Carissime, innanzitutto devo dire una cosa: leggere i vostri pensieri mi dà una bellissima sensazione, come di calda familiarità…come quella che si prova con le amicizie dell’infanzia, quelle che hanno un pezzo di storia comune al tuo che le rende affini elettivamente, ognuna nella sua individualità che fa crescere insieme.
Quindi grazie per questo tepore quasi “familiare”…
Grazie innanzitutto a Italia, che ci ha fornito la colonna sonora perfetta per questo topic, una canzone da brrrr-ivido che non conoscevo!
Riguardo ai nuovi elementi di analisi emersi dagli interventi di Sciara e Candy75, che ringrazio tantissimo, ovviamente hanno suscitato in me un fiume in piena di emozione, immedesimazione e riflessioni. Cercherò di tradurli, scusatemi se sarò ancora prolissa, ormai forse un po’ avete imparato a conoscermi e sapete che è il mio limite!
CITAZIONE (sciara @ 16/11/2012, 05:16)
Innanzitutto vorrei fare una considerazione sull’autrice che ha raccontato la storia di una ragazza occidentale che ha amici occidentali, che nasce e vive in occidente ma che, pur non avendo alcun contatto con il mondo e le consuetudini orientali, pensa, mangia e si comporta come un’orientale d.o.c.. Questo, a mio avviso, a meno che la Mizuki non abbia volutamente creato e usato Candy come canale di trasmissione per fare conoscere all’occidente le tradizioni e la gerarchia di valori orientali, è un limite per uno scrittore, è incapacità a calarsi in un’altra ottica, in un altro luogo o, peggio ancora, significa non avere approfondito lo studio dei costumi del paese nel quale ha ambientato la sua storia.
CITAZIONE (candy75 @ 16/11/2012, 17:47)
se la Mizuki avesse scelto di ambientare la sua storia a casa sua, con personaggi giapponesi e non occidentali, avrebbe potuto benissimo farli agire come ha fatto, tutto avrebbe avuto un senso e una giustificazione nell'ottica di tutto quello che è stato detto sul senso dell'onore, del dovere, della riconoscenza e appunto della rinuncia. Ma il suo grande limite è proprio quello di non aver saputo "adattare" la sua mentalità, rigida più di quella della zia Elroy, ad una storia occidentale in tutto e per tutto, con personaggi anticonformisti, ribelli, onesti e caparbi, tranne che in quel dannato istante sulle scale dell'ospedale. Io, per quanto mi possa sforzare di comprendere il punto di vista mizukiano, non penso che riuscirò mai ad accettarlo
Giusto, ragazze, giustissimo! Con me sfondate una porta aperta su questo punto sul quale mi sono tanto arrovellata. Che sia di origine caratteriale e di mentalità, come sostiene Candy75, o che derivi da un suo limite da autrice che non approfondisce come dovrebbe, per rispetto ai lettori, il contesto nel quale scrive, di sicuro Mizuki ha posto le basi di tutte le incongruenze di cui – con l’enorme rispetto e per quanto mi riguarda anche affetto per aver creato questa storia che amo – da 35 anni le chiediamo conto. Per quanto riguarda l’altra ipotesi esposta da Sciara, quella cioè in base alla quale la scelta di fare pensare e agire i suoi protagonisti come nipponici fino al midollo per fargli fare da ponte di comunicazione con l’occidente sulla cultura giapponese, non mi convince per un motivo molto semplice: se il suo intento fosse stato di avvicinare con la sua storia l’occidente all’oriente, avrebbe ambientato la storia in Giappone e allora nessuno avrebbe potuto accusarla di incoerenza, anzi. Forse le scelte dei suoi personaggi ci sarebbero apparse comunque discutibili, alla luce della nostra cultura, ma in quel caso almeno saremmo stati NOI dalla parte del torto. Mi dici che se avessi ambientato a Tokio le vicende della dolce orfana e dei personaggi che le ruotano attorno avresti avuto 1/1.000 della diffusione che ha avuto la tua storia forzatamente ambientata tra America e Inghilterra, cara Kioko? Beh, allora ti rispondo che non si può aver tutto e che avresti avuto la stima e l’ammirazione di quel millesimo che avesse saputo guardare oltre!
In fondo cosa rimproveriamo a Mizuki? Di non avere fatto una scelta di campo, di avere voluto “la botte piena e la moglie ubriaca”.
Proviamo a rovesciare la visuale: quanti esempi ci sono in letteratura, ma non solo, di autori occidentali che hanno ambientato le loro storie in Oriente, prendendosi la briga e la responsabilità di studiare, conoscere, inchinarsi e piegare la propria forma mentis per creare dei personaggi che agissero coerentemente in quel contesto a loro lontano e magari anche non condiviso, per quanto ammirato.
Due esempi per tutti: “Memorie di una Geisha” di Arthur Golden (americano), in cui sembra quasi di tornare indietro nel tempo e di volare nello spazio di 10.000 Km per muoversi tra le strade di Kioto insieme alla protagonista Sayuri. E non mi pare che Golden mandi le sue geishe a mangiare un Big Mac al Mc Donald’s di Kioto per fare un po’ di promozione agli U.S.A in Giappone!
E che dire allora di “Madame Butterfly” opera meravigliosa e struggente in cui, sulla musica di Puccini, Cio-Cio-San RINUNCIA (fai attenzione, Kioko, il librettista di Puccini si è preso la briga di studiare la tua cultura, visto che inserisce il tema a te caro dell’Iki in una sua opera di più di due secoli fa) alla vita piuttosto che combattere per il figlio contro il suo amore, nonostante l’abbia ripudiata - lui è occidentale e può permettersi di essere meno che onorevole.
(Tra parentesi, la storia di Pinkerton che ripudia la donna che gli ha dato un figlio, salvo tornare dopo qualche anno, sposato di fresco, a riprendersi il bimbo che era nato dal loro amore, strappandolo alla madre per condurlo con sé oltreoceano non vi ricorda qualcosa????)
Tutto questo per dire che comunque la si metta, Mizuki ha commesso veramente la più grande delle leggerezze, da cui discendono tutte le altre nostre frustrazioni nei suoi confronti.
Ma voglio mettermi per un attimo nell’ottica dell’autrice: ammettiamo pure per un attimo (sebbene per tutto quanto detto sopra mi sembri folle) che sebbene incoerente, la scelta di Mizuki fosse voluta. Che, dopo aver vagliato le varie opzioni abbia deliberatamente scelto di assumersi il rischio consapevole di ambientare la sua storia in occidente, per darle un maggiore seguito, ma di andare incontro alle convinzioni e alla cultura sull’onore e la rinuncia del pubblico giapponese, l’unico probabilmente che conoscesse davvero…
Mi piacerebbe davvero fare la prova del nove: per me sarebbe interessante, e mi chiedo se qui nel forum abbiate già trattato l’argomento o conosciate la risposta, sapere qual è il parere di questo benedetto pubblico giapponese. Cosa si dice nei blog e nei forum nipponici su questa storia? Il dibattito sul finale è intenso e appassionato come in occidente? Migliaia o forse centinaia di migliaia di FanFiction sono state scritte con finali alternativi perché quello Mizukiano risultava francamente indigesto? Tonnellate di inchiostro si sprecano per cercare di decifrare gli indizi sull’identità di Anohito? Perché se tutto ciò non avviene, se per i nostri fan del sol levante è tutto chiaro e definito e si sentono perfettamente a loro agio con la storia di Kioko Mizuki, essendogli bastato un solo istante, poche tavole del manga, appena una sfumatura nel movimento di Terence che scioglie l’abbraccio con cui cerca di trattenere Candy sulle scale, per comprendere che la seduzione stava trovando la sua sublimazione nella rinuncia…e non c’era altro da aggiungere su questo argomento…allora Mizuki ha almeno parzialmente raggiunto il suo intento. Ma se qualche perplessità e dibattito prospera anche nel paese del sol Levante, allora, cara Kioko, è meglio se fai harakiri, perché evidentemente c’è qualcosa che non gira come dovrebbe, nel tuo incastro perfetto...
Chissà, vorrei davvero conoscere il punto di vista di qualcuno originario del Giappone, ma anche fan di Candy Candy, per essere sicura di avere un punto di vista comparabile col mio…
E, infine – e concludo la mia seconda filippica del topic- vi esprimo il mio punto di vista su ciò che davvero, in fondo al mio cuore, non perdono a Kioko Mizuki: la sua rigidità, la sua mancanza di visione. Perché io posso accettare tutto: posso accettare che Mizuki avesse voluto scrivere non una storia d’amore, ma una storia di maturazione attraverso le avversità; posso accettare che per farlo abbia anche voluto decretare la morte dolorosa di due dei personaggi più amati e amabili che aveva creato (morti delle quali una strumentale e necessaria rispetto alla sua trama, ma l’altra totalmente gratuita) posso capire, anche se non accettare che abbia deciso di far muovere i suoi personaggi finto-occidentali in una cornice di valori che non appartengono loro neanche un po’; posso perfino accettare la sua propensione sfrenata ai finali aperti che io detesto…ma ciò che veramente trovo imperdonabile per un’autrice (e l'ho messo a fuoco grazie ai vostri contributi) è che, pur partendo da tutte queste premesse non abbia saputo accorgersi di quale gioiello di inestimabile valore, artisticamente parlando, si fosse ritrovata per le mani, senza volerlo, con il personaggio eroico di Terence e il legame elettivo che aveva stretto tra lui e Candy. Aveva tra le mani un’opera d’arte –creata con le sue stesse mani - e non se ne è accorta, preferendo continuare a scrivere la sua storia. Ha delineato riga dopo riga i tratti di un eroe da teatro greco, una storia d’amore shakespeariana, ed è stata così miope da non accorgersene o, peggio, così testarda e cocciuta da andare avanti per la strada che aveva già in mente prendendo per la prima volta in mano la penna, senza farsi distogliere dal suo iniziale intento letterario, senza cedere ai tentativi disperati del personaggio di Terence di sottrarsi al suo controllo, senza mettersi in discussione e, così facendo, perdendo la sua grande occasione: quella di consegnarci un’opera d’arte anzicchè un’opera letteraria. La differenza tra uno scrittore e un genio forse sta tutta nella capacità di mettere se stessi al servizio di ciò che si scrive, e questo Mizuki non ha voluto o saputo farlo, perdendo, purtroppo per lei, la sua occasione di essere eterna come la storia d’amore che le è scappata tra le dita.
Oddio! Mi sono lasciata andare di nuovo…
Merito – o causa – vostra, compagne di avventura che mi avete dato nuovi spunti e che mi aiutate a dare parole al mio pensiero….scusate se ho sproloquiato come mio solito.
Vi lascio con un enorme grazie per la compagnia che mi fate e l’aria fresca che mi sembra di respirare dialogando con voi in questo periodo per me un po’ difficile.
A presto, spero!
CdF
P.S. Sciara, rispondo qui alla domanda che mi hai fatto in un altro post: Sì, siciliana come te, ma da tanti anni lontana dalla nostra isola di lacrime e rabbia e amore.
Edited by cerchi di fuoco - 21/11/2012, 20:28