| Ciao a tutti. Non so se oggi riuscirò a collegarmi, quindi prima di andare al lavoro vi lacio il secondo capitolo della nostra storia, appena tradotto. Entra sulla scena una vecchia conoscenza che forse ben pochi si aspettavano di re-incontrare, ma che giocherà un ruolo fondamentale..
Buona lettura e buona giornata!
Capitolo 2°
Quel sabato la neve smise di cadere e il sole coraggiosamente fece capolino tra le nubi quando Archie arrivò alla casa di Pony. Per fare Il tragitto di 50 miglia da Chicago c’erano volute più di due ore, a causa delle pessime condizioni delle strade ed era esausto, ma la stanchezza si dissolse non appena sceso dall’auto e immerso nell’aria limpida e fredda. Aveva lasciato la business school dell’università di Chicago per le vacanze del Ringraziamento e aveva fatto tutto il tragitto sulla sua nuova Crossley, che si era comportata a meraviglia. All’improvviso avvertì la mancanza di suo fratello con un dolore sordo, ricordandosi della sua automobile e di tutte le sue invenzioni che immancabilmente finivano in un fiasco. Il gruppetto davanti all’orfanotrofio alzò lo sguardo verso di lui non appena sceso dall’auto; la donna in abito da suora sorrise nel riconoscerlo e agitò la mano in un saluto. Archie rispose al saluto. -Suor Maria! – chiamò, avvicinandosi al gruppo di bambini che giocava davanti al portone – Sono Archie, suor Maria, si ricorda di me?- domandò, avvicinandosi e tendendole la mano. - Ma certo! Il fidanzato di Annie. Eravate qui pochi mesi fa per il compleanno di Candy. Annie non è con lei, oggi?- gli chiese la suora stringendogli la mano. - No, in realtà sono venuto solo a portarvi un po’ di cose da mangiare; che ne dice di portare tutto dentro? La prossima settimana è il Ringraziamento, c’è tacchino e molte altre prelibatezze e sul sedile posteriore dell’auto c’è una sorpresa per la casa di Pony- disse, le ultime parole in un sussurro. La matura signora era entusiasta: -Oh, grazie Archie, è così gentile da parte sua. Io e i bambini porteremo tutto dentro da soli..una sorpresa, eh? Miss Pony è andata a trovare Tom, ma se vuole vedere Candy, la troverà sulla collina dietro la casa, quella con il grande albero - disse indicando il luogo. Archie sorrise ringraziandola, le consegnò le chiavi della macchina e si affrettò lungo la strada, salutando i bambini che ricordava dall’ultima visita che aveva fatto. La collina si trovava sulla parte posteriore della casa e il ragazzo fu colpito dalla serenità e dalla bellezza che irradiava il posto. Candy aveva appena terminato di leggere una lettera seduta sul suo ramo preferito di papà albero quando scorse la figura familiare che si avvicinava. -Archie! – chiamò, felice di vederlo; il giovane, elegante come sempre, indossava una camicia di seta su pantaloni neri. Il ragazzo alzò lo sguardo e quasi svenne, vedendo dove si trovava e a che altezza fosse. -Candy! –si rivolse a lei, a bocca aperta e improvvisamente senza parole. La ragazza scese giù velocemente dall’albero mentre Archie tratteneva il respiro, temendo il peggio. -Ti arrampichi ancora sugli alberi, maschiaccio? – le disse quando toccò terra sana e salva, andando con la mente ai giorni del college, quando li raggiungeva nel dormitorio dei ragazzi. -Le vecchie abitudini sono dure a morire, suppongo. Sei timoroso proprio come Annie, dovresti provare prima o poi: Albert potrebbe insegnarti – disse lei, facendogli l’occhiolino e togliendosi le foglie che le erano rimaste sugli abiti. Indossava uno spesso maglione di cachemire sopra pantaloni pesanti e aveva il respiro affannato dallo sforzo. I suoi occhi brillavano ancora come smeraldi, osservò Archie, ma non portava più i codini e raccoglieva ora i suoi morbidi riccioli biondi in una coda. -C’è Annie?- gli chiese lei, cercando con lo sguardo dietro di lui. Archie ed Annie erano una coppia consolidata e tutti si aspettavano che dove ci fosse l’uno si trovasse anche l’altra. Egli scosse il capo. -No, lei e sua madre dovevano vedere alcune persone questo week-end per..uhm..i preparativi del matrimonio. Erano noiosi discorsi da donne e così, eccomi qua!- Archie prese un appunto mentale di parlare di questo con Annie. Candy pensò fugacemente che la sig.ra Brighton probabilmente aveva deciso di rivolgersi a un aiuto professionale per organizzare le nozze. Cominciava ad andare di moda rivolgersi ai wedding planner da parte delle madri delle spose che volevano un matrimonio da favola, per occuparsi delle partecipazioni, del fioraio, del catering e della sarta; organizzare un matrimonio era diventato un impegno al quale bisognava cominciare a dedicarsi circa tre anni prima del grande giorno! Un po’ dispiaciuta di non poter incontrare sua “sorella” Candy disse: -Ho ricevuto una lettera di Patty dalla Florida – mostrandogli la lettera che stava leggendo. Patty era tornata in Florida dopo una breve permanenza alla casa di Pony, per accudire la nonna che si era ammalata -Come sta?- chiese Archie, togliendole una fogliolina che era le rimasta attaccata alla spalla. Candy lo aggiornò sull’amica, mentre Archie la guardava con ammirazione. Si pensava che Candy si sarebbe fermata solo per un breve periodo alla casa di Pony e invece il periodo si era rivelato più lungo del previsto. Sapeva tramite Annie che Candy lavorava sporadicamente all’ospedale dei bambini del Michigan, un po’ distante da lì. Albert non era riuscito a convincerla a tornare a vivere a Chicago, anche dopo che l’ostracismo di tutti gli ospedali nei suoi confronti, causato da Neal, era terminato. -Archie, mi stai ascoltando? Ho detto che dobbiamo organizzarci per vedere Patty quando tornerà qui dopo la guarigione di sua nonna- la voce di Candy improvvisamente lo riportò alla realtà. Quindi Patty stava tornando sulla East coast. -Ma certo! – sorrise, prendendola per un gomito – Comunque, ho portato cibo e una sorpresa per la casa di Pony. Candy sorrise: Archie conosceva bene le sue debolezze! -Una sorpresa?- esclamò -Prima di andare a mangiare, fammi vedere la vista che si gode da questa collina - disse, lasciandole il braccio e facendo un respiro, mentre una fresca brezza gli scompigliava i capelli. Candy mise via la sua lettera e prontamente lo accontentò, camminando con lui sulla collina così piena di ricordi; dalle zone ricoperte di soffice erba, a quelle dove crescevano maestosi alberi e immense rocce di ogni colore e forma, e pietre piatte. Sotto di loro si scorgevano file e file di case e fattorie che da lassù sembravano piccole come giocattolini e un boschetto di pini completava il quadro. La neve già ricopriva gli alberi, facendoli assomigliare a dolcetti di zucchero. -Non ci sono parole per descrivere questa vista - esclamò Archie, vicino a lei, osservando il panorama sotto di loro. Candy rammentò che Anthony non era mai riuscito a venirci. E, immediatamente dopo, andò con la mente a quel giorno di inverno in cui Terence si era arrampicato fin lì da solo. -Da qui parlo con Stear che è lassù in cielo – disse con solennità. Un lampo di dolore attraversò il volto del giovane. -Mi manca così tanto…avevamo solo un anno di differenza, lo sai. I nostri genitori non c’erano mai e siamo cresciuti insieme, noi ed Anthony- rispose lui. Candy rimase in silenzio, per non interrompere il flusso dei suoi ricordi. -Ricordi il giorno in cui ci incontrammo al cancello dietro la cascata? Lei annuì. Com’era giovane allora! Aveva passato dei terribili momenti coi Legan, ma sembrava tutto così lontano, adesso… -E’ stato uno dei giorni più memorabili della mia vita –continuò Archie - non riuscivo a toglierti dalla mente e continuavo a pensare a te. Sei stata sempre speciale per me, Candy - disse con voce carezzevole, continuando a guardare il panorama sotto di lui. Candy fu colpita dalle sue parole e si voltò a guardarlo. -Archie, anche tu sei speciale per me. Sei come un fratello e il mio migliore amico fin dai giorni della mia infanzia. E adesso che stai per sposare Annie diventerai mio fratello nel vero senso del termine. Archie si volse verso di lei con un mezzo sorriso. “No..non c’è nessuna speranza per me” pensò. Il suo sentimento per lei avrebbe dovuto morire molto tempo prima. Doveva imparare ad amare Annie…Eppure, in un piccolo angolo del suo cuore, aveva continuato a sperare. -Lo ami ancora, Candy?- domandò improvvisamente, senza il bisogno di spiegare a chi si riferisse. -Il tempo mi ha guarito, Archie. Non voglio più parlarne- disse lei alzando le spalle ed evitando il suo sguardo. “Tu stai ancora soffrendo per lui, mia piccola Candy; anche se ti ha lasciata per un’altra e non ti merita” Archie decise di non insistere. -Voglio vedere la tua sorpresa e sono piuttosto affamata!- disse Candy all’improvviso, in un tentativo di stemperare la tensione. Lui rise e la riportò indietro all’orfanotrofio.
Suor Maria e i bambini stavano ancora portando dentro le cibarie, quindi fu Archie portare la “sorpresa” in casa. Si trattava di un aggeggio somigliante a una scatola, alto circa tre piedi e i bambini si affollarono attorno. -E’ un frigorifero – spiegò – serve a mantenere freschi cibo e bevande con una refrigerazione meccanica. Candy aveva già visto qualcosa di simile all’ospedale, ma i privati stavano appena iniziando a conoscere questi nuovi elettrodomestici. -Adesso non dovremo più lasciare gli avanzi nella neve!- disse uno dei bambini e tutti risero. Il nuovo frigorifero fu portato velocemente in cucina e finalmente tutti si sedettero per il pranzo. - Perché non vieni a Chicago per il giorno del Ringraziamento, Candy? – Chiese Archie mentre mangiavano. Candy scosse la testa: vedere Neal, Iriza e la zia Elroy? Non era in cima alla lista delle sue priorità. -Neal e Iriza non torneranno dalla Florida e dubito che la zia Elroy si unirà a noi – continuò lui , ricordando la durezza della zia con Candy, al suo ritorno da New York. -Non lo so, può darsi…ci penserò su. E prometto di chiamarti se cambierò idea, visto che adesso abbiamo anche una linea telefonica qui alla casa di Pony – sorrise. Erano arrivati al dolce quando tornò Miss Pony che si dimostrò entusiasta di trovare il nuovo frigorifero e ringraziò Archie profusamente, fino a fare arrossire il ragazzo. Candy gli rivolse un sorriso riconoscente, terminando di mangiare la seconda fetta di torta di zucca.
Berna, Svizzera. Diana Marlowe tirò fuori il suo dizionario tedesco mentre si trovava sul taxi e sospirò: forse sarebbe stato meglio portare con sé anche un vocabolario di francese. Ancora non riusciva a capacitarsi di cosa le fosse preso quando aveva accettato di fare tutta quella strada per vedere il dott. Vanghetti, uno specialista di protesi alle gambe. “Tutto per Suzie” pensò “Almeno spero che approfitti della situazione per fare passi avanti con Terence, adesso che io non ci sono. Non ha ancora fissato la data delle nozze dopo tre anni!” C’era stato un tempo in cui non era ancora così cinica, ma il suo idealismo l’aveva abbandonata molto tempo prima. Si sporse in avanti per rivolgersi all’autista: -Inselspital, bitte! – sperò che l’avesse capita. -Ja Frau, in 20 minuten dort sein – (Sissignora, saremo lì in 20 minuti) La donna si appoggiò al sedile e osservò il paesaggio completamente ricoperto di neve che scorreva davanti ai suoi occhi. Tra gli edifici nel centro storico spiccavano i portici del XV secolo e le fontane del XVI secolo. Le case erano costruite di pesante pietra, adornate di sfavillanti fioriere di gerani sui balconi che guardavano verso il fiume Aare. Le montagne si ergevano sullo sfondo, lo Jura dominava a nord-ovest e le Alpi e le sue cime a sud. Il cuore della città, con la sua deliziosa architettura medievale, si trovava lungo il fiume Aar tra la guglia ramata della chiesa di Nydegg e la torre dell’orologio del XIII secolo. La Svizzera aveva mantenuto la sua neutralità in guerra , sebbene stesse soffrendo di qualche difficoltà nell’economia, dovute alla penuria di carbone. “Deve essere bello qui in primavera o in estate” pensò, sentendosi improvvisamente triste al pensiero di non poter portare Suzie con sé. Sebbene il viaggio verso l’Europa fosse più breve ora, la traversata in transatlantico durava ancora 12 giorni e sarebbe stato troppo pesante per lei. Non c’era agibilità per le sedie a rotelle sulle navi e Terence non poteva lasciare il suo lavoro in teatro, che costituiva il sostentamento di tutti loro. Madre e figlia avevano vissuto in ristrettezze economiche dalla morte di suo marito. La donna aveva lavorato in una fabbrica di abbigliamento quando si erano trasferite a New York, dopo che la figlia aveva superato un’audizione con la compagnia Stratford. Le cose sembravano iniziare ad andare per il meglio quando Susanna aveva avuto i suoi primi ruoli da protagonista, ma proprio allora era accaduto l’incidente. Avvertì una fitta di colpevolezza, pensando alle pressioni che aveva fatto su Terence affinchè rimanesse con Suzie, ma la scacciò velocemente. Era stata la cosa giusta da fare. Nessuno avrebbe più voluto sua figlia, ora che era un’invalida e Suzie avrebbe potuto tentare di uccidersi di nuovo. Avrebbe potuto…si rifiutava di pensare a cosa sarebbe potuto succedere. Il taxi si avvicinava alla sua destinazione mentre questi pensieri si affollavano nella sua mente.
L’uomo sulla quarantina indossava un abito scuro. Scese dal marciapiedi e guardò l’edificio che ospitava l’ospedale stagliato davanti a lui. “Ultima fermata prima di tornare in America” pensò. Era stato per mare negli ultimi vent’anni e si sarebbe già fermato molto tempo prima, se non fosse stato per la morte di suo figlio. “Non ho fatto abbastanza per te, povero figlio mio. Non ci sono mai stato per te…Che crudeltà che tu sia morto così giovane!” Fece uno sforzo per smettere di incolpare se stesso: non si poteva tornare indietro nel tempo. Entrò nell’edificio e si diresse verso l’atrio principale. - Ich bin hier, Doktor Vanghetti zu sehen? (sono qui per vedere il dott. Venghetti) – una voce di donna con un accento terribile gli giunse alle orecchie. - Je ne vous comprends pas” (Non vi capisco)- fu la risposta. “Chiaramente americana" pensò l’uomo, osservando da dietro la donna dai capelli rossi, che cercava di parlare all’impiegato tenendo in mano un dizionario. Avendo pena per lei, le si avvicinò -Ha bisogno d’aiuto, Madame?- si offrì. -Una voce americana, grazie a Dio! Ero disperata! - si voltò verso di lui – Stavo cercando di…- ma lei conosceva quella persona! Anche lui sembrò riconoscerla; frugò nella sua memoria cercando di ricordare il nome. -Diana? Diana Marlowe?- domandò Lei annuì. -Temo di avere dimenticato il vostro nome. Voi eravate uno dei più vecchi amici di Steven, non è vero?- Non riusciva a ricordarne il nome. -Patrick Brown, al vostro servizio, madame- le rispose l’uomo, facendo un inchino scherzoso.
FINE CAPITOLO 2°
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