Candy Candy

"La Stagione dei Narcisi" di Josephine Hymes, Traduzione di sailor74 (a.k.a. Ladybug)

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sailor74
view post Posted on 28/4/2013, 16:37 by: sailor74     +5   +1   -1

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Il giorno seguente trascorse come avvolto nella nebbia. Diversi anni dopo Candy avrebbe invano tentato di ricostruire cosa fosse accaduto quella mattina e il pomeriggio successivo. Rammentava vagamente di aver incontrato la Sig.ra Carnegie in banca e di aver firmato una serie di documenti. Della conversazione avuta con la donna, dei saluti che si erano scambiate e della sua promessa di far visita alla casa di Pony in primavera, Candy non ricordava nulla. Se la gentile signora non le avesse scritto qualche tempo dopo, rammentandole tutto ciò, la giovane non sarebbe mai stata in grado di risalire a cosa si fossero dette.

Dopo aver mangiato pochissimo – cosa abbastanza insolita per Candy – ed essersi a fatica ricordata il numero della sua camera, la giovane passò le prime ore del pomeriggio cercando di trovare il coraggio di rivedere Terence Graham Grandchester. Per una volta avrebbe desiderato avere la presenza di spirito e la calma di George Johnson. In tutta la sua vita non aveva mai conosciuto qualcuno tanto abile a mantenere il controllo delle proprie emozioni ed a celare qualsiasi sentimento o pensiero.

Per quanto avesse iniziato a sperare che la sua attuale amicizia con Terence potesse trasformarsi in qualcosa di più, non era certa che lui potesse ricambiare i suoi sentimenti. Se non fosse stato interessato a lei da quel punto di vista, avrebbe voluto quantomeno tenere i propri sentimenti per sé. Se non fosse stato in grado di ricambiarla, infatti, l’ultima cosa che desiderava era turbarlo inutilmente. Sfortunatamente, Candy temeva che a Terence sarebbe bastato guardarla negli occhi per capire cosa provasse per lui.

"Riprenditi, Candy!" si rimproverò dopo ore di inutili considerazioni, "Se non cominci a prepararti adesso, non ce la farai mai!"

Fu in quel momento, però, che si scontrò con la realtà. Ricordò di aver scelto l’abito per la cena del Ringraziamento organizzata da Annie con il preciso intento di scioccare la Zia Elroy. Indossare uno scandaloso abito all’ultimo grido in occasione di una riunione di famiglia era un conto, ma farlo in un luogo pubblico, e per di più davanti a Terence, era decisamente un altro paio di maniche! Istintivamente si voltò a guardare l’orologio appeso alla parete.
Erano le sette, ormai era troppo tardi per uscire a comprare un altro abito.

Dopo aver riflettuto su eventuali alternative, Candy dovette arrendersi al fatto che nel suo bagaglio non vi fosse null’altro di appropriato per una serata a teatro.

"Bene, Candy, che ti serva di lezione! Ora il tuo scherzetto ti si ritorcerà contro, sciocca!" si rimproverò ancora una volta, mentre camminava nervosamente su e giù per la stanza. Dopo un altro sguardo all’inesorabile orologio si rese conto di avere ancora poco tempo a disposizione, "Intendi congelarti e passare la serata dentro un armadio?' disse, cercando di farsi coraggio, "Se stasera devi proprio essere sulla bocca di tutta Pittsburgh, fallo almeno con dignità" e con quella nuova risolutezza, la giovane drizzò le spalle e iniziò a prepararsi.

Non essendo il tipo da passare troppo tempo ad agghindarsi, Candy si cambiò velocemente la biancheria indossando un leggero pagliaccetto che fosse sufficientemente corto per lo scandaloso vestito. Non amava le guepière, per cui si arrotolò le calze di seta color miele fino alle ginocchia, in modo da avere maggiore libertà di movimento. L’acconciatura non le avrebbe portato via troppo tempo, bastava rinfrescare i suoi naturali riccioli con un po’ di olio di mandorle e acqua per avere un perfetto caschetto ondulato. Rifletté se indossare il cerchietto con gli strass che Annie aveva scelto per lei, ma poi preferì rinunciarvi, ritenendolo eccessivo per i suoi gusti. Quindi, come unico gioiello, scelse un paio di orecchini d’argento Art Deco con pendenti quadrati in granati neri. Guardandosi allo specchio, osservò come le sfumature delle marcassiti che decoravano gli orecchini rilucessero ad ogni movimento del capo. Le piaceva molto l’effetto che facevano. Anche il trucco fu questione di poco. Un po’ di cipria, rossetto rosa e un leggero eyeliner erano più che sufficienti per lei.

Una volta vestita, un paio di scarpe con cinturino a T color peltro e una pochette quadrata dello stesso colore completarono l’insieme. Era intenta a prendere lo scialle argento ornato di pelliccia dall’armadio quando udì un deciso colpo alla porta. Guardò nuovamente l’orologio. Erano le otto in punto.
Quando aprì, si trovò di fronte un uomo snello con bombetta e occhiali che la salutò con un inchino. Lei gli tese la mano per presentarsi.

"Lei deve essere il Sig. Hayward. Io sono Candice White Andrew".

"Enchanté, madame", rispose l’uomo stringendole brevemente la mano, "Il Sig. Graham Le esprime i suoi ringraziamenti per aver accettato di assistere allo spettacolo. Vedo che è pronta".

"Proprio così, Sig. Hayward. Vogliamo andare?" gli chiese, inclinando la testa.
L’uomo fece cenno a Candy affinché facesse strada e lei accettò il suo invito.

Fuori, la serata era fredda e la giovane pensò che la passeggiata fino in teatro non sarebbe stata piacevole. Con sua grande sorpresa, però, un’auto li attendeva davanti all’ingresso dell’hotel. Candy pensò che fosse alquanto strano prendere l’auto quando il teatro era proprio nella strada accanto, ma considerata la temperatura, accettò di buon grado tale bizzarria.

Prima che potesse rendersene conto, erano già al Gayety. Mentre scendeva dall’auto, Candy si soffermò ad osservare la pensilina dove campeggiava il nome di Terence. Quella sera avrebbe recitato nella parte di Macbeth.

"Hai un ruolo da protagonista così impegnativo stavolta", pensò, "Ho sempre saputo che eri destinato a grandi cose!"

Rincuorata da questo pensiero, Candy fece il suo ingresso in teatro. Quando Hayward l’aveva aiutata a togliersi lo scialle, aveva dovuto far ricorso a tutto il proprio autocontrollo per mantenere una certa nonchalance. Più di uno sguardo fu catturato dal suo abbigliamento audace. Per fortuna, il Sig. Hayward sembrò calmo e indifferente come sempre. Pertanto, quando glielo offrì, fu lieta di accettare il suo braccio.

Mentre attraversavano il foyer e si incamminavano su per le scale ricoperte da un elegante tappeto, Candy si rese conto che le nappine poste alla fine degli elementi di strass che le decoravano il vestito si muovevano a ogni suo passo.

"Se avessi voluto farmi notare non avrei potuto scegliere di meglio", sorrise tra sé e sé.

Ignaro dei pensieri di Candy, Hayward condusse la giovane donna attraverso i corridoi del teatro. Quando l’uomo finalmente si fermò, aprì una porta e fece cenno a Candy di entrare.

"Il Suo palco, madame", le disse.

Guardando il numero di posti che costituivano il palco, Candy provò un attimo di confusione.

"Il Sig. Graham attende altri ospiti questa sera, Sig. Hayward?"

"No, madame. Il Sig. Graham ha ritenuto che da qui avrebbe avuto la miglior vista sul palcoscenico. Quindi, ha riservato l’intero palco per Lei. Ora, se vuole scusarmi, farò ritorno al termine dello spettacolo".

"Non vuole fermarsi e assistere allo spettacolo insieme a me, Sig. Hayward?"

"La ringrazio molto per la Sua premura, Signorina Andrew" rispose l’uomo, lusingato, "ma ho delle faccende da sbrigare", e con quest’ultimo commento, chiuse la porta e lasciò Candy ai suoi pensieri.

Una volta sola, Candy si accomodò in una poltrona della prima fila e si guardò intorno. Effettivamente da lì avrebbe avuto la vista migliore sugli attori. Era così vicina al palcoscenico che aveva l’impressione di poter toccare il sipario di velluto. Poi, il pensiero che anche Terence avrebbe potuto vederla la assalì.

Tuttavia, si rese subito conto che era alquanto improbabile, dato che lui avrebbe avuto i riflettori puntati contro per la maggior parte del tempo, mentre il resto del teatro sarebbe rimasto in ombra.

"Quindi, io potrò vederti, ma tu non potrai vedere me, Terence. . . non ancora", pensò sorridendo fra sé e sé, "Credo sia meglio così. Avrò il tempo di abituarmi alla tua presenza e tranquillizzarmi".

In quel momento le luci del teatro iniziarono ad abbassarsi, lasciando la platea in ombra. Il sipario si aprì e il cuore di Candy si fermò per un attimo che sembrò eterno. Nella foschia del palcoscenico buio, una luce improvvisa illuminò la scena, offrendo al pubblico la vista di tre donne. Il pallore dei loro visi era accentuato dalle vesti scure che le ammantavano. Il rombo di un tuono annunciò l’inizio dello spettacolo.

"Quando ci incontreremo di nuovo noi tre? Nel tuono, nei lampi o nella pioggia?" disse la prima strega.

Candy ascoltò avidamente l’impenetrabile dialogo che ricordava dai tempi della scuola. Seguirono poi i primi scambi di battute tra Duncan, i suoi figli ed i messaggeri dal campo di battaglia che annunciavano la vittoria di Macbeth.

Ben presto, in seguito ad un altro cambio di luci e ad un rombo di tuono, la scena si trasferì nuovamente nella brughiera dove si erano riunite le tre fatali sorelle. Infine, quando Candy aveva ormai il cuore in gola, Macbeth in persona entrò in scena e pronunciò la prima battuta.

"Un giorno così brutto e bello, ad un tempo, non l’ho mai visto".

La sua voce era possente come la ricordava, solo più profonda e forse più ricca di sfumature. La sua figura era persino più imponente che nei suoi ricordi. Con il procedere dello spettacolo, le luci si concentrarono su di lui e Candy si rese conto che era il più alto tra gli attori della compagnia.
Candy sentì un brivido correrle lungo la schiena. Guardare il suo viso in foto sul giornale non era paragonabile alla sensazione di estremo piacere che provava in quel momento, rivedendolo per la prima volta dopo tanti anni. Era un misto di scoperte e di ricordi. Vi erano alcune cose che era felice di poter rivedere, come la piccola fossetta sul suo mento, il modo in cui inarcava il sopracciglio sinistro e quella particolare piega delle labbra, con la quale esprimeva così tanti stati d’animo diversi. Allo stesso tempo, c’erano molti nuovi dettagli che non aveva mai visto prima. Era più alto e più robusto, pur mantenendo una corporatura proporzionata e atletica. Aveva tagliato i capelli, ma questo lo sapeva già dai giornali. Tuttavia, mentre le luci lo illuminavano, si accorse che erano più scuri, con ciocche dalle sfumature color castano brunito e cioccolato. Era leggermente più abbronzato rispetto a prima, forse perché passava più tempo all’aria aperta, dato che aveva ripreso ad andare a cavallo. Probabilmente, però, il cambiamento più evidente riguardava la sua presenza scenica. Si muoveva con maggiore sicurezza ed il suo corpo, così come la sua voce, offrivano un più vasto repertorio espressivo. Con un semplice gesto riusciva a dar vita a innumerevoli emozioni e pensieri del suo personaggio. Uno sguardo, un cenno di una mano, un movimento della testa o un semplice passo erano sufficienti per esprimere mille cose diverse.

Per Terence quell’opera era un’occasione perfetta di mostrare tutto il suo talento. Davanti agli occhi di Candy, Macbeth si era trasformato più volte. Da grande eroe si era ben presto tramutato in ambizioso ma ambiguo cospiratore. Poi era divenuto l’amante, il marito raggirato, lo spietato assassino e infine l’anima tormentata e divorata dall’angosciante colpa. La sua malvagità e la sua crescente corruzione erano così palpabili che per un attimo Candy ne fu spaventata. Infine, la sua forza nella battaglia finale mentre soccombeva al suo destino lo aveva nuovamente trasformato in tragico eroe. Candy si domandò in che modo Terence fosse riuscito a esprimere così tante emozioni diverse in appena due ore e mezza.

Un attimo dopo, il re Malcolm pronunciò l’ultima battuta ed il pubblico si alzò in piedi in adorazione. Candy guardò la folla con stupore. Quel teatro che rimbombava di ammirazione era così diverso dalla plebaglia beffarda di Rockstown. Nel giro di qualche anno, Terence era passato dallo sconforto e dal fallimento totale all’autocontrollo ed al successo assoluto. Il cuore della giovane si gonfiò di orgoglio.

"Hai sconfitto i tuoi demoni, amore mio!" pensò, "Hai vinto le tue battaglie da solo, Terence. Quest’applauso e la prova legittima che sei decisamente un uomo migliore. Sono così fiera di te!"

In quel momento le luci si riaccesero, il sipario si alzò ancora una volta e la compagnia riapparve sul palco. Tutti gli attori fecero un inchino per poi ricevere l’applauso uno ad uno. Infine, fecero un passo indietro lasciando

Terence Graham da solo a godersi l’applauso del pubblico. Fu proprio allora, mentre faceva il suo inchino e sollevava la testa con un repentino movimento, che i suoi profondi occhi blu incontrarono quelli dell’unica occupante del primo palco. Fu tutto troppo veloce perché gli altri potessero accorgersene, ma per un brevissimo attimo, quando il suo sguardo si posò su di lei, Terence sorrise.

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Il sipario calò per l’ultima volta. Gli attori si rilassarono, tornando ad essere sé stessi e avviandosi lentamente verso i camerini. Vedere l’attore che interpretava la parte del protagonista schizzare letteralmente via dal palcoscenico non era una novità per gli attori della compagnia. Terence faceva sempre così alla fine di ogni spettacolo. Correva in direzione del suo camerino prima che gli altri potessero fiatare. Quella sera non fece eccezione.

Malgrado questa tipica reazione, però, Terence sapeva bene di non essere il solito sé stesso quella sera. Di fatto, non aveva mai vissuto un momento simile in tutta la sua vita. Era bastato quell’unico sguardo sul palcoscenico per far sì che tutto il frastuono intorno a lui svanisse, rendendolo momentaneamente sordo. La terra aveva smesso di girare, perché lei era lì che lo fissava e nei suoi occhi c’era qualcosa che sembrava profonda ammirazione. Era tutta per lui? Aveva avuto un tuffo al cuore ed i suoi violenti battiti erano l’unica cosa che era riuscito a sentire, mentre tutto intorno regnava improvvisamente il silenzio.

Tutta la giornata, anzi, in realtà tutta la tournée, sin dal suo inizio, era stata un continuo crescendo di dubbi ed emozioni. Aveva programmato questo incontro con tante speranze, ma anche con la paura che qualcosa potesse andare storto. Dal giorno prima, ovvero da quando Hayward aveva consegnato i fiori e la lettera nella camera di lei, Terence aveva praticamente smesso di respirare. Quando non aveva ricevuto una sua chiamata, aveva avuto la conferma che lei avrebbe assistito allo spettacolo. Eppure, era stato comunque tentato di andare nella sua stanza e parlarle, finalmente, sebbene la sua iniziale decisione di aspettare avesse poi finito per prevalere. Per quanto desiderasse rivederla, non voleva rendere l’incontro banale, limitandosi a bussare alla sua porta. La sua natura melodrammatica necessitava di qualcosa di speciale; non avrebbe avuto senso aspettare dieci anni per poi presentarsi al suo cospetto un giorno come un altro dicendole un semplice ciao. Pertanto, aveva passato una notte insonne in trepidante attesa.

A peggiorare le cose, quella mattina le prove erano state un vero disastro. Quando fu il momento, dovette concentrarsi tre volte più del solito per prepararsi allo spettacolo. Tuttavia, quando Hayward lo aveva informato che
Candy si era già accomodata nel suo palco, aveva provato un immediato, quanto strano senso di pace. Non aveva mai percepito nulla di simile in passato. Ricordava ancora la sera della prima di Romeo e Giulietta e non poté evitare di fare un confronto. Anche quella volta Candy era lì, ma l’ombra dell’incidente di Susanna e le pressioni a cui era stato sottoposto non gli avevano consentito di godere della sua presenza. Questa volta era stato completamente diverso.

Una volta in scena, si era sentito pervadere da un’energia talmente forte quanto sconosciuta. L’identificazione con il suo personaggio, sebbene Macbeth fosse così diverso da lui, era stata totale e, soprattutto, si era goduto immensamente lo spettacolo. Eppure, malgrado tutte queste note positive, nulla era paragonabile al breve sguardo lanciato in direzione della sua snella figura mentre lei lo applaudiva con orgoglio dal primo palco. Non poté evitare di ricordare la visione del suo viso a Rockstown. La sua profonda tristezza e le sue lacrime erano scolpite per sempre nella sua memoria. Ma stasera lei non era una visione. La donna del suo cuore – ormai adulta – era lì, che sfoderava il più raggiante dei sorrisi solo per lui.

Mentre era assorto in queste insolite quanto felici considerazioni, fu interrotto da un lieve bussare alla sua porta.

"Terence, posso entrare?" disse Robert Hathaway.

"Sì, entra pure Robert", rispose e dopo un secondo la figura imponente di Hathaway, ancora nei panni di Re Duncan, fece il suo ingresso nel camerino.

"Vieni a cena con noi?" chiese l’uomo casualmente.

"Non stasera, Robert", rispose Terence, mentre iniziava a togliersi il trucco di scena, "Ho già preso un impegno".

"Davvero?" disse Hathaway incredulo, ma sapendo per esperienza che porre una domanda al suo pupillo non sarebbe servito a nulla, si astenne dall’indagare oltre, "Bene, ti auguro una buona serata, allora".

Dopodiché, chiuse la porta lasciandolo solo.


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Mentre Terence finiva frettolosamente di cambiarsi, Hayward era già tornato al fianco di Candy. Quando l'uomo andò a prenderla, le emozioni che lo spettacolo aveva suscitato nella giovane erano ancora vive.

"Avrò la possibilità di vedere il Sig. Graham?" gli aveva subito domandato.

"Certamente, madame. Di fatto, il Sig. Graham sarebbe onorato se Lei accettasse il suo invito a cena. Ma prima di tutto, dovrà liberarsi delle ammiratrici e dei reporter che lo attendono fuori dal teatro".

A Candy tornò in mente quella sera in cui Terence aveva recitato a Chicago nella parte del Re di Francia. Il ricordo della folla travolgente che cercava di attirare l’attenzione del giovane attore, mentre lei tentava invano di avvicinarlo, era ancora vivo. Non aveva alcuna voglia di ripetere quell’esperienza.

"E come pensa di farlo?" chiese la donna con curiosità.

"Ecco, madame, abbiamo i nostri metodi. Innanzitutto, La accompagnerò in macchina e poi, prima che la folla lo reclami, andremo in soccorso del Sig. Graham".

E come anticipatole, Hayward condusse la giovane fuori dal teatro fino alla macchina. Ebbe la premura di tirar giù le tendine del sedile posteriore, cosa che indusse Candy a domandarsi se l'uomo si aspettasse un impertinente raggio di sole a quell’ora della sera. Si accomodò al posto di guida e fece un paio di volte il giro dell’isolato, per poi fermarsi in una via secondaria dietro il teatro.

"Madame, La pregherei di non tirar su le tendine, indipendentemente da quello che sentirà là fuori", la istruì e ben presto Candy comprese il perché di tale richiesta. Qualche secondo dopo, infatti, il trambusto della folla ed i flash delle fotocamere circondarono l’auto.

Si fermarono presso la porta di servizio del teatro, dove il rumore della folla era più forte. Eppure, il frastuono nella mente di Candy era ben più assordante. In un secondo, fu assalita da mille emozioni diverse. Le girava la testa e non sapeva più se facesse caldo o freddo, perché stava tremando e si sentiva la febbre.

Poi, nella confusione delle voci e dei flash, la portiera posteriore improvvisamente si aprì e subito dopo si richiuse. Quando l’auto riprese la sua marcia, con la mente ancora annebbiata dall’emozione, Candy percepì la presenza di lui accanto a lei. Per un po' nessuno dei due ebbe il coraggio di parlare, un silenzio indescrivibile era sceso nell'abitacolo.

Tutto a un tratto, non furono più in grado di dire se fosse ancora notte o se fosse già inspiegabilmente sorto un nuovo giorno. Fu come se quei dieci anni, così lenti e dolorosi, non fossero mai passati e tuttavia lo scorrere del tempo era innegabile, perché ci volle un po’ ad entrambi per abituarsi all'aspetto più maturo l'uno dell'altra.


Interiormente, Terence si burlò di sé stesso, perché tutte le sue abilità di attore l’avevano momentaneamente abbandonato. Malgrado tentasse di parlare, non riusciva a proferire parola. Anche nell’oscurità, i suoi occhi si erano persi nella scintillante luce che splendeva in quelli verdi di lei.

"Come stai?" Candy fu la prima a rompere il silenzio, sebbene facesse fatica a riconoscere la propria voce. Un timido quanto inconsapevole sorriso le illuminò il volto.

"Veramente felice di rivederti, tuttelentiggini", riuscì a risponderle lui con voce roca.

Candy sollevò gli occhi al cielo sorridendo ancora di più.

"Mi chiamerai mai con il mio vero nome?" gli chiese.

"Quello è il mio nomignolo per te. Preferiresti che ti chiamassi semplicemente Candice, come farebbe chiunque altro?"

"Forse no", rise lei e improvvisamente l’atmosfera si rilassò.

"Allora, signorina tuttelentiggini, dimmi, ti è piaciuto lo spettacolo?"

"Mi dispiace ma non ci casco" scherzò lei, incrociando le braccia al petto "l’ultima cosa di cui un Pallone Gonfiato come te ha bisogno è di ricevere dei complimenti che è erroneamente convinto di meritare".

"Ma così ferisci i miei sentimenti!" rispose lui, lanciandole un’occhiata di traverso. Era già pronto a iniziare il gioco che entrambi conoscevano così bene, "Contrariamente a quanto tu possa pensare, anche una stella ha bisogno di qualche riconoscimento dopo un’esibizione così intensa. Forse dovrei tornare in teatro e far compagnia a quelle persone che sono così ansiose di tessere le mie lodi, dato che sembri così risoluta nel non volermi neppure dire se ti sei divertita".

"E ti basterebbe sentirmi dire questo?" chiese lei scettica, sollevando un sopracciglio.

"Forse no. . . magari subito dopo ti chiederei chi è stato il migliore stasera".

"Probabilmente risponderei che Lady Macbeth è stata fantastica, specialmente nella scena in cui, sonnambula e in delirio, cercava di lavarsi le mani macchiate di sangue".

"Senza dubbio la Sig.ra Sanders ha interpretato una buona Lady Macbeth, ma io stavo pensando anche ad altri attori che hanno svolto un ottimo lavoro".

"Il Sig. Hathaway, per esempio", suggerì lei appoggiandosi l’indice sul mento, come per riflettere ulteriormente.

"Oh, beh, Robert è un attore d’esperienza con un talento sorprendente, ma vedi, il ruolo che ha ricoperto nello spettacolo di questa sera non era poi così importante".

"Ma questo non significa nulla! La sua recitazione è stata comunque eccellente. . . devo dire che mi ha colpita anche il fantasma di Banquo", aggiunse, divertendosi davanti alla crescente impazienza di lui.

"Forse stai dimenticando un grande attore che guarda caso recitava nella parte del protagonista questa sera", suggerì casualmente lui, appoggiando il gomito sinistro sullo schienale del sedile posteriore con il pugno chiuso a sorreggersi la tempia.

"Non sono certa di chi tu stia parlando" disse lei facendo finta di non capire, pentendosi subito dopo di averlo punzecchiato, dato che lui, per tutta risposta, le si avvicinò pericolosamente e, prima che lei potesse reagire, le prese la mano.

"Andiamo, Candy, non vuoi proprio dirmi che ti sono piaciuto io questa sera?" le sussurrò, con il suo respiro che le accarezzava l’orecchio.

"Non te ne sei accorto lì sul palcoscenico, quando i nostri sguardi si sono incrociati, Terry?" gli confessò abbassando lo sguardo, incapace di continuare oltre quel gioco.

Lui non rispose, ma il sorriso sulle sue labbra lo fece per lui. Il suono del suo nomignolo sulle labbra di lei gli risuonava ancora nelle orecchie, accarezzandogli l’anima. Solo sua madre lo chiamava così ormai. Per un attimo rimase immobile, godendo del calore della mano di lei nella sua. Non riusciva a credere che dopo così tanto tempo, potesse toccarla di nuovo! La sua mano era minuta e morbida come la ricordava.

"Siamo arrivati, Sig. Graham" annunciò Hayward dal posto di guida. Candy non seppe se avrebbe dovuto odiare quell’uomo per aver interrotto il momento o piuttosto ringraziarlo per averla salvata, impedendole di svelare i suoi sentimenti quando l’appuntamento era appena agli inizi.

"Ma questo è davvero un appuntamento?” si domandò improvvisamente. Dopo una breve considerazione, dovette ammettere che sembrava proprio esserlo. Mentre Terence l’aiutava a scendere dall’auto, la presa della mano di lui sulla sua le fece realizzare quanto si sentisse accaldata, malgrado il freddo della notte. Sicuramente non dovevano esserci più di 3 o 4 gradi, ma lei non ci fece caso.

"Hai freddo?" le chiese lui prendendole la mano e appoggiandola nell’incavo del suo braccio destro, "Stai tremando".

"Davvero?"

"Vieni, entriamo".

Hayward aprì ossequiosamente la porta principale di un edificio che dall’esterno assomigliava ad una di quelle vecchie case in pietra impreziosite da boiserie. Una volta dentro, Candy si rese conto che si trattava di un ristorante piuttosto frequentato, con un gruppo jazz che suonava musica di sottofondo. L’ambiente era in semi-oscurità, illuminato soltanto dalle candele poste sui tavoli e da alcuni lumi distribuiti strategicamente sulle pareti.

Sembravano tutti talmente presi dalla musica e dalla conversazione che solo uno dei dipendenti si accorse del loro ingresso, aiutandoli con i soprabiti. Il cameriere salutò Hayward come se lo conoscesse e fece un rispettoso inchino a Terence ed alla dama in sua compagnia. Prima che gli occhi di Candy potessero abituarsi all’oscurità del luogo, il cameriere li condusse in una sala privata dove grandi finestre regalavano una maestosa vista della città.

"Ha bisogno di altro per oggi, signore?" Candy sentì Hayward rivolgersi a Terence, che si intrattenne per un attimo alla porta a parlare con il suo segretario.

Candy cercò di ricomporsi ammirando il profilo del Triangolo d’Oro(1) visibile attraverso la finestra panoramica. Sembrava che il ristorante si trovasse su uno dei colli di Pittsburgh, offrendo una vista stupenda dei fiumi e delle luci della città. Si era girata di spalle, ma poté comunque distinguere le parole di commiato di Hayward mentre Terence lo congedava. Poi, nel breve silenzio che seguì, percepì chiaramente lo sguardo di Terence su di sé. Così, si voltò, prendendolo alla sprovvista.

Fu sorpresa di cogliere nel suo sguardo una strana luce che non aveva mai visto prima. Era talmente intensa che si sentì vacillare.

"La vista da qui è incredibile", mormorò cercando di allentare la tensione,

"Dove. . . dove siamo?"

"Nel West End", rispose lui con voce leggermente arrochita. Dopodiché, si avvicinò lentamente alla finestra per raggiungerla, "Questa zona si chiama Mount Washington, è il punto più alto di Pittsburgh. La vista da qui è senz’altro molto bella, ma se avessimo potuto prendere una delle funicolari, ne avresti vista una decisamente superiore. Non ho mai ammirato un panorama più mozzafiato di quello".

"Vedo che sei già stato qui", concluse lei.

"Altroché, tuttelentiggini. A Pittsburgh adorano Shakespeare. A volte veniamo qui più di una volta l’anno", rispose lui. Dentro di sé, si sentiva sollevato dal fatto che l’argomento l’avesse aiutato a recuperare la calma.

Mentre raccontava a Candy di come, durante uno dei suoi viaggi, aveva scoperto quel ristorante così isolato, interiormente Terence non poté fare a meno di rimproverarsi. Aveva commesso un errore imperdonabile. Fino a quel momento, era riuscito a sembrare imperturbabile grazie alle sue abilità recitative, ma era bastata mezzora accanto a lei per perdere tutto il suo autocontrollo. Sebbene la sua vicinanza all’interno dell’auto fosse stata una dolce tortura e il contatto con la sua mano lo avesse inebriato, era riuscito comunque a mantenere la calma finché lei non si era tolta lo scialle. Quando le luci della stanza le avevano illuminato le gambe, la vista inaspettata di due polpacci femminili così ben torniti gli aveva suscitato dei pensieri alquanto conturbanti.

"Accidenti! Non sei più un ragazzino, Graham", pensò, "smettila di comportarti come se lo fossi, altrimenti ti prenderai un altro schiaffo!"

Rimasero ancora un po’ ad osservare il panorama, tenendosi a distanza di sicurezza l’uno dall’altra, finché non entrò il cameriere con un vassoio.
Improvvisamente, Candy si rese conto che le era tornato l’appetito; pertanto, fu lieta dell’arrivo del servizio, che accolse con grande alacrità.

"Avevo quasi dimenticato di aver mangiato pochissimo oggi", esclamò, guardando con l’acquolina in bocca le pietanze che il cameriere era in procinto di servire.

"Non riesco a credere che una golosona come te possa dimenticarsi di mangiare", le disse Terence mentre l’aiutava ad accomodarsi.

"Sei un vero maleducato! Il signore qui presente penserà che sia una troglodita!" si lamentò, mettendo il broncio. Il cameriere, chiamato in causa, si limitò a sorridere al suo commento.

"Non ti preoccupare, Harry sa mantenere un segreto", disse Terence ridacchiando.

"Smettila! . . .In ogni caso, non intendo lasciare che i tuoi fastidiosi commenti mi rovinino la cena. Sembra tutto delizioso. Che cos’è?" chiese rivolgendosi al cameriere.

"Agnello gallese con verdure al vapore e patate al forno, signora", spiegò il cameriere. "Vede, il padre del proprietario è originario del Galles. Questo piatto è una specialità della casa. Cosa posso servirLe da bere? Magari del vino rosso?"

Candy guardò il cameriere con aria incredula, facendo scoppiare Terence in una sonora risata.

"Santo cielo, Candy! Dovresti vedere la tua faccia. Sembri una della Woman's Temperance Union (2)", le disse, prendendola in giro.

"Ma il Proibizionismo(3) . . ." disse, a corto di parole.

"C’è sempre un modo per aggirare qualsiasi proibizione, tuttelentiggini", le disse, facendole l’occhiolino con naturalezza, "ma a giudicare dalla tua faccia, penso sarebbe meglio se bevessi un ginger. Ti prego, Harry, portacene due bicchieri".

Il divertente episodio, seguito dal rossore di Candy, mise Terence così di buonumore che ben presto la conversazione durante la cena divenne vivace e piacevole. Prima che potessero rendersene conto, avevano entrambi perso la cognizione del tempo.

Una volta a proprio agio, Candy ricominciò a chiacchierare animatamente, descrivendo a Terence nel dettaglio il successo ottenuto con i finanziatori a cui aveva fatto visita fino a quel momento e parlandogli del fondo per l’istruzione dei bambini della casa di Pony che pensava di costituire con l’aiuto della Sig.ra Carnegie. Tuttavia, essendo abituata a non dilungarsi mai troppo nel parlare dei propri interessi, gli chiese candidamente della sua tournée e delle città che aveva visitato. Lui rispose ad ogni domanda, incoraggiato dalla sincerità ispiratagli da lei. Un uomo riservato per natura come lui avrebbe trovato imbarazzante essere interrogato in quel modo, se non fosse stata lei a porgli le domande. Come sempre, essere accanto a lei gli scaldava il cuore e gli veniva naturale abbassare la guardia.

Per contro, lei cercava di fare del proprio meglio per memorizzare ogni movimento e ogni dettaglio che lo riguardasse. Dalla lucentezza dei suoi capelli, pettinati con la riga da una parte, al suo impeccabile smoking, fino all’incredibile blu delle profondità dei suoi occhi, Candy era impegnata a fare un dettagliato inventario del suo aspetto. Per di più, prese mentalmente nota degli ultimi aggiornamenti relativi alla sua tournée, perché sapeva che l’avrebbe seguito con il cuore una volta che si fossero salutati.

Prima di quella sera era stato a Boston, Montpellier e Buffalo. Avrebbe passato un altro giorno a Pittsburgh per poi fermarsi in altre otto città prima di raggiungere la Costa Occidentale.

"Non ti senti mai stanco, Terence?" gli chiese, mordicchiandosi un labbro. Il giovane si domandò se fosse il suono del suo nome sulle sue labbra o lo splendore dei suoi corti riccioli a fargli accelerare il battito.

"Sono abituato a viaggiare, ma devo ammettere di arrivare sempre esausto alla fine di una tournée. Comunque, neanche tu conduci una vita tranquilla, mi sembra. Non credi che il lavoro alla clinica in paese e l’impegno alla casa di Pony siano un po’ troppo per una persona sola?"

"Oh, ora ti prendi gioco della mia vita semplice", ridacchiò lei da dietro al suo bicchiere di ginger, "ma adoro fare l’infermiera, è come un gioco per me!"

"Un gioco?! Allora sono felice di non essere mai stato uno dei tuoi giocattoli, ovvero un tuo paziente".

"Ridi pure, se vuoi, ma sono un’ottima infermiera e i miei pazienti sono contentissimi di me, così come lo è il Dott. Martin".

"Ma solo lavoro e niente svago. . ."

"Lo so, lo so", lo interruppe, lasciando per un attimo da parte il Bara Brith(4) che stavano gustando per dessert. "Stai iniziando a parlare come Annie".

"Non hai mai pensato che magari la moglie del Damerino potrebbe aver ragione? Diventerai una zitella inacidita prima che tu possa accorgertene", la stuzzicò di proposito lui, sapendo che i suoi commenti erano ingiustificati.

"Oh sciocchezze!" rispose lei ridendo; "Sono perfettamente in grado di gestire i miei impegni e di vedere il mio spasimante preferito ogni volta che ne ho voglia. Tra l’altro, non si è mai lamentato del mio lavoro", disse lei, addentando il dolce con gusto.

Stavolta fu il turno di Terence di restare senza parole davanti al suo thè.

"Ti stai prendendo gioco di me!" disse, quando riuscì a ritrovare la voce.

"Riguardo al mio spasimante?" gli chiese innocentemente lei, "Assolutamente no. È l’uomo più adorabile che conosca. Come potrei scherzare su di lui?"
Candy sorrise maliziosamente, notando che Terence era impallidito. Non sapeva cosa l’avesse spinta a dire una cosa così assurda, ma era valsa la pena solo per vedere la reazione di Terence, così simile ad un improvviso attacco di gelosia. Dio mio, come se la stava gustando!

"Vuoi vedere una sua foto?" continuò lei, aprendo la sua borsetta e estraendone un piccolo portafoto che teneva nel portafogli.

Gli occhi di Terence erano puntati su di lei, mentre apriva il portafoto sventolandoglielo in faccia. Con gli occhi sgranati, si trovò ad osservare la foto di un bambino, con enormi occhi scuri ed un radioso sorriso.

"Questo è Alistair, il mio spasimante preferito. Non è adorabile?" gli chiese con orgoglio, mentre Terence, essendosi reso conto della presa in giro, riprendeva un po’ di colore.

"D’accordo, signorina tuttelentiggini", pensò, "posso renderti pan per focaccia".
Non appena recuperata la padronanza di sé, Terence replicò ad alta voce,
"Così questo è il figlio del Damerino. Ha gli stessi occhi e lo stesso sorriso del suo omonimo".

"L’hai notato anche tu! Io l’ho sempre pensato, sin dal giorno che è nato. Ti ho detto che ho assistito al parto?" continuo lei, mentre gli mostrava altre foto di quando il bambino era più piccolo.

"Davvero?"

"Oh sì! Ero con Annie durante il travaglio e il Dott. Martin mi ha lasciato prendere il bambino quando è venuto alla luce. Mentre lo tenevo tra le braccia, ha aperto gli occhi e ho rivisto quelli di Stair che mi fissavano. Ero fuori di me dalla gioia. Non hai idea dell’emozione che si provi ad accogliere una nuova vita, specialmente quando il neonato somiglia così tanto a una persona che ami, Terence".

Il viso di Candy era raggiante mentre ripensava a quell’evento e Terence immaginò che sarebbe stata mille volte più bella e felice se il bambino fosse stato suo. Stava quasi per perdonarle lo scherzetto di poco prima solo perché trovava il suo sorriso irresistibile, ma era troppo orgoglioso per un tale gesto e decise che avrebbe atteso un’occasione per fargliela pagare. Del resto, la vendetta è un piatto che va servito freddo. Per il momento, voleva solo godersi il tempo trascorso insieme a lei. Di fatto, stava per parlare d’altro, quando decise di indirizzare la conversazione su un argomento che non aveva previsto.

"A proposito dell’Inventore", disse Terence, diventando improvvisamente serio nella voce e nell’atteggiamento, "So che sono passati molti anni dalla sua scomparsa, ma ci tengo a dirti che mi è molto dispiaciuto per lui. Era un tipo in gamba. Avrei voluto conoscerlo meglio".

"Lo apprezzo molto, Terence", lo ringraziò, abbassando lo sguardo e concentrandosi ancora una volta sulle foto del piccolo Alistair, "Sai, sono passati dieci anni da quando Stair se n’è andato, ma ancora non riesco ad abituarmi all’idea che non sia più tra noi. A volte ho l’impressione che un giorno o l’altro potrebbe bussare alla mia porta dicendomi "Candy, sono tornato!" Lo immagino alle prese con una di quelle sue disastrose invenzioni, mentre noi scoppiamo a ridere dopo averla vista esplodere o roba del genere, come gli amici felici e spensierati che eravamo una volta".

"A volte è difficile farsene una ragione", sussurrò Terence con una punta di malinconia, lo sguardo perso a fissare la tremolante fiamma della candela che abbelliva la tavola.

Candy percepì il suo cambio di umore. Le sue parole avevano un suono così profondamente triste che non poté evitare di pensare a Susanna.

"Sta pensando a lei. Come ho potuto essere talmente insensibile?" pensò, "oh caro Terence, devi soffrire ancora molto".

Improvvisamente Candy si rese conto che era giunto il momento di affrontare l’argomento che aveva a lungo rimandato.



"Terence", esordì usando il suo tono più dolce, "Ti prego di accettare le mie scuse per non averti mandato una lettera di condoglianze dopo la morte di Susanna. Sono rimasta scioccata e addolorata quando l’ho saputo. Non l’avrei mai immaginato. Era così giovane! . . . Purtroppo siamo lontani dalla città e i giornali arrivano sempre troppo tardi. Non avevamo la radio all’epoca, a differenza di adesso. Quando ho finalmente saputo la notizia, era già passato un mese dal suo funerale. Ora che ci ripenso, avrei potuto inviarti comunque un biglietto o una lettera, ma alla fine la mia indecisione ha avuto la meglio. Anche tempo dopo, quando mi hai inviato la tua prima lettera, non hai scritto una parola su di lei, così ho pensato che non fossi pronto a parlarne".

Terence sollevò lo sguardo verso Candy. La giovane aveva d’istinto allungato la mano sul tavolo per stringere la sua, un’espressione di sincero pentimento diffusa sul suo volto.

"Mi . . . mi dispiace davvero tanto di non averti offerto alcun conforto quando ne avevi più bisogno, Terence. So quant’è dura perdere una persona cara. Ma se ora la mia amicizia può esserti di aiuto, prometto che stavolta non ti abbandonerò", mormorò visibilmente commossa.

Terence ci mise un po’ a capire che Candy aveva avuto l’impressione che lui stesse ancora soffrendo per la morte di Susanna. Si vedeva che era sinceramente preoccupata per lui. Per un momento esitò, domandandosi come avrebbe potuto spiegarle una cosa così delicata, specialmente quando era così intimamente collegata al loro passato in comune. Non aveva previsto di affrontare l’argomento al loro primo incontro, ma ora, per un capriccio della sorte, erano giunti proprio a quel punto. Come poteva parlarne senza sembrare un ipocrita?

"Candy, apprezzo il tuo sostegno", esordì, mentre la sua mano rispondeva al tocco di quella di lei, intrecciando le dita con le sue, "Ammetto che la scomparsa di Susanna sia stata dolorosa, ma in tutta onestà, le cose non sono andate come pensi tu".

"Che vuoi dire?"

"Voglio dire," rispose esitante, sapendo che una confessione avrebbe inevitabilmente portato ad un’altra, "che nel corso degli anni ho imparato a nutrire un sincero rispetto per Susanna, apprezzando i suoi pregi e le sue virtù, sebbene conoscessi anche i suoi difetti, che non erano pochi. Non intendo parlar male dei defunti, ma ti basti sapere che avevo imparato ad accettarla per quello che era e a offrirle la mia più sincera stima. Ma ho smesso da tempo di soffrire per la sua scomparsa".

Candy spalancò gli occhi confusa.

"Non guardarmi in quel modo, Candy. Sei una donna talmente generosa che ti risulterebbe senz’altro difficile comprendere le complessità di certi caratteri. C’è gente a questo mondo che può essere al contempo egoista e gentile, coraggiosa e codarda, eroica e vile. Susanna era così…ed io non faccio eccezione…in un certo senso, eravamo molto simili nel nostro paradossale modo di essere e la nostra relazione era altrettanto contraddittoria. A tale proposito, devo ammettere una mia grave colpa. Temo che sarà una delusione per te".

Alla giovane si strinse il cuore e senza accorgersene allontanò la mano da quella di Terence. Il giovane abbassò lo sguardo, cercando di trovare il coraggio di continuare.

"So che ti avevo promesso che l’avrei fatta felice. Purtroppo, se per felicità intendevi che ricambiassi il suo amore, devo confessarti che non ho mai soddisfatto questo requisito".

Candy era senza parole. Neppure nei suoi peggiori incubi avrebbe potuto immaginare che lui non avesse corrisposto l’amore di Susanna malgrado gli anni passati insieme. Si sentiva ferita e disorientata da quella rivelazione.

Terence comprese che Candy aveva bisogno di un po’ di tempo per digerire la notizia, così rispettò il suo silenzio.

"Intendi dire che. . . che è stata tutta una recita? In tutti questi anni hai solo finto di amarla?" disse finalmente Candy, visibilmente scossa. Si alzò nervosamente dalla sedia, non riuscendo più a sostenere lo sguardo di Terence. Come se cercasse di fuggire dalla verità, si avvicinò alla finestra, lo sguardo perso a fissare un punto lontano nella notte.

"Non è come pensi, Candy", si difese lui, "Quando le ho offerto la mia protezione, ho messo subito in chiaro che ero legato a lei solo da gratitudine e senso dell’onore. Lei l’aveva capito perfettamente e mi aveva accettato per quello che ero".

"Ma si aspettava che un giorno l’avresti amata", insistette Candy senza voltarsi a guardarlo. Era consapevole di aver parlato con tono riprovatorio, ma non riusciva a nascondere la sua profonda delusione.

"Forse era così, ma non ne abbiamo mai parlato. Sapevo bene che l’amore avrebbe dovuto essere la ragione dell’impegno che avevo preso con lei, ma giuro di averci provato, senza riuscirci. Malgrado il mio fallimento, sono a posto con la mia coscienza perché le ho sempre dato la mia stima, l’ho sostenuta durante la riabilitazione, l’ho incoraggiata a intraprendere una nuova carriera, le ho offerto il mio appoggio come avrebbe fatto un marito, sebbene fossi solo il suo fidanzato. Ero accanto a lei quando si è ammalata e non l’ho mai abbandonata durante il doloroso progredire della sua malattia. Persino sua madre aveva perso ogni speranza di vederla guarire, ma sono stato io a insistere perché consultassimo ogni medico che potevo permettermi affinché si salvasse. E quando anche la scienza ha fallito, sono rimasto al suo capezzale finché non ha esalato l’ultimo respiro. In tutto quel tempo l’ho rispettata e onorata come dovevo. Chiunque ti confermerà che non le ho mai dato motivo di recriminare nulla. Ma non l’amavo, semplicemente perché non era destino. Su questo punto il mio cuore si è rifiutato di agire a comando".

Ora anche Terence si era alzato dalla sedia e percorreva la stanza a grandi passi mentre le parlava. Le sue parole avevano trafitto le orecchie di Candy come spade, colpendola al cuore e demolendo tutte le sue convinzioni. Mentre Terence le raccontava di come era rimasto al fianco di Susanna fino alla sua morte, la sua iniziale reazione cominciò lentamente a perdere intensità. Ad ogni parola, sentì crescere immensamente la sua ammirazione nei confronti di Terence. Era stato fedele e generoso e aveva sostenuto una persona che non amava. Non molti uomini possono vantarsi di aver fatto lo stesso con donne che sostengono di amare. Eppure, c’era ancora qualcosa che doveva sapere per riconciliarsi con la verità rivelatagli dalle sue parole.

"Pensi che fosse felice?" gli chiese finalmente, voltandosi a guardarlo negli occhi.

"Lo so per certo", le rispose semplicemente lui, "Me l’ha detto più volte e me l’ha ribadito prima di morire. Dubito che si possa mentire in un momento come quello".

"E come è stato per te dopo che se n’è andata?"

Terence si avvicinò a Candy, finché non fu di fronte a lei, abbastanza vicino da abbracciarla se avesse voluto.

"È stato triste vederla morire. Una vita perduta", rispose, mentre un’ombra gli attraversava lo sguardo. "Era giovane e il suo destino avrebbe potuto essere diverso se solo non si fosse ammalata. Eppure, mentirei se ti dicessi che ho sofferto per lei come hai sofferto tu per Anthony. . . Ti sembrerò insensibile, ma dopo due anni, non posso dire in tutta onestà che lei mi manchi, non nel modo in cui a te manca ancora Alistair. Sebbene la apprezzassi, non siamo mai stati vicini. Avevamo visioni della vita molto diverse e le nostre opinioni erano decisamente opposte. Come amici, eravamo una coppia alquanto mal assortita, perché a parte il teatro avevamo molto poco in comune".

Candy si sentì disorientata dallo schiacciante peso delle confessioni di Terence. Dopo le sue parole, mille domande le affollavano la mente.

"E lui è stato felice tutti questi anni, come aveva promesso? Si può essere felici senza amore? "


Ma le mancò la forza di porgli altre domande.

In quel momento, il cameriere bussò e rientrò per sparecchiare. Aveva lasciato la porta aperta per un secondo e la musica del ristorante seguì Harry, finché non giunse alle orecchie di Terence.

Il giovane si era reso conto che la conversazione aveva preso una piega troppo triste. Era mai possibile che ogni volta che vedesse Candy le cose fossero destinate a finir male? Doveva fare qualcosa per cambiare il corso della serata.

"Quando è stata l’ultima volta che sei stata a ballare, tuttelentiggini?" le chiese d’istinto.

"Come scusa?" gli chiese lei aggrottando la fronte, non capendo cosa intendesse, "hai detto ballare?"

"Quello che sto cercando di dire, in modo alquanto inarticolato, è che vorrei ballare con te. Ti va di accettare l’invito di un tuo vecchio compagno di scuola?" le chiese, facendo un breve inchino.

"Certamente, Terence", rispose lei con un timido sorriso, lasciando che l’ombra che era scesa su di loro si allontanasse lentamente.

Prima che potesse reagire, Terence le afferrò il polso e la guidò fuori dalla sala privata verso il salone principale. Era molto tardi e la maggior parte degli avventori se n’erano già andati. Pertanto, avevano la pista da ballo tutta per loro. Il gruppo jazz aveva concluso la serata e solo il bassista, il batterista, un pianista e una cantante restavano al lavoro.

Le note di un nuovo pezzo risuonarono nell’aria, mentre Terence prendeva Candy tra le braccia per ballare.

Provata dalle tante emozioni della serata, Candy si lasciò guidare. Si muovevano lentamente e il cuore di Candy iniziò a battere più forte ad ogni passo. Aveva timidamente poggiato la mano sul suo braccio, ma ad ogni piroetta i loro corpi si avvicinavano sempre più, finché non si rese conto di avergli cinto la nuca. Lui era chinato leggermente verso di lei e la sua guancia accarezzava la sua con delicatezza. Il suo profumo orientale, di cedro e spezie, le penetrò nelle narici.

La donna accanto al piano iniziò a cantare. Candy, che era un’assidua ascoltatrice della radio, riconobbe immediatamente la canzone. Aveva pianto più di una volta ascoltandone le parole, perché riviveva la sua storia ad ogni strofa. Per ironia della sorte, ora che ballava tra le braccia di Terence, quel motivo non le sembrava più così triste come prima, ma mille volte più bello.

Gone is the romance that was so divine.
'Tis broken and cannot be mended.
You must go your way,
And I must go mine.
But now that our love dreams have ended...
What'll I do
When you are far away And I am blue What'll I do?
What'll I do?
When I am wond'ring who Is kissing you What'll I do?
What'll I do with just a photograph To tell my troubles to?
When I'm alone With only dreams of you That won't come true What'll I do?

Terence non fece neppure caso alle parole della canzone; non riusciva a percepire altro che non fosse il calore di lei. Per anni aveva sognato di vivere un momento come quello, stringerla tra le braccia mentre si muovevano lentamente sulla pista da ballo. Il giovane era consapevole di aver oltrepassato i limiti della distanza ammessa tra due ballerini che non fossero sentimentalmente legati, ma non poté farne a meno. L’unica certezza era che quando la stringeva a sé, si sentiva vivo e più audace. Affondò la guancia tra i riccioli profumati di lei. I suoi occhi si persero ad osservare il suo collo e le sue braccia nude. Aveva sempre amato la sua carnagione lattea e l’illusione di nudità creata dal suo abbigliamento era un chiaro invito ad accarezzarla.

Eppure, per il momento, si limitò a farlo con lo sguardo. In quell’istante, mentre le stringeva la vita, si rese conto che il suo piano originale di corteggiare Candy con lentezza e prudenza non era più fattibile. Scrivere delle lettere a una vecchia fiamma di cui aveva conservato il ricordo per anni gli era bastato per qualche mese. Ma ora, dopo quella sera, dopo averla stretta tra le braccia, dopo che il suo desiderio di lei si era riacceso come non mai, capì che era tempo di accelerare le cose.


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Erano quasi le cinque quando fecero ritorno in albergo. Ritirarono le rispettive chiavi alla reception. L’impiegato dell’hotel, che sapeva benissimo chi fossero, lanciò loro uno sguardo d’intesa. Terence pensò che sarebbe stato opportuno mandare Hayward a corromperlo prima della loro partenza da Pittsburgh. L’ultima cosa che gli ci voleva adesso era un articolo scandalistico che coinvolgesse anche Candy. Per quanto volesse gridare a pieni polmoni l’amore che provava per la donna più incredibile del mondo, voleva fare le cose per bene, non intendeva rovinare tutto con un malizioso articolo che avrebbe solo finito per infangare il suo buon nome.

Terence accompagnò Candy nella sua camera, tenendosi a distanza di sicurezza, non osando toccarla di nuovo. Non si fidava del suo autocontrollo ora che erano a pochi metri dalla sua stanza. Quando giunsero davanti alla
porta, lei lo guardò negli occhi e sorrise timidamente.

"Grazie per la bella serata, Terence. Sono stata benissimo".

"Mi fa piacere", rispose lui, senza sapere cos’altro dire. Si domandò se mentre ballavano non avesse letto troppo nei suoi occhi. "Tu. . . tu parti domani?" riuscì infine a mormorare, ignaro dell’ora.

"È già domani, Terence", rise lei, mostrandogli le sue fossette, "ma la risposta è sì, il mio treno parte alle otto, quindi avrò giusto il tempo di fare una doccia e preparare le valigie. Credo che farò colazione in treno per accelerare le cose".

"Ti accompagno", le disse semplicemente.

"No ti prego, non disturbarti. Devi riposare per lo spettacolo di questa sera", disse lei declinando la sua offerta.

"Ho detto che ti accompagno", insistette lui con fermezza, con un senso di déjà vu che aleggiava nell’aria, "Vengo a prenderti tra un paio d’ore. Fatti trovare pronta".

E con queste parole, se ne andò, non concedendole alcuna possibilità di rifiutare.

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Cadeva una neve leggera quando, mezzora prima delle otto, giunsero alla stazione. Terence aveva fatto nuovamente ricorso a uno dei suoi espedienti per sfuggire a un paio di giornalisti che già lo attendevano nella hall. La coppia aveva lasciato l’hotel da uno degli ingressi di servizio, con Candy che rideva di tutto cuore e Terence che sollevava il bavero del suo impermeabile e si tirava giù il cappello.


Avendo trovato l’intera situazione terribilmente divertente, Candy non la smise di prenderlo in giro per il suo aspetto da mafioso e la loro rocambolesca fuga. Terence si vendicò immediatamente dello scherzo ricordandole che alla luce del giorno le sue lentiggini sembravano essersi moltiplicate. Guidando in silenzio verso la stazione, Martin Hayward si chiese cosa stesse accadendo al suo datore di lavoro, solitamente così serio. Erano ancora impegnati in quelle schermaglie infantili quando arrivarono alla stazione.
Hayward aspettò in macchina, mentre la coppia si incamminava lentamente verso il binario, già paventando interiormente l’imminente separazione. Candy aveva indossato un tailleur nero con gonna dritta che le arrivava alle caviglie. L’unico tocco di colore era una sciarpa rossa con una spilla coordinata appuntata sulla sua cloche. Persino con quell’abbigliamento sobrio, Terence pensò che fosse estremamente seducente, con le guance e le labbra più rosse che mai per via del freddo del mattino.
Mentre attendevano che annunciassero il suo treno, Candy gli raccontò dei suoi programmi per le feste. Poi gli chiese cosa avesse intenzione di fare lui, ma Terence si limitò a comunicarle la data in cui avrebbe dovuto concludere la tournée, senza aggiungere altro. Fu allora che una voce all’altoparlante annunciò il treno in partenza per Philadelphia.
Terence si assicurò che un facchino aiutasse Candy a caricare il suo bagaglio sulla carrozza, mentre si attardavano per un po’ sulla banchina.
"Allora passerai il Ringraziamento a Chicago", osservò lui, lo sguardo fisso su di lei.
"Sì, ci sarà anche Albert. Sfortunatamente, sarò costretta a vedere anche Neil e Iriza", aggiunse lei mordendosi il labbro, ignara dell’effetto che quel gesto avesse sul suo interlocutore.
"Una riunione di famiglia in piena regola", la prese in giro lui, ma poi, ricordandosi di quanto fossero odiosi i fratelli Legan, aggiunse, "Prenditi cura di te e tieniti alla larga da quei due, capito?"
"Lo farò, Terence. Non preoccuparti per me. So come cavarmela con loro", rispose con un sorriso, sollevando il pugno chiuso.
"Brava ragazza", rispose lui ricambiando il sorriso, mentre subito dopo si udì il fischio del treno.
"Terence, temo che sia ora di salutarci. Grazie di tutto e stammi bene anche tu", gli disse salendo sul predellino e tendendogli la mano.
"Arrivederci, Candy", le disse, stringendole la mano. Un altro fischio risuonò nell’aria e lui la lasciò andare.
Fece un passo indietro e le voltò le spalle per nascondere il suo turbamento, intenzionato ad allontanarsi dalla banchina. Ma d'un tratto, come il bagliore di un fulmine scoccato da uno degli angoli della sua mente, il ricordo di altri momenti del passato irruppe in lui dandogli una nuova consapevolezza. Improvvisamente, girò sui tacchi e si diresse con passo deciso verso Candy che era ancora in piedi sui gradini della carrozza. Prima che la giovane potesse rendersi conto di cosa stesse accadendo, lo vide mentre si toglieva il cappello con una mano e con l’altra le prendeva il viso, avvicinandosi al suo e catturandole le labbra in un deciso bacio.
Paralizzata e annichilita dalla sorpresa, Candy non reagì. Al contrario, lasciò che le labbra di lui accarezzassero le sue in quel bacio senza tempo, con tocco caldo e umido, scatenandole brividi in tutto il corpo. Fu solo quando il treno iniziò a muoversi che le loro labbra si separarono. L’ultima cosa che Candy vide prima di entrare nella carrozza fu il sorriso compiaciuto di Terence mentre la salutava dalla banchina.
Per un lungo momento, Candice White Andrew non fu in grado di ricordare il proprio nome.

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(1) Il Triangolo d’Oro è il nome del centro storico di Pittsburgh, costituito da un lembo di terra triangolare fiancheggiato da due fiumi.
(2) La Woman's Christian Temperance Union fu un gruppo proibizionista degli anni ’20 che, tra le sue iniziative, ebbe il proposito di educare le famiglie e la società ad astenersi dall’uso degli alcolici.
(3) Il Proibizionismo fu un periodo della storia degli Stati Uniti tra il 1919 ed il 1933 in cui venne sancito il bando della vendita degli alcolici per ragioni etico-politiche.
(4) Il Bara Brith è un dolce di frutta secca tipico della cucina gallese.
 
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13 replies since 28/4/2013, 15:13   58135 views
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