| "Annie aveva aspettato l’arrivo di Candy col cuore molto più che solo in gola. Benché l’attesa di un’amica che non incontrava ormai da mesi fosse di per sé un evento capace di far salire le stelline negli occhi e far palpitare il corpo come se avesse inghiottito tutti i grilli del mondo, l’emozione di Annie non era dovuta solo a quell’angelica ansia. Voleva bene a Candy, ma in un suo modo speciale, che non tutti avrebbero considerato come il modo universalmente più consono per voler bene a qualcuno. E, allo stesso tempo, la temeva un po’. Temeva la sua capacità di farla sentire totalmente sbagliata anche con una frase pronunciata senza intenzione. Durante la loro corrispondenza di quegli ultimi mesi, Candy non aveva fatto altro che criticarla. Forse non se ne rendeva conto, ma qualsiasi confidenza lei le avesse fatto riguardo ai preparativi del matrimonio, la sua amica fin troppo sincera, invece di compiacersi o dispiacersi semplicemente in base al tenore del racconto, all’annuncio di un successo o di un intoppo, aveva espresso dozzine di consigli non richiesti su come organizzare le cose. Ad esempio, quando le aveva detto dei cigni, Candy le aveva chiesto se, in fin dei conti, era davvero indispensabile colmare la vasca della fontana con quei candidi animali che forse avrebbero preferito trovarsi in qualche lago del nord Europa. Annie non aveva bisogno di suggerimenti, per quelli ci pensava abbondantemente sua madre. Detestava quando gli altri la consideravano incapace di formulare un pensiero indipendente, o di avere un gusto personale. Ad essere sincera, a lei i cigni suscitavano perfino un po’ di ripulsa, perché un conto era vederli su qualche patinata incisione, e un conto ritrovarseli in giro che starnazzavano come sinuose oche, con quegli sguardi neri e profondi che ti fissavano, e quella strana postura del collo, quasi come se ti guardassero di traverso, ma Candy non lo sapeva, lei pensava che li adorasse, e allora perché non la smetteva di dire sempre la verità? Avrebbe preferito che la sua amica si limitasse ad ascoltare in modo un po’ più passivo. Si era perfino permessa di chiederle se era felice. Certo che era felice! Perché una simile domanda? A cosa voleva alludere? Dava forse per scontato che potesse non esserlo? Era senz’altro la ragazza più felice del mondo, e domande di quel genere la disturbavano un pò, perché le sembrava volessero mettere in discussione il suo stato d’animo. Sembrava volessero riferirsi a qualcosa di segreto, di recondito, di desolato. Forse intendeva che fosse infelice per qualche ragione misteriosa, o magari nemmeno tanto misteriosa? Forse voleva ricordarle che, in fin dei conti, a guardare la realtà senza nebbie e senza ombre, senza abbagli e senza inganni rosa, avrebbe avuto almeno un motivo per essere sconfortata? E cioè che il suo futuro marito non aveva mai manifestato per lei, a parte un’abbozzata tenerezza che sapeva quasi di misericordia, alcun tipo di trasporto un po’ più appassionato? Una vera amica, non avrebbe fatto meglio a sorvolare su un dettaglio tanto spiacevole invece che ricordaglielo, sia pur in modo così sottinteso? Se Annie fosse stata un po’ meno paranoica, afflitta da piccole torturanti riflessioni che era lei stessa a fare ed elaborare fino a consumarsi la mente, avrebbe capito che le intenzioni che aveva attribuito a Candy erano soltanto illazioni delle sue meningi immerse in un pantano di pensieri. Però, se c’era una cosa che Annie non aveva mai saputo fare, era attribuirsi qualche colpa, addebitarsi una responsabilità. Si considerava una malinconica vittima delle sciagure, fin da quando si era sentita vittima sciagurata della condizione di orfana. Suor Maria e Miss Pony, quando lei chiedeva loro perché, perché fosse stata abbandonata in una cesta e lasciata ai piedi di un albero, cosa mai avesse commesso di male per meritarsi un simile castigo, le rispondevano sempre “non è colpa tua, non dipende da qualcosa che hai fatto, è solo accaduto, ma vedrai, la vita ti ricompenserà”. Così, Annie aveva applicato quella regola a qualsiasi cosa le accadesse. Si meritava il bene che le pioveva addosso, perché era nata come se avesse un arto in meno. Era come se avesse un braccio fantasma, un’amputazione invisibile che faceva mostruosamente male, dunque erano ben accette, anzi doverose, le gratificazioni materiali o emotive che la vita si prendeva la briga di donarle. Dopotutto, lei era molto più sfortunata di Candy. La sua amica era forte e simpatica, non c’era persona al mondo che, guardandole insieme da bambine, non sentisse un’attrazione speciale per quella biondina tutta riccioli che sorrideva a bocca aperta, che abbracciava tutti con slancio, e si arrampicava sugli alberi come una capretta di montagna. Gli altri bambini la adoravano e la rispettavano. Candy era un capo, una guida, un condottiero e una mamma spiritosa, e non c’era avversità o dispiacere, da una sbucciatura sulle ginocchia a un pupazzo di neve venuto male, che le togliessero dal visetto lentigginoso quell’aria allegra e impertinente. Candy era una persona felice, dunque era più fortunata di lei. Chiunque, anche da adulta, la notava per prima in una stanza, perfino in una folla. Emanava una luce naturale, come se un piccolo sole raggiasse intorno. Dunque, partendo dalla medesima condizione di orfanelle rifiutate, era lei, Annie, la bambina davvero disgraziata. Perché era timida e silenziosa e per nulla affascinante. Perché nessuno la considerava simpatica, anzi i bambini le facevano i dispetti continuamente, e le boccacce dietro la schiena, e imitavano beffardamente il suo pianto. Perché non riusciva a correre senza stancarsi, e ad arrampicarsi senza rotolare giù con la pelle scorticata e il cuore in gola per la fatica e la paura. Perché Suor Maria e Miss Pony la trattavano come una specie di invalida, una cosettina incapace perfino di respirare senza l’aiuto degli altri e, in special modo, di Candy. Candy emanava un chiarore di alba estiva, Annie una penombra da crepuscolo d’autunno. Così, convinta di essere stata sfavorita dalla sorte che le aveva elargito un carattere così poco ammirevole, Annie aveva deciso di impegnarsi con tutte le sue forze per ottenere lo stesso ciò che voleva. E quando la signora Brighton aveva scelto lei, invece di Candy, aveva capito che si trattava di un segnale. Qualcuno, per la prima volta nella vita, aveva preferito la bambina più pacata, più chiusa, più accartocciata, a quella più simpatica e divertente! Quella bella donna piena di lungimiranza meritava una possibilità! Così, l’aveva scelta a sua volta ed era andata via con lei. Non che non ci avesse lasciato il cuore alla casa di Pony. Benché separarsi da Candy fosse necessario per smetterla di sentirsi inferiore al suo confronto, non era stato affatto facile, perché le voleva bene sul serio, anche se in un modo personale, tipico delle Annie di tutto il mondo. Un modo silenzioso e segreto, pudico perfino. In ogni caso, non abbastanza eclatante da impedirle di andar via. Andar via per diventare improvvisamente la protagonista di qualcosa, e non soltanto une flebile comprimaria. Essere amata più di Candy, anche se non era come Candy. Essere amata solo lei, non una bimba fra decine di altri piccoli che meritavano tutti una dose equa di attenzioni, ma l’unica bambina per qualcuno, non paragonata agli altri, non subalterna per indole, ma sola e ineguagliata. Però, lasciare Candy era stato un colpo, così doloroso da farle quasi rabbia. Non voleva dipendere così tanto da lei, sentiva che se avesse ceduto alla nostalgia sarebbe tornata indietro. Se la paura l’avesse strattonata, la vettura dei Brighton sarebbe partita con un'altra bambina al suo posto. Così, si era fatta forza. Non aveva pianto, non aveva concesso alla parte più fragile di sé di avere la meglio sul suo bisogno di allontanarsi. Non si era voltata indietro, per scorgere gli ultimi profili della casa di Pony all’orizzonte, la punta del campanile e la croce che riluceva nel sole. Non si era voltata indietro per vedere Candy che la salutava con la manina spalancata, col vento fra i capelli e nei vestiti, e sul viso lentigginoso un dolore che più forte di così c’era solo da perdere il fiato e perdere la vita. Era rimasta immobile, guardando avanti, il futuro, la linea dell’orizzonte, l’erba che ondeggiava, sentendo il profumo carezzevole della signora Brighton, i cui occhi erano pieni di promesse da mantenere. Scusami Candy, ma è l’unico modo che conosco per andarmene. Evitare di guardarti, evitare di cercarti, perché se lo faccio rischio di perdere questa occasione. E tu lo sai quanto sono fifona. Se lascio che il panico prenda il sopravvento, resterò per sempre la piccola Annie lacrimafacile della Casa di Pony. Così, si era distaccata sempre di più. Era l’unico modo per liberarsi dall’incubo di essere un’eterna figurante. La famiglia Brighton l’aveva fatta subito sentire speciale, lei, la povera Annie, quella un po’ uggiosa, quella che a trovare la frase giusta da dire al momento giusto non ci sarebbe riuscita nemmeno torchiandosi le meningi fino a farle fumare. Anzi, aveva scoperto che quelle sue caratteristiche, quella riservatezza, quella natura per certi aspetti pavida, che contava fino a cento prima di esprimere una qualsivoglia idea e alla fine non la esprimeva nemmeno, piaceva moltissimo alla sua nuova mamma. Che star zitta e quieta in un angolo, senza fare smorfie e ridere e farsi mordere il naso da un granchietto e legare le papere in fila e arrampicarsi con la rapidità di un procione e tirare il lazo da vero cowboy, si addiceva molto alle caratteristiche richieste a una gentildonna. Che forse, quello che per anni, paragonandosi a Candy, aveva considerato come un carattere indolente da bambina timida e un po’ tonta, altro non era che una personalità aristocratica, che stonava in un contesto meschino come la casa di Pony. Aveva un temperamento raffinato, e per anni gli altri l’avevano tacciata di codardia. I bambini si erano presi gioco di lei perché erano solo degli stolti ignoranti! In verità, Annie era solo troppo elegante per poter essere compresa da una ciurma di orfanelli selvatici. Quella scoperta, l’aveva allontanata sempre di più. Si era fatta definitivamente corteggiare dalla sua nuova vita, dalla sua nuova famiglia, dalle mille sottili e meno sottili lusinghe che la signora Brighton aveva messo in atto per staccarla abilmente dal suo vergognoso passato. Della Annie fifona e lacrimona di un tempo era rimasto solo un ricordo, una tentazione tenuta a bada dall’opportunismo, un raro flashback, un lampo nostalgico che teneva segreto per non urtare la madre, ed era nata una nuova Annie, non meno insicura e ritrosa negli atteggiamenti sociali, sempre intimamente apprensiva, sempre malinconicamente pensosa, ma almeno consapevole che nessuno l’avrebbe giudicata in modo sfavorevole per quelle deficienze di carattere, e anzi che quanto più avesse ostentato la propria timidezza tanto più sarebbe risultata adorabile e virtuosa. In un mondo in cui il nome era tutto, le bastava essere una Brighton per risultare simpatica, e non doveva più affannarsi per catturare la simpatia di nessuno. Proprio per questo, era diventato obbligatorio tacere la sua provenienza, altrimenti la protezione data da quel nome non sarebbe servita più a nulla, e la sua insicurezza invece di essere soavità sarebbe tornata vigliaccheria. Tutto era stato abbastanza facile, fino all’incontro con Archie e al collegio in Inghilterra, fino a quando, ancora una volta, il suo destino di comprimaria, di ancella, di comparsa, era tornato a perseguitarla. Senza Candy a fare da pietra di paragone, riusciva a sembrare perfino interessante, ma vicino a lei perdeva di nuovo, vicino a lei non c’era modo di fingere di essere solo graziosa e dolce, perché bastava la sua presenza abbagliante per farla tornare l’imbranata grigia creatura di molti anni prima. Diventava piccola, un’anonima bambina che non viene notata se non dopo un lungo giro di sguardi rivolti altrove. Una brunetta che non brilla, un’ossidiana opaca. Candy, invece, non aveva smesso di mandare una luce sfolgorante. Nessuno la ignorava; nel bene e nel male, nella pace e nella battaglia, Candy era sempre al centro dell’attenzione. Quando aveva notato che, soprattutto, era al centro dell’attenzione di Archie, Annie avrebbe voluto morire, morire sul serio. Il cuore le si era contorto come un insetto ingabbiato fra i nodi di una tenda e il vetro d’una finestra. Un insetto cieco, sciocco, incapace di far niente di più che dibattersi vanamente. Delusione e rabbia si erano alternate all’invidia, un’invidia annebbiata e a tratti crudele. Ricordava ancora il sapore della pioggia nella bocca, quel tardo pomeriggio d’autunno, quando era scappata nascondendosi in una grotta trovata per caso lungo la fuga. Avrebbe voluto morire. A cosa le serviva aver imparato mille maniere da vera signora, avere un aspetto grazioso e leggiadro, ricamare fazzoletti e suonare romanze al pianoforte, se poi Archie era comunque attratto dal suo esatto opposto? Perché tutti amavano sempre e solo Candy, e perché lei, invece, doveva restare in eterno sullo sfondo, in una solitaria penombra? Poi, le cose sono migliorate, in un certo senso. Archie è tornato da lei, e adesso si sposano. C’è di che essere raggianti, no? Sposa l’uomo che ama di più sulla terra, dunque le allusioni di Candy ad un’ipotetica mancanza di felicità sono state quanto meno indelicate… Mentre camminano lentamente in giardino, Annie ha nel cuore molti segreti, molte certezze e molti dubbi, ma non li rivelerà mai a nessuno, perché parlarne sarebbe come morire. Stringe forte la mano di Candy ma non le confiderà mai che, ancora, una parte di sé la invidia. Nonostante sia a conoscenza della sua sofferenza, del modo in cui la vita si è accanita su di lei molto più che su se stessa, continua a considerarla più fortunata, più benedetta dalla sorte. Il modo in cui Terence la guardava…Archie non ha mai guardato lei nella stessa maniera. C’era qualcosa di assoluto in quello sguardo, e Annie si è rosa a lungo nella certezza di non poter essere desiderata con la stessa intensità dall’uomo che ama. Archie è gentile con lei, premuroso, ma nella sua delicatezza c’è qualcosa di convenzionale, di statico, di rispettoso, ma mai di sanguigno, o di sconvolto, non gli ha mai letto negli occhi qualcosa che sapesse di eternità. Non ha mai avuto la sensazione che, senza di lei, lui non potesse vivere. Sono fidanzati perché sono affini, entrambi amano le comodità della vita elegante, adorano i fazzoletti ricamati, i profumi sobri, e detestano il chiasso. Ma, ad esempio, lui non le ha mai dato neanche un bacio, tranne un lieve tocco di labbra sulla fronte. Annie sa che è un giovanotto beneducato, che agisce secondo i principi più puri e innocenti, sa che nessuna ragazza assennata avrebbe da recriminare per una cosa del genere, e che la madre la redarguirebbe se le esponesse quel fatto come un cruccio, ma lei, che pure è assennata fino al midollo, avrebbe forse desiderato un po’ meno di disciplina e un po’ più di complicità, giusto quel pizzico che le svelasse di non essergli indifferente. Invece, a volte ha la sensazione che vadano avanti per forza d’inerzia. Per questo, i preparativi del matrimonio la angosciano invece di renderla allegra. Per questo, ogni frase di Candy, anche la più affettuosa e incolpevole, le sembra un’accusa, un’insidia. Soprattutto detta da lei…. Ancora, nel cuore di Annie, ringhia la certezza che Archie sia innamorato di Candy. E se anche così non fosse più, sapere che lo è stato, e che, comunque, non è innamorato di lei, la riempie di un’amarezza così atroce che mettersi a piangere per una dozzina di cigni o per una tovaglia strappata o per un bouquet troppo sgargiante è liberatorio. Sa cosa dovrebbe fare, ma non ha nessuna intenzione di farlo. Dovrebbe parlare con Archie, chiedergli cosa vuole, cosa sogna, cosa desidera. Ma ha paura delle risposte. Ha paura che, messo alle strette e costretto a rivelarle la verità, Archie le confessi che quel matrimonio non nasce esattamente all’insegna di un amore da romanzo. Così tace, e si tiene per sé quegli scrupoli. Andrà bene lo stesso, non tutti i matrimoni sono come nei romanzi. Anzi, meno sono sentimentali e più durano, perché non c’è modo di restare delusi da qualcuno che già in partenza non ci illude. Dove non c’è sogno non potrà mai esserci un brutto risveglio. Intanto, Candy ed Annie passeggiano, e parlano dei preparativi delle nozze, della casa di Pony, del viaggio di Candy e di quella bella casa. Dapprima la loro conversazione è vaga, poi diventa più confidenziale. A un tratto il dialogo vira su Patty ed entrambe assumono un’espressione rattristata. “Ho ricevuto una lettera dalla nonna” dice Annie “Mi ha scritto che la cara Patty non è in condizione di partire. Non sta bene, è ancora molto depressa, e i medici hanno consigliato un periodo di ricovero in una casa di cura….Così, purtroppo, non verrà…” “Si, lo so” dice Candy con un sospiro “Mi ha scritto” “La nonna?” “No.. Patty stessa…Ecco, mi ha chiesto di mostrarti la lettera, l’ho portata con me…” tira fuori da una tasca nascosta fra le balze della gonna una busta bianca e gliela porge. Annie trema per un istante. Perché Patty ha scritto a Candy, mentre lei si è dovuta accontentare di una lettera, per quanto cortese, della nonna? Il matrimonio è il suo! Non avrebbe dovuto privilegiare lei? La collera la abbaglia, ma dura poco, subito riconquista una specie di equilibrio, le rimane solo l’angolo di un occhio che vibra, ma poi si placa anche quello. Candy, che la conosce bene, nota quell’assalto, ed esclama dolcemente: “Ha scritto ad entrambe, quella lettera è tanto per me che per te…Leggila, te ne accorgerai…” La abbraccia, le dà un bacio su una guancia. Annie sorride, poi legge la lettera. Quando smette ha gli occhi lucidi. “Povera Patty…” mormora “ Non ha ancora dimenticato…Sembrava stare meglio e invece…” “Invece il dolore la sommerge come un fiume in piena….Ci sono sofferenze che non passano mai..” dice Candy, continuando a tenerla stretta da un braccio mentre attraversano il prato in dolce pendio. Annie ha un secondo sussulto. Candy è riuscita di nuovo a batterla in qualcosa…Ha conquistato un lato dolce, struggente, che prima non aveva. Prima la sua allegria era talmente ridondante da sommergere ogni altra caratteristica. Mentre adesso, sia pur fra le righe d’un carattere per natura positivo e solare, Candy ha qualcosa di inquieto, di straziato. E’ diventata più delicata, più morbida. E’ più adulta. Prima lei era il sole e io la luna. Adesso lei è sole e luna insieme, caldo e freddo, luce e penombra, e a me è rimasto solo il crepuscolo. Ancora una volta ha qualcosa in più di me. Si è trasformata in donna, e io son rimasta una ragazzina. Cerca di allontanare quella sensazione, non vuole che Candy, perspicace com’è, se ne accorga. Allora, con tono complice, quasi segreto, le chiede di Albert. “Quando farete il grande passo anche voi?” Candy sorride, insieme si siedono su una panchetta, all’ombra di un acero. Il giardino non è molto grande, ma abbastanza per una casa di città. Lo hanno già percorso ripetute volte in lungo e in largo, e hanno il viso arrossato dal sole. La signora Brighton avrebbe qualcosa da ridire su una prossima sposina con le gote color fragola. Una sposa perbene deve essere bianca, come una maiolica. Di sicuro si arrabbierà quando la vedrà quasi scottata. “Avete fissato una data?” insiste ancora Annie, rifugiandosi all’ombra del grosso albero con le foglie d’un verde tenero. Candy scuote la testa, senza smettere di sorridere. “E’ la persona giusta per te” continua Annie “Un ragazzo a posto, anzi un uomo, con un ottimo patrimonio e una grande rispettabilità. E poi, ti vuole bene, si vede che ti porta in palmo di mano. E tu, quando sei con lui, sei tranquilla.. E’ questo ciò di cui abbiamo bisogno, qualcuno che ci faccia sentire serene, protette, avvolte in un bozzolo fatto di tenerezza e comodità” L’amica stavolta ride. “Io mi so proteggere benissimo da sola, sai!” esclama, mostrando i pugni come se stesse per ingaggiare una scazzottata, poi li adagia in grembo, e torna a stringere forte la mano di Annie “Albert è importantissimo per me…” sussurra alla fine, con voce carezzevole. A un tratto, Annie parla senza pensare, o forse pensa a voce alta: “Io lo sapevo che Terence era un fuoco di paglia” dice, decisa, quasi grintosa “Non era la persona adatta a te. Nulla da ridire su di lui, cioè è un bravo ragazzo sebbene un po’ singolare come carattere, sta avendo un certo successo e appartiene a una famiglia assolutamente stimata, ma ho sempre pensato che non aveste futuro...Ora posso dirtelo senza timore di rattristarti, ma credo che restando con Susanna Marlowe abbia fatto la scelta più decorosa. Quella povera ragazza, abbandonarla sarebbe stato crudele..In ogni caso, tu e Albert siete perfetti insieme, come me ed Archie, anime gemelle, affini fino al più esile dettaglio. Certo, può accadere nella vita di credere di aver amato qualcun altro, ma quando passa il tempo le cose sfumano, cambiano, e ti accorgi che ciò che conta è il presente, e il futuro, e il passato è solo una sciocca chimera....” “Non dimenticherò mai del tutto il passato, mia cara Annie” sussurra Candy. “Beh, magari dimenticare del tutto è impossibile, ma vivere bene no! Guardati, stai benissimo, sei carina e aggraziata molto più di quanto tu sia mai stata, e finalmente non dovrai pensare a dove vivere, a cosa fare…Ti attende una vita di agi e serenità” “Purtroppo, però, io e gli agi talvolta abbiamo certe baruffe…” scherza Candy. “Preferiresti gli stenti?” Annie spalanca gli occhi per lo stupore. “Non sono un personaggio così romanzesco, mia cara amica! Non trovo che ci sia nulla di attraente in una vita di tribolazioni. Se capitano le affronto senza abbassare la testa, ma andarne in cerca proprio no. Dico solo che non mi si addice una vita di attesa domestica. Non sono fatta per diventare una brava mogliettina che tiene caldo il focolare e ricama uccelli del paradiso sulle tovaglie” “Ne hai parlato con Albert? Lui che ne pensa?” “Pensa che debba fare ciò che mi fa sentire meglio” “Lo dicevo io, hai trovato un uomo perfetto! Credimi, non sono più delle dita di una sola mano i futuri mariti che non resterebbero di sasso dinanzi a una simile confidenza, e non farebbero un passo indietro nel timore di aver rivolto un’incauta proposta a una donna un po’ strampalata…Dunque, che farai?” “ Ho bisogno di tornare a lavorare. Mi manca molto quel mondo, quel senso di utilità, di completezza. Quel rendersi utili e imparare continuamente qualcosa…” “Una donna può ottenere queste cose anche nel matrimonio, senza andare a lavorare. Servire il proprio marito può dare un grande senso di utilità e completezza…” “Si, credo sia vero…la felicità domestica è una grande cosa, l’affetto coniugale è senza dubbio un’esperienza appagante, e sono sicura che Albert è la persona giusta per me, ma sono anche sicura di aver bisogno di lavorare ancora” “Ma non ne avrai bisogno! Albert potrà provvedere a tutte le tue esigenze!” “Non lo farei per necessità...ma per amore…amore di questa missione, dei pazienti, di ciò che posso dar loro e soprattutto di ciò che loro danno a me” “Non capisco cosa possano darti dei malati magari contagiosi…” “Esperienza, rispetto, lezioni di dignità e di coraggio” “Ti rendi conto di quanto tutto ciò sia…sconveniente? Insomma, una ragazza in cerca di affermazione sociale può anche compiere un colpo di testa, inseguire un sogno patetico e caritatevole, ma una donna in procinto di contrarre un matrimonio con il rappresentante di una famiglia in vista…credo che la cosa susciterà un certo… scalpore …Potresti renderti utile ai diseredati con qualche party di beneficenza….ma lavorare….Non pensi che danneggerebbe l’immagine degli Andrew?” Annie ha il viso ancora più arrossato, adesso, per il sole e soprattutto per il turbamento. Candy le stringe una mano fra le sue. Non è arrabbiata con Annie per quelle parole schiette e crude. Per quanto la sua amica non sia stata sempre un esempio di correttezza e dedizione totale, Candy non può far altro che amarla. Nonostante ogni trascorso, nonostante il suo formalismo, e la gelosia che le legge ancora dentro, nonostante gli ultimi dodici anni della loro vita abbiano brigato per separarle molto più che per unirle, e Annie abbia assecondato quella trama del destino senza opporsi troppo, Candy prova per lei una tenerezza assoluta, un amore incondizionato. Se Annie fosse più lucida, meno incline a credere solo a ciò che le risulta più conveniente credere, si renderebbe conto di quanto l’amore di Candy sia capace di passare sopra ad ogni accusa, ad ogni insulto, ad ogni invidia o infelice insinuazione. Di quanto quel sentimento sia un esempio di come si debba voler bene a qualcuno, senza aspettarsi nulla in cambio. Candy ama Annie molto più della signora Brighton, che le vuol bene a patto che le somigli ogni giorno di più. “Non parliamo di me, mia cara. Sei tu l’unica protagonista di questi giorni di festa” esclama Candy infine scuotendo il capo “Non preoccuparti per me, per il mio onore, e per ciò che dirà l’opinione pubblica. Albert è dalla mia parte, e comunque non farei mai nulla per danneggiare il suo nome. Valuterò la cosa con molta attenzione, e mi comporterò sempre secondo coscienza. Comunque, c’è qualcun altro che voleva vederti oggi, sai? Ha insistito tanto per venire…” le strizza un occhio e ancora ride. “Qualcun altro, chi?” Annie non capisce, è emozionata e divertita e anche un po’ allarmata. “Qualcuno che è dovuto entrare di nascosto dal cancello esterno, per non farsi vedere….” bisbiglia Candy, in tono segreto. Quindi fischia, forte, come una vera signora non dovrebbe fare mai. Dall’acero, sopra le loro teste, salta giù un batuffolo bianco e nero, che le atterra in grembo. Annie emette un gridolino, poi riconosce Klin. Annie ride, lo abbraccia, disinteressandosi completamente a ciò che direbbe sua madre se la vedesse stropicciarsi il vestito per fare le coccole a un quadrupede maleodorante. Per un po’ torna bambina. Per un po’, in quel giardino del Greenwich Village, nel cuore di New York, è come se apparisse la casa di Pony, le colline, papà Albero sull’altura, e ancora tanta innocenza, non contaminata da sentimenti accessori e non sempre buoni. Per un po’, la gentildonna lascia il posto alla bimba. Per un po’ non esiste nient’altro che un immenso candore senza complicazioni. Poi la voce della signora Brighton, alle loro spalle, le fa sussultare, Klin si nasconde rapido sull’albero, Annie si sistema il vestito, e l’innocenza è passata."
continua....
Edited by Odyssea - 19/7/2006, 20:51
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