Candy Candy

Ragione e sentimento (quando me ne viene uno migliore lo cambio), FF completa

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 3/2/2008, 18:39     +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
998

Status:


Premessa
La figura di Albert mi ha sempre intrigato molto. Rileggendo il fumetto e rivedendo l’anime a distanza di più di venti anni (sigh!), con molta esperienza in più alle spalle ho capito tante cose.
Alcuni degli aspetti del personaggio Albert appartengono anche a me: mi piacciono gli animali, preferisco essere in mezzo ad un bosco piuttosto che ad una festa rumorosa con persone che conosco poco, mi piacciono i grandi spazi e la sensazione di libertà di un viaggio alla scoperta di ciò che è “altro”.
Nel sito spagnolo dedicato ad Albert e Candy, Albert viene indicato come un Cancro, lo sono anch’io; non che creda agli oroscopi ma trovo che la descrizione delle caratteristiche del Cancro si adatti molto bene a me e quindi ho provato a mettermi nei panni di Albert e descrivere i suoi sentimenti, il suo modo di vedere le cose e le persone.
Forse non avrò delineato bene gli altri personaggi ma spero che vi piaccia la storia.


1° puntata

Buio
Voci confuse

Buio
Senso di vertigine

Ancora buio...

“Dove sono?”
Una voce nella mente...

Buio
...e nebbia..

...e nausea...


Nella mente voci confuse, di bambini...
Poi ancora buio..

Non capiva se quelle voci fossero reali oppure sono nella sua mente...

D’improvviso un’immagine: una cascata di riccioli biondi e due occhi verdi...ma chi era quella ragazza?

Ancora buio e vertigine...ma da quanto tempo era in questo stato?
Non riusciva a ricordare nulla, una nebbia fitta lo circondava...improvvisamente un nome “CANDY?” e rivide quel viso incorniciato di capelli biondi, con un dolcissimo sorriso, la testa inclinata da un lato, con quell’espressione che lui conosceva bene...era Candy ma l’immagine che ora aveva negli occhi era quella di bambina, con quel vestitino a righe rosse...ma quando l’aveva vista così? Non riusciva a ricordare.

Di nuovo buio, perse nuovamente i sensi...

Ancora suoni, ma li sentiva veramente o erano illusioni, brandelli di ricordi? Stavolta gli sembrava di sentire le cornamuse che suonavano e gli apparvero i visi di tre ragazzi, uno biondo come il grano, uno con i capelli neri e gli occhiali, il terzo con i capelli come l’oro brunito, vestivano il kilt e il tartan, tutti con lo stesso disegno...cercò di sforzarsi di ricordarne i nomi, di capire se li conosceva ma NIENTE! Gli sembrava di aver indossato anche lui quell’abito e la cornamusa gli sembrava familiare...perché?

Ancora un tempo che sembrava interminabile poi ancora immagini..
Candy allo Zoo di Londra, con un ragazzo...come si chiamava? Terence? Sì Terence...
Si sforzava di ricordare ma ecco ancora la nausea e la nebbia, gli girava terribilmente la testa e non riusciva ad aprire gli occhi...

D’improvviso un’altra immagine: un roseto immenso, una grande villa chiara, risa cristalline nell’aria tiepida, un bambino biondo, molto piccolo che gli correva incontro e dietro a lui una donna bellissima con gli occhi azzurri ed il viso delicato...nel vederla sentì le lacrime negli occhi ma avvertì nuovamente quel senso di nausea che lo rigettò nella nebbia...

Si sentiva troppo debole, si riaddormentò.
Ancora immagini, come in un sogno, la savana sconfinata, branchi di leoni, gazzelle, antilopi, un piccolo villaggio, un’infermeria, alcuni bambini che gli sorridevano tra le lacrime per la paura del dottore, una delle donne che lo chiamava per nome: Albert..

Allora lui si chiamava Albert? Perché qualcosa non tornava?

Altre immagini.
Una grande sala, con grandi vetrate, una scrivania vicino alle finestre, una grande libreria lungo la parete, una serie di ritratti di donne ed uomini appesi alle pareti con le cornici riccamente intagliate e dorate, alcuni si somigliavano tra loro, un grande tavolo rotondo, con un servizio per il the in argento, vasi cinesi sulla consolle, un lampadario dorato di Murano appeso al soffitto che spandeva la sua luce nella penombra della sera, tutto in quella sala indicava l’enorme ricchezza dei proprietari: alcuni uomini vestiti di scuro parlavano tra loro, vicino alla scrivania, ignorandolo, quando improvvisamente si aprì la porta ed entrò una donna dall’aspetto severo, alta, già avanti negli anni, i capelli grigi raccolti sulla nuca, un cammeo bianco sul vestito. La donna entrando lo guardò un attimo, accennando un saluto e si rivolse agli uomini che la salutarono con un inchino, “Signori, siamo qui per discutere di William, vogliate accomodarvi”
“Zia?” pensò ma in quel momento non ricordò altro.

All’improvviso un treno carico di persone, una luce accecante ed un boato e si ritrovò seduto sul letto, nello spogliatoio del ristorante in cui lavorava…piano piano tutti i pezzi della sua vita si andavano incastrando nella sua memoria come le tessere di un puzzle.

“Albert, ti senti bene?” la porta si aprì.
“Sì grazie, da quanto tempo sono qui? Cos’è successo?”
“Stavi lavando i piatti quando improvvisamente sei caduto a terra tenendoti la testa, poco dopo sei svenuto e ti abbiamo portato qui...” disse Joseph, il capo cuoco.
“ E quant’è che sono qui?”
“ Sarà un quarto d’ora, venti minuti. Cominciavamo a stare in pensiero, stavamo per chiamare il dottore”
“Tutto bene, grazie” disse Albert alzandosi “ma se non vi spiace preferirei andare a casa..”
“Tutto ok, vai pure, sei ancora molto pallido”.
Albert si tolse il grembiule che ancora aveva addosso, prese il maglione ed uscì.
“Un quarto d’ora” pensò, “mi è sembrata un’eternità…era come se uscissi da un sonno profondissimo”

Non fece caso a dove andava, aveva bisogno di camminare, riordinare le idee, i fili spezzati del ricordo e i sui passi lo condussero allo zoo, si stese su un prato a pensare: ora sapeva chi era, ricordava tutto ma adesso veniva la parte più difficile, decidere cosa fare.
Le ore passarono quasi senza che lui se ne accorgesse, sprofondato nei suoi pensieri, in quei ricordi che finalmente aveva...stava facendosi sera.
La prima immagine che aveva ricordato era quella di un musetto pieno di lentiggini che gli sorrideva dolcemente. Quanti ricordi legati a Candy, quanto era cresciuta dalla prima volta che l’aveva vista alla cascata nella tenuta degli Andrew...”E ora? Candy sarà disposta a tenermi con lei anche se sono guarito? O non sarà più possibile? Forse no..”
Puppe lo stava tirando per il maglione...
“Vuoi tornare a casa, vero? Ok, andiamo, per ora non le dirò nulla”


Credits

Tutti i personaggi del manga/anime di Candy Candy, presenti in questa Fanfiction, gli avvenimenti ed alcune frasi riportate appartengono di diritto all’autrice Kyoko Mizuki, alla Toei Animation and Fabbri Editori che curano e distribuiscono il manga/anime in Europa.

Il materiale proposto in questa fanfiction è mostrato a solo scopo divulgativo e non è intesa alcuna violazione di copyright.

Tutti i diritti per ciò che è sotto copyright appartengono all’autrice Kyoko Mizuki, alla Toei Animation and Fabbri Editori e non vengono dall’autrice zucchero filato ripresi con scopi di lucro ma solo a fini amatoriali.

I personaggi originali creati da zucchero filato appartengono all'autrice che ne detiene i diritti d'autore; ogni citazione od utilizzo di tali personaggi è sottoposta alle leggi sul diritto d'autore e tutelati in quanto opere originali d'ingegno.



Edited by zucchero filato - 30/9/2008, 14:41
 
Web  Top
view post Posted on 4/2/2008, 09:14     +1   +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
998

Status:


2° puntata
Tornando a casa Albert la trovò svenuta, riversa sui giornali che parlavano di Terence e della sua scomparsa, aveva pianto tanto da addormentarsi.
Albert sentì il cuore farsi piccolo mentre la portava a letto, asciugandole le lacrime; non riuscì a trattenersi dall’accarezzarle dolcemente i capelli, l’avrebbe riempita di baci e coccole se questo fosse bastato per non vederla più piangere..Sapeva quanta sofferenza c’era nel suo cuore diviso a metà in questo momento.
“Ora non posso certo andare via” pensò tra se, “ ha ancora bisogno di me, forse ora più che mai”.
Convinto che Candy ormai dormisse, Albert rimase a lungo alla finestra, cercando di fare ordine anche nei sentimenti.
Un uomo senza passato è un uomo senza futuro: i mesi trascorsi con Candy, senza sapere chi fosse, erano stati meravigliosi ma il dubbi erano diventati via via più forti, come i suoi sentimenti.
Quella ragazza diceva di conoscerlo bene ma ignorava qualunque cosa della sua vita: lui non le aveva raccontato nulla della sua famiglia, ora capiva perché..
Sapere il perché di tanto mistero ora non lo aiutava certo a tenere a bada quello che stava provando: -In realtà le voglio bene come ad una sorella, in fondo somiglia molto a Rose Mary, e le sono molto riconoscente per quello che ha fatto per me, probabilmente nessun’altro l’avrebbe fatto..e poi ha un cuore d’oro, come si fa a non volerle bene? - pensava tra se; ci sono persone che sono molto brave a mentire a se stesse, soprattutto riguardo ai propri sentimenti. La realtà era che nei giorni in cui lui era senza memoria aveva imparato a conoscerla bene, aveva imparato ad amarla, come una sorella diceva lui, aveva cercato di non farsi sopraffare da questa nuova tenerezza per lei perché aveva paura di scoprire che qualcosa della sua vita passata gli avrebbe impedito di rimanerle vicino. E così era stato..

Albert si sentiva strano, in un certo senso fragile: sapeva che ora non avrebbe più potuto sottrarsi al dovere che l’attendeva ma nello stesso tempo avrebbe voluto che nulla cambiasse; si disse che tacere ancora per un po’ la sua identità non avrebbe potuto far male a nessuno, almeno non a Candy e a se stesso; si disse che avrebbe voluto restare ancora con lei anche se lui ai suoi occhi era solo un fratello, gli sarebbe bastato.

Una tiepida giornata di primavera un ragazzo si presentò a Casa Andrew, a Chicago, chiedendo di vedere George, l’uomo di fiducia della famiglia.

“Attenda qui” gli disse una cameriera “ Chi devo dire?” e intanto lo stava squadrando dalla testa ai piedi.
“ Gli dica solo che Albert lo sta cercando”
“Chissà cosa vuole” pensò, salendo le scale, poco convinta dall’aspetto un po’ trasandato del giovane.
Poco dopo la porta si aprì di colpo ed un George insolitamente agitato entrò, per poi quasi svenire alla vista dell’ospite.

“Catherine, la prego, non ci sono per nessuno e non voglio essere disturbato in alcun modo, salgo nello studio grande”
“Va bene, signore”
“E ci porti un the, grazie”

Aspettò che la porta si chiudesse.
“William!” e non riuscì a dire altro dall’emozione, gli andò incontro per abbracciarlo.
“George, sei rimasto senza parole!”
“William, non sai quanto ti abbiamo cercato, non c’era alcuna traccia di te, le ultime notizie ci sono arrivate dall’Italia, poi nulla, cosa è successo?”

Quel ragazzo gli era caro come un figlio, glielo avevano affidato quando la madre era morta e praticamente l’aveva cresciuto lui, lontano da occhi indiscreti, e William lo trattava come un padre, per lui era stato un amico, un confidente, una guida; in privato, quando nessuno poteva sentirli si davano del tu; in pubblico, soprattutto con la signora Elroy, George usava il lei per rivolgersi al ragazzo.

Si abbracciarono, George non riusciva a parlare ma anche William aveva qualche difficoltà.

Salirono al piano superiore, nello studio dalle grandi vetrate.

Albert gli raccontò cosa era successo nell’ultimo anno: il viaggio in Italia, l’incidente, la perdita della memoria, l’ospedale, l’incontro con Candy, lei che si prende cura di lui.

“Qualche giorno fa mi sono sentito male e la memoria è tornata di colpo..mi sono preso ancora qualche giorno per riprendermi ed alla fine ho deciso di venire a cercarti, speravo che fossi qui, non avevo voglia di incontrare per prima la zia..”

“La signora Elroy era molto in pensiero per te, non abbiamo fatto altro che cercarti ed il pensiero che fossi morto in Italia ha aleggiato su questa casa in tutti questi mesi..”

“Me ne dispiace davvero..George, ti prego, non dire nulla del ruolo di Candy in questa storia, sai che la zia non la sopporta e non approverebbe il comportamento che ha tenuto nei miei confronti, anche se animato dalle migliori intenzioni.. sai che lei dà molta importanza alle apparenze” e fece una smorfia.

“Certamente, capisco. Le diremo che si sono presi cura di te in un istituto fuori Chicago. Cosa pensi di fare ora?”

“Bisognerà intanto dire alla zia che sono ancora vivo e vegeto.
Per il momento però vorrei avere ancora un po’ di tempo per sistemare tutto, non ho ancora detto a Candy che sono guarito e nel momento in cui lo farò dovrò andarmene, ora non può ancora sapere..”

“Va bene ma c’è bisogno che torni ad occuparti degli affari di famiglia, in questo anno me ne sono occupato io, con il fatto che nessuno sa chi sei, ma cominciano a spargersi voci sulla tua salute malferma e c’è il rischio che molte cose non vadano per il verso giusto..”

“Eh, eh, la mia salute malferma, già pensano tutti che sia un vecchietto.” ghignò William, riprendendo poi serio “Lo so non posso sottrarmi a lungo a questi doveri ma vorrei fare le cose con calma, mi sento come se fossi uscito da un sonno lunghissimo e ho bisogno di un po’ di tempo. Per rimettermi a posto. Prepara la zia alla notizia ed organizza un incontro, a Lakewood, senza servitù ne altri spettatori, solo noi tre, così potremo parlare liberamente e decidere il da farsi”

Dopo il the i due uomini si salutarono concordando il loro successivo incontro.

Albert tornò a casa da Candy ma la situazione, di giorno in giorno stava peggiorando.

Candy, malgrado lo sforzo di sembrare allegra, aveva un perenne velo di malinconia sugli occhi, che diventava ancora più scuro quando qualcosa le ricordava Terence.
Lei sapeva che non l’avrebbe più rivisto, non poteva, lui doveva restare con Susanna, dedicarsi al teatro l’avrebbe aiutato a dimenticare il dolore e lei, che ne era la causa ma anche la vittima.
La morte di Stear aveva aumentato la tristezza di Candy, le sembrava che le persone più care continuassero a morire senza che lei potesse farci nulla; aveva solo 18 anni e aveva già perso due persone care, assistendo impotente al loro destino…anzi erano tre.
Candy cercava di pensare a Terence come ad una persona morta, la morte è definitiva, glielo aveva detto anche lui, quel giorno a cavallo, e pensarla in questi termini le sembrava che potesse aiutarla a fare del ricordo di Terence qualcosa di dolce e malinconico come quello di Anthony.

Albert la guardava soffrire e avrebbe dato anche la vita per vederla felice, nulla poteva lenire quel dolore, forse solo il tempo.
 
Web  Top
Atlye
view post Posted on 4/2/2008, 14:49     +1   -1




che bella grazie di averla condivisa con noi :loveyou: :darling I love u:
 
Top
view post Posted on 4/2/2008, 17:22     +1   +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
998

Status:


Prego Atlye, grazie per l'apprezzamento, eccon un altro po'

3° puntata
Da qualche minuto stava passeggiando nel roseto che stava sfiorendo, sommerso dai ricordi di quando era bambino: era tanto che mancava dal quel posto, tante cose erano cambiate ma sembrava che nel roseto il tempo non passasse, sembrava che le persone che gli erano state care sarebbero potute apparire da un momento all’altro, come se non se ne fossero andate, come se non fossero morte.
Era talmente assorto nei suoi pensieri da non essersi accorto dello scompiglio che aveva portato la sua presenza; il signor Whitman, il giardiniere, quando l’aveva visto aveva fatto cadere tutto quello che aveva in mano e nel cercare di raggiungerlo era incespicato nella carriola, cadendo e facendola cadere rumorosamente.
“Mio Dio, è proprio lei signorino William?”
Si ritrovò davanti un ometto basso, barba e capelli candidi, piccoli occhiali tondi, completamente coperto di polvere che lo guardava con gli occhi pieni di lacrime.
Un lampo e si rivide ragazzino intento ad aiutare il giardiniere.
“Signor Whitman! Come sta? La fanno ancora lavorare?” Albert lo accolse con un grande sorriso ed un abbraccio; quell’uomo aveva fatto parte della sua infanzia solitaria e Albert lo ricordava con grande affetto.
“Benedetto ragazzo, ma è davvero lei! Ma che fine hai fatto! Ma come è diventato grande! Quando sei arrivato?” disse confuso.
“Da quando in qua mi dà del lei?”
“Beh, ora però sei un uomo..io non so..lei è sempre il padrone..”
“Sono sempre William, quello che l’aiutava a portare la terra e il concime..” e gli fece l’occhiolino ridendo.
“E quello che portava tutti quegli animali e me li faceva nascondere nel capanno e nella serra, alla signora Elroy veniva sempre un accidente quando se li trovava davanti, non li poteva vedere” disse il signor Whitman facendo anche lui un occhiolino di rimando.

“Signor William” – la voce di George
“Vengo” e al giardiniere che lo guardava con aria interrogativa “Non posso più scappare, ormai” disse facendo una smorfia buffa e facendogli segno di tacere il loro incontro.

Salì lo scalone della grande villa di Lakewood come un condannato sarebbe salito al patibolo, sapeva che da lì in poi non sarebbe più potuto tornare indietro.

Bussò.

“Avanti” disse George.

Zia e nipote si rivedevano dopo più di tre anni, l’ultima volta era stato a Londra quando, con la scusa di fare visita ai nipoti che studiavano alla Royal Saint Paul School, lo aveva raggiunto per cercare di convincerlo a prendere ufficialmente in mano le redini della famiglia; lui non aveva voluto saperne e poco dopo era partito per l’Africa, deciso a fare ancora esperienza e a vedere il mondo.

Ora erano di nuovo insieme, “la resa dei conti” pensò Albert, “Finalmente farai quello che dirò io” pensò Elroy, “Non vorrei essere nei suoi panni” pensò George e non si riferiva ad Albert.

La zia Elroy era la sorella di suo padre, non si era mai sposata: perché nessuno l’aveva voluta, dicevano le male lingue, perché non c’era nessuno alla sua altezza, aveva detto una volta lei.
La signora era sempre inappuntabile, abiti sempre molto severi, nessun gioiello se non un candido cammeo appuntato poco sotto il collo, che portava solo perché appartenuto a sua nonna, modi di fare da signora dell’alta società a cui lei teneva particolarmente: giudicava gli altri per la loro capacità di rispettare l’etichetta e le convenzioni sociali, era l’unica cosa che riteneva importante. Un unico valore: l’onore ed il rispetto per la famiglia.
“Cara zia, la trovo bene” le disse baciandole con leggerezza la mano.
“William, bentornato. Spero che stavolta sia per sempre”, disse Elroy con una punta di acido.
Albert fece finta di non accorgersi del tono.
“Temo zia che dovrò assumere il ruolo che mi spetta ma..senza fretta” disse fissandola negli occhi e lei fu costretta a distogliere lo sguardo, non era mai riuscita a reggere lo sguardo del nipote, nemmeno quando lui era piccolo.

William Albert Andrew era sempre stato un bambino dolce, generoso, buono ma indipendente, testardo fino alla cocciutaggine, con un senso di giustizia innato che faceva sì che spesso si scontrasse con la zia, con Lilith, una delle sue tre sorelle, sposata poi con un Legan, e i loro pregiudizi senza senso.
Gli Andrew erano una famiglia nobile, molto ricca, molto antica e molto rispettata, in America come in Inghilterra.
La sfortuna aveva voluto che i suoi genitori morissero quando lui era ancora piccolo e la sorella di suo padre assunse il ruolo di capo famiglia in sua vece, fin quando non fosse cresciuto a sufficienza da prendere in mano le redini della famiglia e i suoi affari.
Era cresciuto con la zia Elroy, circondato da tutori con l’unica compagnia della sorella maggiore, Rose Mary che si era trasferita a Lakewood dopo la nascita di Antony.
Anche lei se n’era andata, quando Antony era ancora piccolo, e la villa era diventata sempre più grande e più vuota fino a quando non arrivarono i due fratelli Cornwell e i due Legan: in quel periodo lui aveva già preso un’altra strada, frequentava il collegio a Londra e poco dopo si sarebbe iscritto all’Università.
Lui non era l’unico Albert Andrew e non era nemmeno l’unico della famiglia ad avere un fortissimo desiderio di libertà: sua madre amava moltissimo quello zio strampalato che aveva deciso di buttare alle ortiche la fortuna e il nome del casato per andare a vivere in Sud America, tra le vette andine. Quando lui era nato lei lo aveva chiamato Albert, malgrado la disapprovazione della zia Elroy che non voleva sentir parlare di quel fratello che era il disonore della famiglia, fratello di cui aveva cercato di cancellare il nome in ogni modo.
L’omonimia con lo zio strampalato fu però molto comoda quando i genitori di William morirono, perché la famiglia fece credere a tutti che gli affari sarebbero stati curati da lui, poco amante degli svaghi mondani e poco incline a socializzare e frequentare Chicago; poco importava che mancasse il nome William, l’inganno era riuscito bene.
Degli affari si era occupata la zia Elroy, aiutata da George e William era stato mandato a studiare a Londra, dove sarebbe stato protetto dai pettegolezzi e dalle curiosità dell’alta società di Chicago.
George era l’uomo di fiducia della famiglia Andrew: orfano, era stato raccolto dal padre di William e cresciuto come un figlio. Aveva modi molto compassati e degni del miglior gentiluomo. La signora Elroy si fidava molto di lui anche se a suo tempo non aveva approvato la decisione del fratello. George però era cresciuto imparando molto bene le regole e le abitudini della famiglia. Ricambiava l’affetto del signor William sr con una fedeltà assoluta. Quando lui era venuto a mancare aveva sentito come un onore ed un dovere il compito di occuparsi del piccolo William e la signora Elroy aveva trovato che affidargli il bambino fosse la cosa migliore da fare: sarebbe cresciuto con un gentiluomo da cui imparare le buone maniere.
Crescendo cominciò ad affiancare sempre più la zia e George nella gestione degli affari di famiglia; il poco tempo che gli restava durante le vacanze estive lo trascorreva girando con George nei dintorni di Chicago, a Lakewood o nei paesi intorno al lago Michigan.

La zia e George si erano accorti ben presto che William, non solo aveva il nome del reietto Albert, ma stava via via sviluppando lo stesso carattere indipendente, molto determinato e poco incline ad adeguarsi alle regole dell’alta società,
George lo guardava crescere e si ritrovava sempre più spesso a pensare che quel ragazzo avrebbe dato del filo da torcere all’arcigna signora e, sotto sotto, ghignava, senza far trapelare nulla sul viso sempre composto.

Dopo che era andato via dalla casa che divideva con Candy, Albert si era trasferito a Lakewood. Nella grande tenuta sul lago non c’era nessuno in quel periodo: anche i domestici rimasti erano pochissimi, solo due, il giardiniere e un cuoco che la zia aveva insistito per inviare laggiù.
Albert passava le giornate a studiare gli incartamenti degli affari di famiglia dell’ultimo anno e mezzo: ne aveva la nausea.
Ripensava spesso a Candy, al fatto di aver dovuto sparire così in fretta: non avrebbe potuto dare spiegazioni, non in quel momento. Aveva comunque chiesto a George di controllare regolarmente Candy senza che lei se ne accorgesse, per essere sicuro che tutto andasse bene, che non avesse problemi: l’aveva sempre fatto, avrebbe continuato a farlo, solo che ora una nostalgia acuta lo invadeva ogni volta che aveva notizie di lei e restava per ore a fissare il roseto fuori dalla finestra.
 
Web  Top
Odyssea
view post Posted on 4/2/2008, 17:42     +1   +1   -1




Che bella idea, quella di approfondire la storia che già conosciamo. A mio parere il personaggio di Albert è stato un po' trascurato dalla sua "mamma", che sul finale ha lasciato troppe cose all'interpretazione e alla suggestione, per cui un racconto che scavi dentro la trama per spiegarci meglio il come e perché delle emozioni è molto gradito! Se poi è scritto in modo così delizioso non si può che applaudire di cuore :bravo:

Edited by Odyssea - 4/2/2008, 19:07
 
Top
view post Posted on 4/2/2008, 18:17     +1   +1   -1

Group:
Member
Posts:
12,195
Location:
Milano

Status:


Brava per la tua FF Zucchero! :bravo:

Hai manifestato una forte sensibilita' con una certa benignita' nel sentire come questa grande persona matura Albert abbia superato il "trauma".

In realta', come tutti noi conosciamo, egli ha cominciato a ricordare facendo menzione nei suoi momenti passati quando dedico' ai suoi animali, a Candy ecc... ecc... adesso avendo riacquistato la memoria gestira' la famiglia Andrew.

Grazie e un applauso di cuore per la tua bravura.
 
Web  Top
view post Posted on 5/2/2008, 13:42     +1   -1
Avatar

Group:
Amministratori
Posts:
2,547

Status:


WoW che bella fan! Brava Zucchero!!!

L'ho letta tutta d'un fiato e mi ha colpito molto! Mi piace il tuo stile e mi piace molto anche il tuo modo di scavare dentro le cose, dentro gli animi...

Affascinanti i flashback e i continui riferimenti al passato ma anche alle intenzioni future... BRAVA!!!

Aspetterò curiosamente e impazientemente le nuove puntate...

image image image image :tella: :bravo: :rosa: :bocciolo:

 
Top
view post Posted on 5/2/2008, 16:01     +1   -1
Avatar

Group:
Moderatori Globali
Posts:
1,933

Status:


Anch'io sono molto entusiasta di questa fanfiction! Complimenti per il modo delicato e al contempo introspettivo con cui snodi l'analisi di un personaggio così complesso e misterioso come Albert!
Bello il capitolo iniziale con l'immagine di un'ombra opprimente che si va via via schiarendo delineando l'apertura al ricordo di una mente che a sua volta accompagna la scoperta di un cuore in confusione.
Molto incisiva la frase "un uomo senza passato è un uomo senza futuro": sono curiosa di vedere l'evoluzione di questa narrazione che evocando nel titolo "Ragione e sentimento" il romanticismo travagliato del noto romanzo della Austen, sarà sicuramente un omaggio alla figura tanta amata di Albert!
image
 
Top
view post Posted on 5/2/2008, 17:27     +2   +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
998

Status:


Che dire, grazie mille, speravo vi piacesse, ne sono davvero contenta. :wub: :gongolo:
In realtà non ho cercato solo di raccontare la storia che non è stata raccontata ma ho aggiunto del mio...vedrete...ne aggiungo un pezzo... ecco a voi.

4° puntata

“Qualcosa non va?” gli chiese George
“Nulla…solo che non credo che questa sia la vita che voglio fare” rispose Albert, “ma devo.”
George lo guardò con aria interrogativa.
“Stavo meglio in Africa” aggiunse con un sorriso triste.
“Con il tuo permesso vado a far preparare il pranzo con un po’ di anticipo, nel primo pomeriggio arriverà la signora Elroy”
“Perché viene qui?” chiese Albert sospettoso, non gli piaceva avere a che fare con la zia ed il fatto che arrivasse fino a Lakewood lo lasciava interdetto.
“Non ha voluto dirmi nulla, mi ha solo fatto recapitare un messaggio con cui mi pregava di avvisarti e di impedirti di trovare una scusa per non vederla.”
“La zia si è fatta scaltra” disse ridendo Albert.
Più di una volta Albert, sapendo dell’arrivo della zia non si era fatto trovare: un paio di volte era uscito a cavallo per tornare solo a tarda notte o addirittura il giorno successivo, un’altra volta era andato a pescare con George lasciando la zia sul bordo del lago ad aspettarlo fino alla sera e lui era tornato alla villa attraverso uno degli altri cancelli; la zia era andata su tutte le furie salvo poi tacere ed abbassare lo sguardo quando lui aveva iniziato a fissarlo con quei suoi occhi color del cielo.

La signora Elroy salì in auto rimuginando su ciò che aveva da dire al nipote, ammesso che l’avesse trovato.
-Alla sua età dovrebbe smetterla di comportarsi come un ragazzino capriccioso- pensava- e dovrebbe iniziare a pensare di trovare una moglie, una signorina adeguata al buon nome e al rango degli Andrew. Cathrine Lewis è la persona adatta. Devo fare in modo che William l’accetti, è capace di fare uno dei suoi colpi di testa e devo prevenirlo, non posso permettere che sposi qualcuno che non sia all’altezza della famiglia.-

Quell’argomento i due l’avevano già affrontato molto tempo prima a Londra e fu una delle poche volte che William perse le staffe, la sola idea di sposare qualcuno solo per interesse o per denaro gli faceva venire il voltastomaco e non avrebbe mai permesso che accadesse a lui, piuttosto sarebbe rimasto solo se non avesse trovato una donna da amare o questa non avrebbe potuto appartenergli.

Albert sospettava che la zia venisse per forzarlo a presentarsi in società, invece l’argomento fu il matrimonio.
“Perché devo cercare moglie, sto così bene con George”
“Smettila di scherzare non è il momento!”
“Zia, le ripeto che non intendo cercare moglie. Per il momento sono più che sufficienti i pensieri che mi danno gli affari di famiglia”
“William non devi preoccuparti di cercarla…”
“Ah sì? E perché?” la guardò sarcastico “ lei che viene a cercare me?”
“Ho trovato la persona giusta per te.”
“E chi è?”
“Non la conosci” aggiunse, ”…ancora”
“Come fa a sapere che l’amerò?” le chiese acido
“Non sto parlando d’amore, sto parlando di matrimonio. La sua è una delle famiglie più in vista di New York, sono molto ben inseriti nell’alta società di Chicago e lei è una perfetta signorina, educata, gentile, anche molto bella e tu sei un ottimo partito, perché non dovrebbe volerti”.
Elroy, fino a quel momento, aveva parlato cercando di non guardare negli occhi il nipote, sapendo che se l’avesse fatto non sarebbe più riuscita a parlare. Ora però fu costretta a guardarlo; il silenzio ostinato con cui le stava rispondendo non lasciava presagire nulla di buono.
Si voltò e fissò William che la stava fissando a sua volta con gli occhi scintillanti, i pugni chiusi ed un atteggiamento minaccioso “Non voglio più affrontare quest’argomento” disse con voce molto bassa e molto lentamente, scandendo le parole, “sarò io a decidere se, quando e con chi mi sposerò. Non intendo accettare imposizioni da lei e da nessun altro, sono inaccettabili. Non provi nemmeno a combinare un qualunque appuntamento con questa signorina o con qualunque altra le verrà in mente.” E uscì senza salutare, senza lasciare alla signora Elroy la possibilità di replicare.

Albert si era infuriato più del dovuto con la zia perché quando lei aveva iniziato a parlare di matrimonio la prima immagine che era passata innanzi agli occhi era quella di Candy e lui l’aveva scacciata con rabbia
-E lei cosa farà poi?- disse Albert
-Ma che ti viene in mente? come una sorella per me!- gli rispose William; era bravissimo a raccontarsi le bugie ma quel viso continuava a tornare e tormentarlo nei sogni.

George, che aveva assistito alla scena per volere di Albert, poco ci mancò che si mettesse a ridere: la signora aveva fatto il brutto e il cattivo tempo in quella casa in assenza del signorino, ora aveva pane per i suoi denti.

Passò l’inverno, arrivò la primavera, gli affari di famiglia lo avevano costretto a partire per New York. Era il primo viaggio dopo il suo ritorno e non aveva alcuna fretta di arrivare a destinazione, malgrado le sollecitazioni di George.
Si fermarono, strada facendo a Rockstown, un piccolo paese nello stato di New York, per pranzare: c’era un solo ristorante ma il profumo che usciva era invitante.
Albert, per niente intenzionato a rimettersi subito in auto con quell’aria di primavera in giro, decise di fare una passeggiata nel paese.
Respirava l’aria profumata e lasciava vagare la mente.
Guardava distrattamente le vetrine del piccolo negozio quando vide un abito rosso “A Candy piacerebbe” pensò e d’impulso lo acquistò, pensando di farle recapitare l’abito da George; certo, le sarebbe arrivato da parte dello zio William e non di Albert ma non aveva importanza. Con la scatola sotto il braccio riprese a gironzolare; si fermò soprapensiero davanti alla tenda un po’ rovinata di un teatro da quattro soldi, qualcosa aveva attirato la sua attenzione, gli ci volle un po’ ma poi mise a fuoco il cartellone “La rivelazione di Broadway-Il grande Terry”, non poteva credere ai suoi occhi!

Entrò.
In quel momento il teatro era vuoto, lo spettacolo sarebbe andato in scena almeno un’ora dopo. Chiamò a voce alta qualcuno della compagnia ma nessuno gli rispose, stava per uscire quando una voce femminile lo fermò “Chi sta cercando?”
“Vorrei parlare con Terence, sono un amico. “
“Non so proprio dove sia, probabilmente da qualche parte a bere” gli rispose con una smorfia di disgusto la donna, una signora robusta che ancora indossava gli abiti di scena “Ogni giorno mi fa fare una brutta figura, quell’ubriacone!”
“Sa dove abita?”
“No, non parla mai di se, arriva per lo spettacolo e se ne va subito dopo dire una parola più del copione”
“Capisco, grazie lo stesso, buongiorno”
“Devo dirgli qualcosa?”
“Non è necessario, grazie”
Albert uscì pensieroso: farlo sapere a Candy sarebbe stata la cosa giusta? Come fare? Solo Candy avrebbe potuto aiutare Terence in quel momento ma lei non sarebbe mai partita per venire lì, anche se lui l’avesse avvisata con una lettera.
Poi ricordò con quale tenacia Candy lo aveva cercato quando lui se n’era andato dall’ospedale e anche quando era uscito in cerca di un lavoro l’aveva cercato per tutta la città, convinta che se ne fosse andato; più di una volta lei gli aveva detto che se ne fosse andato di nuovo sarebbe tornata a cercarlo perciò entrò all’ufficio postale e spedì l’abito all’indirizzo di Chicago; con un po’ di fortuna probabilmente Candy sarebbe arrivata a Rocktown in tempo.
Pur sapendo di fare la cosa giusta ebbe una stretta al cuore: sapeva come si sarebbe sentita Candy nel vedere Terence in quelle condizioni ma era l’unica cosa da fare per aiutare i due amici a ritrovarsi. Sapeva di fare la cosa giusta ma la malinconia gli strinse il cuore.

Era appena uscito dall’ufficio postale quando George lo richiamò all’ordine, sospirando salì in macchina e ripartirono alla volta di New York.

Edited by zucchero filato - 5/2/2008, 19:31
 
Web  Top
view post Posted on 6/2/2008, 18:15     +2   +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
998

Status:


5° puntata

L’ennesimo scontro con la zia Elroy questa volta si era risolto con un 1-1.
“Non intendo ancora fare l’ingresso ufficiale in società, è una cosa a cui non tengo. Verrà l’ora e l’occasione ma non adesso.”
“William, ragiona, non si può continuare così, è necessario che tu sia presente agli impegni che implica il tuo ruolo di capo famiglia..”
“Come quei fantastici ricevimenti in cui ci si scambiano i pettegolezzi di tutta Chicago e dintorni?” disse guardandola ironico.
Elroy come al solito cercava di non guardare troppo negli occhi il nipote per non rischiare di rimanere senza parole.
“Le sedute del consigli di amministrazione della Banca o delle società in cui gli Andrew hanno interessi, ad esempio. Certo, anche qualche tua comparsa ai ricevimenti aiuterebbe a mantenere i rapporti con i soci, consolidare le alleanze politiche, i rapporti con le altre famiglie e..”
“E?”
“E magari potresti conoscere qualche signorina che potrebbe interessarti..” aggiunse Elroy cercando di mantenere la calma.
William alzò gli occhi al cielo, sapeva che era un atteggiamento che faceva infuriare la zia ma non riuscì a trattenersi.
“William! La devi smettere di comportarti come un ragazzino! Questa storia deve finire! Hai 30 anni ed è l’ora che tu la smetta! Per il tuo compleanno organizzeremo un ricevimento che segnerà il tuo ingresso in società e annunceremo anche il tuo fidanzamento!”
“Cosa?! Fidanzamento?! Zia, mi scusi ma non mi sembra di averle detto che mi sono innamorato di una ragazza e che intendo sposarla!”- William questa volta era furibondo-“Le avevo detto che non aveva intenzione di affrontare ancora questo argomento! Forse non sono stato chiaro!”
L’anziana signora non aveva mai visto il nipote in collera: non aveva alzato la voce, anzi, se possibile aveva parlato con voce ancora più bassa, ma l’aveva fatto con un tono tale che non lasciava adito ad equivoci.
“Capisco”-disse la signora Elroy dandogli le spalle- “Allora per il tuo compleanno ci sarà solo il ricevimento per il tuo ingresso in società”-non intendeva mollare su questo punto.
William si rendeva conto che ormai non avrebbe potuto più rimandare di molto quella rogna e sospirando disse –“Va bene, ma niente manovre alle mie spalle, altrimenti sparisco di nuovo, e sa che ne sarei capace”
Lei lo sapeva che ne sarebbe stato capace ma intanto aveva ottenuto un punto a suo favore.

Dopo che la zia se ne fu andata Albert scese in giardino, aveva bisogno di prendere una boccata d’aria, quelle “conversazioni” con la zia lo lasciavano sfinito.
Sapeva anche lui che non avrebbe più potuto sottrarsi ai suoi doveri, tra cui quelle noiose feste, ma sperava di riuscire a ritagliare ancora un po’ di tempo, aveva bisogno di pensare, soprattutto dopo che la zia aveva messo il dito nella piaga.
-Allora, ti decidi a trovare moglie?-
-Per il momento non mi interessa-
-E perché?-
-Perché no-
-Non sarà a causa di Candy?-
William e Albert si parlavano di nuovo: uno era il ragazzo che, spinto dalla generosità e dalla tenerezza per quella bambina che tanto somigliava alla sorella, aveva adottato Candy e l’aveva vegliata perché potesse crescere serenamente, l’altro era l’uomo senza memoria che aveva imparato a conoscere il cuore di quella ragazza che l’aveva aiutato in un momento tanto difficile e che ora si sentiva terribilmente solo ed immalinconito senza di lei.
-Cosa c’entra Candy?
-Te ne sei innamorato!-
-Non è vero-
-E perché ti viene in mente lei quando tua zia parla di matrimonio?-
-Perché penso a cosa farà lei se io avessi una famiglia cui pensare e non potessi starle vicino come merita-
-Tutte storie, anche lei si farà una famiglia-
-Ora sta troppo male, ha bisogno di me-
-Sei tu che hai bisogno di lei-
-Non è vero..e comunque non c’è nessun’altra che mi interessi per il momento-
-Nessun’altra? Allora vedi che Candy ti interessa!
-Piantala!-
I suoi pensieri furono interrotti da George che era arrivato con dei documenti da firmare e alcuni contratti.
-Ne parleremo un’altra volta-
-No! Sta zitto!- finì di pensare.

Alla fine Albert se n’era andato davvero, all’alba di una fredda mattina d’inizio inverno, con la neve che aveva iniziato a cadere..neve, sempre neve, sembrava quasi che l’inverno segnasse sempre la fine di ogni cosa ma la natura tornava a vivere in primavera..Candy sperava che anche il suo cuore sarebbe tornato a vivere dopo tanti mesi di tristezza.

Il pensiero dei problemi di Terence era ora affiancato da quello sulla sorte di Albert: che fine aveva fatto?, dov’era ora? Cosa stava facendo? Lavorava? Chi erano quegli uomini con cui era stato visto?

Si era tuffata nel lavoro, aveva cercato in tutti i modi di trovare la forza e una ragione per tornare a sorridere ma il tornare a casa la sera era una sofferenza: non c’era nessuno ad aspettarla, non Albert, non Puppe, solo una casa vuota e silenziosa che le sembrava troppo grande.
Il carattere solare di Candy sembrava essersi eclissato, Archie ed Annie che la vedevano di rado maggiormente potevano notare i cambiamenti che si stavano verificando in lei: Annie quasi non la riconosceva più, Candy aveva più volte rifiutato gli inviti a passare qualche pomeriggio con loro; era sempre più pallida, magra con un velo di tristezza sugli occhi e nei gesti che faceva seriamente preoccupare i due amici.
Spesso si svegliava di notte, di soprassalto, a causa degli incubi e istintivamente cercava conforto in Albert che non c’era.
Spesso sognava di Terence, della loro separazione, bastava niente, un allusione, una parola udita, un gesto per farle sentire una stretta terribile allo stomaco e le lacrime ricominciavano a scendere.
I giornali poi e i pettegolezzi in strada erano per lei una vera tortura: sembrava che l’argomento preferito di tutti fosse proprio Terence e la sua carriera.
Sperava sempre di tornare a casa e trovare Albert a preparare la cena, sperava di incontrarlo per strada (quante figuracce aveva fatto fermando i passanti che in qualche modo le ricordavano il ragazzo), sperava che improvvisamente se lo sarebbe trovato davanti uscendo dall’ambulatorio del dottor Martin..ma niente..l’unica cosa che sembrava poter fare era aspettare..e questo la faceva impazzire. Si sarebbe sentita meno sola se lui fosse stato con lei.

Ora ci si era messo pure Neal a tormentarla con questa storia dell’appuntamento.
Ne aveva a sufficienza dei suoi capricci di ragazzino viziato ma niente l’aveva preparata all’annuncio della zia Elroy: “Sposerai Neal”.
Era furibonda mentre attraversava il bosco per raggiungere Lakewood; meno male che c’era George dalla sua parte!Le aveva detto finalmente dove poteva trovare lo zio, sperava che anche lo zio William lo fosse, che quello che le avevano raccontato i Legan e la zia Elroy non fosse vero.
 
Web  Top
view post Posted on 7/2/2008, 10:40     +1   +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
998

Status:


6° puntata

Dopo il viaggio a New York Albert era tornato a stare a Lakewood, lontano dalla folla e dalla vita cittadina.
Amava molto passare la mattinata nel salone delle grandi vetrate, si vedeva l’alba da lì e la luce dorata lo inondava fino quasi a mezzo giorno.
Quella mattina era di nuovo immerso nello scambio di battute tra William ed Albert.
-Cosa pensi che farà quando saprà chi sei?-
-Beh magari ne sarà felice-
-E se ti dichiarassi cosa credi che farebbe?-
-Beh, magari…-
-Forse ricambierebbe ma sarebbe solo riconoscenza verso lo zio William-
-Non voglio neanche sentirla questa!-
-Invece devi: avresti dovuto dirle che l’ami prima di farle sapere chi sei, solo così avresti la risposta che cerchi, solo così sapresti se ti ama per quello che sei o solo perché sente riconoscenza verso di te-
-Lei non farebbe mai una cosa del genere e poi sono ancora in tempo-
-Non lo sei più-
Si accorse con un tuffo al cuore che era proprio la voce di Candy che gli stava parlando.
Immerso nei suoi pensieri non si era accorto dell’arrivo della ragazza. Lui sedeva nella grande poltrona verde e oro, rivolto verso le vetrate, Candy non poteva vedere il suo volto da lì. Lui era letteralmente paralizzato, non era preparato a questo, aveva concordato con George che avrebbe parlato con Candy poco prima del ricevimento..se lei era qui doveva essere successo qualcosa di grave, solo George e sua zia sapevano che lui era lì…e solo George poteva averle detto dove trovarlo..
Candy si fermò, con la voce incrinata dal pianto iniziò a parlare.
“Zio William, io sono Candy, la ragazza che lei ha adottato, forse non avrei dovuto venire senza preavviso…ma c’è una cosa di cui devo assolutamente parlarle!”
Albert restò immobile, stava ancora cercando le parole.
“Zio William…"
“Lei è stato tanto buono con me, zio…e le voglio molto bene! Non dimenticherò mai quello che lei ha fatto per me! Però…però questa volta non posso proprio ubbidire al suo ordine…so che io le devo tutto..ma lei non può chiedermi di sposare Neal perché..io NON VOGLIO!”
Ad Albert girò la testa: farle sposare Neal! Ma non se l’era nemmeno mai sognato! Quel verme viscido! Se avesse potuto gli avrebbe rotto il naso ben più di una volta! C’era sotto qualcosa…sua zia o quella vipera di sua sorella!
“Io ho tanta ammirazione per lei, veramente! Lei non mi aveva mai visto eppure ha voluto adottarmi lo stesso…Ho sempre pensato a lei come ad una persona giusta e saggia, che considera i sentimenti degli altri…BEH…io questo Neal proprio non lo sopporto! Accetterò qualunque altro castigo, ma per favore non i costringa a sposarlo!”
Albert continuava a restare bloccato sulla poltrona senza avere la forza di alzarsi, in testa aveva un sacco di confusione: che dire a Candy, come spiegare la sua doppia identità, aveva paura che non appena avesse visto chi era sarebbe scappata via senza lasciargli spiegare…
“Mi ha sentito? Zio? Non mi sono sbagliata..? Lei è lo zio, vero?”
Albert si costrinse ad alzarsi, cercò di ricomporsi.
“E’ per dirmi questo che sei venuta, Candy?”
Lei restò senza parole.
“Scusami…se ho taciuto finora!” le disse con dolcezza, sorridendole; in fondo era felice di riaverla davanti a se, anche se quell’incontro era del tutto inaspettato.

“Vieni”
“Dove andiamo?”
“Alle scuderie”
“Perché?”
“C’è un regalo per te.”
“?”
Erano passate circa due settimane da quando Candy aveva scoperto la vera identità dello zio William. La grande villa degli Andrew a Lakewood scintillava sotto il sole: era un edificio maestoso, circondato da un grande parco all’inglese, con un giardino all’italiana che dava a nord-est ed il magnifico roseto di Anthony che si adagiava a sud-ovest, circondando il viale d’ingresso ed arrivando fino al cancello delle rose. Due grandi terrazze davano sui due giardini, con grandi scale di marmo bianco che scendevano maestose seguendo le due ali della villa. Le scuderie si trovavano al di là del giardino all’italiana, sul lato nord del parco.
Arrivarono di fronte al basso edificio in legno che ospitava i cavalli e vide lo stalliere tenere alla cavezza un cavallo meraviglioso, grigio chiaro, con piccole screziature leggermente più scure, con una testa piccola ed elegante, dai grandi occhi scuri, le narici dilatate, le orecchie attente, una folta criniera ed una coda lunghissima, portata alta, quasi fosse una bandiera. Gli zoccoli non sembravano nemmeno toccare terra quando camminava, sembrava fluttuare nell’aria.
Candy era rimasta senza parole.
“E’ il cavallo più bello che abbia mai visto!!”
“Ero sicuro che ti sarebbe piaciuto.”
“E' questo il mio regalo?” Candy sgranò ancora di più gli occhi.
“Sì, è giovane, ha circa tre anni. E' un cavallo arabo, una razza antichissima allevata nei deserti tra Africa ed Asia. Sono cavalli molto intelligenti, docili, veloci. E sono splendidi”
“Come si chiama?”
“Glielo devi dare tu il nome…”
“E' un sogno, lo chiamerò Sogno.”, poi divenne seria “Ma alla Casa di Pony…”
“Resterà qui, tutte le volte che vorrai potrai venire a trovarlo..”
Candy abbracciò Albert per ringraziarlo e corse a fare conoscenza con il nuovo amico.

Candy aveva deciso di tornare alla Casa di Pony, voleva allontanarsi da Chicago, sentiva di dover dare uno scopo alla propria vita. L’aveva fatto scegliendo consapevolmente di allontanarsi da tutto ciò che le ricordasse Terence, l’aveva fatto anche se sapeva che Albert le sarebbe mancato molto: non avrebbe potuto vederlo così facilmente.
Le giornate alla Casa di Pony erano piene, badare ai bambini richiedeva molta energia e questo le dava poco tempo per pensare, anche se il cuore continuava ad essere molto lontano da lei, a New York. I pettegolezzi di rado raggiungevano il piccolo orfanotrofio sulla collina e Miss Pony e Suor Maria badavano bene a non fare allusioni di alcun tipo: avevano visto la reazione di Candy quando Jimmy le aveva chiesto notizie di Terence, era scappata via piangendo e loro non avevano avuto il coraggio di chiederle nulla.
Il dottor Johnson, il medico condotto passava una volta alla settimana da loro, per sincerarsi che tutto andasse per il meglio. Stavano prendendo il the insieme quando il dottore:
“Miss Pony, crede che potrà prestarmi Candy qualche volta?” facendo un occhiolino alla ragazza.
“Perché?”
“Avrei bisogno di un’infermiera quando faccio il giro dei pazienti, potrebbe essermi molto utile”
“DAVVERO?!” Candy non stava nella pelle, badare ai bambini le piaceva ma le mancava molto il suo lavoro e non aveva mai pensato di aiutare il dottore.
“Sì, Candy, se tu sei d’accordo mi farebbe piacere. Ovviamente non voglio sottrarti a Miss Pony e Suor Maria più del dovuto, so che sei tornata per dare loro un mano ma avrei bisogno di te per le medicazioni e soprattutto per i parti, potresti imparare a fare l’ostetrica. Non posso pagarti molto purtroppo.”
Candy sgranò gli occhi! Far nascere un bambino! Un lampo davanti agli occhi, come quella notte sul treno, lei, Terence ed un bimbo in fasce, abbracciati. Le vennero le lacrime agli occhi ma nessuno capì il vero motivo, tutti pensarono che fossero di gioia.
“Allora va bene?”
“Sì, quando iniziamo?”
“Passo domani a prenderti, verso le 6:30. Il giro delle fattorie lo faccio molto presto.”
“Va bene, a domani, ora se mi vuole scusare, ho alcune cose da fare.” Dopo aver stretto la mano al dottore Candy uscì di corsa e andò sul grande albero in cima alla collina.

Non riusciva a vedere il paesaggio attraverso le lacrime: quell’immagine che era balenata davanti ai suoi occhi era così dolorosa ed irraggiungibile che riusciva a sentire solo il pulsare del sangue nelle tempie. Klin venne a sfregare il musetto sulla sua guancia, uggiolando piano. “Se solo Albert fosse qui, mi sento così sola” e continuò a piangere silenziosamente.


Questa è la mia idea di Sogno


Edited by zucchero filato - 15/2/2008, 10:23
 
Web  Top
view post Posted on 7/2/2008, 18:12     +1   +1   -1

Group:
Member
Posts:
12,195
Location:
Milano

Status:


Grazie grazie e ancora complimenti per queste FF: sono curiosa di leggere altre!

:bravo: :bravo: :bravo: :bravo: :bravo: :bravo: :bravo: :oplà: :bocciolo:
 
Web  Top
view post Posted on 7/2/2008, 20:09     +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
998

Status:


image :wub:
Grazie sono commossa!
:imbarazzo:
 
Web  Top
view post Posted on 7/2/2008, 23:05     +1   -1

Group:
FANatic
Posts:
12,827

Status:


complimenti zucchero filato bella la tua ff nn vedo l'ora di leggere come finisce :odyssea:
sai che a leggere il tuo nome mi viene alla mente subito Candy sarà xchè nella sigla dice.....è zucchero filato è golosità è un mondo di pensieri e libertàààààà

Attached Image: candysiglafin9p.jpg

candysiglafin9p.jpg

 
Top
view post Posted on 8/2/2008, 00:16     +1   -1
Avatar

Founder Candy Candy Forum

Group:
Amministratori
Posts:
3,512
Location:
Sicilia/Piemonte

Status:


Ma che bella questa FF, brava zucchero filato, mi da la sensazione di leggere l'approfondimento di alcunie parti della storia originale che mancavano, e che invece avrei sempre voluto leggere. Mi piace questo tuo modo di raccontare scorrevole e veloce e soprattutto mi piace il modo in cui va avanti la storia. W Albert e Candy! W la loro storia d'amore... perchè ci sarà vero? Non vorrai spezzare il mio piccolo tenero cuore albertiano!!! Eh eh eh scherzo, dai libero sfogo al tuo genio, io apetterò buona, buona.
Ehm... si però... a quando il prossimo capitolo? Lo aspetto con ansia, ormai mi sono appassionata.
image
 
Web  Top
257 replies since 3/2/2008, 18:39   22528 views
  Share