, sempre arrabbiato col mondo intero. Ma che ti ha fatto il mondo? Ti farei vivere in una stalla con i cavalli e servire Irisa e quel viscido di suo fratello per un paio di anni e poi vediamo se non arrivi a rimpiangere la tua “povera”, “triste” e “sfortunata vita da duca”! Ma fammi il piacere, viziato! Facile fare il "bullo nobile d'animo" che infrange le regole e risponde male ai suoi superiori, quando poi sai che arriva paparino con i suoi soldi a saldare il conto. E poi come ti sei permesso di rapirmi e baciarmi senza assicurarti se io ti amassi ancora, senza informarti se il mio cuore fosse ancora libero per te o se nel frattempo non avessi fatto, che ne so, un voto di castità! Sì, mio caro Terence, non te l’ho detto perché tu non mi hai dato il tempo di aprire bocca che ci hai subito infilato la lingua, ma io preferirei farmi suora, suora, SUORA, piuttosto che tornare con te! E’ assurdo, pazzesco! Prima parte lasciandomi in questa scuola, in balia dei fratelli Legan, in un’atmosfera da incubo. E la cosa assurda è che voleva farla passare come una decisione dolorosa, un sacrificio fatto solo per amore mio, per salvare me! Ma che razza di sacrificio sarebbe lasciare la scuola per andare a fare teatro? E mi scrive una insignificante letterina con a stento due misere parole. Che gran pezzo di tirchio, si è sprecato! Poi riappare magicamente, come se nulla fosse successo, ma dopo poco mi lascia ancora, solo perché una cretina ha avuto la bellissima idea di perdere un arto per salvargli la vita! E adesso cosa pretendi da me? Eh? Ma che ti pare che io sia a tua disposizione in base alle tue esigenze e ai tuoi cambiamenti di umore e al tuo intermittente senso dell’onore… che oggi c’è, domani boh, forse, non lo so!

E quell’altro Albert, il mio caro, dolce amico, fratello, zio, padre, Albert! Ma che cavolo! Dammelo il tempo di realizzare chi sei prima di tirare fuori un nuovo personaggio dal cilindro! Facile fare il vagabondo affascinante che vive di espedienti, quando hai le spalle coperte dai soldi degli Andrew, eccola spiegata tutta la tua serenità, eccoli spiegati i Ray-ban, avrei dovuto capirlo! Ma non ti bastava avermi preso in giro tutta la vita facendomi credere di essere quello che non sei e di non essere quello che in realtà sei, giocando a fare il misterioso che capiva tutto senza bisogno che io parlassi. Ma che bravo! E io, imbecille, che ho creduto a tutte le tue bugie! Credevo che fossimo per davvero uniti da un filo invisibile e che ci fosse tra noi una sorta di magica telepatia che ti avvertiva ogni volta che ero in pericolo e che ti faceva sbucare fuori dagli alberi, guarda caso, tutte le volte che ero in lacrime. Facile risultare affascinanti quando fai credere di saper leggere nel pensiero, quando fai credere che tutto sia così straordinariamente casuale! E invece non c’era niente di casuale! Tutto squallidamente programmato, tutto tristemente calcolato, tutto dannatamente premeditato. Nessuna magica telepatia, soltanto le soffiate di un vecchio guardone di nome George che veniva a riferirti ogni mio pensiero, ogni mia mossa! Che associazione a delinquere, dovrebbero arrestarvi entrambi, chissà quante risate vi sarete fatti alle mie spalle, bugiardi! Io vi odio! Amico, vagabondo, zio, padre, principe… non gli bastavano questi ruoli, no! Adesso si propone pure come amante! E ha perfino il coraggio di tranquillizzarmi! Ho una confusione in testa che non distinguo un bullone da una brugola e lui mi bacia. Ma ti sei mai chiesto se avevo tutta questa voglia di rivoluzionare nuovamente il mio rapporto con te? Se mi interessi? Se mi piaci? Come hai potuto baciarmi quando mi avevi da poco confessato di essere mio padre adottivo??? Ma come ti permetti? Come hai osato? A che gioco stiamo giocando? O anche tu pensi di poter disporre di me come meglio credi? Che io debba essere sempre a tua completa disposizione, immediatamente pronta nel ruolo che tu mi imponi, in base al tuo umore o al tuo personaggio del momento? A proposito, come cavolo dovrei chiamarti io? Principe della collina? Albert? Signor William? Zio? Papà, Amore, come??? Ti ricordo che sono un’infermiera, non una psichiatra, se sei schizofrenico, gioia, io non posso aiutarti! E poi non capisco, era proprio necessario farmi rapire per adottarmi? Non potevi adottarmi in maniera più normale, più classica invece di crearmi dei traumi infantili gravissimi e che ancora oggi rivivo negli incubi notturni? Ma ti rendi conto di cosa hai fatto diventare la mia vita? Una persona più fragile, al mio posto, come minimo, si sarebbe drogata o suicidata. Ma con tutti i soldi che hai, cosa ti costava chiedere il parere di un pedagogista? Pezzo di tirchio, miserabile!!! Ma possibile che io attiri solo uomini con le braccine corte??? In tutta questa storia l'unica autentica sono io!”.

Liberare la sua collera, esasperandola, l’aiutò a sdrammatizzare la situazione, a guardare con la giusta distanza emotiva le sue preoccupazioni e anche a togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Cominciò a ridere a crepapelle di se stessa e della sua inusuale intransigenza sciogliendo finalmente le tensioni accumulate in quei giorni e cadendo sgraziatamente dal ramo sul quale era appollaiata.

“Ha ragione Stear – disse toccandosi la parte dolorante del fondo schiena - non devo scegliere tra Terence e Albert devo solo occuparmi della mia serenità”. Mentre affidava le sue parole al vento, Candy era visibilmente più rilassata tanto che le sue lentiggini, per festeggiare, si accesero un sigaro. Adesso sapeva cosa doveva fare. Avrebbe scritto a entrambi chiedendo a tutt’e due di rispettare il suo bisogno di quiete e di lasciarla lavorare serena senza ulteriori ansie. Loro, era certa, avrebbero capito.

Si sdraiò sulla sua seconda collina di Pony stirando le braccia al cielo come se avesse finalmente riposato davvero dopo giorni e giorni d’insonnia.

L’alba stava per giungere sulla seconda collina di Pony pennellando democraticamente esseri viventi, minerali e cose. E mentre Candy fantasticava sull’arrivo ormai imminente di Patty e meditava su come avrebbe potuto trascorrere i suoi due giorni di riposo prescritti dal dott. Cox si addormentò con gli unici baci che non le avrebbero causato turbamenti… quelli del sole.

Edited by sciara - 18/3/2016, 11:52
 
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