Posso fare un esempio, forse un po' stupido, preso dal manga "Non sono un angelo" di Ai Yazawa?
Voler rendere felice qualcuno equivale ad amare. Certo, è un concetto che vale un po' in tutto il mondo, ma in giapponese sostituisce il più delle volte le parole "ti amo".
In Candy è un concetto sul quale Nagita insiste molto: tutti vogliono la felicità di Candy lì dove tutti sono innamorati di lei. Lo sentiamo dire da Stair, Terry, Albert... Stair sa che non sarà lui a renderla felice, nel senso che sa che Candy non e innamorata di lui, e fa ciò che può e gli viene meglio per dimostrarle il suo amore: le costruisce il carillon della felicità, e glielo dona quando le dice addio.
Terry è come Stair, desidera la felicità di Candy, ma sa che non sarà lui a potergliela donare, e si fa promettere da lei di essere felice (innamorati di nuovo).
A Rockstown dice una frase pregna di implicazioni e significato: "come posso far felice Candy se non riesco a far felice nemmeno Susanna?"
(Tenete conto che desiderare la felicità equivale ad amare.)
Albert è l'unico che materialmente gliela dona, e solo a lui Nagita fa dire una frase importante: "Anche in futuro, voglio scoprire dove risiede la tua felicità".
Dare felicità, materialmente, con le proprie mani: amare.
Solo se si conosce la cultura di un autore è possibile comprendere fino in fondo il senso di ciò che scrive. Si può leggere comunque, ma con la consapevolezza che mancherebbe sempre qualcosa.
Questa è la tavola di Non sono un angelo. Vi ricorda qualcosa? (Spero non sia troppo grande...)
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