Candy Candy

"La Stagione dei Narcisi" di Josephine Hymes, Traduzione di sailor74 (a.k.a. Ladybug)

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sailor74
view post Posted on 28/4/2013, 15:55 by: sailor74     +5   +1   -1

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Capitolo 2
Il fiore della speranza



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Terence sollevò pigramente il coperchio del pianoforte e con una mano suonò alcune note a caso. Nell’altra, teneva la sua solita tazza di thè. Il caratteristico aroma dell’infuso scuro, che trovava così rigenerante, gli invase le narici.
"Non c’è niente di meglio per iniziare la giornata", pensò, mentre ne assaporava il primo sorso.
Il giovane sedeva comodamente sulla sua poltrona preferita, un’antica Queen Anne Chesterfield blu, che teneva accanto alla finestra. Il suo sguardo spaziò lungo la stanza solitaria. Fuori, la pioggia estiva rinfrescava la città. Il coro ritmato delle gocce che cadevano sul marciapiede diventava sempre più forte, ricordando una ninna nanna. Era una domenica perfetta per riflettere! Ed era esattamente quello che aveva fatto quasi tutta la notte, per poi ricominciare quella mattina uggiosa non appena sveglio.
Non riusciva a smettere di pensare alla sua lettera…ed a lei.
Gli aveva scritto una lettera decisamente più lunga della sua, ma era stata abbastanza astuta da svelargli di meno. Aveva letteralmente sorvolato sull’implicita rivelazione del suo post scriptum. Quell’unica breve frase studiata per farle sapere che i suoi sentimenti non erano cambiati, era stata semplicemente ignorata…o forse fraintesa.
"Sei una strana creatura, Candy", disse ad alta voce, "ti scrivo dopo dieci anni di questo insopportabile silenzio e anziché biasimarmi per il mio abbandono, come avresti giustamente potuto, ti scusi per non avermi mai scritto! Come se il nostro allontanamento fosse stata colpa tua. Infine, ti comunico che avevo volutamente pensato di ricontattarti una volta trascorso il tempo necessario e non fai che blaterare della tua vita in campagna".
"Ma non mi lascerò scoraggiare, Tarzan Tuttelentiggini, se è questo quello che avevi in mente”, aggiunse, inarcando un sopracciglio, “Perché, vedi, almeno sei stata così gentile da dirmi l’unica cosa che avevo premura di sapere".
Stringendo tra le mani la sua tazza di thè, si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla finestra.
"Finire zitella?" disse, citando le parole di Candy. "Non se potrò avere voce in capitolo, Signorina Andrew".
Per la prima volta in dieci anni, Terence G. Grandchester sentì di essere di nuovo sé stesso.

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"Vorrei che l’estate durasse per sempre", pensò mentre, seduta nella serra, si godeva la calda brezza del pomeriggio. Ai suoi piedi, il piccolo Alistair Cornwell giocava con le sue macchinine preferite, cercando di imitare il rombo di un motore.
La giovane donna abbassò lo sguardo per controllare nuovamente suo figlio. Un tenero sorriso le increspò le labbra riempiendola di orgoglio materno. Sul tavolo, un fascio di lettere aspettavano in silenzio, mentre una tazza di thè al gelsomino le faceva compagnia.
Annie era sempre la stessa ragazza di campagna, malgrado l’aspetto da donna sofisticata, e si sentiva profondamente in pace tra le felci e le orchidee della sua serra. Era il suo rifugio personale per pensare, per evadere dalla sua vita sociale solitamente così piena, un posto segreto dove poteva respirare a pieni polmoni senza soffrire la pressione della sua posizione.
Allontanando una ribelle ciocca dei suoi capelli corvini, Annie si domandò nuovamente se avrebbe mai trovato il coraggio di tagliarli in un caschetto. Ultimamente sembravano tutte così ansiose di seguire quella nuova moda, ovviamente ad eccezione delle donne più anziane e distinte, come la Signora Elroy. Sapeva che i suoi bei capelli lisci sarebbero stati perfetti per quel taglio e immaginava che le sarebbero stati benissimo. Eppure, vi erano due ragioni per cui aveva deciso di tenerli lunghi. Innanzitutto, perché sua madre disapprovava un taglio così maschile. E poi perché non poteva dimenticare l’effetto che i suoi lunghi e folti capelli avevano su suo marito ogni sera, quando li scioglieva dal suo abituale chignon. Annie sorrise tra sé e sé pensando alla frivolezza della sua indecisione.
"I capelli di Candy sono molto chic in quel modo", pensò. "I suoi ricci sono perfetti per un caschetto mosso alla Mary Pickford".
Ma Annie sapeva che Candy aveva tagliato i capelli solo per comodità. Non le importava di seguire la moda né di far piacere ad altri. Questa considerazione la riportò alla questione che le stava più a cuore ultimamente: la solitudine di Candy.
Annie era stata fortunata sotto molti aspetti. La maturità e l’esperienza l’avevano aiutata a riconoscere che nei momenti cruciali della sua vita – proprio quando le cose sarebbero potute andar male per lei – era stata Candy a salvarla in un modo o nell’altro. Sebbene Candy avesse sacrificato il proprio benessere per amore di Annie, erano passati molti anni prima che Annie riuscisse a corrispondere con altrettanta generosità. Annie non era fiera di sé in tal senso, ma era profondamente grata a Candy per tutto quello che aveva fatto per lei.
Persino il suo matrimonio era stato merito di Candy già ai tempi della loro adolescenza. Se Candy non si fosse fatta da parte, se non avesse respinto Archibald, Annie non avrebbe mai sposato quell’uomo dolce e meraviglioso, che ora la adorava. Difatti, sappia il lettore che la fedele devozione di Annie l’aveva aiutata con il tempo a conquistare quanto desiderava di più: il cuore del suo amato.
Pertanto, essendo stata così fortunata nella vita, Annie desiderava assicurarsi che la sua amica di infanzia potesse godere della sua stessa felicità. Sfortunatamente per lei, nel corso degli anni Candy era stata alquanto riluttante a collaborare con Annie nei suoi tentativi di sistemarla. Con il passare del tempo e con l’insistenza di Candy a vivere una vita solitaria tra le montagne, Annie aveva iniziato a perdere le speranze. A volte, pensava che non sarebbe mai riuscita a ripagare la sua benefattrice come meritasse.
"Come mai sei così pensierosa, tesoro?", le sussurrò una voce maschile all’orecchio, cogliendola di sorpresa.
Annie sollevò il viso per incrociare gli occhi nocciola di suo marito e dargli un silenzioso benvenuto con il luccichio del suo sguardo. Le loro labbra fecero seguito a questo incontro in un breve ma tenero bacio. Ancora intento nei suoi giochi, il piccolo Alistair ridacchiò alla vista della disinvolta manifestazione di affetto tra i suoi genitori.
"Hey, Stair, come sta il mio ometto?" chiese Archie, sollevando il bambino in un abbraccio affettuoso.
"Giochiamo, papi, giochiamo", rispose il bambino di appena tre anni, continuando a ridere.
Per un breve momento, qualcosa nel viso del bambino che Archie non seppe definire, gli ricordò un altro volto del passato. Forse era il suo sorriso o la luce di quegli occhi scuri innocenti che evocavano i preziosi ricordi di suo fratello. Archie sentì un’improvvisa fitta al cuore e istintivamente si strinse suo figlio al petto.
"Certo, tesoro, giochiamo" disse, baciando il bambino sulla guancia rosea.
Per un attimo la giovane famiglia restò assorta in un piacevole silenzio, mentre il padre sedeva per terra giocando con suo figlio. Una piccola Ford Model T blu cobalto divenne per un po’ la protagonista del gioco, mentre la madre sedeva al tavolo da giardino con il suo thè e le sue lettere.
"Ci sono novità?", chiese il giovane dopo un po’, guardando con ammirazione sua moglie che indossava un vestitino color lavanda, la cui gonna plissé a vita bassa le sfiorava i polpacci. Gli piaceva tantissimo che il vestito le lasciasse scoperte le esili braccia.
"Candy è ancora impegnata con falegnami e idraulici", rispose Annie con una punta di disappunto nella voce.
"Provo pena per quei poverini che devono fare i conti con un capocantiere così energico”, disse lui ridendo al pensiero della sua temeraria cugina che comandava una squadra di operai con il doppio dei suoi anni.
"Forse intendevi dire una capocantiere", lo corresse.
"No, tesoro, ho scelto le parole con cura", la stuzzicò.
"Oh, Archie!", esclamò Annie tenendogli il broncio.
"È questo che ti preoccupa?", le chiese Archie, indovinando la ragione per cui sua moglie fosse così pensierosa.
"Ecco, in un certo senso sì. Candy si rifiuta di socializzare. Dovrebbe uscire e conoscere gente nuova qui a Chicago, anziché nascondersi sulla Collina di Pony", spiegò la giovane.
"Stai scherzando? Ha viaggiato molto di recente e credo che debba ripartire prima della fine dell’anno”, ribatté lui.
"Oh, Archie, non era questo che intendevo. Si limita a fare visita ai finanziatori della casa di Pony e non capisco perché si sforzi tanto, visto che tu e Albert potreste garantirle tutto l’aiuto necessario".
"Beh, sai bene che la signorina ha le sue regole. È stata sua l’idea di porre un limite al nostro contributo con la scusa che fosse giusto consentire ad altri di sostenere la sua causa”, rispose Archie. “Ormai dovresti sapere che Candy preferisce farcela con le proprie forze. Credo che affidarsi interamente ai vantaggi legati alla sua posizione in seno alla nostra famiglia la farebbe sentire a disagio. Dobbiamo rispettare i suoi desideri".
"Ma è assurdo! Dovrebbe passare la stagione con noi anziché far visita a tutte quelle persone. La maggior parte degli uomini che incontra sono già sposati o troppo vecchi. No, così non va affatto bene", si lamentò dando voce alla sua amarezza.
"Annie, quando la smetterai di giocare a cupido con Candy?", le domandò Archie incrociando le braccia al petto.
"La smetterò quando avrà trovato un uomo che la renda felice come merita, Archie”, rispose Annie con insolita determinazione.
"Candy non ha bisogno di un uomo per essere felice, Annie. Sai, con il passare degli anni ho iniziato a credere che non sia tagliata per il matrimonio. Quando capirai che è uno spirito libero come…", si interruppe cercando un’immagine che la rappresentasse al meglio, ". . . come il vento? Mi domando se esista un uomo su questa terra capace di afferrare il vento a mani nude", concluse Archie con una punta di malinconia.
"Oh, Archie, non dire così! Non sai che darei per vederla sistemata. La conosco meglio di chiunque altro. Sono certa che abbia bisogno di sentirsi amata come ogni altra donna". Una lacrima involontaria scivolò lungo la guancia di Annie.
"Su, tesoro", cercò di consolarla Archie. "Non piangere. Perché non vai a trovarla? Potresti anticipare la tua visita e magari ti sentirai meglio dopo averla vista. E chissà, forse potresti anche convincerla a partecipare ad uno dei tuoi famosi thè. Che ne dici?"

Annie sorrise dietro le lacrime, mentre Archie le teneva la mano per esprimerle tutto il suo sostegno. Il piccolo Stair si era addormentato tra le braccia del padre. Nelle sue manine stringeva ancora la Model T blu cobalto, beatamente ignaro delle ineludibili asperità della vita.

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"Ed ecco a voi Fannie Brice con Second Hand Rose", disse lo speaker alla radio mentre un’acuta voce femminile invadeva la casa. Il pezzo, dal ritmo brioso e cadenzato, raccontava la storia di una ragazza figlia del proprietario di un negozio dell’usato che aveva il cruccio di non possedere mai nulla di nuovo. Non ci volle molto affinché le divertenti strofe strappassero un sorriso agli operai al lavoro. Uno di essi iniziò persino a canticchiarne il ritornello:

"Second hand curls,
I'm wearing second hand pearls,
I never get a single thing that's new!
Everyone knows that I am just Second Hand Rose,
From Second Avenue."



A Candy, che aveva sempre amato le canzoni allegre, venne subito una gran voglia di ballare.
"Mi concede questo ballo, madame?", chiese il Signor Thomas.
"Pensavo che non me lo avreste mai chiesto!", rispose lei con gli occhi che le brillavano e un attimo dopo il falegname e la giovane si lanciarono in un movimentato ballo. I passi erano piuttosto energici e Candy sembrava avere grande familiarità con quel nuovo stile. Thomas, che aveva da poco superato i cinquanta, si stancò quasi subito e riuscì a fatica ad arrivare al termine della canzone. Gli operai applaudirono la coppia che, alla fine del ballo, fece un bell’inchino.
"Wow, Signorina Candy, ma Lei è una ballerina coi fiocchi!", disse l’uomo sventolandosi con il berretto.
"Mio cugino Archie è un ballerino provetto", rispose Candy con gli occhi che le brillavano di gioia, "ogni volta che ci vediamo mi insegna le ultime novità".
"E vedo che Lei approfitta per bene di quelle lezioni", sorrise l’uomo, pensando tra sé e sé che ormai non era più tanto giovane.
"Beh, la mia amica Patty dice sempre che si impara in fretta quando si ama ciò che si fa e confesso che adoro queste canzoni".
"Oh, anche a me piacciono molto le canzoni di Fannie Brice", rispose l’uomo di slancio, "Dicono che come bellezza non sia niente di speciale, ma mi piacerebbe comunque poter assistere a un suo spettacolo a New York! Deve essere un’esperienza fantastica!".
"Non creda a una parola di quello che dice, Signorina Candy", intervenne un altro degli operai, "A Thompson non importa nulla di quella Brice, ma darebbe qualsiasi cosa per vedere le belle ragazze delle Zigffield Follies".
"Ci scommetterei la testa", rispose Candy, scatenando l’ilarità generale con il suo commento.
"Su, forza, tornate tutti al lavoro!" sbottò Thompson rimproverando i suoi uomini, non avendo gradito la battuta, per poi rivolgersi con tono più gentile alla giovane. "Tornando agli affari, signorina, immagino che non sia venuta qui solo per ballare".
"Ha ragione, Signor Thompson", rispose Candy, soffocando un sorriso all’improvviso cambio di argomento da parte dell’uomo, "Sono venuta a parlarLe della finestra del nuovo salotto. Ci ho ripensato e non mi sembra una buona idea che si affacci ad ovest. Temo sarebbe molto fastidioso per Miss Pony avere il sole dritto in viso, specialmente quando siederà qui nel pomeriggio".
Dentro di sé, Candy era grata che avessero ripreso a parlare dei lavori in corso, trattandosi di un argomento di conversazione decisamente più sicuro. Il solo aver sentito nominare New York l’aveva scombussolata, riportandole alla mente un certo gentiluomo che viveva lì. In passato, Candy aveva sperato che tutte le sue ansie riguardo Terence Graham si sarebbero alleviate con il passare del tempo. Credeva che un giorno avrebbe pensato a lui solamente come ad un dolce ricordo della sua giovinezza. Quando ciò fosse accaduto, avrebbe potuto rivedere sia lui che Susanna, salutandoli serenamente con un sorriso e accogliendoli come suoi amici.
Una parte di lei aveva cercato in ogni modo di far sì che ciò accadesse, mentre un’altra parte aveva opposto resistenza con tutte le sue forze, conservando segretamente piccoli ricordi di lui. Una volta aveva persino tentato di bruciare tutte le sue lettere, ma al solo pensiero, aveva perso tutta la sua determinazione. Aveva dunque chiesto ad Albert di custodirle in sua vece, unitamente al suo vecchio diario, che era ancora in suo possesso. Eppure, aveva contro ragione conservato tutti i ritagli di giornale che riportavano le recensioni dei suoi successi, specialmente la prima che Annie le aveva inviato molti anni prima. Un altro di questi ricordi era la sua sciarpa di seta. Sapeva bene che tenerla non l’avrebbe aiutata a ritrovare la serenità, ma in un certo senso era grata al destino per non averle mai dato la possibilità di restituirla al suo legittimo proprietario. Anche adesso, mentre si sforzava di concentrarsi sulle migliorie della casa, il suo cuore batteva all’impazzata.
"Terence, cosa dovrei pensare ora di te?", fu la silenziosa domanda che si pose, "Che significano tutte quelle lettere?"
Nei quattro mesi successivi al ricevimento della sua prima lettera, ne erano infatti arrivate oltre una ventina. Candy non sapeva come definire la natura della nuova amicizia a distanza che li legava. Nelle sue lettere lui era disinvolto e persino allegro a volte, sembrava proprio il Terence dei vecchi tempi. Eppure, Candy percepiva chiaramente che lo spettro di quei dieci anni di separazione aleggiava ancora tra di loro. Prima o poi ne avrebbero dovuto parlare, ma non era ancora giunto il momento. Per ora, avevano raggiunto il tacito accordo di mantenere il loro carteggio su toni più leggeri, senza fare mai alcun riferimento al passato.
Inoltre, Candy non sapeva come comportarsi riguardo a Susanna. Sapeva che ormai era troppo tardi per porgergli le sue condoglianze, ma si sentiva in colpa per non avergli mai detto di essere rimasta sinceramente addolorata dalla sua morte. Malgrado questo sentimento, Candy non riusciva a trovare le parole per esprimere quello che aveva dentro, specialmente quando le lettere di Terence sembravano così pregne di un ritrovato ottimismo nel futuro.

Dopo aver discusso delle nuove idee per la finestra del salotto, Candy lasciò gli operai al loro lavoro e tornò alle sue faccende quotidiane. Era ancora mattina, perciò la maggior parte dei bambini erano a lezione con Miss Pony e Suor Maria. Solo un paio di loro erano a letto malati. Come prima cosa, la giovane andò a controllarli. Dopo essersi assicurata che stessero meglio e che avessero preso le medicine come dovevano, andò a cambiarsi il vestito, indossando i soliti pantaloni e camicia da lavoro.
Candy amava i lavori manuali; pertanto non si lamentava dei pesanti compiti che le spettavano, come mungere la mucca, fare il bucato dei bambini o curare l’orto. Era proprio in questi momenti di privacy che la sua mente viaggiava verso luoghi lontani, ripensando ai suoi amici. Solitamente, si soffermava a pensare all’inquieto Albert ed alla sua ultima avventura in qualche paese lontano, o ai pittoreschi racconti di Patty quando le parlava dei progressi fatti dai suoi studenti a Oxford. Questa volta, invece, ripensò alla settimana appena trascorsa, quando Annie era venuta a farle visita.
La sua amica era diventata una donna estremamente elegante nonché madre fiera del bambino più dolce che Candy avesse mai conosciuto. Era sempre felice quando Annie veniva a trovarla, non solo per l’importanza che la sua amicizia aveva per lei, ma soprattutto perché poteva vedere Alistair. E anche questa volta era andata così. Il bambino era talmente affettuoso e dolce con lei che non riusciva a non dedicargli ogni minuto della sua attenzione.
"Candy, smettila di perder tempo dietro a Alistair! Vieni con me. Ti ho portato un bel po’ di cose nuove che vorrei farti provare", aveva insistito Annie il giorno successivo al suo arrivo.
Candy, che stava giocando a nascondino con il piccolo Stair ed altri quattro bambini della sua età, si tolse la benda dagli occhi. Alla vista dell’espressione risoluta di Annie, capì di non avere altra scelta. Consegnò di malavoglia il fazzoletto al ragazzo più grande del gruppo e seguì la sua amica con un sospiro di rassegnazione.
"Potremmo dedicarci a questo quando i ragazzi fanno il loro sonnellino, Annie", disse mentre percorrevano il corridoio della casa, cercando ancora di opporle resistenza.
"Sicuramente troveresti la scusa di avere altre cento cose da fare", rispose Annie con fermezza,"No, ce ne occuperemo adesso".

Candy rise tra sé e sé pensando a quanto sembrassero invertiti i loro ruoli a volte, con Annie che adottava un piglio autoritario e lei che seguiva obbedientemente la sua amica d’infanzia.
Quando le due giovani donne entrarono nella stanza, Candy sgranò gli occhi alla vista della quantità di indumenti femminili che invadevano la sua camera da letto.
"Avevi tutti questi vestiti in valigia, Annie? Come hai fatto a farceli entrare?", si domandò.

"Sono piena di risorse. Ed ero determinata a portarti quanti più capi possibile, altrimenti non troveresti mai il tempo di rinnovare il tuo guardaroba", rispose Annie, fiera della sua abilità.

Per un po’, le giovani donne si dedicarono ad ammirare abiti in tutte le tonalità dei colori autunnali e invernali. Candy non era immune all’effetto che gli abiti alla moda avevano sulle donne e si divertì sinceramente ad esaminare vestiti, cappelli, soprabiti e scarpe che la sua amica aveva scelto per lei. Tuttavia, di quando in quando rivolgeva lo sguardo alla finestra, controllando i bambini che giocavano all’esterno.
"Questi abiti sono un sogno, Annie, grazie", disse sinceramente mentre ammirava tre abiti da cocktail dal taglio delicato, "ma temo che qui non avrò molte occasioni di indossarli”.
"Andiamo, Candy, parteciperai alla nostra cena per il Ringraziamento giusto? E poi a novembre partirai per Boston e Pittsburgh. Spero che non starai pensando di andarci in jeans", rispose Annie con un sorriso, indicando gli indumenti che Candy indossava in quel momento.
"Ma sono viaggi di lavoro, Annie. Devo partecipare a riunioni d’affari e qualche volta a un pranzo ufficiale con i finanziatori. Un vestito da giorno, una cloche e un soprabito sono più che sufficienti per questo".
"Ma devi assolutamente venire a Chicago il mese prossimo. Organizzerò un thè", aggiunse Annie casualmente, per poi continuare con uno strano luccichio nello sguardo, "ci saranno alcuni nuovi amici che voglio farti conoscere".
Candy lanciò uno sguardo ad Annie, aggrottando la fronte con sospetto. Riconosceva quel tono di voce; Annie stava nuovamente architettando uno dei suoi piani per sistemarla con qualcuno.
"Annie, Annie....ti prego, non un altro riccone imbalsamato. Quante volte devo ripeterti che non mi interessa?", la ammonì Candy.
"Ma sono certa che questo ti piacerà", disse Annie ingenuamente, svelando il vero motivo del suo invito, "è molto aperto e gentile, per non parlare di quanto sia affascinante".
"Allora vorrà dire che ti autorizzerò a sposarlo, se ti piace così tanto", rispose ironicamente Candy.
"Sono già sposata, sciocca", rispose Annie, lanciando un cuscino a Candy e colpendola dritto in viso.
Per la bionda quella era la scusa perfetta per scatenare una guerra a colpi di cuscino, che durò per un po’ mentre le risa delle giovani risuonavano nell’aria. Dalla cucina, Miss Pony poteva sentirle con chiarezza e ancora una volta pensò che alcune cose non sarebbero mai cambiate.

"Oh, ti prego, basta, Candy!" urlò Annie, che era sempre la prima ad arrendersi.
"Fifona", protestò Candy mentre si liberava dagli indumenti che Annie le aveva lanciato contro durante la breve zuffa. Improvvisamente, uno di essi attrasse la sua attenzione, "Che diavolo è questo, Annie?" chiese guardando con aria interrogativa uno strano capo di lingerie.
"È un corsetto, sciocca".
"Cosa? Pensavo che non si usassero più. Le nuove tendenze della moda non impongono una silhouette più naturale?" chiese Candy, non riconoscendo quel nuovo tipo di corsetto che incorporava una specie di reggiseno.
"Beh, non tutte le donne hanno la fortuna di avere una corporatura esile e snella che si addica al nuovo stile a vita bassa. Le curve vanno addolcite. Evidenziare troppo fianchi o décolleté non è più di moda oggigiorno", spiegò Annie, non accorgendosi delle divertenti smorfie di stupore sul viso di Candy.
"Vuoi dire che dobbiamo sembrare piatte come una tavola?" chiese Candy incredula.
"Ecco, non esattamente. Oggi va di moda una linea decisamente più chic. Ma tu non hai nulla di cui preoccuparti, Candy. I tuoi fianchi sono a posto. Forse, però, avresti bisogno di un aiutino con il seno. Questo corsetto servirà allo scopo".
"Stai scherzando, spero", disse Candy ridendo, "Quando avevamo quindici anni ci obbligavano a indossare quegli orribili corsetti per tirar su il seno e Dio solo sa che non c’era molto da tirar su all’epoca. E ora che madre natura ha finalmente operato qualche cambiamento quassù, dovrei schiacciarmi il seno per sembrare di nuovo una quindicenne? Neanche per sogno. Non ci penso proprio a indossarlo", rispose, respingendo l’idea con fermezza.
"Non essere testarda. Le perle non ti starebbero bene con un seno troppo prosperoso. La collana oscillerebbe a destra e sinistra anziché cadere naturalmente al centro".
"Non mi importa. Continuerò ad indossare i miei soliti reggiseni e le mie solite sottovesti. Grazie comunque per il tentativo. E grazie anche per l’invito al tuo thè, ma temo che non potrò parteciparvi, Annie", concluse Candy cercando di non sembrare troppo dura.
"Sei impossibile!" disse Annie tenendole il broncio, mentre ripiegava gli indumenti intimi per riporli nella cassettiera di Candy. Tuttavia, prima che potesse dar voce con maggiore enfasi alla propria protesta, il suo sguardo fu catturato da una busta posta in cima a una pila di fazzoletti all’interno di uno dei cassetti.
In altre circostanze, Annie avrebbe ignorato la lettera con discrezione proseguendo con le sue faccende, ma stavolta un nome la colpì come un fulmine, attraendo completamente la sua attenzione. La giovane prese la busta, che era ancora sigillata. Evidentemente era arrivata proprio quella mattina con il resto della posta.
La bionda osservò il gesto di Annie e si rese subito conto del perché fosse ammutolita. Tra sé e sé si rimproverò per aver lasciato la lettera nel cassetto, anziché riporla nella scatola dove teneva tutte le altre. "Perché sono stata così sbadata?" pensò.

"Ebbene sì, è una lettera di Terence", ammise finalmente Candy dopo un attimo di silenzio e prima che Annie potesse formulare una qualsiasi domanda. La bionda abbassò lo sguardo e fece del proprio meglio per sembrare padrona di sé.
"Ti ha scritto! Ma è una notizia fantastica! Eppure non sembravi sorpresa stamattina quando è arrivata la posta", disse Annie dando voce ai suoi pensieri, finché non ebbe un’improvvisa illuminazione, "Non è la prima volta che ricevi una sua lettera, vero?"
"Ecco, non esattamente", ammise Candy, cercando di darsi un tono appendendo gli abiti nell’armadio.
"Bene!" esclamò Annie, metabolizzando la notizia, "È ancora scapolo, giusto?"
"Dio mio, Annie! Non cominciare a farti strane idee. Ha appena perso la sua fidanzata!", rispose la bionda cercando di sembrare distaccata.
"Per amor del cielo, cara, è successo quasi due anni fa! Sei stata molto furba con me, Candy! Voi due siete in contatto e non mi hai detto niente. E pensare che stavo impazzendo alla ricerca di corteggiatori che potessero andarti bene, mentre il corteggiatore era proprio davanti al tuo naso e stava bussando alla tua porta! Almeno stavolta non ho dubbi che questo ti piaccia".
"Oh ti prego, non correre troppo immaginando chissà cosa in quella tua testolina, Annie, non c’è nulla di romantico tra noi", negò Candy con veemenza, iniziando ad agitarsi, "siamo solo due vecchi amici che si ritrovano cercando di mettersi in pari con una lettera ogni tanto. Nulla di più”.
Candy ricordò quanto era stata dura convincere Annie che non vi fosse nulla di romantico nella sua ritrovata amicizia con Terence – o quantomeno aveva fatto del proprio meglio per spingerla ad accantonare l’argomento per il momento. Ora che ripensava a quell’episodio, si sentiva un po’ in colpa per non essersi fidata di Annie né di nessun altro. Candy tirò un altro sospiro, mentre portava il latte in cucina. La verità è che non riusciva a parlare dei suoi sentimenti per Terence con nessuno. Forse perché ormai era abituata a nasconderli in fondo al proprio cuore. L’aveva fatto per così tanti anni dopo la loro rottura che le sarebbe sembrato strano il contrario.
Il sole era di nuovo alto nel cielo e sebbene sembrasse essere completamente assorta nella raccolta di carote e spinaci freschi dall’orto di Suor Maria, nella sua mente c’era posto solo per Terence. Era la metà di ottobre e il suo ultimo spettacolo stava avendo un grande successo a Broadway. Non poté evitare di sentirsi fiera di lui. Nella sua ultima lettera, l’aveva informata che sarebbe presto partito in tournée per il paese. Pensando alla sua imminente partenza, Candy si ricordò che in una delle sue lettere, nel raccontarle dei suoi numerosi viaggi, le aveva parlato di un abilissimo ebanista che conosceva a San Francisco e che aveva confezionato diversi mobili per la Signora Baker. Gli aveva dunque confidato il suo desiderio di regalare a Miss Pony una sedia a dondolo per il nuovo salotto, che sperava di aver pronta per Natale.

Candy sorrise al ricordo del suo entusiasmo quando Terence le aveva risposto che in occasione della sua tournée sulla Costa Occidentale avrebbe pensato lui a ritirare la nuova sedia a dondolo per Miss Pony, assicurandosi che le fosse recapitata su consegna speciale e quindi in tempo per la vigilia di Natale. La giovane sapeva bene che Miss Pony sarebbe stata entusiasta del regalo e ci sarebbe voluto un esercito per smuoverla da quella sedia, soprattutto perché l’artefice dell’acquisto era stato Terence. Candy non aveva idea che prima della fine dell’anno, il suo piano innocente avrebbe scatenato una serie di eventi inaspettati.


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Terence Graham non era un tipo paziente né pacato. I suoi colleghi l’avevano imparato a loro spese. Essendo un perfezionista dotato di straordinario talento, la sua tolleranza nei confronti dei difetti e degli errori degli altri era sempre piuttosto bassa, specialmente quando i suddetti errori erano causati da disattenzione o irresponsabilità. Pertanto, quando Walter Simmons - uno degli attori della compagnia – sbagliò i tempi entrando in scena prima del previsto durante la prova generale, tutti si aspettavano un suo commento aspro seguito da un’accesa discussione.
Per un attimo regnò un imbarazzante silenzio. Sorprendentemente, però, anche se era chiaro che non aveva affatto gradito un errore così da principianti proprio il giorno precedente alla prima, Terence non disse una parola.
"Riprendiamo dall’inizio della scena", aveva finalmente detto Robert Hathaway, rompendo il silenzio e lasciando proseguire le prove senza alcuna scenata.
Il regista rifletté su quell’incidente e su molti altri piccoli dettagli che aveva notato di recente. Probabilmente il cambiamento sarebbe sembrato impercettibile a chiunque non avesse conosciuto Terence bene quanto lui. Ma ormai erano anni che Hathaway lavorava con il giovane attore. Si era accorto che da quando era rientrato dall’Inghilterra, c’era qualcosa di diverso in Terence. Hathaway pensò che di qualsiasi cosa si trattasse, era sicuramente un bene sia per il giovane che per tutta la compagnia.
Nel corso degli anni la stima che Hathaway nutriva nei confronti di Terence era cresciuta al punto da fargli provare un affetto quasi paterno per il giovane attore. Ricordava ancora perfettamente il ragazzo sedicenne che si era presentato alla sua porta una mattina d’inverno del 1913. Aveva subito notato un’insolita determinazione nel suo sguardo che aveva colpito persino un attore d’esperienza come lui, cosicché l’aveva invitato a partecipare a un’audizione. E non ne era rimasto deluso. A Robert era bastato sentirgli pronunciare le primissime battute per capire che quel ragazzo aveva un innato talento melodrammatico, ben più maturo rispetto alla sua età. Era solo questione di tempo e di preparazione e sarebbe diventato un interprete eccezionale. Hathaway era fiero di essere stato il mentore di Terence, perché ovviamente gli sforzi profusi non erano stati vani.
Tuttavia, Hathaway conosceva bene anche i suoi difetti. I modi taciturni di Terence e la sua asocialità erano intollerabili e rendevano il suo ruolo di regista quasi impossibile. Inoltre, i colleghi facevano fatica a tenere il passo con i suoi ritmi ossessivi. All’inizio, quando era ancora alle prime armi e ricopriva solo ruoli secondari, questo problema era pressoché impercettibile. Ma quanto il prestigio di Terence aveva iniziato a crescere facendogli guadagnare parti sempre più importanti, il giovane aveva anche dimostrato di essere capace di trascinare l’intera compagnia in un’infaticabile e estenuante ricerca della perfezione. Hathaway dovette imporre dei limiti all’eccessiva energia di Terence, ma era stata dura, perché tra i suoi difetti c’era anche quello di essere alquanto testardo.
E poi, c’era la questione della sua vita privata, che era sempre stata un enigma di contraddizioni e segreti. Robert non aveva mai capito la natura del rapporto tra Terence e Susanna. Sapeva bene che la giovane attrice si era subito innamorata follemente di Graham. Tuttavia, era altresì consapevole che Terence non le aveva mai mostrato alcun interesse fino al momento dell’incidente.
Avendo avuto modo di osservarli in innumerevoli occasioni, Hathaway aveva maturato la convinzione che Terence non avesse mai amato Susanna. Quella storia lo aveva trasformato da animo solitario in vero e proprio misantropo e per un certo periodo aveva anche messo a repentaglio la sua carriera rischiando di fargli perdere il controllo della propria vita. Persino quando Terence era riuscito a sconfiggere i suoi demoni tornando a recitare stabilmente, sembrava ovvio che emotivamente non si fosse ripreso. Aveva senz’altro raggiunto un livello superiore come attore, ma aveva perso tutta la sua forza d’animo e il suo carattere difficile ne aveva risentito. Pertanto, senza provare alcun rimorso per il cinismo di tale osservazione, il regista si era reso conto che la morte di Susanna era stata la cosa migliore che fosse capitata al suo giovane pupillo negli ultimi anni.
Ovviamente, aveva passato un periodo di profondo dolore. Sebbene tutti credessero il contrario, Terence aveva un animo sensibile ed era stato profondamente toccato dalla sofferenza di Susanna durante la sua malattia e successivamente dalla sua morte. Tuttavia, dal giorno stesso in cui si era trasferito al Village, la ripresa del giovane era stata evidente. Ora, a distanza di quasi due anni, Terence appariva sereno e persino il suo carattere sembrava meno spigoloso. Robert dovette ammettere che Terence Graham non poteva di certo essere considerato un tipo allegro, ma vedere uno dei suoi rari sorrisi, sebbene fosse un evento straordinario, era un chiaro segno che c’era qualcosa di diverso nel suo cuore.
"Non saprei come interpretare le tue osservazioni, Robert", gli aveva detto Eleanor Baker quando si erano incontrati per discutere del comportamento di Terence, "Sai bene che è sempre stato molto riservato, persino con me. Anche se devo ammettere di aver notato anch’io qualche cambiamento".
"Mi sono permesso di chiamarti perché ho pensato che avresti potuto consigliarmi in merito a una decisione che dovrò prendere prima o poi e che riguarda Terence, oltre che il sottoscritto", le aveva confessato il regista davanti a una tazza di thè.
"La tua fiducia mi lusinga, Robert. Di cosa si tratta?", gli aveva chiesto la donna; il suo istinto materno le aveva fatto allertare i sensi, non appena aveva sentito che si trattava di qualcosa che potesse riguardare anche suo figlio.
"Stavo pensando di andare in pensione prima del tempo. A Melanie è stata diagnosticata una cardiopatia. Il medico dice che ha ancora molti anni davanti a sé, ma avrà comunque bisogno di maggiori attenzioni", rispose l’uomo riferendosi a sua moglie, mentre un’ombra gli attraversava il volto.
"Mi dispiace moltissimo, Robert. Lei lo sa?", chiese Eleanor, sinceramente preoccupata per i suoi vecchi amici.
"Sì, lo sa. Sta affrontando la cosa con ottimismo, devo dire, ma come credo capirai, desideriamo passare insieme quanto più tempo possibile. Non potrà più seguirmi in tournée come faceva prima e non posso lasciarla da sola qui a New York". "Capisco perfettamente, Robert. Devi dare priorità alla salute di Melanie, ma puoi permetterti di ritirarti adesso?", gli chiese Eleanor, affrontando questioni più pragmatiche. Avendo passato la vita a prendersi cura da sola dei propri affari, aveva imparato ad essere cauta quando si trattava di questioni di denaro.
"Sì, Eleanor. Anni di gestione attenta stanno finalmente iniziando a dare i loro frutti. Ora posso andare in pensione senza preoccuparmi del nostro futuro, anche se dovremo sostenere le spese della sua assistenza medica. Al momento, i miei timori riguardano perlopiù la compagnia", disse Robert appoggiando i gomiti sul tavolo e congiungendo le mani in un nervoso gesto. Poi, dopo una pausa che tradì la sua ricerca delle parole più giuste, aggiunse, "All’inizio avevo pensato di lasciare la compagnia nelle mani di Terence, ma poi ho cambiato idea. È un attore magnifico, ma non è pronto per ricoprire il ruolo di regista. Manca del tatto necessario per gestire i difetti e le idiosincrasie degli altri. Inoltre, i suoi rapporti con gli altri attori della compagnia non sono mai stati dei migliori. Mi dispiace dire questo, ma la compagnia si sfalderebbe se le redini passassero a lui".
"Non scusarti, Robert. Conosco mio figlio e concordo sulla tua valutazione. Non è pronto a prendere il tuo posto", fu l’immediata replica di Eleanor. La sua espressione serena incoraggiò Robert a continuare.
"Per questo motivo sto valutando l’idea di vendere la compagnia. Intendo fare del mio meglio per trovare un acquirente che appoggi il lavoro che ho fatto finora, ma non sono sicuro di come reagirà Terence ad una nuova gestione. D’altra parte, ho anche pensato che forse potrebbe essere un’opportunità per aprirgli nuovi orizzonti a livello professionale. L’esperienza con la Royal Company gli è stata incredibilmente utile per migliorare la sua tecnica. Che ne pensi? Sarebbe pronto a lavorare come indipendente o a passare a un’altra compagnia?"
"Se mi avessi posto questa stessa domanda tre anni fa, Robert, non avrei saputo cosa risponderti", disse la donna con un elegante cenno del capo, ornato da un cappello a larga tesa, "All’epoca Terence era in uno stato costante di inquietudine. Dubito che avrebbe avuto l’energia di prendere in mano le redini della propria carriera e affrontare una tale incognita, era troppo preso dalla malattia di Susanna. Ma ora le cose stanno diversamente e l’hai notato tu stesso. Sembra apprezzare la vita, perlomeno quanto un uomo della sua natura riesca a fare. Intendo dire che adesso va ai concerti, visita mostre d’arte ed ha persino ripreso a suonare il piano. Sai, vorrei solo che avesse un amico della sua età – ma sto divagando. Non preoccuparti per lui. Se il nuovo proprietario e regista della Compagnia Stratford non dovesse essere di suo gradimento, potrebbe facilmente cercare nuovi sbocchi. Hai fatto un ottimo lavoro come suo mentore".
"Apprezzo la tua comprensione. Vorrei solo che imparasse ad essere più socievole con i suoi colleghi. Gli renderebbe le cose molto più semplici”, confessò l’uomo con un accenno di sorriso.
"So cosa intendi, Robert. Ma temo che abbia preso da suo padre in questo”, a questa osservazione i due attori scoppiarono in una risata, "comunque, quando pensavi di informare la compagnia delle tue intenzioni?", gli chiese Eleanor subito dopo.
"A gennaio, quando inizieremo le letture per le prove della stagione primaverile. Dirò loro che sarà l’ultima per me".

"Ti dispiacerebbe se prima preparassi il terreno con Terence?" osò chiedere Eleanor e, accorgendosi che il suo amico necessitava di maggiori chiarimenti, aggiunse, "non intendo informarlo della tua decisione. Questo spetta a te e so che lo farai quando lo riterrai più opportuno. Tuttavia, vorrei accennargli all’eventualità di esplorare nuove strade a livello professionale e sfruttare l’opportunità offertami di recente dalla sua maggiore apertura ad accettare i miei consigli".
“Capisco, Eleanor. Nessun problema, non mi dispiace affatto".
I due amici si intrattennero in conversazione davanti al loro thè ancora per qualche minuto ed infine si salutarono con la promessa da parte della Signora Baker di far visita alla Signora Hathaway la settimana successiva.


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Una volta ogni due settimane Terence Graham si concedeva un giorno libero per recarsi in macchina fino a Long Beach a trovare sua madre e nel contempo godersi la vista del mare lungo la Riviera dell’Est. Gli piaceva molto la nuova atmosfera bohemien che aveva acquisito la città da quando la Società Immobiliare di William Reynolds aveva dichiarato fallimento. Una volta svanite le rigide restrizioni del passato, artisti e intrattenitori avevano potuto stabilirsi lì senza temere l’ostracismo dei vicini. Tra l’altro, i soliti ricchi erano andati via già anni prima.
Malgrado tutti questi cambiamenti, la casa di Eleanor Baker manteneva ancora uno stile mediterraneo, con pareti a stucco impeccabilmente bianche ed un tetto di tegole rosse che era stato il marchio distintivo delle prime costruzioni. La padrona di casa preferiva le linee semplici e Terence pensava che le si addicessero benissimo. Sua madre era sempre stata un esempio di eleganza e originalità.
Anche la tavola era in tono con il suo gusto. Le cene a casa della Signora Baker erano sempre impeccabili, con numerose portate, porcellane finissime, argenteria splendente, bicchieri in cristallo baccarat e vino francese, che lei riusciva a trovare malgrado il Proibizionismo. Terence pensò che neppure l’aristocratico palato di suo padre sarebbe riuscito a trovare un difetto nelle scelte di Eleanor, anche in una giornata come tutte le altre. Eppure quella giornata in cui Terence aveva deciso di far visita a sua madre, non era affatto una giornata come le altre. Il giovane sapeva che ogni volta che andava a trovarla, era per lei una grande gioia.
"Devi dire allo chef che si è superato con questa crostata di mele", si complimentò dopo cena, mentre sorseggiava il suo thè.
"Sarebbe entusiasta di sapere che hai notato i suoi sforzi e lodato il suo lavoro”, rispose lei con un sorriso, "Sul serio, Terence, dovresti farlo più spesso. Le persone tendono a ripagarti quando le tratti con riguardo”.
"La Signora O'Malley non ha nulla di cui lamentarsi riguardo al mio comportamento, mamma. Giuro che sono sempre cortese con lei”, si difese Terence, sollevando il sopracciglio sinistro in un naturale gesto.
"Ti credo, figliolo. Ma non cambiamo discorso", rispose lei, reindirizzando la conversazione sull’argomento di cui stavano discutendo poco prima, "Che mi dici della Royal Company? Pensi che ti faranno un altro invito per l’anno prossimo? Ho saputo che sono rimasti molto colpiti dal tuo lavoro". "Beh, non ho notizie di Bridges-Adams dall’estate scorsa. Chi vivrà vedrà. E comunque non ho alcuna fretta. Sai bene che mi trovo a mio agio a lavorare con Robert”, osservò, mentre poggiava la sua tazza sul tavolino da thè.
"Forse potrebbe essere il momento giusto per sperimentare nuove strade, Terence. Devo dirti che sono molto felice di vederti così di buonumore ultimamente. Ora che hai ritrovato la tranquillità, dovresti concentrarti sulla tua carriera e correre qualche rischio. Sono certa che a Robert non dispiacerebbe".
"Lo so, mamma, ma al momento non sono pronto per un cambiamento radicale. Ho altre cose a cui pensare", rispose, esitando per un attimo. Aveva ancora delle riserve rispetto a quanto avrebbe potuto svelare a sua madre senza rischiare di darle false speranze.
"Ti prego, dimmi, che cosa ti preoccupa?", gli chiese, vagamente allarmata dal suo improvviso silenzio.
"Se ti confido una cosa, mi prometti di non dare libero sfogo all’immaginazione?”, le chiese con un mezzo sorriso che gli incurvava le labbra.
"Assolutamente sì!"
Terence si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra. Un colpo di vento sollevò alcune foglie ingiallite annunciando l’imminente arrivo dell’autunno. Il giovane si voltò e guardò sua madre dritto negli occhi.
"Lo scorso maggio ho scritto a Candy", disse semplicemente.
La Signora Baker batté le palpebre un paio di volte cercando di metabolizzare quello che suo figlio le aveva appena detto. Per quanto avesse pregato per la felicità di suo figlio, aveva da tempo abbandonato ogni speranza che egli potesse recuperare quello che aveva perso un tempo. Neppure nei suoi sogni più arditi avrebbe potuto immaginare che, dopo la scomparsa di Susanna, ci fosse ancora questa possibilità. Le ci vollero alcuni secondi per ricomporsi e chiedergli:
"Ti ha risposto?", fu la prima cosa che riuscì a dire.
"Sì, mi ha risposto", rispose Terence in un soffio, lasciando spazio subito dopo ad un breve silenzio. Eleanor colse l’opportunità offertale da quella pausa per riorganizzare i propri pensieri. La donna sapeva che non poteva obbligare suo figlio a confidarsi. Se non fosse stato pronto a parlarne, si sarebbe chiuso a riccio ed avrebbe lasciato cadere l’argomento. Tuttavia, moriva dalla voglia di fargli mille domande.
"Dove si trova Candy adesso? A Chicago?", gli chiese poi.
"No, vive all’orfanotrofio dove è cresciuta. Penso che sia diventata una specie di patrocinatrice dell’istituto. Si occupa della raccolta fondi con l’aiuto di vari finanziatori in tutto il paese. Il resto del tempo lo dedica alla sua professione di infermiera con i bambini e presso una clinica nel villaggio vicino. Dà anche una mano con i lavori pesanti che le signore dell’orfanotrofio non sono più in grado di gestire", spiegò, sorprendendo sua madre con dovizia di particolari, lasciando trapelare una certa ammirazione dalle sue parole.
"Suppongo si stia parlando di una persona sola con tutti questi impegni, giusto?" chiese la Signora Baker.

“Ha sempre avuto mille cose da fare", ridacchiò Terence, il solo sentirla nominare lo metteva di buonumore.

"Mi domando se quella poverina abbia mai un attimo da dedicare a sé stessa", rispose lei. Per un attimo, la madre di Terence pensò che l’iperattività di Candy le ricordava una giovane Eleanor Baker. Rammentò di aver lavorato per molte stagioni fino allo sfinimento. La scusa era che voleva raggiungere una stabilità economica, ma la realtà era che stava semplicemente cercando di dimenticare Richard Grandchester e alleviare il dolore per la perdita di suo figlio.
"Mi sono posto la stessa domanda, ma Candy non accetta consigli in merito. Suppongo che sia felice della sua vita così com’è", rispose Terence con una punta di malinconia. Pensò che non avesse il diritto di dire a Candy come gestire i propri affari.
Seguì un altro breve silenzio, mentre Eleanor cercava di dar voce alla domanda che moriva dalla voglia di porgli sin dall’inizio.
"Con tutte quelle cose da fare. . . ho ragione di credere che sia ancora sola?"
"Sì", fu la secca risposta di Terence. Sua madre notò che si stava sforzando di trattenere un sorriso.
"E ti ha mai parlato di un fidanzato o di un gentiluomo che possa interessarle?"
"Non avrebbe mai sollevato un argomento così personale con me, mamma, e per di più tramite lettera. Ma so per certo che al momento non porta nessun anello, se è questo che ti preme così tanto di sapere”, rispose divertito dalla crescente impazienza di sua madre.
"E stai pensando di darle tu quell’anello prima o poi, Terence?"
"Forse sì, ma non ti entusiasmare troppo, mamma. Per adesso stiamo solo cercando di riprendere confidenza e rimetterci in pari”, rispose, regalando finalmente a sua madre uno dei suoi rari sorrisi.
Subito dopo, Eleanor rispose con un sorriso che ricalcava in tutto e per tutto quello di suo figlio. Era più che felice delle notizie appena ricevute.


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Da dove si trovava, Candy poteva scorgere l’intera vallata. Sapeva che Suor Maria l’avrebbe rimproverata per essersi nuovamente arrampicata troppo in alto su Papà Albero, ma non le importava affatto. Era l’ora del sonnellino per i bambini più piccoli, mentre i più grandi si dedicavano alle faccende pomeridiane della casa. Così, aveva colto l’occasione per passare un po’ di tempo da sola e riflettere. Salire in cima a un albero e respirare l’aria pulita delle montagne l’aveva sempre aiutata a schiarirsi le idee.
Osservò da lontano la chiazza colorata del suo giardino. Tre anni prima aveva chiesto a Miss Pony il permesso di piantare dei fiori vicino alla vecchia cappella. Persino ora, all’inizio dell’autunno, alcune delle sue adorate piante erano ancora in fiore. Viole del pensiero in varie sfumature di blu, viola e giallo, vivaci calendule e alcune rose persistevano ancora nella loro missione, abbellendo il panorama. Ben presto, i fiori perenni sarebbero entrati in fase dormiente, mentre gli annuali sarebbero inevitabilmente appassiti. Candy sapeva bene che l’alternanza di vita e morte era una condizione imprescindibile della natura. Lo aveva imparato da Anthony.

Tuttavia, indipendentemente da quanto sarebbe stato freddo e lungo l’inverno, con il ritorno della primavera, le Dolce Candy sarebbero tornate a nuova vita, unitamente alle meravigliose peonie che aveva piantato appena l’anno scorso. Aveva in mente di provare alcuni fiori nuovi per l’anno a venire. La giovane sperava ancora di poter contare su alcuni non-ti-scordar-di-me per dare un tocco di blu alle aiuole durante la primavera. Soprattutto, voleva che il piccolo Stair potesse vedere come quei piccoli fiori si sarebbero trasformati da semi in mille germogli. Candy sentiva che il bambino aveva ereditato una grande curiosità ed una sensibilità naturale che voleva incoraggiare in tutti i modi. A tale scopo, la settimana precedente era stata in un vivaio a La Porte. Aveva acquistato i semi di non-ti-scordar-di-me e, di slancio, alcuni bulbi di un altro fiore che voleva provare. Li aveva piantati proprio quella mattina, sperando che fiorissero entro marzo, dato che Pasqua era la stagione dei narcisi.
Stringendo fra le mani l’ultima lettera di Terence, Candy decise che, così come i fiori che germogliano fedelmente ogni anno, forse era giunto anche per lei il momento di tornare a sperare.


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Manhattan, 20 Ottobre 1924
Cara T.T.,
Spero che tu stia bene. A quest’ora sarai sicuramente indaffarata con i preparativi per Halloween. Ora che ci penso, non dovrai impegnarti molto per il tuo costume, ti basterà aggiungere una scopa e il gioco sarà fatto. Mi raccomando, quando andrai in giro con i bambini a fare dolcetto-scherzetto ricordati che i dolci e la torta di zucca sono solo per loro.
Qui si lavora tantissimo. Non ho più un minuto libero neppure durante i finesettimana. Temo che dovrò rinunciare per un po’ alle mie cavalcate della domenica. Sfortunatamente, però, non posso lamentarmi perché Robert ci ha promesso che saremo liberi per le ultime due settimane dell’anno. Lasciami dire che si tratta di una decisione alquanto strana. Solitamente, infatti, lavoriamo anche durante le vacanze di Natale e a Capodanno. Non so cos’abbia Robert di recente, ma del resto un po’ di tempo libero mi farà bene.
Tra due settimane partiremo in tournée. Mi sembra di ricordare che anche tu partirai a novembre. Mi piacerebbe che un giorno potessi visitare la Costa Occidentale, ma temo che per questa volta viaggeremo in direzioni opposte.
Mi sono permesso di informare mia madre della nostra rinnovata amicizia. Spero che non ti dispiaccia. È stata molto felice di avere tue notizie e ti manda i suoi saluti. Ha sempre avuto molta stima di te.
Non pensare che mi sia dimenticato del regalo di Miss Pony. Ho già inviato una lettera all’ebanista con tutte le tue istruzioni per la sedia. Non appena arriverò a San Francisco, mi occuperò della spedizione.
Bene, ora devo lasciarti, il tempo non si ferma per nessuno. Mi raccomando, prenditi cura di te.

Con affetto,
Terence

P.S.
Nel caso te lo stessi chiedendo, T.T. sta per Tarzan Tuttelentiggini. Scommetto che starai leggendo questa lettera in cima a un albero.

Capitolo 3
Macbeth in love



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Casa di Pony, 27 ottobre 1924

Caro P.G.,

Ti scrivo questa lettera con la speranza che tu possa leggerla prima della partenza per la tua tournée. Dopo il 6 novembre partirò anche io. Non so davvero come tu faccia a sopportare di essere sempre in viaggio e stare via da casa tutto il tempo. Non ho ancora iniziato a fare le valigie e già detesto l’idea di partire.
D’altra parte, forse tu e Albert siete ben più avvezzi a questa vita di peregrinazioni senza sosta di quanto non sia io.
A proposito, ho appena ricevuto notizie da Albert. Sarà di ritorno per il Ringraziamento. Non è fantastico? È via da più di cinque mesi ormai e non vedo l’ora di riabbracciarlo per dirgli quanto mi è mancato. Spero che questa volta possa fermarsi più a lungo e passare un po’ di tempo con me.
In ogni caso, dovrò aspettare fino a dicembre. Ora è tempo di preparativi per l’inverno e ciò significa un bel po’ di lavoro alla Casa di Pony. Questa settimana ho raccolto le ultime mele, pere e albicocche dal frutteto di Miss Pony e stiamo preparando le marmellate che ci serviranno nei prossimi mesi. Suor Maria non sopporta di passare tutto questo tempo in cucina, ma a Miss Pony piace. A proposito, ti mandano entrambe i loro saluti.

Ti prego, di’ a tua madre che è sempre nel mio cuore. Sarà in tournée anche lei questa stagione? L’ultima volta che ho parlato con Archie mi ha riferito di aver sentito di una sua partecipazione ad un film. È vero?

Oh, beh! Sto divagando. Temo che questa sia l’ultima lettera che ti scrivo prima di Natale. Mi raccomando, prenditi cura di te durante la tournée e grazie ancora a nome di Miss Pony per il favore che ci farai.

A presto,
Candy

P.s.1
Stia pur certo, signore, che i miei bambini avranno caramelle e torte solo per loro, perché una strega come me può prepararsi una torta tutta per sé ogni volta che ne ha voglia. E tu non avrai mai la possibilità di assaggiarne una, se continui a fare il maleducato prendendomi in giro!

PS 2
P.G. sta per pallone gonfiato. Quante volte devo ripeterti che il mio nome è Candice?


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L’incessante frastuono della stazione Grand Central non sembrava disturbarlo più di tanto, dato che il tumulto nella sua mente era decisamente più assordante. Seduto nel suo scompartimento privato, cercò di ripassare il suo itinerario per la centesima volta. Ancora una volta, guardò l’orologio da polso sollevando le maniche della sua impeccabile giacca Brooks Brothers. Era ansioso di partire.
Nel tentativo di calmarsi, si tolse il cappello e la giacca grigia del completo gessato, li appese vicino alla porta e tornò a sedersi. Subito dopo, il treno si mise in movimento. Chiuse gli occhi e sperò ancora una volta che durante la tournée tutto andasse come previsto. Istintivamente, toccò nuovamente la tasca del panciotto dove aveva tenuto la sua ultima lettera.
Un turbinio di emozioni diverse lo assalì mentre ricordava ogni parola che lei gli aveva scritto. Aveva letto e riletto la lettera cercando di mandar giù il paragrafo in cui gli parlava di Albert. Nel corso dei mesi, Candy lo aveva nominato molte volte. In una delle sue prime lettere gli aveva raccontato che l’Albert che avevano entrambi conosciuto ai tempi della scuola, altri non era che il suo padre adottivo. La rivelazione era stata uno choc per Terence e gli ci era voluto un po’ per abituarsi all’idea.
Dopo che il giovane ebbe digerito la notizia, il costante riferimento ad Albert nelle lettere di Candy aveva trovato una giustificazione, almeno per un po’. Tuttavia, con il passare del tempo, l’argomento ‘Albert’, eternamente ricorrente, aveva fatto giungere la sua pazienza al limite. La verità era che malgrado l’innegabile vincolo giuridico che legava Albert a Candy, Terence provava comunque una certa inquietudine che non riusciva a dissipare.
Il pensiero che Albert non fosse un uomo anziano né realmente imparentato con Candy, non gli consentiva di abbassare la guardia. Sarebbe stato così strano per una donna di 26 anni innamorarsi di un uomo come Albert, che ne aveva al massimo 36 o 37 ed era ancora scapolo? Terence sapeva che non era affatto impossibile. Non era così raro, infatti, vedere un uomo sposato con una donna più giovane di lui di dieci anni o più.
Forse tutto questo non avrebbe significato nulla se Candy non avesse insistito a scrivergli di Albert in termini così affettuosi. Terence non aveva dimenticato che lui aveva vissuto con Candy quando aveva sofferto di amnesia. All’epoca, entrambi ignoravano il legame che esisteva tra loro. Sarebbe dunque potuto nascere qualcosa, almeno da parte di Albert. Per di più, Albert era rimasto vicino a Candy dopo la rottura con Terence. Sicuramente in quell’occasione il rapporto tra la giovane e il magnate era diventato ancora più saldo. Questo pensiero gli faceva rodere il fegato ancora adesso, malgrado fossero trascorsi dieci anni.

Tuttavia, proprio il fatto che fossero passati degli anni senza alcun apparente cambiamento nel rapporto tra Candy e Albert costituiva l’unico punto a favore di Terence. E se invece Albert stesse pazientemente aspettando che Candy maturasse e fosse pronta a dimenticare il passato? Terence sapeva per esperienza che un uomo può amare la stessa donna per molti anni, anche quando sembra persa ogni speranza.
In quel momento, un leggero colpo alla porta interruppe i pensieri di Terence.
"Avanti", disse e subito dopo un uomo sulla cinquantina entrò nello scompartimento.
"Il Suo thè, Signor Graham, con una zolletta di zucchero", lo informò l’uomo, "limone va bene?" chiese lasciando la tazza sul tavolino dello scompartimento.
"Sì, limone va bene, Hayward", rispose Terence distrattamente, lo sguardo fisso verso la finestra.
"Ha bisogno di altro, signore?" chiese Hayward.
"Penso di no. Chiamami venti minuti prima dell’arrivo a Boston".
"Senz’altro, signore", e con un breve cenno del capo, l’uomo uscì chiudendo la porta dietro di sé.
Dopo aver passato più di dieci anni nel mondo dello spettacolo, Terence aveva diritto a concedersi alcune comodità durante le sue tournée. Lo scompartimento privato era una di esse, unitamente all’aiuto di un assistente. Negli ultimi quattro anni, Terence si era avvalso della collaborazione di Martin Hayward per sbrigare questioni pratiche ed era soddisfatto dei suoi servigi. L’uomo, che era di origine inglese, lavorava come suo segretario personale, si occupava delle prenotazioni alberghiere, di preparare e prendersi cura del suo bagaglio, di ordinargli i pasti quando non aveva voglia di uscire con il resto della compagnia e di ogni altra cosa di cui avesse bisogno. Hayward era discreto e riservato.
Dopo che Hayward se ne fu andato, Terence continuò a rimuginare sullo stesso argomento.
Il suo pensiero volò a quel luogo lontano dell’Indiana dove si trovava Candy. Pensò che il giorno dopo Candy avrebbe preso un treno per Indianapolis dove avrebbe fatto visita ai primi finanziatori della sua lista. Il desiderio di rivederla diventava ogni giorno più forte. Si domandò nuovamente che aspetto avesse lei oggi.
Conservava ancora il ricordo del suo sorriso smagliante e dei suoi riccioli ribelli. Si chiese se quella luce che aveva sempre amato così tanto splendesse ancora nei suoi grandi occhi verdi. Durante i mesi della loro corrispondenza, aveva pensato più di una volta di chiederle una fotografia. Poi, però, ci aveva rinunciato. Lei aveva sempre mantenuto un tono leggero nel loro carteggio, non parlando mai di questioni personali, né affrontando l’argomento del loro passato in comune. In quel contesto, gli era sembrato sconveniente chiederle una fotografia. Pertanto, si era trattenuto dal farlo. Poteva solo sperare che la situazione potesse presto volgere al meglio.

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Mentre il treno di Terence si avvicinava a Boston, Candy era intenta a preparare le valigie. Dato che la giovane sarebbe rimasta via da casa per più di venti giorni, doveva riflettere bene su cosa portare con sé. Ripassò nella sua mente un elenco di cose che doveva ancora mettere in valigia: i progetti delle migliorie che avevano apportato alla casa, le fotografie a lavori finiti, incluse quelle della nuova aula e dell’infermeria, le lettere di Miss Pony e Suor Maria per tutti i loro benefattori, le foto dei bambini in diversi momenti dell’anno, le copie del bilancio per l’anno successivo ed altri documenti da sottoporre ai finanziatori. Tutte queste cose erano in cima alla sua lista. Doveva, altresì, portare con sé alcuni ricami e qualche barattolo di marmellata preparati da Miss Pony come dono per i finanziatori.
Con così tante cose da portare, doveva essere molto selettiva con i suoi effetti personali. Tuttavia, seguiva lo stesso itinerario dal 1920 ormai e aveva imparato a scegliere alcuni capi che fossero intercambiabili. Adesso, però, doveva pensare anche alla festa per il Ringraziamento organizzata da Annie.
L’ultima tappa prima di tornare a casa sarebbe stata Chicago. Gli Andrew, i Cornwell ed i Brighton erano i loro principali finanziatori e non potevano essere esclusi dalla sua visita annuale. Pertanto, per il bene della Casa di Pony, Candy aveva imparato a coniugare gli affari con le questioni familiari. Avrebbe partecipato alla cena del Ringraziamento, rendendo felice Annie, avrebbe rivisto Albert e ricevuto un bell’assegno per i bambini, tutto in un’unica visita.
La giovane aprì il suo armadio pensando alla famosa cena. Sebbene preferisse viaggiare leggera, doveva portare con sé qualcosa per l’occasione. Non intendeva deludere Annie presentandosi con un abito che non fosse all’altezza di un evento così importante. Si concentrò sui tre abiti che Annie le aveva acquistato il mese precedente. Quello che l’attraeva di più era un abito da cocktail rosso, dal tessuto leggero e dall’orlo asimmetrico, che le arrivava alle caviglie. Il rosso era sempre stato il suo colore preferito. Malgrado il suo primo istinto, mentre si accingeva a prendere l’abito rosso, il suo sguardo fu catturato da un secondo abito.
"Che cos’è? Una sottoveste o una camicia da notte?", aveva chiesto Candy la prima volta che Annie gliel’aveva mostrato.
"Ma come! È un abito da cocktail! Non lo vedi?" aveva risposto Annie con aria offesa.
"Ma Annie, è più corto delle mie sottane!" aveva esclamato sorpresa.
"Questa sarà la nuova moda per l’anno prossimo, Candy!" le aveva pazientemente spiegato Annie, "L’orlo sarà decisamente più corto. Le gonne arriveranno a appena due centimetri sotto il ginocchio. Non è scandaloso?"
"Dici sul serio?"
"Assolutamente sì! Lo sai che mi tengo sempre aggiornata sulle ultime novità da Parigi", disse Annie con orgoglio. Da quel punto di vista, Archie e Annie costituivano una coppia perfetta di giovani alla moda.
Candy guardò nuovamente quello strano capo dalle linee semplici. Era un abito smanicato e aderente con una scollatura arrotondata ornata di decorazioni e applicazioni Art Deco. Oltre alla particolarità della lunghezza, c’era un altro dettaglio che rendeva unico quell’abito. Il morbido tessuto grigio pallido era interamente ricoperto di perline in tutte le sfumature di argento, grigio e verde chiaro.
"Che buffo! Le perline si muovono con l’abito!" ridacchiò Candy dopo averlo osservato meglio.
"Allora ti piace?" chiese Annie, lieta di scorgere quel particolare scintillio negli occhi di Candy, che si accendeva ogni volta che la bionda vedeva qualcosa che le piacesse.
"Beh, sembra comodo. Niente strascichi o sottane troppo lunghe in cui potrei inciampare. E poi è chic nella sua semplicità. Dovrò abituarmi a mostrare le gambe come se avessi cinque anni, ma sopravvivrò".
"Sapevo che quest’abito sarebbe stato perfetto per te", affermò Annie con gioia. Dopodiché, fece una breve pausa e con una punta di esitazione nella voce aggiunse, "Cerca solo di non indossarlo quando c’è la zia Elroy. Avrebbe sicuramente da ridire sulla lunghezza dell’orlo".
A quest’ultima osservazione, Candy non poté evitare di scoppiare in una fragorosa risata.
"Direi che ‘avere da ridire’ non rende certo l’idea", aveva finalmente detto dopo aver riacquistato padronanza di sé.
Candy si destò dai suoi ricordi e guardò nuovamente il vestito. Un ghigno malizioso comparve sul suo volto. Se Suor Maria avesse visto la sua espressione in quel momento, avrebbe subito capito che la giovane stava per combinarne una della sue.
"Bene, zia Elroy", disse Candy con una punta di malizia parlando tra sé e sé davanti allo specchio, "Che ne dici di aver qualcosa da fissare il giorno del Ringraziamento?"
E con il pensiero a quella nuova bravata, mise in valigia l’abito, unitamente allo stupendo scialle grigio argento che Annie le aveva scelto in abbinamento con il vestito.

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Alla vista del panorama collinare Candy capì che il treno sarebbe presto arrivato a destinazione. Era la mattina del 13 novembre. Era in viaggio da quasi una settimana ormai e non vedeva l’ora di arrivare in albergo e farsi una doccia.
Il suo programma era particolarmente fitto quell’anno. Come prima cosa, era stata ad Indianapolis per far visita ai Jones, amici d’infanzia di Miss Pony. Titolari di una catena di librerie, avevano sostenuto la Signorina Giddings – come erano soliti chiamarla – sin da quando aveva iniziato a lavorare all’orfanotrofio. Come d’abitudine, l’avevano accolta con grande cordialità, garantendole una generosa donazione. La tappa successiva era stata Cincinnati. Lì aveva fatto visita alle Sorelle di San Giuseppe di Bourg per consegnare alcune lettere da parte di Suor Maria alle sue superiori. Aveva anche avuto modo di incontrare un anziano banchiere che era stato suo paziente a Chicago anni addietro. Da allora, il buon uomo era diventato un fedele benefattore della casa di Pony. Quest’anno, il suo contributo era stato ben più sostanzioso rispetto all’anno precedente.
La sua prossima destinazione era Pittsburgh. Aveva in programma di incontrare una persona che non conosceva personalmente. Il contatto le era giunto attraverso le conoscenze di Albert presso la famiglia Carnegie. Il defunto Andrew Carnegie, magnate dell’acciaio, era emigrato dalla Scozia proprio come il nonno di Albert. Si erano incontrati in occasione del viaggio in America ben prima che entrambi facessero fortuna. Nel corso degli anni, avevano mantenuto una stretta amicizia fino alla scomparsa del Signor Andrew.

Il Signor Carnegie se n’era andato cinque anni prima, ma la sua vedova, la Signora Louise Carnegie, era ancora molto impegnata in attività di beneficienza. Candy sperava di poter convincere l’anziana donna a fare una generosa donazione a favore della Casa di Pony. Se tutto fosse andato come previsto, Candy sperava di poter pranzare con la Signora Carnegie quel giorno stesso.
A poco a poco la campagna lasciò spazio alla periferia della città. Il cielo era grigio e sembrava che stesse per piovere. Candy si tolse il guanto che le fasciava la mano destra e toccò il vetro della finestra per sentirne la temperatura. In quel periodo il termometro avrebbe segnato sicuramente pochi gradi sopra lo zero. Candy pensò che aveva assolutamente bisogno di un bagno caldo prima di incontrare la Signora Carnegie. Desiderava farle una buona impressione e doveva essere ben sveglia quel pomeriggio.
Quando il treno raggiunse zone più popolate, Candy fu sorpresa dall’imponente vista di due fiumi che attraversavano la città. Nel centro, un lembo triangolare di terra si collegava al resto del territorio urbano tramite un incredibile numero di ponti. Quanto il treno iniziò a percorrere una di quelle massicce costruzioni, Candy capì che stavano per arrivare a Penn Station.
Erano le nove e trenta quando Candy scese dal treno. Non senza difficoltà, la giovane cercò di farsi strada tra la folla. Sembrava che tutta Pittsburgh si fosse data appuntamento a Penn Station quella mattina. Il facchino che la aiutava con le valigie non fece commenti, pertanto Candy pensò che quel trambusto all’interno della stazione fosse una cosa normale.
Salì su un taxi e si avviò verso il Renaissance Pittsburgh Hotel. Quando Candy aveva stabilito che la Casa di Pony non potesse dipendere esclusivamente dalle donazioni di Albert e Archie, era giunta a un compromesso con il suo padre adottivo. Albert avrebbe rispettato la sua decisione se lei avesse accettato il suo aiuto, consentendogli di sostenere le spese dei suoi viaggi. Data la risolutezza del magnate su questo punto, Candy aveva capito di non avere alternative. Quindi, gli aveva consentito di viziarla con alberghi costosi in cui alloggiare durante le sue trasferte. Solitamente, era la stessa Miss Pony che suggeriva un albergo piuttosto che un altro – dato che conosceva bene la maggior parte dei finanziatori e le città in cui vivevano – mentre George provvedeva alle prenotazioni vari mesi in anticipo. Tuttavia, questa volta, quando Candy entrò nella hall, pensò che Miss Pony avesse un po’ esagerato nella scelta di quell’albergo.
La luce del mattino filtrava attraverso una maestosa cupola in vetro, che era di per sé una meraviglia dell’architettura. Al di sotto di essa, un’imponente scalinata in marmo lasciava chiaramente intendere che quel luogo era destinato a chi amava il lusso. A peggiorar le cose, il concierge aveva ricevuto Candy con tutti gli ossequi suscitati solitamente dal nome Andrew. Candy c’era abituata ormai.
La giovane sospirò tra sé e sé. Aveva da tempo accettato il fatto che essere una Andrew avrebbe inevitabilmente dato adito a tali circostanze. Poco importava quanto discreta fosse la sua vita alla casa di Pony. Una volta in città, sarebbe sempre stata trattata come una persona importante. Anche se si sentiva sempre a disagio quando ciò accadeva, per quieto vivere aveva imparato ad accettarlo ed a conviverci.
Una volta giunta in stanza, si guardò intorno e il suo sguardo si soffermò su un bellissimo cesto di frutta. La giovane fu lieta di leggere il nome della Signora Carnegie sul biglietto che lo accompagnava. Candy pensò fosse di buon auspicio. Felice della delicatezza dimostratale dall’anziana donna, prese un’albicocca e la morse con gusto, lasciando che il suo sapore agrodolce le inondasse il palato. Poi proseguì con l’ispezione della camera.

Vicino al letto c’erano due grandi finestre. Le tende dal tessuto leggero erano tirate, perciò si avvicinò alla finestra e guardò giù in strada. Alcune auto stavano parcheggiando proprio in quel momento e c’era un certo affollamento davanti all’ingresso dell’hotel.
"Santo cielo! Questa città è veramente frenetica. E io che pensavo che Chicago fosse troppo movimentata!", disse con noncuranza, mentre si allontanava dalla finestra ed entrava nella stanza da bagno.

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Alle undici e trenta la bionda scese la scalinata di marmo della hall. Si era cambiata in un leggero abito di lana color malva. Una sciarpa di seta nera le fasciava il collo elegante e snello e un soprabito e una cloche dello stesso colore completavano il suo accurato abbigliamento. Lasciò le chiavi alla reception e prese un taxi che l’avrebbe portata al suo appuntamento.
Dopo che fu uscita, un uomo sulla cinquantina, con gli occhiali e vestito in un elegante completo, si avvicinò alla reception.
"Quella era la Signorina Andrew?" chiese.
"Sì, era proprio lei", rispose l’addetto al ricevimento, non senza riserve.
"In quale camera alloggia?" chiese ancora l’uomo, lasciando scivolare una banconota da cinque dollari nelle mani dell’impiegato, che improvvisamente divenne più ciarliero.
"Camera 178, signore. Ma temo che non sarà di ritorno prima del tardo pomeriggio".
"Va benissimo. Grazie".
Senza dire un’altra parola, l’uomo si voltò e si incamminò su per la scalinata di marmo in direzione della propria camera.


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La Signora Louise Whitfield Carnegie era una donna di quasi settant’anni con i capelli bianchi e l’aspetto di una distinta signora del Nord Est. Era la figlia di un ricco uomo d’affari di New York, ma malgrado la sua estrazione alto-borghese, era una persona molto sensibile perché non aveva affatto avuto una vita facile. Sua madre era invalida e lei se n’era occupata fino alla sua scomparsa.

Quando finalmente incontrò Candy quel pomeriggio, l’anziana donna fu estremamente colpita dalla semplicità della giovane. Iniziarono subito a conversare amabilmente, mentre Candy descriveva con dovizia di particolari come la Signorina Giddings avesse deciso di costituire un orfanotrofio. Durante la conversazione, la Signora Carnegie osservava attentamente la giovane, cercando di ritrovare sul suo viso qualcosa che le ricordasse l’anziano William Andrew.
"Lei conosce la storia del suo bisnonno e del mio defunto marito?" chiese la Signora Carnegie davanti a una tazza di thè.
"No signora, ma mi piacerebbe molto ascoltarla" la invitò Candy con un sorriso, subito ricambiato dall’anziana donna.
"Ebbene, William Andrew era di cinque anni più grande del mio Andrew, ma fecero subito amicizia quando si incontrarono sulla nave che li portava in America nel 1848. Andrew aveva appena tredici anni all’epoca e non aveva un soldo in tasca, esattamente come il giovane William Andrew. Giunti a New York, si salutarono, il mio Andrew raggiunse Pittsburgh dove vivevano due sue zie mentre William si stabilì a Chicago. Tuttavia, continuarono a scriversi ed a farsi visita ogni volta che potevano. Andrew partecipò anche al matrimonio di William nel 1853".
"E Lei quando ha sposato il Signor Carnegie, signora?" chiese Candy sorseggiando il suo thè.
"Oh, il mio Andrew è stato scapolo per tanto tempo", ridacchiò la donna, "Quando ci siamo sposati aveva cinquantun anni. Temo che sua madre credesse che nessuna fosse all’altezza del suo Andra, come lo chiamava lei".
"Ma suppongo che alla fine si convinse che lei sarebbe stata una buona moglie".
"Assolutamente no!" l’anziana donna fece un gesto con la mano come per allontanare l’idea, "Abbiamo avuto un fidanzamento molto lungo e travagliato, durato oltre sei anni! Ci siamo lasciati e poi riconciliati ben due volte nel frattempo. Fu molto doloroso, cara. Se la madre di Andrew non fosse passata a miglior vita, non ce l’avremmo mai fatta ad arrivare all’altare. Stavo iniziando a credere che sarei rimasta zitella", disse la donna, ridendo di tutto cuore.
"Deve essere stata veramente dura", disse Candy, pensando tra sé e sé che sapeva bene cosa si provasse, "Eppure, molto romantico, in un certo senso", aggiunse con una punta di malinconia.
"Beh, eravamo molto innamorati, figliola. Proprio come il Suo bisnonno e sua moglie. Una volta il mio Andrew mi disse che fu amore a prima vista fra di loro. E posso capirlo, perché William Andrew era un uomo molto affascinante".
"Che aspetto avevano il mio bisnonno e sua moglie? Vede, a casa non abbiamo fotografie".
"Ecco, mi dispiace dirLe che non ho mai avuto modo di incontrare la Signora Andrew. Ho conosciuto William Andrew il giorno del mio matrimonio e all’epoca era già vedovo. Tuttavia, me lo ricordo molto bene. Aveva già fatto fortuna ed era sulla cinquantina. Era piuttosto alto con una mascella squadrata e un’aria distinta. Era molto scozzese. Partecipò alla cerimonia con suo figlio William, Suo nonno. Erano entrambi biondi come Lei, ma era il Signor William Andrew senior che aveva i Suoi occhi verdi, figliola".
All’improvviso Candy realizzò che la Signora Carnegie non era a conoscenza della sua adozione.
"Ecco, Signora Carnegie, temo di doverla deludere su questo punto. Sono un membro della famiglia Andrew ma solo in seguito alla mia adozione. Il Signor William Albert Andrew mi ha adottato quando avevo tredici anni. Prima di allora, vivevo alla casa di Pony. Mi ha cresciuta la Signorina Giddings", spiegò Candy con naturalezza.
"Dice sul serio, figliola?" chiese la donna non nascondendo la sua incredulità. "Avrei giurato che i Suoi occhi e quelle fossette sulle guance fossero proprio del defunto William Andrew primo!"
"Beh, mi hanno già detto della mia forte somiglianza con la Signora Rosemary Brown, la compianta figlia di William C. Andrew. Ma non avrei mai immaginato di somigliare anche al Bisnonno William", disse Candy, inarcando le sopracciglia.
"È sicura che non vi sia alcun legame di sangue fra voi?" insistette l’anziana donna.
"Sì, signora; ne sono assolutamente sicura. Non ho mai conosciuto i miei genitori, perché sono stata abbandonata alla Casa di Pony quand’ero in fasce. Che io sappia, non ci sono stati figli illegittimi nella famiglia Andrew. Quindi, per quanto mi piacerebbe compiacerla con una fantasiosa storia riguardo le mie origini, le cose stanno semplicemente così: i miei genitori, chiunque fossero, non potevano permettersi di tenermi e mi hanno abbandonata alla casa di Pony. Tredici anni dopo, un uomo ricco e generoso, senza alcun precedente legame con me, è divenuto il mio tutore. Sono estremamente grata a William Andrew terzo per avermi adottata ed avermi protetta da allora. La mia somiglianza con la famiglia è soltanto una felice coincidenza", concluse Candy.
"Il giovane Signor Andrew doveva essere solo un ragazzo quando l’ha adottata, dunque", proseguì la Signora Carnegie, riflettendo come per fare due calcoli.
"Sì, signora, aveva appena 24 anni e non era ancora pubblicamente in possesso della sua fortuna. Eppure, Le assicuro che è stato un ottimo padre per me, o forse più un fratello maggiore o un giovane zio. È molto protettivo ma mi lascia la libertà delle mie azioni e mi vizia come farebbe un fratello maggiore. Ma soprattutto, siamo grandi amici".
Candy continuò a spiegarle come il Signor Andrew avesse felicemente accettato la sua decisione di lavorare e vivere alla Casa di Pony e quanto l’avesse sostenuta nella sua devozione ai piccoli orfani dell’Indiana. Colse l’opportunità per farle presente che uno dei maggiori problemi nella gestione dell’orfanotrofio era la mancanza di mezzi per aiutare i ragazzi a continuare gli studi laddove non fossero stati adottati da piccoli.
"Per ovvie ragioni, la maggior parte delle coppie desiderano adottare neonati o bambini molto piccoli", spiegò Candy con enfasi, "Pertanto, i più grandi si vedono costantemente rifiutati. Ed è molto scoraggiante per loro. In aggiunta a ciò, non possiamo offrir loro alcun aiuto per continuare gli studi e consentir loro di trovare un buon lavoro anche se non verranno mai adottati. Stava per accadere la stessa cosa anche a me. Se non fosse stato per il Signor Andrew, non so cosa avrebbero potuto fare per me Miss Pony e Suor Maria".
"Quindi, forse potremmo fare qualcosa per contribuire all’istruzione di questi poveri ragazzi, mia cara. Il mio Andrew ha sempre creduto che la cosa migliore che si potesse fare per gli altri fosse garantir loro una solida istruzione", disse l’anziana donna, lasciando intendere a Candy che la missione per cui si trovava lì a Pittsburgh era pressoché compiuta.


Erano passate le sei quando Candy rientrò al Renaissance Pittsburgh, mentre una fitta pioggia ricopriva la città. La giovane era così fiera di sé che si sentiva piena di energie per il suo successo. La Signora Carnegie le aveva promesso un generoso contributo. Si erano accordate per incontrarsi il mattino dopo in banca per sistemare gli ultimi dettagli. Non vedeva l’ora di rivedere Miss Pony e raccontarle com’erano andate le cose.
Quando aprì la porta della sua camera, era già buio e dovette accendere le luci. Quando la stanza iniziò pian piano a illuminarsi, Candy poté scorgere un’enorme composizione floreale adagiata su un tavolino. Per chiunque non avesse avuto una passione per il giardinaggio, la composizione avrebbe rappresentato una semplice nota di colore che abbelliva la stanza. Tuttavia, per Candy, il bouquet di fiori posto nel vaso blu cobalto davanti a lei costituiva una vera meraviglia.
Il vaso traboccava di iris blu e narcisi bianchi e gialli, tutti fiori tipicamente primaverili. L’unica spiegazione possibile per un tale miracolo a metà novembre era che la composizione fosse stata acquistata presso un negozio molto elegante. Forse si trattava di un fioraio con una fornitura permanente da una delle serre che coltivavano varietà ibride. Candy fu talmente sorpresa dall’avere un anticipo di Pasqua nella propria stanza, che le ci volle un po’ per realizzare chi le avesse mandato un tale regalo.
Tuttavia, dopo un attimo di contemplazione, il suo sguardo cadde su un busta appoggiata sul tavolino, accanto al vaso. Poteva solo leggere un nome, scritto nero su bianco. Incapace di dare un senso al turbamento dei suoi pensieri, continuò a fissare il proprio nome vergato in una grafia a lei estremamente familiare.
Passarono diversi minuti prima che la giovane trovasse il coraggio di aprire la busta.




Pittsburgh, 13 novembre 1924

Ti piace Pittsburgh, Signorina Andrew?

Sono arrivato anch’io questa mattina. Avrei voluto darti il benvenuto alla stazione, ma il mio treno è arrivato solo mezzora dopo il tuo. Domani e dopodomani reciteremo al Gayety Theathre. Sei sorpresa?

Beh, credo di doverti una spiegazione. Devo confessarti che avevo organizzato tutto per far sì che la mia visita coincidesse con la tua. Robert, che mi vizia sempre, mi ha lasciato scegliere le date per il nostro impegno a Pittsburgh. Il resto è stato solo una questione di semplice aritmetica.
Ti starai domandando come facessi ad avere informazioni così accurate sul tuo itinerario. Indovina? Miss Pony è stata mia complice in questa bravata. Dato che ormai è fatta, suppongo che dovrai perdonarci prima o poi.

Malgrado i miei programmi, non intendo importi la mia presenza se non hai tempo da dedicarmi. So che hai una serie di impegni durante il tuo soggiorno in città e non oserei interferire. Tuttavia, pensi di poter trovare un posticino per un vecchio amico nella tua fitta agenda? Ti andrebbe di venire a teatro domani sera? Magari a cena subito dopo?

Ti allego un biglietto per lo spettacolo e, se ne avrai voglia, manderò il mio assistente, Martin Hayward, a prenderti. Avrei voluto accompagnarti personalmente, ma devo essere in teatro un paio d’ore prima che si alzi il sipario.
Se pensi di non poter venire, ti pregherei di chiamarmi per informarmi. Alloggio qui al Renaissance nella stanza 238. Se non dovessi ricevere una tua chiamata, manderò Hayward a prenderti domani sera alle otto.
È il perfetto prototipo dell’inglese, per cui non farlo attendere.

Cordialmente tuo,

Terence


Candy lesse la lettera cinque o sei volte prima di riuscire a elaborarne il significato. Si portò una mano al petto per sentire il suo cuore che batteva all’impazzata. Quando finalmente riuscì a riprendere il controllo dei propri movimenti, la giovane si stese sul letto, stringendo ancora la lettera tra le mani. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto pensare o fare.
"Lui è qui! Oh mio Dio! Oh mio Dio!" continuava a ripetersi, "Deve essere un sogno...Oh mio Dio!"
"Non riesco a credere che sia in questo stesso albergo. La sua stanza deve essere al secondo piano!", rifletté mettendosi a sedere sul bordo del letto, "Potrei chiamarlo anche adesso. . . se solo trovassi il coraggio di farlo", Candy pensò che erano passati dieci anni dall’ultima volta che aveva sentito la sua voce. Lacrime involontarie iniziarono a scenderle lungo il viso.
"E mi chiedi anche se avrei voglia di vederti domani sera, Terence? Sei talmente cieco da credere realmente che potrei mai rifiutarti?", sorrise dietro le lacrime, "Se solo sapessi cosa significhi per me, uomo insopportabile!"
La giovane si alzò in piedi, ancora stordita dall’emozione. Si avvicinò al tavolino da toilette, riflettendo su quello che avrebbe dovuto fare. Guardò la propria immagine riflessa nello specchio e all’improvviso si rese conto che il giorno dopo avrebbe assistito al suo spettacolo. Le tornò alla mente il ricordo delle tre occasioni in cui l’aveva visto recitare. Erano state tutte e tre un totale disastro. Di fatto, da quando Terence aveva lasciato l’Inghilterra nel 1913, era sempre andata così fra loro; un totale disastro. Era come se il destino si opponesse con tutte le sue forze a un loro incontro.
"Ho paura che possa accadere di nuovo!" disse ad alta voce, "E se mi ammalassi? E se perdessi il mio biglietto? E se ci fosse un terremoto o qualcosa del genere. . ." la giovane si rese subito conto dell’assurdità dei suoi pensieri, "Calma, Candice! Non sei mai stata una codarda, giusto?"
Malgrado la sua determinazione, i pensieri negativi sovrapposti all’euforia delle sue emozioni la tennero sveglia fino a tardi.

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