Candy Candy

"Incontro nel vortice" di Alys Avalos, Traduzione della più famosa fanfiction di Candy in lingua spagnola

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cristina.fly
view post Posted on 1/8/2008, 10:07     +1   -1




Ciao a tutti... Domani parto per le vacanze, ma prima volevo regalarvi un altro stralcio della nostra storia. Stiamo per entrare nel vivo... :tella:


:rose rosa: ...segue
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Tra i nuovi pazienti arrivati in quei giorni dal fronte occidentale c’era un ragazzo, ancora quasi adolescente, ferito ad una gamba da una raffica di mitragliatrice, una nuova terribile arma utilizzata dai nemici. Sebbene la ferita fosse seria, Candy riteneva che la terapia dell’irrigazione sarebbe stato un valido aiuto per cercare di salvare l’arto del giovane. Ma l’idea di Candy fu subito ostacolata.

Il trattamento era totalmente sconosciuto dai medici francesi, i quali preferivano amputare un arto piuttosto che correre il rischio che il paziente sviluppasse una cancrena, infermità molto temuta a quei tempi. Candy era consapevole del rischio, ma tanto forte era la sua convinzione che non poté restarsene zitta, quando si rese conto che l’amputazione era imminente.


- Per favore, dottor Duvall – lo aveva pregato lei –me ne assumerò io la responsabilità. So che la gamba del ragazzo è ancora in condizioni tali per essere trattata con irrigazione, la terapia di cui le ho già parlato.

- Petite lapine, - esordì Duvall con insolita serietà – Non credo sia una buona idea quella di rischiare la vita del ragazzo per provare a salvare la sua gamba. Che succederebbe se il trattamento non funzionasse, nelle attuali condizioni, e comparisse la cancrena? Potremmo perdere il paziente. -

- Sono sicura che guarirà, - continuò Candy fermamente convinta- Se non corriamo il rischio, il paziente sarà un invalido per il resto della sua vita… Ci rifletta, il ragazzo è il figlio di un fattore. Come si guadagnerà da vivere se non potrà lavorare nei campi?

- Il ragazzo starà bene- rispose Duvall leggermente irritato per l’ insistenza della ragazza. -

- Ora basta!- disse Flanny che aveva assistito alla conversazione –Non imparerai mai, non è così? Non capisci quel è il tuo posto come infermiera, Andrew? Non ti è permesso diagnosticare nessun tipo di terapia. Come ti permetti?- concluse la bruna irritata.

- Mi permetto perché so quanto sarebbe difficile per questo paziente sopportare il fatto di perdere una delle sue gambe!- replicò Candy perdendo il controllo davanti a Flanny per la prima volta dopo mesi – Dopo l’amputazione tu semplicemente continuerai la tua vita, Flanny; forse durante la sua permeanza qui egli avrà un po’ della tua compassione, ma quando uscirà dall’ospedale dovrà affrontare la dura realtà e tu non sarai lì per aiutarlo, Flanny!- esclamò Candy con veemenza.

- Questo sentimentalismo da quattro soldi e un lusso che non ci possiamo permettere. – rispose Flanny con uno sguardo gelido –È per questo che io sarò sempre contraria alla tua presenza qui. Non sei adatta per questo lavoro, Candy. Resterai sempre una ricca ragazzina viziata che gioca a fare l’infermiera!-

- La discussione è finita, - disse Duvall interrompendo Flanny, prima che potesse andare oltre e, in tono calmo ma deciso, aggiunse: - Candy, eseguiremo questa amputazione e non voglio sentire altri commenti sulla questione. Ora entra lì in sala operatoria e prepara tutto per l’intervento. –


Candy riconobbe la determinazione negli occhi e nella voce di Duvall. Era il chiaro segnale che ancora una volta aveva perso l’occasione di salvare un uomo da una tragedia personale. Un espressione di vittoria illuminò il volto di Flanny, quando vide la sua collega abbassare il capo in segno di sconfitta. Candy, rendendosi conto che non c’erano altre soluzioni, iniziò a preparare i ferri chirurgici.

Dopo tre terribili ore l’intervento chirurgico si era concluso con successo, ma il cuore di Candy era spezzato. L’impotenza e la disperazione le invadevano l’anima. Candy pensò al suo vecchio amico Tom, anche lui proprietario di una fattoria. La ragazza era perfettamente cosciente della tragedia che può significare perdere un arto per chi lavora con le proprie braccia.

Quando il paziente fu portato via e nell’insanguinata sala operatoria rimase solo Candy, assegnata alla pulizia della stessa, la giovane scoppiò in un lacrime. Bonnot, informato circa l’accaduto, grazie a Julienne arrivò in quel preciso istante, per scoprire che la ragazza di cui era innamorato piangeva in silenzio.


- Candy!- esclamò egli sorpreso, mentre apriva le sue braccia per consolare la giovane.

Candy, senza più forze né parole, si gettò tra le braccia invitanti del giovane medico, dove pianse liberamente tutta la sua frustrazione.

Passarono alcuni istanti prima che la realtà del momento si materializzasse nella mente di Yves. Quando infine egli intese ciò che stava accadendo, percepì un dolce calore dentro al suo cuore, mentre le sue braccia si stringevano attorno alla donna che amava.


- C’est bien, c’est bien ma chérie - sussurrò lui, incapace, in un momento tanto intimo, di esprimersi in una lingua diversa dalla propria.

Lei è tra le mie braccia!” pensò egli incredulo”Ho aspettato un momento come questo per così tanti mesi, che ora a stento riesco a crederci. Se tutto questo è un sogno, non voglio svegliarmi”.


Candy continuò a piangere silenziosamente sul camice di Yves ancora per un po’ , mentre la tenera premura di lui cancellava la sua pena. Per un attimo ella pensò ad Albert, quasi ritrovasse a stessa calda protezione che il suo amico e tutore sempre le aveva offerto. Tuttavia, man mano che recuperava il suo auto controllo, la pervase una sensazione di imbarazzo. Candy si rese conto di sentirsi a disagio in tale atteggiamento e, comprendendo quanto fosse compromettente, cercò lentamente di separarsi dalle braccia di Yves. Ma a quel punto, con un gesto incredibilmente temerario per la sua abituale indole, l’uomo provò a opporsi alle intenzioni della giovane, prendendole il viso tra le mani e tenendola dolcemente tanto vicina a sé che la ragazza poté sentire il respiro di lui sulla sua pelle.


- Hai degli occhi nella cui profondità annegherei felice, Candy. Le lacrime non dovrebbero mai annebbiarne la luce. – Mormorò egli mentre inclinava il capo per ottenere quello che avrebbe potuto essere un bacio appassionato sulle labbra della ragazza, se lei non avesse reagito ripidamente.

- Che cosa stai facendo, Yves? –Gridò lei sottraendosi con tutte le sue forze a quell’abbraccio e portandosi una mano sulle labbra con un gesto istintivo. –Non farlo mai più! – Esclamò lei con veemenza.


Il ragazzo divenne rosso per l’imbarazzo non sapendo cosa dire per scusarsi.

- Ca . . . Candy- balbettò lui- Mi dispiace, io non…non so cosa mi sia successo… per favore…-


Candy era troppo turbata dall’accaduto per rendersi conto di quanto doloroso fosse per Yves il suo tono di rifiuto. Un vortice di sentimenti, che si era sforzata di mantenere nascosti per tanto tempo, ora si stava risvegliando creando una confusione incredibile nella sua testa.


- Non voglio parlarne. – disse lei fuggendo da quel luogo mentre Yves, attonito e ferito, restò solo nella sala operatoria, in preda ai sensi di colpa.

Mentre Candy usciva dalla stanza, si imbatté in Julienne. La giovane bionda benedisse la sua buona stella per averle mandato la persona di cui più aveva bisogno in quel momento.


- Oh, Julienne – supplicò la giovane con voce soffocata- Potresti terminare di sistemare la sala operatoria al posto mio? Io… semplicemente non posso farlo ora.

- Certo, Candy – rispose la donna, preoccupata nel vedere, cosa inusuale, la collega in uno stato di grande agitazione. – ma…-


Julienne non poté terminare la frase perché Candy stava già correndo attraverso il corridoio, fino a che scomparve dalla sua vista. Quando Julienne entrò nella sala operatoria e vide Yves, seduto a terra con la testa tra le mani, capì immediatamente quello che era accaduto. Julienne abbassò lo sguardo e senza dire nulla cominciò silenziosamente il suo lavoro. Infine, dopo che l’uomo riunì tutto il coraggio per alzarsi, guardò dritto verso l’infermiera e le disse:

- Je suis foutu, Julie, tellement foutu! – E lasciò la stanza.

“Chagrins d’amour” mormorò Julienne tra sé.


Giunta ai suoi trent’anni, e dopo nove di matrimonio, la donna conosceva bene il dolore e il piacere che l’amore può dare al cuore di una persona. Ogni giorno anche lei provava la stessa lenta agonia. Sapendo il marito lontano in guerra, non poteva far altro che sperare, sperare sempre, mentre nel profondo della sua anima recitava continuamente una muta preghiera per la salvezza del suo uomo.

Era veramente difficile amare in tempo di guerra.


Continua...
 
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view post Posted on 1/8/2008, 13:35     +1   -1

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Carissima Amica di Barcellona, bene bene, ora te ne vai in vacanza .....
Brava fai bene. Tra poco anch'io. Devo solo stringere i denti e resistere fino al 14 agosto..... poi ...... stacco la spina
CITAZIONE
Stiamo per entrare nel vivo...

Personalmente non vedo l'ora!
Un abbraccio e tanti baci
A PRESTISSIMO................
 
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cristina.fly
view post Posted on 1/8/2008, 19:44     +1   -1




Ciao, carissima...

Dái che manca poco! È un piacere ritrovarti sempre qui...

A presto! :mizia:

P.S. Prepara i fazzoletti per il prossimo paragrafo... Io ho avuto un groppo alla gola ad ogni virgola!
 
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view post Posted on 1/8/2008, 20:06     +1   -1
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povero Yves alla fine mi ha fatto tanta tenerezza..i fazzoletti sono già pronti...
 
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cristina.fly
view post Posted on 1/8/2008, 22:36     +1   +1   -1




Non potevo partire portandomi questo paragrafo in valigia...

Buona lettura!

:rose rosa: ...segue
____________________________________

Candy corse verso l’unico luogo dell’ospedale dove poteva godere di un po’ di privacy, la piccola stanza che divideva con Julienne.
Aveva trattenuto le lacrime sperando di non imbattersi in Flanny. Il turbine dei suoi pensieri la sconvolgeva. Era come se tutti suoi inconfessabili sentimenti stessero lottando contro il controllo constante sotto cui sempre li celava. Le sue mani tremavano quando finalmente raggiunse la maniglia della porta ed entrò nella stanza, sospirando per il sollievo. Le lacrime cominciarono a rigare liberamente le sue guance, mentre il suo corpo si piegava lungo la porta chiusa. Candy poteva ascoltare il tenue suono dei suoi singhiozzi che ora uscivano dalla sua gola senza più freno.

“È passato tanto tempo.- pensò lei – Tanto tempo, e ciò nonostante mi ferisce ancora profondamente. Finirò mai di essere perseguitata dal tuo ricordo? Perché è tanto difficile?"
Candy si diresse verso la finestra della stanza. Stava facendo molto freddo quella notte. Erano quelli gli ultimi giorni di ottobre e ormai si stavano avvicinando le gelidi giornate invernali.
“Era una notte fredda come questa. - disse tra sé - Da allora quel glaciale sentimento in grado di annientarmi non ha mai abbandonato il mio cuore. Posso ancora sentire il sangue gelarsi nelle vene.”

Con la mente di Candy rivisse, per l’ennesima volta, la stessa scena, le stesse parole, gli stessi sentimenti che quasi le facevano scoppiare il petto. Tutto era ancora vivo nella sua memoria:

Scese le scale di corsa, mentre i suoi pensieri si agitavano confusi. Per un attimo credette di vivere uno uno dei suoi incubi, ma il forte battito del suo cuore, tanto veloce e doloroso, le diceva che non stava dormendo. Frenetici passi maschili la seguivano… Era lui, lo sapeva.

“ Devo sbrigarmi.- pensava- Se lo avrò davanti, non avrò la forza di fare quello che devo.”

Le scale sembravano interminabili. In quel momento Candy desiderò non arrivare mai al pianterreno e sentirlo sempre rincorrerla… Vicina a lui per sempre.

Le gambe di lui, più forti e lunghe di quelle di lei, avevano ridotto facilmente la distanza, fino a che lei non poté sfuggire al suo forte abbraccio. Pensò che il suo corpo sarebbe venuto meno quando egli la prese per la vita, avvicinandola verso di sé fino a stringerla tra le sue braccia. Candy poté sentire ciascuno dei muscoli di lui tendersi dietro la sua schiena mentre l’essenza di lavanda, che lui sempre usava, le invadeva l’olfatto.

- Candy! – sussurrò lui al suo orecchio con voce roca – Candy, io non voglio che tu vada via… Vorrei che il tempo si fermasse in questo istante.- *

- Terence!- *

- Non dire niente, ti scongiuro!- *aggiunse lui, quasi in una supplica.

Era dietro di lei, con il viso affondato tra i suoi riccioli ingovernabili, e lei poté sentirei le sue ardenti guance di sulla pelle della nuca. Quando una goccia di liquido caldo le cadde sul collo, ella comprese che era una lacrima di lui. Piangeva in silenzio! Il suo caratteristico orgoglio era scomparso in un istante, lasciandolo con l’anima nuda e vulnerabile, a piangere dolorosamente.

"Terence, ma tu stai piangendo! O caro, mi ami, lo so! Anch’io ti amo tanto e purtroppo dobbiamo separarci! Com’è crudele la vita.“*

“ Se mi volto adesso- disse a sé stessa- asciugherei le sue lacrime con i miei baci e, una volta che le nostre labbra si incontrassero, Dio solo sa quanto lontano potremmo arrivare… Se lo affronto ora, non potrò mai più rinunciare a lui. Non ho il coraggio di fissarlo negli occhi e lasciarlo così. Devo andarmene senza guardarlo.”

In quel momento il suo abbraccio perse forza ed ella capì che infine lui aveva rinunciato. Le mani di lui, che ancora le cingevano la vita, si ritrassero per poggiarsi lievemente sulle spalle di lei.

- Promettimi che cercherai ugualmente di essere felice! –* Disse infine egli con tono disperato.

“Tra noi ora è tutto finito” pensò lei a quel punto, e immediatamente recuperò tutto il suo coraggio per dire :

- Sì, Terence. Promettimelo anche tu. -*

Candy si voltò lentamente verso di lui per l’ ultima volta, ma mantenne il suo sguardo fisso sul tappeto che ricopriva le scale, senza più poterlo guardare negli occhi. Infine, con un timido sospiro, si allontanò dalle sue braccia per sempre, verso la gelida e buia notte, fuori da quel luogo…


Continua...

* Queste battute sono quelle pronunciate da Candy e Terence nella versione italiana del cartone animato. Alys aveva trascritto il dialogo della versione spagnola. Io ho preferito utilizzare la versione nota ai fans italiani. Spero non dispiaccia a nessuno.

Edited by cristina.fly - 27/9/2008, 00:30
 
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cristina.fly
view post Posted on 12/8/2008, 15:08     +2   +1   -1




Ciao a tutti! Le mie vacanze stanno per finire... :mille bolle blu:

Ma continuiamo con la nostra storia...

:rose rosa: segue...

____________________________________

Candy si stropicciò gli occhi cercando di allontanare quel ricordo, ma sapeva fin troppo bene che ciò era impossibile. Ogni dettaglio era impresso sul suo cuore e tutti i suoi precedenti sforzi di dimenticare erano stati vani. Col tempo aveva imparato ad occultare i suoi sentimenti, a relegarli in un angolo recondito della sua anima, come un segreto e amato ricordo.
Aveva nascosto il suo intimo dolore a tutti. Dopo tutto, pensava, non valeva la pena di mostrare, a quelli che la amavano, la triste scena del suo cuore spezzato. Seguendo gli insegnamenti che sin dall’infanzia la vita le aveva dato, Candy aveva trovato nella sua personale crociata volta ad aiutare il prossimo, una via per sfuggire alla solitudine.

Aveva sostituito i suoi sogni infranti con una vita totalmente dedita agli altri. Candy passava le sue giornate lavorando interminabili ore in ospedale e nel suo tempo libero era solita fare tutta una serie di cose per compiacere le persone che amava. Si recava con Albert a noiosi ricevimenti per aiutarlo ad affrontare quelle responsabilità che egli tanto odiava o ascoltava pazientemente i discorsi di Annie, per quanto fatui le sembrassero i pettegolezzi e le ultime novità sulla moda. Trascorreva le sue vacanze alla casa di Pony dando una mano con i bambini e talvolta aveva anche del tempo per Archie, che recentemente si interessava di politica e non parlava d’altro. Il giovane sapeva che Candy non era molto interessata a quegli argomenti ma, per una ragione che Candy non capiva, egli insisteva nel raccontarle tutto ciò che lo riguardava. Il ricordo di Stear e di Antony era ancora vivo in Candy e poichè sapeva essere lo stesso per Archie, la giovane sentiva che un legame speciale la univa al suo vecchio amico. Per questo motivo Candy si mostrava sempre disponibile ad interessarsi a tutto ciò che appassionava il ragazzo.

Adesso, in Francia, Candy cercava di fare del suo meglio per dare un po’ di conforto a coloro che soffrivano più di lei. Queste attività, oltre a recarle pace e sollievo, contribuivano a dare un senso alla sua vita, che altrimenti sarebbe stata vuota. Ciò nonostante, sapeva bene che una parte di se stessa le sarebbe mancata per sempre.

Candy non aveva confidato il suo segreto del suo intimo dolore a nessuno, neppure ad Albert o a miss Pony. Era decisa a nascondere i suoi sentimenti per sempre, perché che altro può fare una donna onesta che ama l’uomo di un’altra?

A volte, quando credeva di aver quasi sconfitto i suoi fantasmi, succedeva qualcosa che le ricordava quella vecchia ferita. E ora, lo slancio appassionato di Yves aveva smosso nel suo animo tutte quelle ansie negate e tutti quei segreti desideri che non confessava neppure a sé stessa. Improvvisamente Candy si era resa conto di quanto represse fossero le suoi pulsioni femminili. Avere un uomo tanto vicino a sé aveva risvegliato i naturali desideri della giovane donna che c’era in lei. Ma il suo fuoco segreto ardeva per un unico nome, per un'unica voce, per un unico paio di profondi occhi blu…
Sfortunatamente, gli occhi che nella sala operatoria l’avevano guardata con amore appassionato, erano grigi.

Perché non posso dimenticare?- si domandò- Perché non posso sentire lo stesso per nessun’altro? Quando ero stretta ad Yves, ho potuto solo pensare a te, al calore delle tue braccia, alla luce dei tuoi occhi, al tuo bacio appassionato, a quell’unico bacio sulle mie labbra…

- E’ SBAGLIATO! – gridò lei – Tutto questo è sbagliato! Non sei più mio. Non posso continuare a pensare a te in questo modo! Mio Dio, aiutami!-
Candy cadde sul letto, senza riuscire a pensare o a fare nient’altro che piangere. Fu allora che nella stanza entrò Julienne e si sedette silenziosamente accanto a Candy. La donna poggiò la sua mano sulla spalla di Candy carezzandola con tenerezza.

- Candy, Candy, - mormorò lei, comprendendo il dolore della sua compagna di stanza come solo un’altra donna può fare. – Cara, quale uomo senza cuore può averti ferito in questo modo?- Domandò Julienne nel suo dolce accento francese – Sono sicura che non merita nessuna delle lacrime che stai versando per lui. –

- Non lo so, Julie – riuscì infine a dire Candy, tra i singhiozzi – So solo che non posso diementicarlo. Non so come fare.-

Così, dopo quasi tre anni di silenzio, Candy aveva confessato a qualcuno quello che provava.

Candy gettò le sue braccia al collo di Julienne e pianse sulla sua spalla. Quest’ultima accolse l’amica con tutta la compassione che aveva nel petto, ma senza sapere realmente cosa dire per aiutare la povera ragazza. Così entrambe restarono abbracciate in silenzio, fino a che il battito del cuore di Candy cominciò a rallentare la sua folle corsa.

Continua...
 
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view post Posted on 12/8/2008, 16:35     +1   -1

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Come biasimarla è difficile dimenticare una persona che si ama e perdipiù se l'amore era corrisposto............e poi si stà parando di TERENCE bello il raconto chissà se ritorneranno insieme!!!! :laura:
 
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view post Posted on 12/8/2008, 18:46     +1   -1

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Adorata Cristina, che bella sorpresa oggi ci hai fatto....
Sono riuscita solo ora a leggerla.

CITAZIONE
che altro può fare una donna onesta che ama l’uomo di un’altra?

già che eterno dilemma .... ma sappiamo bene che "quell'uomo" non è di quella donna ma è stato costretto dalla di lei infermità a starle vicino

CITAZIONE
“Perché non posso dimenticare?- si domandò- Perché non posso sentire lo stesso per nessun’altro? Quando ero stretta ad Yves, ho potuto solo pensare a te, al calore delle tue braccia, alla luce dei tuoi occhi, al tuo bacio appassionato, a quell’unico bacio sulle mie labbra…”

Come esperienza personale, per quanto un uomo "ti possa braccare" come stà per fare Yves, se il tuo cuore è di un altro è del tutto inutile

Bè, ragazza mia, ti ringrazio tantissimo, hai fatto palpitare di nuovo il mio cuore!!!

 
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dreamworld80
view post Posted on 13/8/2008, 18:19     +1   -1




Grazie x averci regalato ancota tutte queste emozioni anche se ti stai godendo delle meritatissime vacanze!
Ancora, ancora! sono piena di curiosità! Scherzo, prenditi pure tutto il tempo che ti serve ma sappi che ciò che stai facendo è splendido e per questo mi sembra che non basti mai! Un abbraccio :tella:
 
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cristina.fly
view post Posted on 14/8/2008, 18:09     +1   -1




Ciao dreamworld!

Grazie, grazie, grazie e ancora...grazie! :tella: :tesoro: :tella:



Ciao a tutti... :mizia:

Il modo migliore per festeggiare il rientro dalle vacanze: leggere con voi la fine del terzo capitolo... :laura:

A presto!


:rose rosa: ...segue

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Nel 1917 il generale Ferdinand Foch fu promosso a comandante in capo delle truppe francesi. Come tutti i grandi uomini della storia, Foch Capì che quell’evento che avrebbe cambiato la sua vita. Egli sapeva essere nato per un momento difficile come quello e non aveva intenzione di fallire la sua vitale missione. Così, dalla sua nomina, cominciò a muovere le pedine sull’enorme scacchiere del Fronte Occidentale, preparando un’offensiva che avrebbe liberato il suo Paese dalla minaccia tedesca.

Un giorno muoveva un intero plotone; un altro promuoveva o degradava un uomo chiave, come il giocatore di scacchi fa con il pedone e il cavallo. Una di queste pedine era il Maggiore André Legarde, che era stato a capo dell’ospedale Saint Jacques per più di un anno. Foch era stato professore di Legarde all’accademia militare, e sapeva che il talento militare di quest’ultimo era sprecato nel dirigere un ospedale. Perciò, alla fine di ottobre, Foch decise di promuovere il suo ex allievo per un incarico di rilievo sul Fronte Occidentale. In seguito assegnò a qualcun altro la direzione dell’ospedale con il preciso ordine di inviare una nuova equipe medica in aiuto nelle Fiandre, dove le armate francesi, britanniche e canadesi erano state assediate ad Ypres per mesi.

La mattina del 31 ottobre, André Legarde ricevette disposizioni di lasciare Parigi immediatamente. In quella stessa notte il suo sostituto si era già insediato al Sant Jacques, con l’ordine di inviare un gruppo di 20 infermiere e 5 medici al Nord. Le sue disposizioni erano chiare; egli doveva assicurarsi che il gruppo fosse in marcia quella stessa notte. Non c’era tempo da perdere.

- Dammi la lista con il nome delle infermiere- Ordinò il maggiore Louis de Salle, il nuovo direttore, quando quella notte entrò nel suo ufficio per la prima volta.

- Eccolo qui, signore – rispose un sergente di mezza età, apparentemente il suo segretario.

- Bene- disse de Salle dando una rapida occhiata all’elenco – Manda tutte le infermiere dall’a lettera A alla H, senza distinzione.-

- Ma signore, - obiettò il segretario- Non desidera leggere i suoi documenti, prima di designare indistintamente ognuna di loro?-

- Non c’è tempo. – rispose egli freddamente- Invia anche 5 dei medici con maggiore esperienza. E’ ancora qui Marius Duvall?-

- Sì, signore. Dal passato mese di aprile non è stato più inviato a nessuna spedizione al fronte.-

- Allora assicurati che faccia parte dell’equipe, lo conosco bene e sono sicuro che lassù sarà molto utile. Ora vai a comunicare a tutte queste persone la loro assegnazione. Voglio vederli tutti nel mio ufficio il prima possibile. Riposo, sergente. -

- Signor sì. - Rispose il segretario e dopo il saluto d’ordinanza uscì dalla stanza.

Se de Salle avesse avuto il tempo dei leggere i documenti del suo archivio, avrebbe saputo che tra questi c’era una lettera che avrebbe impedito di inviare in missione una delle infermiere, che egli giustamente aveva appena scelto a caso. Ma la guerra è come una corsa lungo un pericoloso precipizio: nessuno è in salvo finchè corre sull’orlo del baratro.

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Dopo l’episodio imbarazzante accaduto alcuni giorni prima con Candy in sala operatoria, Yves non aveva trovato il coraggio per scusarsi. Si era limitato a inviarle tutti i giorni un giglio bianco, sempre con lo stesso biglietto con su scritto: “Perdonami”. Non aveva la forza per parlarle o per guardarla ancora dritto negli occhi, così aspettò in silenzio, sperando in segreto che un giorno lei lo avrebbe perdonato. Era manifesta la disperazione in cui stava vivendo Yves e Candy, rendendosi conto dello stato d’animo di lui, si vergognò per la sua violenta reazione di quella notte.

Dopo molte titubanze, la giovane decise infine di prendere l’iniziativa e di parlare con lui per chiarire le cose.

- Posso parlare con te, Yves?- gli domandò un pomeriggio, quando entrambi terminavano il loro turno.

- Oh, s…sì, Candy – disse lui timidamente

Uscirono dall’ospedale diretti al vicino parco, camminando in silenzio per un momento che sembrò eterno ad entrambi. Uno temeva le parole che potevano essere dette, l’altra non era molto sicura su come iniziare il discorso.

- Yves – disse infine Candy- Vorrei scusarmi per la mia rudezza dell’altro giorno. –

- Tu? Oh no, e stata tutta colpa mia – balbettò lui nervosamente – Io…Io…ho dimenticato come si comporta un gentiluomo. Ho sbagliato. – terminò lui abbassando lo sguardo.

- In ogni caso – continuò lei – sono stata molto dura con te. Avrei dovuto comprendere come ti sentivi in quel momento.

- E ora lo comprendi? – domandò lui con un filo di speranza nella voce – Candy, io…

- Non dirlo, per favore – disse lei dolcemente – lo so già.-

Candy si trattene un istante per trovare il modo di ferire il ragazzo il meno possibile. Una folata di vento freddo mosse le foglie degli alberi, mentre la giovane cercava le parole appropriate.

- Yves – disse lei dopo un po’ – Temo di non poter corrispondere i tuoi sentimenti… Non dipende da te. Per favore, non pensare che sia per causa tua. Nonostante ti conosca da poco tempo, ho già avuto modo di appezzarti come uomo. Io… Piuttosto… È che… dipende da me. – spiegò lei.

Il viso di Yves rispecchiò tutte le emozioni possibili, mentre Candy parlava. Dapprima speranza, poi disperazione e infine profondo dolore.

- C’è… C’è qualcun’ altro, laggiù in America? – domandò lui a quel punto, socchiudendo i suoi occhi grigi.

Candy evitò lo sguardo intenso di lui, fissando gli occhi sulla miriade di foglie del prato, ma infine rispose:

- No, non realmente. Non c’è nessuno che mi stia aspettando, se è questo che intendi dire, ma…- Candy si interruppe di nuovo, cercando le parole adatte – ho avuto una brutta esperienza in passato e temo di non essere pronta per una relazione, credo – sussurrò.

- Anche io ho avuto i miei brutti momenti, ma forse abbiamo solo bisogno di tempo – suggerì lui timidamente e, accennando Candy un sorriso, egli trovò la forza per continuare: - Intendo dire che forse, se proviamo ad essere amici, è possibile che col tempo…-

Candy distolse di nuovo gli occhi per non incrociare lo sguardo supplichevole di Yves. Era chiaro che i suoi sentimenti e il suo buonsenso stavano lottando dentro di lei.

“Potrebbe essere questa una nuova opportunità che la vita mi offre?” – pensò tra sé- “Potrei imparare ad amare quest’uomo? E se solamente finisco per ferirlo? Debbo fargli nutrire speranze in un amore che forse nel mio cuore non nascerà mai?”

- Non lo so, Yves. – Disse infine lei – non voglio farti soffrire.

- Non preoccuparti per questo, Candy.- Disse lui con una nuova forza nella voce – Capisco quello che provi e prometto che sarò paziente. Lascia solo che io sia tuo amico… un’altra volta. – Disse porgendo la sua mano alla ragazza con un un gesto amichevole.

- Non posso prometterti nient’altro che una sincera amicizia – disse lei ancora dubbiosa – Va bene per te? -

- È più che sufficiente. – Concluse lui sorridendo mentre si stringevano la mano.

Yves si ripromise di essere paziente e attento in ciascuno dei suoi gesti, ma anche tenace. Sapeva che per Candy valeva la pena fare ogni sforzo e, poiché non sembrava esserci nessun’altro che potesse frapporre ostacoli sulla sua strada, egli nutrì nuove speranze nel suo cuore. Sfortunatamente, il destino stava per giocare un imprevedibile brutto tiro.

Quella stessa notte Candy fu designata insieme a Flanny, Julienne, Duvall e altre 21 persone, per una missione al Nord. La decisione fu presa senza preavviso e il personale dovette mobilitarsi immediatamente. Condy non ebbe neppure il tempo di salutare Yves, che non era stato assegnato alla missione. La mattina del primo di novembre, la stessa in cui Miss Pony e suor Maria riceverono la lettera di Candy, la ragazza era già in viaggio verso le Fiandre.

Continua...
 
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view post Posted on 14/8/2008, 21:32     +1   -1

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Che tenero Yves, però il mio sesto senso sente odore di Terry al fronte mah..vedremo si incontreranno!!!!!
 
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cristina.fly
view post Posted on 16/8/2008, 08:49     +1   -1




Dolcissima Pupavoice, i tuoi ringraziamenti non sono e non saranno MAI ripetitivi... :bravo: :gongolo: :oplà:

Le osservazioni e i commenti di voi del forum sono di vitale importanza per procedere nel mio lavoro di traduzione della storia di Alys. La tua approvazione e l'entusiasmo con cui leggi questo racconto mi confermano che intraprendere questa avventura è stata una buona idea ... Ora devo riuscire a condurla a termine ma, considerando che mi sto appassionando al racconto almeno quanto voi, credo che alla fine sarete voi forumelli a dovermi fermare! :pc:

Ieri sera ho letto la tua presentazione. Credo che anche tu come me abbia uno spirito romantico ed anticonformista... Sono felice di averti conosciuto e penso che saremo buone amiche... A presto!

Cri :rosa:

Capitolo IV

Sul Fronte Occidentale


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La strada per Ypres era insieme lunga e fredda, fredda e sinistra, sinistra e lugubre. Man mano che il treno si allontanava da Parigi, Candy poté infine vedere con i propri occhi quello che fino a quel momento aveva potuto solo ascoltare dai racconti dei suoi pazienti. Avvicinandosi al Nord il paesaggio appariva sempre più desolato. Intere coltivazioni abbandonate e devastate, grandi superfici ancora in fiamme dopo un attacco aereo, silenzio dove solitamente prima c’era il rumore laborioso dei contadini al lavoro sotto il sole del Pas-de-Calais.

Molta gente era stata sfollata verso il sud e il centro del Paese per sfuggire alla distruzione e per trovare rifugio, con la consapevolezza che la vita non sarebbe mai più stata la stessa, lontano dagli unici luoghi che molti di loro avessero mai conosciuto. Mentre il treno correva Candy poté osservare le molte case abbandonate lungo la strada. Il suo cuore si strinse dinnanzi alla spettacolo dei casolari distrutti e delle stalle vuote. Ma questo era solo l’inizio.

Quando il treno arrivò ad Arras, il capoluogo del Pas-de-Calais, il gruppo dovette proseguire il suo viaggio a bordo di un camion. Le trincee alleate si trovavano lungo una zona non molto lontana da lì. Dall’altra parte, oltre la “terra di nessuno” i tedeschi cercavano di mantenere le loro posizioni nella regione invasa. Alcune strade erano state parzialmente distrutte e le poche che restavano agibili erano riservate al trasporto di feriti dal fronte verso Parigi e tutte le altre grandi città. Il treno lasciò l’equipe medica, insieme all’equipaggiamento che portava con se, tra le rovine di quella che doveva essere stata una stazione. Fu detto loro che avrebbero dovuto attendere per circa tre ore l’arrivo dei camion che li avrebbero condotti a destinazione. Il gruppo ebbe quindi il tempo di abituarsi, poco a poco, al triste spettacolo provocato dalle devastazioni della guerra in quella città, un tempo bella e piena di vita.

Candy decise di sgranchirsi un poco le gambe e chiese a Julienne di accompagnarla a fare due passi. Per una ragione che Candy non comprese, Flanny si offri di andare con loro. Allontanatesi alcuni passi dalla stazione, le ragazze incrociarono una strada lastricata di sampietrini che conduceva ad una piazza. Le rovine di una chiesa si intravedevano ad alcuni metri dal punto dove le tre si erano fermate. Una palla di cannone aveva distrutto una delle pareti, rivelando gli affreschi all’interno della cupola. Il tetto dell’edificio era crollato sopra i banchi e alcune travi di legno restavano ancora sospese in aria. Fuori dalla chiesa un gruppo di soldati scozzesi, seduti sul marciapiede, stavano parlando a voce bassa, totalmente incuranti del tragico paesaggio. Avevano già visto tanti scenari come quello al punto da non farci più caso. Era l’unico modo per combattere gli orrori di quell’incubo in cui si era trasformata la vita reale.

Uno dei soldati si lasciò sfuggire un grido di stupore quando si accorse della presenza delle tre giovani in uniforme bianca con i lunghi mantelli neri. Le ragazze accennarono una riverenza a mo’ di saluto, con le loro teste coperte dai cappellini di paglia e continuarono il loro camino, mentre Candy si segnò istintivamente, passando di fronte al santuario distrutto.

Dal’inizio della guerra Arras era stata attaccata furiosamente in tre occasioni. Quello che ne rimaneva erano solo spettrali rovine, edifici di legno anneriti e bruciati, mute strade dove poteva udirsi solo il lamento del vento d’autunno, assieme all’eco dei passi delle tre donne.

Una figura solitaria e parzialmente nascosta dalla nebbia della notte si avvicinò al gruppo e Candy aguzzò la vista delle sue iridi verdi per metterla a fuoco. Con un po’ di sforzo poté infine vedere che si trattava di una figura femminile che camminava verso di loro. La donna si avvicinava con passi lenti. Tra le sue braccia aveva un fagotto informe.

- Mesdemoiselles – disse la donna - Ayez la bonté de me donner un peu d’argent pour nourrir mon enfant, Je vous prie.-*

Candy fece un passo avanti per avvicinarsi alla donna. Si accorse allora che la donna era vestita di stracci e che tremava per i freddo di quella notte. Tra le sue braccia teneva un neonato immobile e dal colore spettrale delle guance del bimbo Candy si rese conto che il piccolo era già morto. La donna la guardava con occhi supplichevoli mentre Candy cercava di coprirla con il suo mantello.

- S’il vous plaît, Mademoiselle - disse di nuovo con lo sguardo perso nella nebbia.

Candy abbracciò dolcemente la donna mentre una lacrima scese lungo la sua guancia rosea. Julienne e Flanny si avvicinarono silenziosamente senza notare un uomo che aveva assistito alla scena da una certa distanza.

- Mesdemoiselles – disse infine l’uomo apparendo nella nebbia.

Julienne si voltò per vedere l’uomo e parlò brevemente con lui in francese. Pareva che i due si riferissero alla donna che ancora era tra le braccia di Candy. Quando terminarono di discorrere, l’infermiera si diresse verso le sue colleghe americane con gli occhi pieni di lacrime.

- Dice che il bambino è morto due giorni fa- iniziò Julienne- ma che lei ancora non vuole separarsene. Ha perso il contatto con la realtà dalla morte del piccolo. Lui è il marito ed entrambi stanno aspettando un amico che li porterà col suo camion a sud, dove hanno alcuni parenti.-

- Digli che sua moglie può tenere il mio mantello.- disse Candy aiutando la donna a camminare fino a che raggiunsero l’uomo che prese la moglie tra le sue braccia.

L’uomo inclinò la testa per ringraziare la straniera bella e gentile che gli era di fronte e si allontanò con la povera donna, che non poteva capire con chiarezza quello che le succedeva attorno. La sua mente vagava nel dolore come tra la nebbia di quella notte di novembre. Le tre ragazze tornarono alla stazione in assoluto silenzio. Flanny non aveva detto una sola parola ma il battito nervoso delle sue ciglia tradiva quello che stava probando, e Candy lo aveva notato.

“ Vuole apparire troppo dura per lasciarsi impressionare da questa tragedia- pensò Candy- ma io la conosco abbastanza bene per notare che è profondamente turbata, tanto quanto io e Julienne. Quello sguardo… Lo ricordo perfettamente. Il modo in cui muove le iridi e la rapidità del battito delle sue ciglia è lo stesso segnale di nervosismo che cercava sempre di nascondere durante le sessioni di esame, quando eravamo due studentesse. Nonostante tutto, il tuo cuore non può rimanere impassibile davanti a questa tragedia, cara Flanny.”

Le tre infermiere si riunirono al gruppo. Un’ora più tardi arrivarono i camion e l’equipe medica continuò il suo viaggio verso il fronte. Julienne restò in silenzio per il resto del viaggio, con lo sguardo perso nell’oscurità di quella fredda notte. Candy avrebbe voluto dire qualcosa per animarla, ma capì che la sua amica in quel momento aveva bisogno di un po’ di privacy, così la lasciò sola con i propri pensieri, mentre lei cercava di dormire un po’. In qualche ora sarebbero arrivate a destinazione.


* - Signorine, abbiate la bontà di darmi un po’ di denaro per dar da mangiare al mio bambino, ve ne prego -

Continua…
 
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cristina.fly
view post Posted on 17/8/2008, 11:56     +1   -1




Ciao, Pupavoice…

Felice di ritrovarti! :mizia:

Gli unici scritti di Alys che conosco sono le sue Fanfic su Candy. Oltre a “Reencuentro en el vórtice”, che resta senza dubbio la sua opera migliore, l’autrice ha infatti scritto:

- “Rosas rojas” (“Rose rosse”, un racconto breve);
-“Una historia neoyorkina” (“Una storia newyorkese”)ambientata ai giorni nostri;
-“La mentira” (“La menzogna”) dove Candy e Terence si incontrano dopo vent’anni;
-“ La herencia”(“ L’eredità”), dove la nipote di Candy trova per caso le sue lettere e leggendole scopre la storia d’amore impossibile con Terence;
- “La trampa” (“La trappola”), secondo me la sua fanfic più riuscita dopo “Reencuentro en el vòrtice”, e scritta nello stesso stile. La storia è del tipo “Che sarebbe successo se…”. Partendo dall’episodio 113 dell’anime (quello dove Neil vuole obbligare Candy a sposarlo), Alys allestisce un nuovo intreccio, creando un finale alternativo.

Tutti questi racconti sono disponibili solo in spagnolo. Se ti interessano posso inviarteli tramite mail.In ogni caso, girerò la tua domanda (che ha incuriosito anche me…) sui forum in lingua spagnola di Candy. Ti farò sapere cosa mi diranno…

Ora, con un groppo in gola per l’emozione, sto per postare il paragrafo dove finalmente fa il suo ingresso Terence… :tella: :loveyou: :tella:

:rose rosa: ...segue

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Nei primi giorni di novembre del 1917, la seconda divisione dell’esercito degli Stati Uniti si stava già esercitando non molto lontano da Cambrai, nel nord della Francia. I soldati ancora ignoravano il luogo al quale sarebbero stati destinati per entrare in azione. I loro ordini erano semplici: dovevano esercitarsi, abituarsi alle condizioni climatiche e familiarizzare col territorio tanto come fosse possibile. Nonostante gli americani si fossero mobilitati con sorprendente rapidità, e considerando che si trattava di un intero esercito proveniente dall’altro lato dell’Atlantico, ci sarebbero voluti alcuni mesi prima che le truppe nordamericane fossero dislocate nelle posizioni strategici e fossero pronte per appoggiare le forze alleate. Il generale John J. Pershing, Comandante in capo dell’ AEF (American Expeditionary Forces), aveva avuto dal presidente Wilson ordini molto chiari: aspettare ed essere pronti quando sarebbe stato il momento.

Nel frattempo l’attesa era difficile da sopportare per i giovani soldati. Alcuni di loro erano ansiosi di entrare in azione mentre altri, i meno ingenui e i più realisti, guardavano con segreta paura a ciò che presto o tardi avrebbero affrontato. L’attendere un futuro incerto, forse addirittura la propria morte, è sempre un peso opprimente per l’animo umano.

La divisione aveva occupato una zona boscosa; ogni reggimento e ogni battaglione era stato assegnato ad un’area in cui gli uomini potevano lavorare restando in attesa, coordinando azioni con gli altri battaglioni e mantenendo una constante comunicazione.

Al mattino, facesse bel tempo, piovesse o tuonasse, i soldati si esercitavano per ore mentre nel pomeriggio mettevano ordine nell’accampamento. Le truppe trascorrevano così l’attesa in un’occupata e ben organizzata routine, ma la notte…Ah! Le notti erano il momento per riposare e per dimenticare la cruda realtà che ogni uomo viveva lontano dalla sua famiglia. I soldati passavano il tempo come meglio potevano. Alcuni si riunivano attorno al fuoco raccontandosi delle storie, giocando a carte in tutti i modi possibili, condividendo le notizie che ricevevano dagli Stati Uniti, parlando di come l’ AEF avrebbe spazzato via l’esercito tedesco o, ancora, concentrandosi sull’argomento preferito dagli uomini, cioè le donne.

- Ho conosciuto la ragazza più bella che avessi mai visto proprio pochi giorni prima di venire in Francia – Disse uno dei soldati semplici seduti accanto al fuoco. – Sfortunatamente non ho avuto l’occasione per farmi avanti con lei. Ma lo farò appena torniamo a casa. –

- Per allora sarà già sposata e con tre figli – disse scherzando un secondo soldato con un sorriso scanzonato – Ti conviene cercarti una ragazza francese quando avrai la tua prima licenza!- concluse.

- Certo che lo farò! – esclamò con una risata soffocata il primo soldato- È l’unica cosa a cui penso da quando siamo arrivati, ma pare che non sia molto probabile poterlo farlo presto.

- Credo che per quando finirà questa guerra avrò dimenticato quello che si prova nel tenere una donna tra le braccia.-

- Anch’io penso lo stesso. – Disse una quarta voce più giovane, al che gli uomini si scambiarono uno sguardo divertito per il commento del ragazzo.

- Ma dài, ragazzino!- Disse il primo soldato- non puoi ricordarlo, se non hai mai avuto una donna!- concluse l’uomo, mentre tutto il gruppo scoppiò in una fragorosa risata.

Da una distanza ragionevole, un altro uomo osservava i suoi compagni in riservato silenzio. Il suo viso e la parte superiore del suo corpo erano parzialmente nascosti dall’oscurità. La luce e le ombre che danzavano nel fuoco riflettevano forme misteriose sui suoi lustri stivali così come nei suoi grandi e profondi occhi blu, uniche luci nella sua scura figura. L’uomo era seduto con noncuranza sopra un tronco d’albero secco, con la testa e le larghe spalle poggiate su una pila di casse di legno piene di munizioni. Sebbene stesse ovviamente guardando gli uomini che chiacchieravano e scherzavano, sembrava che la sua mente non si concentrasse realmente sulla conversazione, ma che divagasse persa in qualche sogno lontano, senza che nessuno potesse dire con certezza se i suoi pensieri fossero piacevoli o tristi, giacché il suo volto non rivelava nessun tipo di emozione.

Un altro uomo uscì da una tenda vicina. La sua sola presenza fu sufficiente perché tutti i presenti, incluso il pensatore solitario nell’oscurità, scattassero in piedi e salutassero l’ufficiale, inaspettatamente apparso tra i soldati. Il capitano Duncan Jackson aveva poco più di quarant’anni, una mascella quadrata e un grosso naso che era la sua personale caratteristica. Con i suoi penetranti occhi scuri Jackson guardava il mondo e manteneva il controllo sopra ogni uomo del suo battaglione, senza che gli sfuggisse neppure un dettaglio. Le sue ampie spalle riempivano lo spazio ovunque egli fosse e nessuno mai si azzardava a mettere in dubbio chi fosse il capo.

- Signori, - esordì Jackson- il tenente Harris si è dimostrato un pessimo giocatore di scacchi e, ad essere franco, il suo stile di gioco è per me noiosissimo. Sono stanco di vincere le sue deboli mosse- concluse guardando negli occhi ognuno degli uomini che comandava- Cosicché – continuò Jackson- se qualcuno di voi pensasse di essere per me un miglior avversario, apprezzerei molto che me lo dica.- terminò con asprezza.

Per alcuni istanti i soldati si osservarono gli uni gli altri totalmente confusi dinnanzi l’insolita proposta. Nel mondo militare dove le gerarchie sono di vitale importanza, a volte questione di vita o di morte, non è comune che un ufficiale di alto grado si metta a parlare con gli uomini del più basso grado dell’esercito, figuriamoci a chiedere loro di condividere un attimo di svago.

- Io posso batterla, signore – Disse una voce profonda che gli altri soldati semplici seduti attorno al fuoco ebbero difficoltà a riconoscere ma che, dopo un secondo, attribuirono all’uomo che era seduto nell’oscurità.
Jackson osservò l’uomo con un’espressione divertita e con un accenno di scherno nel suo sguardo.

- Non crede, sergente, che quello che ha appena detto sia un’affermazione un po’ presuntuosa?- Domandò il capitano senza riuscire a nascondere un sorriso pieno di sdegno.

- Mi metta alla prova, signore.- disse il giovane sergente, senza un cenno di paura o di titubanza nella sua voce.

- Giovanotto, le conviene dimostrarmi di essere un buon giocatore o non potrà andare in licenza per i prossimi settant’anni! – Minacciò il capitano.

Jackson non disse nient’altro ne aspettò la risposta del giovane sergente. Si limitò semplicemente a fargli un cenno con la mano, indicandogli l’ingresso della sua tenda per iniziare a giocare.

- Pensavo che il gatto gli avesse mangiato la lingua per sempre – fu il commento di uno dei soldati una volta che il sergente e il capitano entrarono nella tenda. – credo che questa sia di fatto la prima volta che lo sento parlare.-

- Bene, ora sappiamo che non è muto e che gioca a scacchi. E allora? – domandò il secondo soldato – Andiamocene a giocare a poker!- Suggerì egli con gran successo e così i quattro uomini si immersero nel gioco restandosene in silenzio per un po’.

Quando il giovane sergente entrò nella tenda la prima cosa che i suoi occhi irrequieti videro fu una grande scacchiera con pezzi d’avorio splendidamente incisi a mano. Riconobbe l’abile lavoro degli artigiani indiani e così capì che il capitano Duncan Jackson era un uomo che aveva viaggiato e conosciuto gran parte del mondo. Il sergente pensò che ciò era ottimo, perché solitamente gli uomini di mondo hanno una conversazione interessante, cosa essenziale quando si gioca a scacchi. Nonostante che egli non fosse disposto a parlare molto di sé, si sentiva compiaciuto nell’incontrare qualcuno degno di essere ascoltato.

Qualunque cosa sarebbe meglio che ascoltare tutte quelle porcherie là fuori” disse tra sé il giovane – “Pensandoci bene, quasi ogni cosa sarebbe meglio della miseria irrimediabile che mi porto dentro”.

- Una sigaretta? – Offrì Jackson porgendo un pacchetto di sigarette al giovane sergente.

- No, grazie. Non fumo, signore. – rispose il giovane freddamente.

- Peccato – Disse il capitano scrollando le sue larghe spalle – spero non le dia fastidio se fumo, perché è una cosa che faccio sempre mentre gioco.-

- Devo confessarle che ora l’odore non mi è molto piacevole, dovuto al fatto che ero un fumatore accanito, ma posso sopportarlo, signore.- Rispose il sergente con noncuranza.

- Come c’è riuscito?- Domandò Jackson accigliandosi curioso.

- A far cosa, signore?- domandò il sergente .

- Smettere di fumare, appunto.-

Per un momento una strana luce illuminò gli occhi del giovane ma dileguandosi con una velocità tale che Jackson non poté notarla. Subito dopo il sergente alzò e abbassò la testa come se stesse lottando contro i suoi pensieri e dopo questo rapido movimento fissò il suo sguardo assente sull’ufficiale per rispondere semplicemente:

- Trovai qualcos’altro da fare, credo. – concluse, dando alla sua risposta il tono caratteristico che si usa quando si vuol far capire di non essere interessati a continuare un certo discorso.

Entrambi gli uomini si sedettero al tavolo dove era poggiata la scacchiera e iniziarono solennemente a giocare. Come il giovane sergente aveva intuito, il capitano Jackson non era un uomo comune ed aveva una conversazione vivace, che non aveva bisogno di essere stimolata. L’uomo parlò a lungo riguardo l’attuale situazione dell’esercito, delle possibili mosse strategiche delle forze alleate e delle probabili reazioni del nemico. Tuttavia, man mano che la partita proseguiva, Jackson chiacchierava meno, avvedendosi che il suo avversario era veramente abile e per niente facile da battere. Il capitano aveva già perso molti più pezzi del solito, e ciò non lo faceva sentire per niente a suo agio dinnanzi a quel giovane che non parlava molto, ma che giocava come il diavolo in persona.

- Mi dica, sergente – esordì nuovamente il capitano Jackson, cercando di trovare un argomento per distrarre il suo avversario, che seguiva mantenendo la sua concentrazione fissa sul gioco– Come si sente a vivere come un sodato? Sono sicuro che è un esperienza notevole per un uomo che normalmente fa altro per guadagnarsi da vivere.-

- Mi ingegno, signore. – fu l’unica risposta del giovane, mentre sulla scacchiera eseguiva un altra mossa che spaventò notevolmente Jackson.

Il suo accento…è veramente insolito” pensó Jackson che era un appassionato linguista. In effetti, da giovane si era sentito tanto attratto dalle lingue da pensare di seguire il corso di studi di linguistica presso l’Università di Harvard ma suo padre, che era un alto ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti, non gli lasciò altra scelta che andare all’accademia militare di West Point. Ciò nonostante, Jackson aveva continuato a studiare inglese per conto suo ed in particolare era affascinato dall’incredibile e complicata questione della fonetica. Aveva una specie di ossessione per la sorprendente varietà di accenti presenti tra gli anglo-parlanti ed era orgoglioso della sua abilità nel riconoscere la provenienza di una persona solamente ascoltando il suo modo di parlare.

“Potrei quasi dire che è…britannico? - seguì pensando Jackson – ma a volte ha leggere inflessioni nordamericane… Americano, sì, è così…Ma di che regione degli Stati Uniti? Non so… Ho bisogno di sentirlo parlare di più, per trovare una risposta sicura.”

- Non ha nostalgia di casa, sergente?- azzardò di nuovo Jackson, fatta la sua mossa sula scacchiera.

Il giovane sergente, fregandosi leggermente il mento con la mano sinistra, guardò gli occhi color caffè del capitano Jackson. C’era una espressione impassibile da cosumato giocatore sul volto del giovane, o piuttosto non c’era espressione alcuna che Jackson potesse leggervi. La lampada a cherosene sul tavolo dietro di loro illuminava i delicati lineamenti del sergente. La sua bocca squisitamente disegnata era in perfetta combinazione con un naso sottile e dritto, dall’aria arrogante. Due sopracciglia castano scuro incorniciavano i suoi occhi misteriosi.

- Ogni uomo è alla continua ricerca di un posto da chiamare casa, signore.- replicò il giovane con una freddezza che gelò il sangue a Jackson – ma alcuni di loro non lo troveranno mai.- concluse, eseguendo un’altra mossa imprevedibile sulla scacchiera. Il re di Jackson si trovava ora pericolosamente indifeso.

Jackson osservò la scacchiera cercando di nascondere i suoi timori. Se non faceva qualcosa immediatamente, il ragazzo avrebbe finito per vincere la partita.

- Sono d’accordo con lei – continuò Jackson appoggiando la schiena sulla sedia di tela pieghevole- ma immagino che un uomo di bell’aspetto come lei, sergente, non avrà problemi a trovare un posto nel cuore delle donne – Aggiunse l’uomo nell’ultimo, disperato, tentativo di distrarre il giovane.

“L’argomento delle donne non fallisce mai” pensò Jackson.

- Potrà sorprendere, ma l’aspetto di un uomo non conta nulla nella conquista della sua felicità, se questa veramente esiste, signore. – Asserì serio il giovane sergente e, in quel momento, con un cenno di soddisfazione nei suoi profondi occhi blu, primo segno di emozione mostrato in quella notte, disse infine:

- Scacco matto, signore.-

Continua...

Edited by cristina.fly - 17/8/2008, 18:31
 
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view post Posted on 17/8/2008, 13:23     +1   -1

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Ecco lo sapevo! Se non entrava ad effetto non sarebbe stato LUI!!!
CITAZIONE
La luce e le ombre che danzavano nel fuoco riflettevano forme misteriose sui suoi lustri stivali così come nei suoi grandi e profondi occhi blu, uniche luci nella sua scura figura.

:sorrisone:
Il solito sbruffone pieno di sè ma così affascinante ..... :imbarazzo:

E' sicuro che il Capitano Jackson è già rimasto colpito da questo giovane solitario, soprattutto dopo una risposta come questa:
CITAZIONE
- Ogni uomo è alla continua ricerca di un posto da chiamare casa, signore.- replicò il giovane con una freddezza che gelò il sangue a Jackson

:molto triste:

Grazie Cri, questo pezzetto di Romanzo mi ha proprio risollevato il morale, mi sento meglio .... :bravo:
Grazie anche per esserti informata sui lavori letterari di Alys; mi fa piacere che si sia dedicata molto a Candy scrivendo anche altre cose su di lei.... questo mi fa capire quanto la storia di Candy sia stata amata ....
Baci ed abbracci tutti per te carissima Amica :tella:
 
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view post Posted on 18/8/2008, 17:32     +1   -1

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Cara Cristina,
sono riuscita finalmente a completare la lettura della bellissima FF che stai traducendo per noi, grazie per l'enorme pazienza e disponibilità. Spero che i bei occhi blu s'incontreranno presto con i bei occhi verdi di lei... image

Buon rientro e buona ripresa! :tella:
 
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