Ciao, Pupavoice…
Felice di ritrovarti!
Gli unici scritti di Alys che conosco sono le sue Fanfic su Candy. Oltre a “Reencuentro en el vórtice”, che resta senza dubbio la sua opera migliore, l’autrice ha infatti scritto:
- “Rosas rojas” (“Rose rosse”, un racconto breve);
-“Una historia neoyorkina” (“Una storia newyorkese”)ambientata ai giorni nostri;
-“La mentira” (“La menzogna”) dove Candy e Terence si incontrano dopo vent’anni;
-“ La herencia”(“ L’eredità”), dove la nipote di Candy trova per caso le sue lettere e leggendole scopre la storia d’amore impossibile con Terence;
- “La trampa” (“La trappola”), secondo me la sua fanfic più riuscita dopo “Reencuentro en el vòrtice”, e scritta nello stesso stile. La storia è del tipo “Che sarebbe successo se…”. Partendo dall’episodio 113 dell’anime (quello dove Neil vuole obbligare Candy a sposarlo), Alys allestisce un nuovo intreccio, creando un finale alternativo.
Tutti questi racconti sono disponibili solo in spagnolo. Se ti interessano posso inviarteli tramite mail.In ogni caso, girerò la tua domanda (che ha incuriosito anche me…) sui forum in lingua spagnola di Candy. Ti farò sapere cosa mi diranno…
Ora, con un groppo in gola per l’emozione, sto per postare il paragrafo dove finalmente fa il suo ingresso Terence…
...segue
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Nei primi giorni di novembre del 1917, la seconda divisione dell’esercito degli Stati Uniti si stava già esercitando non molto lontano da Cambrai, nel nord della Francia. I soldati ancora ignoravano il luogo al quale sarebbero stati destinati per entrare in azione. I loro ordini erano semplici: dovevano esercitarsi, abituarsi alle condizioni climatiche e familiarizzare col territorio tanto come fosse possibile. Nonostante gli americani si fossero mobilitati con sorprendente rapidità, e considerando che si trattava di un intero esercito proveniente dall’altro lato dell’Atlantico, ci sarebbero voluti alcuni mesi prima che le truppe nordamericane fossero dislocate nelle posizioni strategici e fossero pronte per appoggiare le forze alleate. Il generale John J. Pershing, Comandante in capo dell’ AEF (American Expeditionary Forces), aveva avuto dal presidente Wilson ordini molto chiari: aspettare ed essere pronti quando sarebbe stato il momento.
Nel frattempo l’attesa era difficile da sopportare per i giovani soldati. Alcuni di loro erano ansiosi di entrare in azione mentre altri, i meno ingenui e i più realisti, guardavano con segreta paura a ciò che presto o tardi avrebbero affrontato. L’attendere un futuro incerto, forse addirittura la propria morte, è sempre un peso opprimente per l’animo umano.
La divisione aveva occupato una zona boscosa; ogni reggimento e ogni battaglione era stato assegnato ad un’area in cui gli uomini potevano lavorare restando in attesa, coordinando azioni con gli altri battaglioni e mantenendo una constante comunicazione.
Al mattino, facesse bel tempo, piovesse o tuonasse, i soldati si esercitavano per ore mentre nel pomeriggio mettevano ordine nell’accampamento. Le truppe trascorrevano così l’attesa in un’occupata e ben organizzata routine, ma la notte…Ah! Le notti erano il momento per riposare e per dimenticare la cruda realtà che ogni uomo viveva lontano dalla sua famiglia. I soldati passavano il tempo come meglio potevano. Alcuni si riunivano attorno al fuoco raccontandosi delle storie, giocando a carte in tutti i modi possibili, condividendo le notizie che ricevevano dagli Stati Uniti, parlando di come l’ AEF avrebbe spazzato via l’esercito tedesco o, ancora, concentrandosi sull’argomento preferito dagli uomini, cioè le donne.
- Ho conosciuto la ragazza più bella che avessi mai visto proprio pochi giorni prima di venire in Francia – Disse uno dei soldati semplici seduti accanto al fuoco. – Sfortunatamente non ho avuto l’occasione per farmi avanti con lei. Ma lo farò appena torniamo a casa. –
- Per allora sarà già sposata e con tre figli – disse scherzando un secondo soldato con un sorriso scanzonato – Ti conviene cercarti una ragazza francese quando avrai la tua prima licenza!- concluse.
- Certo che lo farò! – esclamò con una risata soffocata il primo soldato- È l’unica cosa a cui penso da quando siamo arrivati, ma pare che non sia molto probabile poterlo farlo presto.
- Credo che per quando finirà questa guerra avrò dimenticato quello che si prova nel tenere una donna tra le braccia.-
- Anch’io penso lo stesso. – Disse una quarta voce più giovane, al che gli uomini si scambiarono uno sguardo divertito per il commento del ragazzo.
- Ma dài, ragazzino!- Disse il primo soldato- non puoi ricordarlo, se non hai mai avuto una donna!- concluse l’uomo, mentre tutto il gruppo scoppiò in una fragorosa risata.
Da una distanza ragionevole, un altro uomo osservava i suoi compagni in riservato silenzio. Il suo viso e la parte superiore del suo corpo erano parzialmente nascosti dall’oscurità. La luce e le ombre che danzavano nel fuoco riflettevano forme misteriose sui suoi lustri stivali così come nei suoi grandi e profondi occhi blu, uniche luci nella sua scura figura. L’uomo era seduto con noncuranza sopra un tronco d’albero secco, con la testa e le larghe spalle poggiate su una pila di casse di legno piene di munizioni. Sebbene stesse ovviamente guardando gli uomini che chiacchieravano e scherzavano, sembrava che la sua mente non si concentrasse realmente sulla conversazione, ma che divagasse persa in qualche sogno lontano, senza che nessuno potesse dire con certezza se i suoi pensieri fossero piacevoli o tristi, giacché il suo volto non rivelava nessun tipo di emozione.
Un altro uomo uscì da una tenda vicina. La sua sola presenza fu sufficiente perché tutti i presenti, incluso il pensatore solitario nell’oscurità, scattassero in piedi e salutassero l’ufficiale, inaspettatamente apparso tra i soldati. Il capitano Duncan Jackson aveva poco più di quarant’anni, una mascella quadrata e un grosso naso che era la sua personale caratteristica. Con i suoi penetranti occhi scuri Jackson guardava il mondo e manteneva il controllo sopra ogni uomo del suo battaglione, senza che gli sfuggisse neppure un dettaglio. Le sue ampie spalle riempivano lo spazio ovunque egli fosse e nessuno mai si azzardava a mettere in dubbio chi fosse il capo.
- Signori, - esordì Jackson- il tenente Harris si è dimostrato un pessimo giocatore di scacchi e, ad essere franco, il suo stile di gioco è per me noiosissimo. Sono stanco di vincere le sue deboli mosse- concluse guardando negli occhi ognuno degli uomini che comandava- Cosicché – continuò Jackson- se qualcuno di voi pensasse di essere per me un miglior avversario, apprezzerei molto che me lo dica.- terminò con asprezza.
Per alcuni istanti i soldati si osservarono gli uni gli altri totalmente confusi dinnanzi l’insolita proposta. Nel mondo militare dove le gerarchie sono di vitale importanza, a volte questione di vita o di morte, non è comune che un ufficiale di alto grado si metta a parlare con gli uomini del più basso grado dell’esercito, figuriamoci a chiedere loro di condividere un attimo di svago.
- Io posso batterla, signore – Disse una voce profonda che gli altri soldati semplici seduti attorno al fuoco ebbero difficoltà a riconoscere ma che, dopo un secondo, attribuirono all’uomo che era seduto nell’oscurità.
Jackson osservò l’uomo con un’espressione divertita e con un accenno di scherno nel suo sguardo.
- Non crede, sergente, che quello che ha appena detto sia un’affermazione un po’ presuntuosa?- Domandò il capitano senza riuscire a nascondere un sorriso pieno di sdegno.
- Mi metta alla prova, signore.- disse il giovane sergente, senza un cenno di paura o di titubanza nella sua voce.
- Giovanotto, le conviene dimostrarmi di essere un buon giocatore o non potrà andare in licenza per i prossimi settant’anni! – Minacciò il capitano.
Jackson non disse nient’altro ne aspettò la risposta del giovane sergente. Si limitò semplicemente a fargli un cenno con la mano, indicandogli l’ingresso della sua tenda per iniziare a giocare.
- Pensavo che il gatto gli avesse mangiato la lingua per sempre – fu il commento di uno dei soldati una volta che il sergente e il capitano entrarono nella tenda. – credo che questa sia di fatto la prima volta che lo sento parlare.-
- Bene, ora sappiamo che non è muto e che gioca a scacchi. E allora? – domandò il secondo soldato – Andiamocene a giocare a poker!- Suggerì egli con gran successo e così i quattro uomini si immersero nel gioco restandosene in silenzio per un po’.
Quando il giovane sergente entrò nella tenda la prima cosa che i suoi occhi irrequieti videro fu una grande scacchiera con pezzi d’avorio splendidamente incisi a mano. Riconobbe l’abile lavoro degli artigiani indiani e così capì che il capitano Duncan Jackson era un uomo che aveva viaggiato e conosciuto gran parte del mondo. Il sergente pensò che ciò era ottimo, perché solitamente gli uomini di mondo hanno una conversazione interessante, cosa essenziale quando si gioca a scacchi. Nonostante che egli non fosse disposto a parlare molto di sé, si sentiva compiaciuto nell’incontrare qualcuno degno di essere ascoltato.
“
Qualunque cosa sarebbe meglio che ascoltare tutte quelle porcherie là fuori” disse tra sé il giovane –
“Pensandoci bene, quasi ogni cosa sarebbe meglio della miseria irrimediabile che mi porto dentro”. - Una sigaretta? – Offrì Jackson porgendo un pacchetto di sigarette al giovane sergente.
- No, grazie. Non fumo, signore. – rispose il giovane freddamente.
- Peccato – Disse il capitano scrollando le sue larghe spalle – spero non le dia fastidio se fumo, perché è una cosa che faccio sempre mentre gioco.-
- Devo confessarle che ora l’odore non mi è molto piacevole, dovuto al fatto che ero un fumatore accanito, ma posso sopportarlo, signore.- Rispose il sergente con noncuranza.
- Come c’è riuscito?- Domandò Jackson accigliandosi curioso.
- A far cosa, signore?- domandò il sergente .
- Smettere di fumare, appunto.-
Per un momento una strana luce illuminò gli occhi del giovane ma dileguandosi con una velocità tale che Jackson non poté notarla. Subito dopo il sergente alzò e abbassò la testa come se stesse lottando contro i suoi pensieri e dopo questo rapido movimento fissò il suo sguardo assente sull’ufficiale per rispondere semplicemente:
- Trovai qualcos’altro da fare, credo. – concluse, dando alla sua risposta il tono caratteristico che si usa quando si vuol far capire di non essere interessati a continuare un certo discorso.
Entrambi gli uomini si sedettero al tavolo dove era poggiata la scacchiera e iniziarono solennemente a giocare. Come il giovane sergente aveva intuito, il capitano Jackson non era un uomo comune ed aveva una conversazione vivace, che non aveva bisogno di essere stimolata. L’uomo parlò a lungo riguardo l’attuale situazione dell’esercito, delle possibili mosse strategiche delle forze alleate e delle probabili reazioni del nemico. Tuttavia, man mano che la partita proseguiva, Jackson chiacchierava meno, avvedendosi che il suo avversario era veramente abile e per niente facile da battere. Il capitano aveva già perso molti più pezzi del solito, e ciò non lo faceva sentire per niente a suo agio dinnanzi a quel giovane che non parlava molto, ma che giocava come il diavolo in persona.
- Mi dica, sergente – esordì nuovamente il capitano Jackson, cercando di trovare un argomento per distrarre il suo avversario, che seguiva mantenendo la sua concentrazione fissa sul gioco– Come si sente a vivere come un sodato? Sono sicuro che è un esperienza notevole per un uomo che normalmente fa altro per guadagnarsi da vivere.-
- Mi ingegno, signore. – fu l’unica risposta del giovane, mentre sulla scacchiera eseguiva un altra mossa che spaventò notevolmente Jackson.
“
Il suo accento…è veramente insolito” pensó Jackson che era un appassionato linguista. In effetti, da giovane si era sentito tanto attratto dalle lingue da pensare di seguire il corso di studi di linguistica presso l’Università di Harvard ma suo padre, che era un alto ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti, non gli lasciò altra scelta che andare all’accademia militare di West Point. Ciò nonostante, Jackson aveva continuato a studiare inglese per conto suo ed in particolare era affascinato dall’incredibile e complicata questione della fonetica. Aveva una specie di ossessione per la sorprendente varietà di accenti presenti tra gli anglo-parlanti ed era orgoglioso della sua abilità nel riconoscere la provenienza di una persona solamente ascoltando il suo modo di parlare.
“Potrei quasi dire che è…britannico? - seguì pensando Jackson –
ma a volte ha leggere inflessioni nordamericane… Americano, sì, è così…Ma di che regione degli Stati Uniti? Non so… Ho bisogno di sentirlo parlare di più, per trovare una risposta sicura.” - Non ha nostalgia di casa, sergente?- azzardò di nuovo Jackson, fatta la sua mossa sula scacchiera.
Il giovane sergente, fregandosi leggermente il mento con la mano sinistra, guardò gli occhi color caffè del capitano Jackson. C’era una espressione impassibile da cosumato giocatore sul volto del giovane, o piuttosto non c’era espressione alcuna che Jackson potesse leggervi. La lampada a cherosene sul tavolo dietro di loro illuminava i delicati lineamenti del sergente. La sua bocca squisitamente disegnata era in perfetta combinazione con un naso sottile e dritto, dall’aria arrogante. Due sopracciglia castano scuro incorniciavano i suoi occhi misteriosi.
- Ogni uomo è alla continua ricerca di un posto da chiamare casa, signore.- replicò il giovane con una freddezza che gelò il sangue a Jackson – ma alcuni di loro non lo troveranno mai.- concluse, eseguendo un’altra mossa imprevedibile sulla scacchiera. Il re di Jackson si trovava ora pericolosamente indifeso.
Jackson osservò la scacchiera cercando di nascondere i suoi timori. Se non faceva qualcosa immediatamente, il ragazzo avrebbe finito per vincere la partita.
- Sono d’accordo con lei – continuò Jackson appoggiando la schiena sulla sedia di tela pieghevole- ma immagino che un uomo di bell’aspetto come lei, sergente, non avrà problemi a trovare un posto nel cuore delle donne – Aggiunse l’uomo nell’ultimo, disperato, tentativo di distrarre il giovane.
“L’argomento delle donne non fallisce mai” pensò Jackson.
- Potrà sorprendere, ma l’aspetto di un uomo non conta nulla nella conquista della sua felicità, se questa veramente esiste, signore. – Asserì serio il giovane sergente e, in quel momento, con un cenno di soddisfazione nei suoi profondi occhi blu, primo segno di emozione mostrato in quella notte, disse infine:
- Scacco matto, signore.-
Continua...
Edited by cristina.fly - 17/8/2008, 18:31