Candy Candy

Se solo potessi dirti che ti amo!, One-shot, introspettiva. Personaggi: Albert.

« Older   Newer »
  Share  
Albert4ever
view post Posted on 10/3/2008, 16:25     +1   -1




Non sono brava a scrivere, perciò spero mi perdonerete se non è un granchè. Spero che Vi piaccia comunque!

Disclaimer: Fanfiction basata sull’Opera Originale “CANDY CANDY” di Kyoko Misuki e Yumiko Igarashi, produzione Toei Animation. I diritti appartengono ai legittimi titolari dei medesimi, quest’opera di fantasia è stata creata esclusivamente per diletto e a scopo ludico non commerciale, pertanto nessun diritto si ritiene violato.

SE SOLO POTESSI DIRTI CHE TI AMO



Premessa: Questa fanfction è una mia rivisitazione, introspettiva, del momento in cui Albert lascia la casa nella quale ha convissuto per un anno con Candy per tornare dagli Andrew.

Faceva freddo, l’umidità della notte ancora permeava l’aere. I lampioni rimandavano un debole riverbero sull’asfalto della strada, mentre un pallido sole faceva capolino portando con sé l’alba di un nuovo giorno. Con la sacca a tracolla e Puppie sulla spalla volse un ultimo sguardo alle grigie mura di quella casa che, per circa un anno, era stata la sua … e di Candy. Un mesto sospiro gli salì spontaneo alle labbra poi, risoluto, abbassò lo sguardo e si avviò deciso lungo il marciapiede ancora deserto. Si sentiva stanco, come oppresso da un peso che nulla aveva a che vedere con i pochi miseri abiti che infagottavano la tracolla. Era stanco come un vecchio… considerazione che lo fece quasi sorridere. Aveva rimandato anche troppo quell’addio, quella partenza che solo per dare retta a quel cuore che gli batteva, sanguinante, in petto aveva rimandato sconsideratamente per giorni. Sì, era stato sconsiderato perchè protrarre quella tortura non era certo servito a farlo sentire meglio o a farlo venire a patti con se stesso. Niente poteva redimere quel sadico teatrino di emozioni che vedeva ragione e sentimento fare a pugni, ogni giorno, prendendosi gioco del suo destino. Mentre attraversava la strada principale che conduceva al parco, la sonnecchiante città iniziò a riprendere vita con il profumo del pane appena sfornato che usciva da una panetteria e da qualche casa, e i garzoni che si affaccendavano innanzi a bancarelle di frutta e verdura per l’imminente mercato . Risoluto si infilò in una via laterale dove trovò ad attenderlo George, il fido tutore, assistente, maggiordomo … esattamente un termine per definirlo forse non esisteva perché George era questo ma anche altro, era forse il suo unico confidente. Risoluto gettò la sacca da viaggio sul sedile posteriore della macchina parcheggiata sul ciglio della strada e, senza proferire parola, si accomodò accanto all’amico che, rispettoso del suo silenzio, non disse niente ma si limitò ad avviare il motore e partire. Lentamente il paesaggio mutò, lasciando spazio all’acqua cristallina del lago e ai campi e le colline tinteggiate, dai caldi toni dell’autunno, come una tavolozza schizzata da un bizzarro pittore. Una vista che un tempo avrebbe colmato di soavità e pace il suo animo ma che ora gli era quasi del tutto indifferente. Solo un’immagine continuava ad affacciarsi agli occhi della mente… l’immagine di lei. Così dolce nel sonno, così mite e indifesa nell’abbandono del riposo, mentre il respiro lieve sollevava dolcemente il suo petto e giocava con qualche ciuffo ribelle della sua folta chioma d’angelo. Era rimasto per minuti ad osservarla così, in silenzio, beandosi di quell’ultimo ricordo, di quell’immagine così intima rubata ad uno spiraglio infinitesimale del tempo trascorso insieme.
“Candy…” un nome sfuggito alle labbra in un sussurro vibrante.
“Come dice Sig. William?” chiese George, voltandosi a guardarlo incuriosito, per un attimo, prima di riportare l’attenzione sul lungo serpentone d’asfalto grigio che si inerpicava lungo il versante di una sinuosa collina.
Solo allora si rese conto di avere dato voce a quel sospiro dell’anima. Incapace di dare risposte si limitò a soggiungere pacatamente.
“Nulla, George” con un tono che voleva dire tutto e niente.
L’uomo aggrottò lievemente un sopracciglio, ma si astenne dal fare qualsiasi commento e lui ne fu segretamente grato e tornò a volgere lo sguardo oltre il finestrino perso nei propri pensieri.

Dopo circa mezz’ora giunsero a destinazione. Appena sceso dalla vettura, salì le regali scale di granito della sontuosa villa. Trovò uno stuolo di domestici ad attenderlo, ossequiosi e quasi timorosi della sua presenza. Con un lieve e cordiale sorriso cercò di mitigare quella sensazione di istintivo disagio e accettò, di buon grado, di farsi condurre nella sua stanza dove avrebbe dismesso i panni del vagabondo per assumere quelli, più consoni al suo rango, dell’erede degli Andrew.
Per tutto il giorno ricevette istruzioni e informazioni dal personale, dai contabili, dagli avvocati … firmando una quantità indefinita di scartoffie e perdendosi in mille e più rendiconti finanziari che gli procurarono un fastidioso cerchio alla testa. Del resto era da più di un anno che, a seguito dell’incidente in cui aveva perso la memoria, soffriva di attacchi di emicrania alquanto fastidiosi. I medici si erano detti certi che la situazione sarebbe migliorata con il tempo, a dire il vero non ci contava, aveva imparato a conviverci era con i suoi sentimenti che dubitava di saper altrettanto facilmente scendere a patti.
George lo aveva osservato con discrezione per tutto il pomeriggio, ma aveva avuto il buon senso di non provare a chiedergli cosa lo turbasse. Il buon caro George, si sarebbe fatto in quattro per lui, come era accaduto dieci e più volte in passato, ma questa volta non poteva aiutarlo. Nessuno poteva aiutarlo a guarire da quella malinconia che prende un uomo innamorato quando sa che non potrà mai avere la donna che ama. Quello struggimento in fondo all’anima che stilla dopo stilla ti avvelena il cuore.
Non ce la faceva più a restare chiuso in quella stanza. Con passo deciso si avviò verso la porta e, dribblando abilmente domestici e scale principali, passò dall’ala di servizio della servitù per raggiungere il roseto. Lì, finalmente solo, con il viso rivolto all’infuocato tramonto si permise di essere, totalmente, se stesso. Con calma percorse lo stretto vialetto che conduceva oltre la serra e raggiunse il punto dove crescevano, in primavera, le meravigliose creazioni di Anthony le rose “Dolce Candy”. Ora il roseto era spoglio ed arido e solo qualche spina sui verdi steli avizziti si donava al suo sguardo azzurro.
“Candy…” ancora quel nome a salire spontaneo, invincibile richiamo, alle labbra. Una lieve fitta alla tempia, gli rammentò il fastidioso mal di testa. Portandosi meccanicamente la mano a sfiorare la piccola cicatrice, celata sotto un ciuffo biondo di capelli, si ritrovò a maledirla come mai aveva fatto in quei mesi. Sì, perché anche se non ricordava nulla del suo passato, quei mesi erano stati comunque pieni, vivi, solari perché colmati dalla presenza brillante, entusiasta e piena di vita di Candy. Aveva vissuto con lei i suoi tormenti, la sua gioia per l’amore che germogliava florido nel suo giovane cuore per quell’attore di cui tanto decantava doti e pregi, scordandone ogni difetto. L’aveva stretta tra le braccia febbricitante ed emotivamente distrutta da quel drammatico addio che l’aveva costretta a separarsi dall’altra metà del suo cuore. Aveva sofferto con lei, perché le sue lacrime toccavano una corda dell’anima che lo faceva soffrire, che lo faceva sentire un tutt’uno con il dolore di lei. Solo qualche tempo dopo si era reso conto che quel dolore era legato ad un affetto che di fraterno poco aveva che spartire. Si era reso conto d’amarla. Non già come un fratello, un amico o cugino ma l’amore di un uomo per una donna. Soffriva per il suo dolore perché lo aveva fatto diventare il proprio. Il dolore di un amore impossibile. Sì perché folle era l’idea che Candy potesse corrispondere quei suoi sentimenti così inaspettatamente sbocciati, folle pensare che Terence uscisse dal suo cuore solo per il suo inusitato desiderio di amarla, folle perché non aveva neanche un passato da donarle ed un futuro che era così incerto come il destino di quella guerra lontana che si era portata via un’altra parte del cuore di lei. Eppure era restato, silenzioso confidente, mentre ogni lacrima versata per Terence bruciava nel suo petto come sale su una piaga che non voleva guarire. Era restato, perché non sapeva dove andare, perché non poteva rinunciare al porto sicuro di quegli occhi di giada che lo avevano catturato al primo sguardo, di quel volto rotondo cosparso di dolci efelidi che tanto lo inteneriva. Era rimasto perché, in fondo a se stesso, aveva sperato che lei potesse dimenticare, che lei potesse tornare a palpitare, innamorata e viva come non mai non già per Terence ma per lui solo. Era restato, ma ora dannava e malediva se stesso per quella debolezza che lo aveva portato ad amare ciò che era a lui precluso amare, a desiderare ciò che era proibito desiderare perché se avrebbe potuto combattere contro il ricordo di Terence, giammai avrebbe potuto cancellare il fatto di essere … suo zio! Sì, perché quel documento che aveva legato il destino di Candy, indissolubilmente, al destino degli Andrew era anche il lucchetto infrangibile che sprangava, ora e per sempre, la porta della felicità.
Una solitaria e fugace lacrima solcò la guancia levigata di William Albert Andrew, perdendosi nel riverbero di un crepuscolo che allungò le suo tinte ombreggianti sul roseto ammantandolo di un ombroso e spettrale abbandono.

I giorni si susseguivano, tutti uguali uno all’altro. Impegni, documenti da firmare, persone da incontrare, decisioni da prendere ed un via vai incessante di pensieri che si accalcavano saturandolo come una spugna intrisa d’acqua e lasciandolo spossato e malinconico. Odiava restare così a lungo trincerato tra quattro mura. Basta, doveva trovare il modo di evadere qualche ora da quella prigione dorata di obblighi e finto servilismo. Una sola parola con George gli fu sufficiente. Come sempre aveva anticipato le sue mosse, i suoi desideri, come sempre aveva compreso da un semplice sguardo. Si era diretto alle scuderie e sellato un cavallo si era fiondato al galoppo attraverso il bosco diretto alla vecchia cascata. Dalla cima del dirupo, i lunghi capelli mossi dal vento, restò ad ammirare il maestoso panorama, mentre il nitrire nervoso del cavallo faceva da contraltare al battito sordo del cuore, provato per quell’intensa cavalcata. Con un sorriso felice si avvide di Puppie che correva rapida verso di lui, per nulla intimorita dalla stazza considerevole del puro sangue che montava.
“Ciao, amica mia. Come te la passi in questi giorni?” chiese sorridendo, carezzando il pelo morbido della piccola puzzola. Un contraltare di suoni gioiosi gli giunse a risposta. Lasciando che la piccola bestiola si posasse, come sempre, sulla sua spalla, tornò a fissare il panorama.
In quel luogo, si ritrovò a riflettere, aveva incontrato per la prima volta Candy. Curioso che l’istinto lo avesse spinto a raggiungere quel luogo quando i sentieri per le cavalcate non mancavano di certo nella tenuta. No, non curioso, semplicemente il cuore ce lo aveva guidato. Chiuse gli occhi cercando di ricacciare indietro il mare dei ricordi. Aveva deciso ormai che non l’avrebbe più rivista, era meglio così per entrambi, sino a quando non fosse stato necessario in virtù del suo ingresso ufficiale nella società, con la presentazione alla famiglia e alla stampa e l’assunzione definitiva del suo ruolo a capo della famiglia Andrew, solo allora, con quale spirito ancora era da provare, avrebbe rivisto … lei!
Respirando profondamente i profumi dell’autunno riaprì gli occhi e fece voltare il cavallo, era ora di tornare a Lakewood.

Il destino non puoi domarlo, puoi combatterlo, puoi cercare di sfuggirgli ma alla fine ti presenterà sempre il conto!!!

Il cuore gli martellava furioso nel petto. Lei era lì, inaspettatamente, prematuramente lì, in quella stanza e si rivolgeva a lui con la sua voce cristallina sciorinando la gratitudine che le colmava il petto per quel zio così magnanimo che le aveva dato tutto e lui non aveva la forza di voltarsi, eppure doveva farlo. Annaspando alla ricerca del coraggio che improvvisamente sembrava essersi preso una vacanza, ruoto lentamente la poltrona trattenendo il fiato e cercando al contempo di non palesare titubanza alcuna giacchè consapevole che per Candy sarebbe stato un vero shock la scoperta della sua identità. Rimasero, per un istante indefinito, a fissarsi negli occhi. Quelli verdi di Candy smarriti, confusi e poi … quasi spaventati. Non capiva Candy, era palese, non poteva comprendere ed accettare tout court che lui era lo zio William. Quello sguardo smarrito da cerbiattino confuso lo intenerì sin nel profondo. Doveva essere lui a gestire quel delicato momento, a guidarla a capire ed accettare la realtà, di questo fu immediatamente consapevole.
*Se solo potessi dirti che ti amo* pensò, mentre il cuore mancava un battito nel petto. Consapevole dell’impossibile le donò il suo sorriso più rassicurante, mentre cercava il suo sguardo dubbioso ed incerto. Un passo, un altro sin quasi a sfiorarla mentre il suo visino , così espressivo, mostrava il vortice devastante di sentimenti che la sconvolgeva. Intenerito le prese delicatamente le mani tra le proprie, un lieve contatto ma sufficiente a turbarlo anche se seppe nascondere l’emozione dietro un’espressione quasi severa di scusa e mestizia. Così dovette apparire a Candy, che dopo il primo iniziale smarrimento accolse con inusitata gioia la lieta novella, sorprendendo lui stesso per quella capacità innata di perdonare anche la menzogna di quegli anni. Albert non disse niente, si trincerò dietro il solito sorriso mite, si limitò a godere ancora della sua risata contagiosa obliandosi dietro una diplomatica fraterna cordialità. Candy forse potè vedere la realtà, o inconsapevolmente seppe leggere tra le ombre di quegli occhi di zaffiro, ma non riuscì a comprendere la profondità del tormento di un uomo innamorato, costretto a mentire persino a se stesso, no non poteva Candy … era ancora troppo presto.

FINE
 
Top
view post Posted on 10/3/2008, 16:31     +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
998

Status:


Bello, molto bello, complimenti! :laura:
 
Web  Top
Odyssea
view post Posted on 10/3/2008, 16:47     +1   -1




Molto struggente, il dolore si tocca quasi con le mani. Complimenti!
 
Top
view post Posted on 10/3/2008, 17:01     +1   -1
Avatar

Founder Candy Candy Forum

Group:
Amministratori
Posts:
3,512
Location:
Sicilia/Piemonte

Status:


Trovo questo brano molto bello, hai descritto i sentimenti di Albert in maniera impeccabile.
La Mizuki avrebbe dovuto prendere spunto anche da te per colmare i vuoti lasciati, volontariamente o no, nel suo racconto originale.

:bravo:

 
Web  Top
Albert4ever
view post Posted on 10/3/2008, 18:41     +1   -1




Grazie, siete molto gentili. L'ho scritta di getto ieri sera. Mi è balenata la frese nella mente e ci ho lavorato sopra.
 
Top
^Chlax^
view post Posted on 24/12/2008, 14:35     +1   -1




Complimenti è bellissima! E tu scrivi benissimo!
 
Top
loveyoumore
view post Posted on 10/3/2011, 21:47     +1   -1




CITAZIONE (Albert4ever @ 10/3/2008, 16:25) 
Non sono brava a scrivere, perciò spero mi perdonerete se non è un granchè. Spero che Vi piaccia comunque!

Disclaimer: Fanfiction basata sull’Opera Originale “CANDY CANDY” di Kyoko Misuki e Yumiko Igarashi, produzione Toei Animation. I diritti appartengono ai legittimi titolari dei medesimi, quest’opera di fantasia è stata creata esclusivamente per diletto e a scopo ludico non commerciale, pertanto nessun diritto si ritiene violato.

SE SOLO POTESSI DIRTI CHE TI AMO



Premessa: Questa fanfction è una mia rivisitazione, introspettiva, del momento in cui Albert lascia la casa nella quale ha convissuto per un anno con Candy per tornare dagli Andrew.

Faceva freddo, l’umidità della notte ancora permeava l’aere. I lampioni rimandavano un debole riverbero sull’asfalto della strada, mentre un pallido sole faceva capolino portando con sé l’alba di un nuovo giorno. Con la sacca a tracolla e Puppie sulla spalla volse un ultimo sguardo alle grigie mura di quella casa che, per circa un anno, era stata la sua … e di Candy. Un mesto sospiro gli salì spontaneo alle labbra poi, risoluto, abbassò lo sguardo e si avviò deciso lungo il marciapiede ancora deserto. Si sentiva stanco, come oppresso da un peso che nulla aveva a che vedere con i pochi miseri abiti che infagottavano la tracolla. Era stanco come un vecchio… considerazione che lo fece quasi sorridere. Aveva rimandato anche troppo quell’addio, quella partenza che solo per dare retta a quel cuore che gli batteva, sanguinante, in petto aveva rimandato sconsideratamente per giorni. Sì, era stato sconsiderato perchè protrarre quella tortura non era certo servito a farlo sentire meglio o a farlo venire a patti con se stesso. Niente poteva redimere quel sadico teatrino di emozioni che vedeva ragione e sentimento fare a pugni, ogni giorno, prendendosi gioco del suo destino. Mentre attraversava la strada principale che conduceva al parco, la sonnecchiante città iniziò a riprendere vita con il profumo del pane appena sfornato che usciva da una panetteria e da qualche casa, e i garzoni che si affaccendavano innanzi a bancarelle di frutta e verdura per l’imminente mercato . Risoluto si infilò in una via laterale dove trovò ad attenderlo George, il fido tutore, assistente, maggiordomo … esattamente un termine per definirlo forse non esisteva perché George era questo ma anche altro, era forse il suo unico confidente. Risoluto gettò la sacca da viaggio sul sedile posteriore della macchina parcheggiata sul ciglio della strada e, senza proferire parola, si accomodò accanto all’amico che, rispettoso del suo silenzio, non disse niente ma si limitò ad avviare il motore e partire. Lentamente il paesaggio mutò, lasciando spazio all’acqua cristallina del lago e ai campi e le colline tinteggiate, dai caldi toni dell’autunno, come una tavolozza schizzata da un bizzarro pittore. Una vista che un tempo avrebbe colmato di soavità e pace il suo animo ma che ora gli era quasi del tutto indifferente. Solo un’immagine continuava ad affacciarsi agli occhi della mente… l’immagine di lei. Così dolce nel sonno, così mite e indifesa nell’abbandono del riposo, mentre il respiro lieve sollevava dolcemente il suo petto e giocava con qualche ciuffo ribelle della sua folta chioma d’angelo. Era rimasto per minuti ad osservarla così, in silenzio, beandosi di quell’ultimo ricordo, di quell’immagine così intima rubata ad uno spiraglio infinitesimale del tempo trascorso insieme.
“Candy…” un nome sfuggito alle labbra in un sussurro vibrante.
“Come dice Sig. William?” chiese George, voltandosi a guardarlo incuriosito, per un attimo, prima di riportare l’attenzione sul lungo serpentone d’asfalto grigio che si inerpicava lungo il versante di una sinuosa collina.
Solo allora si rese conto di avere dato voce a quel sospiro dell’anima. Incapace di dare risposte si limitò a soggiungere pacatamente.
“Nulla, George” con un tono che voleva dire tutto e niente.
L’uomo aggrottò lievemente un sopracciglio, ma si astenne dal fare qualsiasi commento e lui ne fu segretamente grato e tornò a volgere lo sguardo oltre il finestrino perso nei propri pensieri.

Dopo circa mezz’ora giunsero a destinazione. Appena sceso dalla vettura, salì le regali scale di granito della sontuosa villa. Trovò uno stuolo di domestici ad attenderlo, ossequiosi e quasi timorosi della sua presenza. Con un lieve e cordiale sorriso cercò di mitigare quella sensazione di istintivo disagio e accettò, di buon grado, di farsi condurre nella sua stanza dove avrebbe dismesso i panni del vagabondo per assumere quelli, più consoni al suo rango, dell’erede degli Andrew.
Per tutto il giorno ricevette istruzioni e informazioni dal personale, dai contabili, dagli avvocati … firmando una quantità indefinita di scartoffie e perdendosi in mille e più rendiconti finanziari che gli procurarono un fastidioso cerchio alla testa. Del resto era da più di un anno che, a seguito dell’incidente in cui aveva perso la memoria, soffriva di attacchi di emicrania alquanto fastidiosi. I medici si erano detti certi che la situazione sarebbe migliorata con il tempo, a dire il vero non ci contava, aveva imparato a conviverci era con i suoi sentimenti che dubitava di saper altrettanto facilmente scendere a patti.
George lo aveva osservato con discrezione per tutto il pomeriggio, ma aveva avuto il buon senso di non provare a chiedergli cosa lo turbasse. Il buon caro George, si sarebbe fatto in quattro per lui, come era accaduto dieci e più volte in passato, ma questa volta non poteva aiutarlo. Nessuno poteva aiutarlo a guarire da quella malinconia che prende un uomo innamorato quando sa che non potrà mai avere la donna che ama. Quello struggimento in fondo all’anima che stilla dopo stilla ti avvelena il cuore.
Non ce la faceva più a restare chiuso in quella stanza. Con passo deciso si avviò verso la porta e, dribblando abilmente domestici e scale principali, passò dall’ala di servizio della servitù per raggiungere il roseto. Lì, finalmente solo, con il viso rivolto all’infuocato tramonto si permise di essere, totalmente, se stesso. Con calma percorse lo stretto vialetto che conduceva oltre la serra e raggiunse il punto dove crescevano, in primavera, le meravigliose creazioni di Anthony le rose “Dolce Candy”. Ora il roseto era spoglio ed arido e solo qualche spina sui verdi steli avizziti si donava al suo sguardo azzurro.
“Candy…” ancora quel nome a salire spontaneo, invincibile richiamo, alle labbra. Una lieve fitta alla tempia, gli rammentò il fastidioso mal di testa. Portandosi meccanicamente la mano a sfiorare la piccola cicatrice, celata sotto un ciuffo biondo di capelli, si ritrovò a maledirla come mai aveva fatto in quei mesi. Sì, perché anche se non ricordava nulla del suo passato, quei mesi erano stati comunque pieni, vivi, solari perché colmati dalla presenza brillante, entusiasta e piena di vita di Candy. Aveva vissuto con lei i suoi tormenti, la sua gioia per l’amore che germogliava florido nel suo giovane cuore per quell’attore di cui tanto decantava doti e pregi, scordandone ogni difetto. L’aveva stretta tra le braccia febbricitante ed emotivamente distrutta da quel drammatico addio che l’aveva costretta a separarsi dall’altra metà del suo cuore. Aveva sofferto con lei, perché le sue lacrime toccavano una corda dell’anima che lo faceva soffrire, che lo faceva sentire un tutt’uno con il dolore di lei. Solo qualche tempo dopo si era reso conto che quel dolore era legato ad un affetto che di fraterno poco aveva che spartire. Si era reso conto d’amarla. Non già come un fratello, un amico o cugino ma l’amore di un uomo per una donna. Soffriva per il suo dolore perché lo aveva fatto diventare il proprio. Il dolore di un amore impossibile. Sì perché folle era l’idea che Candy potesse corrispondere quei suoi sentimenti così inaspettatamente sbocciati, folle pensare che Terence uscisse dal suo cuore solo per il suo inusitato desiderio di amarla, folle perché non aveva neanche un passato da donarle ed un futuro che era così incerto come il destino di quella guerra lontana che si era portata via un’altra parte del cuore di lei. Eppure era restato, silenzioso confidente, mentre ogni lacrima versata per Terence bruciava nel suo petto come sale su una piaga che non voleva guarire. Era restato, perché non sapeva dove andare, perché non poteva rinunciare al porto sicuro di quegli occhi di giada che lo avevano catturato al primo sguardo, di quel volto rotondo cosparso di dolci efelidi che tanto lo inteneriva. Era rimasto perché, in fondo a se stesso, aveva sperato che lei potesse dimenticare, che lei potesse tornare a palpitare, innamorata e viva come non mai non già per Terence ma per lui solo. Era restato, ma ora dannava e malediva se stesso per quella debolezza che lo aveva portato ad amare ciò che era a lui precluso amare, a desiderare ciò che era proibito desiderare perché se avrebbe potuto combattere contro il ricordo di Terence, giammai avrebbe potuto cancellare il fatto di essere … suo zio! Sì, perché quel documento che aveva legato il destino di Candy, indissolubilmente, al destino degli Andrew era anche il lucchetto infrangibile che sprangava, ora e per sempre, la porta della felicità.
Una solitaria e fugace lacrima solcò la guancia levigata di William Albert Andrew, perdendosi nel riverbero di un crepuscolo che allungò le suo tinte ombreggianti sul roseto ammantandolo di un ombroso e spettrale abbandono.

I giorni si susseguivano, tutti uguali uno all’altro. Impegni, documenti da firmare, persone da incontrare, decisioni da prendere ed un via vai incessante di pensieri che si accalcavano saturandolo come una spugna intrisa d’acqua e lasciandolo spossato e malinconico. Odiava restare così a lungo trincerato tra quattro mura. Basta, doveva trovare il modo di evadere qualche ora da quella prigione dorata di obblighi e finto servilismo. Una sola parola con George gli fu sufficiente. Come sempre aveva anticipato le sue mosse, i suoi desideri, come sempre aveva compreso da un semplice sguardo. Si era diretto alle scuderie e sellato un cavallo si era fiondato al galoppo attraverso il bosco diretto alla vecchia cascata. Dalla cima del dirupo, i lunghi capelli mossi dal vento, restò ad ammirare il maestoso panorama, mentre il nitrire nervoso del cavallo faceva da contraltare al battito sordo del cuore, provato per quell’intensa cavalcata. Con un sorriso felice si avvide di Puppie che correva rapida verso di lui, per nulla intimorita dalla stazza considerevole del puro sangue che montava.
“Ciao, amica mia. Come te la passi in questi giorni?” chiese sorridendo, carezzando il pelo morbido della piccola puzzola. Un contraltare di suoni gioiosi gli giunse a risposta. Lasciando che la piccola bestiola si posasse, come sempre, sulla sua spalla, tornò a fissare il panorama.
In quel luogo, si ritrovò a riflettere, aveva incontrato per la prima volta Candy. Curioso che l’istinto lo avesse spinto a raggiungere quel luogo quando i sentieri per le cavalcate non mancavano di certo nella tenuta. No, non curioso, semplicemente il cuore ce lo aveva guidato. Chiuse gli occhi cercando di ricacciare indietro il mare dei ricordi. Aveva deciso ormai che non l’avrebbe più rivista, era meglio così per entrambi, sino a quando non fosse stato necessario in virtù del suo ingresso ufficiale nella società, con la presentazione alla famiglia e alla stampa e l’assunzione definitiva del suo ruolo a capo della famiglia Andrew, solo allora, con quale spirito ancora era da provare, avrebbe rivisto … lei!
Respirando profondamente i profumi dell’autunno riaprì gli occhi e fece voltare il cavallo, era ora di tornare a Lakewood.

Il destino non puoi domarlo, puoi combatterlo, puoi cercare di sfuggirgli ma alla fine ti presenterà sempre il conto!!!

Il cuore gli martellava furioso nel petto. Lei era lì, inaspettatamente, prematuramente lì, in quella stanza e si rivolgeva a lui con la sua voce cristallina sciorinando la gratitudine che le colmava il petto per quel zio così magnanimo che le aveva dato tutto e lui non aveva la forza di voltarsi, eppure doveva farlo. Annaspando alla ricerca del coraggio che improvvisamente sembrava essersi preso una vacanza, ruoto lentamente la poltrona trattenendo il fiato e cercando al contempo di non palesare titubanza alcuna giacchè consapevole che per Candy sarebbe stato un vero shock la scoperta della sua identità. Rimasero, per un istante indefinito, a fissarsi negli occhi. Quelli verdi di Candy smarriti, confusi e poi … quasi spaventati. Non capiva Candy, era palese, non poteva comprendere ed accettare tout court che lui era lo zio William. Quello sguardo smarrito da cerbiattino confuso lo intenerì sin nel profondo. Doveva essere lui a gestire quel delicato momento, a guidarla a capire ed accettare la realtà, di questo fu immediatamente consapevole.
*Se solo potessi dirti che ti amo* pensò, mentre il cuore mancava un battito nel petto. Consapevole dell’impossibile le donò il suo sorriso più rassicurante, mentre cercava il suo sguardo dubbioso ed incerto. Un passo, un altro sin quasi a sfiorarla mentre il suo visino , così espressivo, mostrava il vortice devastante di sentimenti che la sconvolgeva. Intenerito le prese delicatamente le mani tra le proprie, un lieve contatto ma sufficiente a turbarlo anche se seppe nascondere l’emozione dietro un’espressione quasi severa di scusa e mestizia. Così dovette apparire a Candy, che dopo il primo iniziale smarrimento accolse con inusitata gioia la lieta novella, sorprendendo lui stesso per quella capacità innata di perdonare anche la menzogna di quegli anni. Albert non disse niente, si trincerò dietro il solito sorriso mite, si limitò a godere ancora della sua risata contagiosa obliandosi dietro una diplomatica fraterna cordialità. Candy forse potè vedere la realtà, o inconsapevolmente seppe leggere tra le ombre di quegli occhi di zaffiro, ma non riuscì a comprendere la profondità del tormento di un uomo innamorato, costretto a mentire persino a se stesso, no non poteva Candy … era ancora troppo presto.

FINE



E' meraviglioso quello he hai scritto!
Ho sentito il cuore di Albert tra le dita.........grazie
 
Top
gaogaigar
view post Posted on 4/5/2011, 18:21     +1   -1




complimenti e bellissima!!!!!
Albert non si snentisce mai così dolce, romantico

:tesoro: :angel 1:
 
Top
frangiac
view post Posted on 28/12/2011, 16:33     +1   -1




bellissima :)
 
Top
view post Posted on 20/9/2012, 14:07     +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
2,960
Location:
Toscana

Status:


Questa one-shot è delicata, struggente, piena di poesia e scritta veramente bene! :auri:

Complimenti sinceri all'autrice che forse, un giorno, leggerà anche questo commento di una fedele terenciana, sempre più affascinata dall'intensità e dalla bravura con cui chi ha punti di vista diversi sa mettere per iscritto le emozioni e i palpiti del cuore che la storia di Candy e degli altri coprotagonisti sa suscitare in noi! :I love candy: bacino3 :mizia: :giusy:
 
Top
flow_tg
view post Posted on 3/10/2012, 17:21     +1   -1




wow!vedendo che la mia cara candyforever ha lasciato un commento ho pensato di provare a leggerla... è difficile lasciarmi senza parole, ti premetto che sono terenciana,ma wow!e magari la miz avesse riempito i buchi e ci avesse dato qualche speranza in più nell'uno o nell'altro senso! :D
 
Top
view post Posted on 3/10/2012, 17:36     +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
2,960
Location:
Toscana

Status:


CITAZIONE (flow_tg @ 3/10/2012, 18:21) 
wow!vedendo che la mia cara candyforever ha lasciato un commento ho pensato di provare a leggerla... è difficile lasciarmi senza parole, ti premetto che sono terenciana,ma wow!e magari la miz avesse riempito i buchi e ci avesse dato qualche speranza in più nell'uno o nell'altro senso! :D

Hai ragione, Flow... Ho trovato questa one shot, delicata e profonda allo stesso tempo, una delle più belle introspezioni albertiane che abbia letto. :angel 1:
 
Top
11 replies since 10/3/2008, 16:25   801 views
  Share