Salve gente!
Vorrei scusarmi per il ritardo ma lo studio in questo periodo mi ha tolto parecchio tempo e poi questa fic in un altro sito mi ha procurato qualche problemuccio a causa di un presunto plagio ai danni della storia di Eternabambina.
Visto che ci siamo tengo a precisare che
La lettera del destino io l'ho letta solo ieri sera - dopo essermi chiarita con l'amministrazione del sito EFP - e stamattina l'ho anche recensita.
Spero di aver chiarito tutto anche qui!
Prima di lasciarvi alla lettura credo che sia giusto chiarire determinati punti:
- Candy non conosce l'identità dello zio William mentre, come avrete modo di scoprire di sotto, non è lo stesso per Terence;
- l'incidente di Susanna non c'è stato e, credo, mai ci sarà (una volta tanto lasciamole entrambe le gambe poveretta!);
- Albert non ha mai perso la memoria.
Detto ciò vi lascio alla lettura. Spero, buon divertimento!
Capitolo III La porta dello studio sbatté contro la parete. La calma apparente che regnava nella stanza fu disturbata da quella intrusione non tanto improvvisa. L’uomo seduto sulla grande poltrona di pelle, infatti, non si stupì di nulla. Era preparato. Conosceva l’impetuosità del giovane che era entrato senza tante cerimonie e per questa ragione, era stato chiaro con il suo uomo di fiducia: lasciargli il permesso di entrare se voleva evitarsi un pugno in pieno viso.
- Che cosa significa?
Non aveva neanche salutato. Era arrivato dritto al punto. Era furioso. Si era fidato ed adesso… era stato deluso. Deluso dal suo migliore amico. Era come precipitare in un tunnel e non vederne la fine. Si sentiva, oltre che deluso, anche arrabbiato perché era a lui che aveva affidato il suo tesoro più prezioso, ed adesso… era sparito.
L’altro, preparato da tempo, decise di alzarsi dalla sua poltrona. Diede le spalle al giovane, si fermò ad osservare il paesaggio che gli offriva la grande finestra che dava sul parco della sua villa di Chicago. Chiuse gli occhi e, solo per un attimo, sperò di risvegliarsi nel suo letto. Quello era solo un incubo. Nulla di più. Non poteva essere stato così sciocco da non accorgersi di nulla. Non poteva aver chiuso gli occhi di fronte a tanta sofferenza ed invece… invece lo aveva fatto. Si era fidato del suo sorriso senza voler leggere in fondo a quegli occhi che tanto gli ricordavano quelli di Jane.
- Il tuo nervosismo mi fa intuire che tu abbia ricevuto il mio messaggio. Da ciò deduco che tu sappia benissimo cosa significa.
Alla fine si era girato e, con i suoi grandi occhi azzurri, ma così diversi da quelli di lei, di loro, aveva fissato l’amico in viso senza tradire alcuna emozione. Aveva parlato con il suo solito tono calmo anche se dentro, nel più profondo della sua anima, era in corso una tempesta dettata dai suoi sentimenti.
- Io l’avevo affidata a te. Ti avevo chiesto di vegliare su di lei e non… di spedirla al fronte.
Albert, a quelle accuse, non trattenne oltre la sua rabbia e picchiò duro contro la scrivania che gli stava davanti. Fissò l’amico negli occhi ed iniziò a parlare con un tono di voce che non credeva di possedere. Era arrabbiato ma soprattutto stanco. Stanco di quella situazione. Tutti pretendevano qualcosa da lui. Lui che non aveva neanche trent'anni. Lui che non aveva potuto fare nulla per alleviare il dolore della persona che aveva portato, nuovamente, la serenità nella sua esistenza.
- Non attribuirmi colpe che non ho. È stato il tuo atteggiamento a spingerla a commettere una simile stupidaggine. Se tu ti fossi degnato di salutarla quella sera adesso Candy non sarebbe chissà dove in Europa. Non cercare giustificazioni. È già difficile per me accettare di aver fallito.
Terence rimase fermo nella sua posizione con gli occhi fissi sul volto dell’amico. Era vero. Aveva sbagliato lui, ma non poteva fare diversamente. Albert, però, non capiva. Era per lei che lo aveva fatto. Aveva deciso di evitare un qualsiasi incontro sino a quando non ne sarebbe stato degno e, a quel punto, nulla li avrebbe più divisi. Se solo avesse avuto l’accortezza di dirlo a lei, ed invece… invece aveva sbagliato. Candy era fuggita convinta che lui non l’amasse. E non era vero. Se Candy si trovava al fronte era solo colpa sua. E poi c’era Albert. Anche lui soffriva per quella situazione. Candy era più di una nipote adottiva. Lo sapeva. Lo aveva sempre saputo, intuito, e queste considerazioni provocarono in lui un’ondata di gelosia che riuscì a mascherare non con poche difficoltà.
Adesso, fu il suo turno di picchiare la scrivania. Alzò il capo ed incontrò il volto di Albert, che adesso appariva più sereno di qualche minuto prima.
- È tutta colpa mia. Dannazione! Andrò a cercarla e la riporterò qui, sana e salva. A costo di dover vagare per tutta l’Europa.
Stava per andare quando, la voce di Albert, lo bloccò.
- Fermati. Cosa credi di fare? Non sappiamo neanche dove si trova. Prima di partire dobbiamo essere certi di dove cercarla. Non possiamo perdere tempo inutilmente, e poi c’è dell’altro.
Terence si rabbuiò. Non voleva perdere tempo. Doveva partire e trovare Candy altrimenti sarebbe impazzito, ma Albert aveva ragione. Non poteva andare in Europa ed iniziare a cercare senza un punto di partenza.
Intanto il biondo capofamiglia Andrew porse al giovane attore una lettera.
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New York, il 16 ottobre 1917
Caro zio William,
Non so neanche io se sia giusto chiamarla così dopo ciò che sto per comunicarle.
Mi creda non so da dove iniziare. È difficile scrivere questa lettera per tutto ciò che lei ha rappresentato per me in questi sei anni. Un padre. Un amico. Un sostegno. È sempre stato presente nei momenti più difficili della mia vita senza mai volere nulla in cambio.
Dalla morte di Anthony non mi ha mai lasciata sola accompagnandomi nella mia crescita e se oggi sono una donna finalmente realizzata lo devo, soprattutto, alla fiducia che ha riposto in me.
È stato grazie al suo intervento, tramite la persona di George, se ha impedito alla zia Elroy di ostacolare i miei studi e permettermi di diventare un’infermiera.
Ma partendo da molto prima, è stato grazie al suo intervento se non sono finita in Messico come invece avevano progettato i Legan.
Ha deciso di adottare, senza neanche conoscerla, una bambina cresciuta in un orfanotrofio e poi assunta come cameriera dalla famiglia di sua sorella. Lei, però, non ha tenuto conto di ciò ed ha sempre cercato di darmi il meglio per la mia crescita e formazione.
Ho avuto la possibilità di studiare in un’importante scuola inglese anche se, alla fine, ho deciso di abbandonarla per motivi personali. Nonostante tutto lei ha accettato di buon grado quello che, per molti, è stato un colpo di testa.
Non si è mai opposto alle mie decisioni anche se ai più potevano sembrare avventate. Mi è sempre rimasto accanto senza mai impedirmi di seguire il mio cuore, ma è giunto il momento per me di iniziare a vivere la mia vita.
È con rammarico che le comunico la mia decisione di rinunciare formalmente e legalmente al nome degli Andrew. D’ora in poi sarò semplicemente Candice White come è sempre stato.
La prego di accettare la mia decisione senza tentare di farmi cambiare idea. Non m’impedisca di partire ora che ne ho più bisogno. Ora che è necessario per me scappare da quella che non sento più come la mia casa. La mia vita. La prego di capire senza fare domande.
Oltre a ciò vorrei comunicarle la mia decisione di partire per l’Europa come volontaria della Croce Rossa Americana.
Anche per questo motivo ho deciso di rinunciare al buon nome degli Andrew. Il semplice fatto che, un altro membro della famiglia, parta per la guerra potrebbe, in qualche modo, facilitare la mia vita al fronte considerando la tragedia che ha già colpito la sua famiglia.
Mi spiace se, con la mia scelta, in qualche modo io l’abbia delusa. Non era mia intenzione. Spero solo che, anche se adesso non sarò più un membro effettivo della famiglia, continui a serbare nel suo cuore, un angolo per la sua “nipote ribelle”.
Con affetto e riconoscenza
Candice White§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*
Terence finì di leggere la lettera ed alzò gli occhi fissandoli sul volto, cupo, di Albert. La ripiegò seguendo i segni lasciati in precedenza.
Non poteva sapere cosa provava l’amico in quel momento. Era qualcosa che a lui era estraneo. Ma stranamente, ed egoisticamente, provava un sentimento di serenità riposando la lettera all’interno della propria busta.
C’era dell’altro però, era come se, cambiare anche solo una piega di quella missiva, significasse cambiare qualcosa che aveva fatto Candy. Terence sorrise dentro di sé pensando che, in quel momento, chiudendo gli occhi poteva sentire il contatto con la pelle delicata di lei. Era stupido lo sapeva. Pensare di sfiorare le sue mani solo perché quella lettera l’aveva scritta lei, ma al momento era l’unico contatto che poteva permettersi con la sua Tarzan-tutte-lentiggini.
Per rompere quel silenzio decise di parlare. Erano rari i momenti in cui con Albert al proprio fianco restava in silenzio e, quando accadeva, era sempre un silenzio carico di significati. In quel momento, si scrutavano e si promettevano di proteggere Candy ad ogni costo.
-
Motivi personali! Poteva benissimo dire che è stata tutta colpa di quella strega di Iriza.
Albert fece finta di non aver sentito le parole di Terence e parlò con un tono serio che non piacque al giovane duca. Forse era meglio restare in silenzio.
- C’è dell’altro.
La voce di Albert lo convinse che, a volte, un silenzio carico di tensione è molto più piacevole di una sgradita verità. Guardò l’amico ed alla fine rispose.
- Cos’altro ha combinato?
Albert sorrise a Terence. Il primo sorriso da quando aveva ricevuto quella lettera. Il che equivaleva al primo sorriso dopo cinque giorni di ansia e tensione. Entrambi conoscevano Candy e sapevano che, quando la ragazza si metteva in testa qualcosa, difficilmente, cambiava idea. Se aveva deciso di partire come missionaria per il fronte, e non voleva aver nessuna facilitazione, avrebbe fatto di tutto per ottenerla.
Intanto aveva tirato fuori dal cassetto un’alta busta più grande. La diede a Terence che l’aprì e si stupì di leggere il nome di un famoso studio notarile di New York. La sua espressione divenne ancora più sorpresa quando lesse il contenuto dei documenti.
- Allora è davvero decisa.
- Già. Quello è un documento con il quale dichiara di rinunciare a titolo definitivo alla famiglia Andrew. Lo studio notarile è quello di fiducia degli Andrew. Ma non è ancora tutto.
Terence a quel punto si mise a sedere sulla poltrona posta davanti alla scrivania di Albert. Si passò le mani tra i capelli e con le braccia, poggiate sui gomiti, sorreggeva il capo avvilito. Aveva paura di scoprire dell’altro.
- Non so se riuscirò a resistere ad un’altra notizia devastante.
Albert non si fermò davanti l’espressione stravolta dell’amico e gli porse l’ennesimo documento. Terence lo rifiutò con un movimento brusco della mano, ma Albert lo costrinse, in ogni modo, a prenderlo. Il moro lesse quei fogli e giunto alla fine alzò il capo chiedendo spiegazioni all’amico.
- Quello è l’elenco delle persone che si sono imbarcate sulla corazzata partita per l’Europa. Civili. Militari. Volontari. Crocerossine… noti qualcosa di strano?
Terence era shockato.
- Quando la ritroverò mi dovrà spiegare come ha fatto ad imbarcarsi con dei falsi documenti. È impossibile. Me la pagherà per questo scherzo. Sto perdendo venti anni della mia vita.
Continua...
Edited by semplicementecarmen - 5/11/2008, 19:22