Candy Candy

"La Stagione dei Narcisi" di Josephine Hymes, Traduzione di sailor74 (a.k.a. Ladybug)

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sailor74
view post Posted on 28/4/2013, 17:06 by: sailor74     +5   +1   -1

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CAPITOLO 4
Ritratto di Famiglia


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Candy percorse la carrozza in stato di semi-incoscienza. Pur mantenendo saldamente un piede davanti all’altro, aveva comunque la sensazione di volare. Dopo aver urtato alcuni passeggeri causandone l’irritazione, cosa che ignorò, vista la sua totale incapacità di percepire cosa stesse accadendo intorno a sé, raggiunse finalmente il suo scompartimento. Tuttavia, restò per un attimo in corridoio, le labbra che ancora le bruciavano per il delizioso formicolio lasciatole dal bacio. Improvvisamente, non ebbe più importanza che la giornata fosse nuvolosa e fredda; per lei era come se il sole splendesse alto nel cielo e il mondo intero fosse un meraviglioso miracolo.

Era accaduto tutto troppo velocemente. Quando l’aveva visto avvicinarsi, il suo cuore si era fermato e, mentre le labbra di lui si poggiavano sulle sue, l’intera stazione era improvvisamente svanita. Il bacio era stato come l’aveva sempre sognato e persino molto di più. Non aveva mai sentito un brivido di tale intensità attraversarle le vene come nel breve minuto in cui lui l’aveva accarezzata così dolcemente e al tempo stesso così risolutamente. Un inebetito sorriso si diffuse lentamente sul suo volto, mentre finalmente si metteva a sedere. Fortunatamente era sola.

Distese le braccia e si cinse il collo con le mani, tirando un profondo sospiro. Mentre lasciava uscire l’aria dai polmoni, sentì chiaramente che quell’opprimente ombra che per tanto tempo aveva offuscato la sua vita si stava lentamente allontanando. Non riusciva a pensare ad altro.

“Non è stato un caso. Si è voltato con la precisa intenzione di farlo. Questo cambia tutto fra noi!"

Candy sollevò lo sguardo ripensando con espressione sognante a quello che era accaduto la sera prima. Rivide il suo volto, sempre così serio in tutte le sue fotografie, ma praticamente raggiante mentre ballavano. Ripensò anche a come lui, sin dall’inizio, avesse sempre cercato un contatto con lei ed a quella strana luce nei suoi occhi quando credeva che lei non lo stesse guardando.

"È solo un vecchio compagno di scuola con il desiderio di recuperare l’amicizia in nome dei bei vecchi tempi?"
“I vecchi amici non lanciano quegli sguardi di fuoco" si rispose raggiante, "I vecchi amici non baciano in quel modo!" ammise finalmente, toccandosi le labbra e con esse la prova innegabile delle sue intenzioni.

Non riusciva a credere alla sua fortuna. Tutto quello che era accaduto durante la serata e poi successivamente era stato così incredibilmente perfetto, da spingerla ancora una volta a darsi un pizzicotto. Il formicolio che ne seguì fu quanto mai gradito. No, questa volta non stava sognando. Doveva semplicemente ammetterlo. Terence era interessato a qualcosa di più dell’amicizia e lei era ben felice di ricevere le sue attenzioni.

"E adesso?" si domandò improvvisamente, "Cosa dovrò aspettarmi? Come dovrò reagire?"

Mille domande affollavano la sua mente, ma questa volta l’incertezza rendeva quel brivido ancora più emozionante. Era come se il tocco di lui le avesse dato nuova forza rendendola imperturbabile. Sentendo che l’atmosfera si era surriscaldata, la giovane aprì il finestrino e si sostenne con le mani per sporgere la testa fuori. Il panorama dalle tinte dorate stava gradualmente lasciando spazio al bianco. Un vento gelido le penetrava nelle ossa e le sferzava il viso, ma lei non ci fece caso.
Con la testa che le girava, gridò a pieni polmoni:

"Terence, ti amo più di chiunque altro! Ti ho sempre amato!"

Il treno continuò la sua corsa portandola lontano da Terence, ma per la giovane la distanza tra di loro non contava più nulla ormai.


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L’incessante sferragliare del treno era quasi impercettibile nell’elegante carrozza ristorante, mentre l’atmosfera era pervasa dal tintinnio dell’argenteria e dei calici. Robert Hathaway osservò il riflesso della luce sul liquido ambrato del suo brandy. Da dietro al suo bicchiere, poteva scrutare l’espressione imperturbabile del suo compagno di viaggio, intento a fumare una sigaretta ed a sorseggiare distrattamente una tazza di thè nero. Per la centesima volta, Hathaway si chiese come avrebbe potuto porgli la domanda che gli bruciava dentro da un po’.

"Abbiamo avuto due serate grandiose a Pittsburgh, non è vero?" esordì finalmente.

"Altroché, Robert", rispose il giovane dall’altro capo del tavolo.

"Il Gayety è un bel teatro; i camerini, però, lasciano alquanto a desiderare. Dovrebbero ristrutturarli al più presto".

"Dici? Io non ho notato nulla che non andasse", commentò Terence, mentre soffiava via il fumo della sigaretta.

"Ci sono parecchie cose che non noti ultimamente. In ogni caso, non intendo lamentarmi; non hai mai recitato così bene" aggiunse Hathaway, poggiando il bicchiere vuoto sul tavolo.

"Lo prendo come un complimento".

"È la pura e semplice verità. Hai dato il massimo negli ultimi due giorni", proseguì Robert con espressione seria. "Di fatto, mi sono chiesto perché avessi aspettato di arrivare a Pittsburgh per regalarci la tua migliore interpretazione di Macbeth, anziché farlo in occasione della prima”.

Terence picchiettò la sigaretta sul posacenere e lanciò uno sguardo a Robert, sollevando il suo ormai ben noto sopracciglio.

"Non l’ho fatto di proposito", rispose semplicemente.

"Stai scherzando", ridacchiò l’uomo, "Non credo affatto che tu non l’avessi calcolato. Sei sempre stato un sostenitore della tecnica e del metodo prima che dell’ispirazione e dell’intuito. Non ne abbiamo già parlato centinaia di volte? Devo forse ricordarti che sei tu quello che non crede alla fortuna quando si tratta di recitazione?"

"No, non c’è bisogno che me lo ricordi. So bene come la penso riguardo alla recitazione", osservò il giovane, "Sono tuttora convinto che la preparazione ed il controllo della tecnica siano fondamentali per un attore. Forse però, dovrei riconsiderare quello che ho detto tempo fa rispetto alle altre fonti a cui un attore può far ricorso per migliorare", concluse, mandando giù l’ultimo sorso di thè.

Hathaway guardò Terence come se fosse impazzito. Il breve silenzio che seguì non sembrò turbare Grandchester, che continuò ad ammirare il paesaggio che scorreva davanti ai suoi occhi.

"Devo dedurne che la tua recitazione a Pittsburgh sia stata il risultato di. . . di un’ispirazione?" chiese finalmente Hathaway, mal celando un certo scetticismo.

"Non saprei, Robert. È successo e basta", rispose Terence spegnendo la sigaretta e alzandosi in piedi, "Forse è stata un’ispirazione. . . o forse è stato il tocco di un angelo", suggerì, per poi aggiungere: "Credo che andrò a riposarmi un po’, Robert. È stato un piacere".

"Altrettanto", disse Hathaway, continuando a rimuginare su quello che Terence gli aveva appena detto.

Con entrambe le mani infilate in tasca, il giovane si diresse pigramente verso il suo scompartimento. La sua espressione era austera come al solito, ma dentro di sé si sentiva finalmente vivo. Per la prima volta in tanti anni, una ventata di ottimismo gli pervase la mente e gli sollevò il morale.

Entrò nel suo scompartimento e si tolse la giacca, mettendosi a sedere soddisfatto. A volte non riusciva ancora a credere a quello che era accaduto. Nelle sue alquanto sfortunate esperienze in amore, non ricordava un momento più felice e appagante. Ovviamente, c’erano i ricordi di quei giorni sereni passati in Scozia. Tuttavia, per quanto si trattasse di ricordi unici per la gioia innocente e pura che gli avevano donato, non erano paragonabili a quella nuova sensazione, generata dall’aver ritrovato quello che aveva un tempo perso.

Distrattamente, accarezzò la tappezzeria del sedile con le dita. Ripensò alle sensazioni che aveva provato mentre la stringeva tra le braccia; le stesse del passato e tuttavia diverse in intensità e profondità. Mentre ballavano, era rimasto piacevolmente sorpreso dai cambiamenti che la natura aveva operato su di lei. La bella ragazza dagli occhi espressivi aveva lasciato il posto a una donna dall’aspetto aggraziato e dalle seducenti curve, tutte al posto giusto. Gli occhi espressivi erano sempre lì, ma ora esprimevano ancor più intensamente i suoi sentimenti e le sue labbra avevano un sapore più dolce.

"Mia cara, ora sai come ricambiare un bacio", pensò soddisfatto, sentendo ancora le labbra di lei che rispondevano alle sue. "Se avessi saputo che non mi avresti schiaffeggiato, mi sarei deciso molto prima".

Ricordò che in un primo momento le aveva semplicemente stretto la mano per augurarle buon viaggio, con tutte le intenzioni di salutarla in termini amichevoli. Improvvisamente, mentre si allontanava, gli erano tornati alla mente i ricordi del passato. Si rivide mentre resisteva all’impulso di abbracciarla mentre sedevano davanti al fuoco in Scozia; sentì nuovamente tutta la sua frustrazione alla stazione di New York quando non aveva osato stringerla tra le sue braccia lì, davanti a tutti; e soprattutto, rivisse la sua disperazione mentre la vedeva allontanarsi dall’ospedale il giorno successivo. Era stato in quel momento che aveva deciso di buttare la cautela alle ortiche. E il risultato era stato magnifico! Sentiva ancora il sapore delle labbra turgide di lei sulla sua bocca.

"Ma sappi che sono un uomo avido, Candy", continuò con le sue riflessioni, "e ultimamente ho notato che il tempo non mi ha reso affatto più paziente. Anzi, esattamente il contrario. Un bacio è ben più di quello che mi sarei aspettato al nostro primo incontro; eppure, ora che l’ho ottenuto, voglio per me tutti i baci che le tue labbra mi sapranno dare e persino di più. E sappi anche, milady, che non avrò pace finché non ti possiederò in ogni modo in cui un uomo possa possedere una donna. Devi essere mia; come avrebbe dovuto essere sin dall’inizio. Questa volta non permetterò a nessuno di mettersi fra noi".

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Sembrava una mattina perfetta. Il giovane si sfiorò leggermente i capelli biondi, pettinati accuratamente all’indietro per lasciargli scoperto il viso. Seduto a tavola, leggeva il giornale in silenzio mentre era intento a fare colazione. Ogni dettaglio del suo abbigliamento era stato scelto con la massima cura, dalla camicia a doppio polso alla giacca doppiopetto fatta su misura, tutto era all’altezza dei suoi costosi gusti. Sua moglie si era premurosamente assicurata che ogni suo desiderio durante il pasto fosse soddisfatto e il caffè stava facendo il suo dovere, preparandolo ad affrontare la solita giornata di lavoro.

Non c’era nulla di particolarmente rilevante nella cronaca di quella mattina. Sfogliò con attenzione le pagine della finanza, poi si soffermò sulle notizie di attualità e stava per mettere da parte il giornale, quando un titolo nella rubrica dedicata allo spettacolo attrasse la sua attenzione. Un sardonico sorriso gli increspò le labbra per un secondo.

"Ecco, sta finalmente mostrando il suo vero volto", disse Archie ad alta voce, passando la pagina a sua moglie che era tranquillamente intenta a sorseggiare il suo thè, "Ora che quella Susanna Marlowe non c’è più, si sta rivelando il volgare donnaiolo che ho sempre creduto fosse. Guardalo!"

Annie sgranò gli occhi alla vista della foto di un uomo e una donna stretti in un bacio appassionato.

"E ha anche il cattivo gusto di sbandierare le proprie conquiste alla luce del giorno. Non è un sollievo che non sia entrato a far parte della nostra famiglia? Candy dovrebbe rallegrarsi di averla scampata", aggiunse Archie mentre si alzava da tavola.
La giovane non replicò al commento del marito, limitandosi a mormorare un frettoloso "buona giornata, tesoro" senza staccare gli occhi dal giornale. Il titolo diceva:

"Una nuova Giulietta per Romeo. La famosa star di Broadway ha trovato un nuovo amore?"
La foto ritraeva Terence Graham in persona mentre baciava una donna il cui viso era parzialmente nascosto da una cloche scura e dalla mano dell’attore, che le accarezzava la guancia. L’autore dell’articolo specificava che l’identità della dama era ancora sconosciuta. La foto era stata scattata alla stazione di Pittsburgh una settimana prima. Socchiudendo gli occhi, Annie osservò la foto con sospetto. Improvvisamente, un enigmatico sorriso le illuminò il volto.


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Una sera di alcuni giorni dopo, Candy si trovava nella sua camera d’albergo a Boston. Aveva scritto una lunga lettera a Miss Pony e a Suor Maria con le ultime notizie riguardo al suo viaggio. La campagna di raccolta fondi era stata un grande successo e lei era entusiasta delle opportunità che il nuovo anno sembrava avere in serbo per i bambini della Casa di Pony. Ora era tempo di preparare i bagagli. Il giorno dopo sarebbe finalmente partita per Chicago.

Candy iniziò a piegare i suoi vestiti per metterli in valigia. Poi, prese il suo vecchio libro di preghiere dal comodino e lo aprì proprio al centro. I suoi occhi scintillarono di gioia alla vista del logoro ritaglio di giornale con la primissima recensione che riguardava Terence, pubblicata nel 1914. La portava con sé da allora, così come aveva ricordato il suo nome in tutte le sue preghiere. Ora, nella pagina successiva, aveva pressato un iris e un narciso della composizione floreale che lui le aveva inviato.

Il telefono squillò, destandola dai suoi sogni ad occhi aperti.

"Signorina Andrew, c’è una telefonata da Chicago per Lei. Una certa Sig.ra Cornwell desidera parlarLe. Le passo la chiamata?" chiese l’operatore.

"Sì, faccia pure, grazie", si affrettò a rispondere e, subito dopo, un eloquente click le fece intendere che la connessione era stata stabilita, "Annie, sei tu?"

"Sì, Candy, come stai?"

"Abbastanza bene, Annie, sto facendo le valigie. Non vedo l’ora di vederti".

"Anch’io" replicò Annie con entusiasmo, "La cena per il Ringraziamento sarà memorabile quest’anno. I genitori di Archie sono arrivati proprio due giorni fa e ci saranno anche i miei".

"È una notizia fantastica! Ora dobbiamo solo sperare che Neil e Iriza prendano un bel raffreddore o qualcosa del genere e tutto sarà perfetto".

"Non essere maligna. Ultimamente sono diventati molto più cortesi", la rimproverò Annie.

"Quindi sarei stata io quella maligna negli ultimi quattordici anni, Annie? Tra l’altro, non scambierei la loro ipocrisia per cortesia. Comunque, non ha importanza. Albert è già a casa?"

"Oh, sì. È arrivato questo pomeriggio. Abbiamo pranzato insieme. È piuttosto abbronzato e credo anche che abbia messo su qualche chilo". “Mi fa piacere! L’ultima volta, quando è rientrato dal Brasile era fin troppo magro. Muoio dalla voglia di vederlo. Me lo puoi passare?"

“Mi dispiace, Candy, ma lui e Archie sono fuori al momento, avevano una lunga riunione con i soci. In realtà ti ho chiamato adesso perché desideravo chiederti un favore".

“Davvero? Cosa posso fare per te?" chiese Candy curiosa.

“Beh, è una sciocchezza, ma vorrei che mi accontentassi", le disse Annie un po’ incerta, “Immagino starai preparando quello che intendi indossare per il viaggio, giusto?"

“Certo".

“Potresti evitare di mettere la tua spilla rossa domani?" disse finalmente Annie.

“La spilla rossa? E posso chiederti il perché?"

“Te lo dirò quando ci vedremo. Mi raccomando, assicurati di non indossarla. Fidati di me stavolta. Me lo prometti?" la pregò Annie.

“Non ti preoccupare, Annie, sarò felice di accontentarti".

Le due amiche conversarono ancora un po’ e infine si salutarono. Quando Candy riagganciò, riprese a fare le valigie, assicurandosi di ottemperare alla bizzarra richiesta della sua amica. La bionda pensò che era da tempo che non sentiva Annie così emozionata.


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L’immensa fiumana di gente che andava su e giù per la stazione centrale di Chicago sembrava essere senza fine. Candy si ricordò della mattina in cui era stata lì per la prima volta. Era stata mandata a Chicago dalla Scuola per Infermiere Mary Jane per completare il corso insieme a quattro delle sue compagne. La maggior parte di loro non erano mai state in una grande città ed erano colpite e persino un po’ intimorite dalla folla che sembrava muoversi all’unisono, come un mostro gigante che divorava lentamente la strada. Persino Candy, che era già stata a New York ed a Londra prima di allora, aveva trovato Chicago di grande effetto. Quante cose erano accadute da quel giorno! Ora, mentre scrutava impazientemente la folla, Candy ripensò a quello che era accaduto undici anni prima proprio a Chicago, e ringraziò nuovamente il Signore per averle dato l’opportunità di ritrovare Albert in quella stanza d’ospedale. Da allora, malgrado i suoi infiniti viaggi ed i molteplici impegni d’affari, erano diventati legatissimi.

Ormai sapeva bene che in qualunque parte del mondo si fosse trovato, sarebbe sempre stata legata a lui da fili invisibili, forti e veri come se nelle loro vene scorresse realmente lo stesso sangue. Lui era la roccia viva a cui aggrapparsi nei momenti di dolore e lei era il suo faro nella più buia delle notti. Si davano conforto e consolazione in un modo che molti fratelli avrebbero invidiato.

La giovane si guardò intorno iniziando a preoccuparsi. Essere in ritardo non era da George e dato che era sempre lui a trascinare letteralmente Albert ad ogni appuntamento, era alquanto strano non vederli lì ad attenderla. Poi, mentre ispezionava la banchina per la terza volta, riuscì finalmente a distinguere la figura slanciata dai capelli biondo cenere che desiderava così tanto vedere.

"Candy! Candy!" gridò lui con entusiasmo mentre si sbracciava per salutarla.

La giovane, dimenticando il contegno che una dama della sua età avrebbe dovuto mantenere, iniziò a correre a perdifiato verso l’uomo, che indossava un elegante soprabito a doppio petto. Se Albert non fosse stato così forte e robusto, sarebbe stato sicuramente travolto dall’impeto di Candy quando lei finalmente lo raggiunse per abbracciarlo.

"Dio mio! Non riesco a credere che tu sia qui, Albert!" disse nascondendo il viso sul suo ampio petto. "Sono così felice!"

"Lo sono anch’io, Candy!" rispose lui con un sorriso, "Mi sei mancata immensamente. Su, lasciati guardare", e nel dire ciò la allontanò dolcemente da sé per scrutarla meglio.

Con sguardo fiero, l’uomo osservò il soprabito di un blu cobalto acceso ed il cappello nero a tesa larga con piume blu che incorniciava il viso di Candy, lasciando intravedere i suoi riccioli dorati. Dietro la veletta nera, ritrovò i vivaci occhi verdi e le adorabili fossette che amava così tanto. Il suo sorriso si fece più luminoso.

"Riesco ancora a intravedere la ragazzina dietro quest’aspetto da donna affascinante", le disse dolcemente.

"Ed io riesco ancora a riconoscere il mio caro Prozio sebbene sia travestito da uomo attraente e abbronzato”, rispose lei, non lasciandosi sfuggire l’opportunità di scherzare con Albert, "Lo sai che malgrado la tua età, caro zio, sembri alquanto ringiovanito? È stato forse il sole dei luoghi che hai visitato a operare il miracolo?"

"Oh, no, non ricominciare, Candy. La smetterai mai?" rise lui mettendole un braccio intorno alle spalle con affetto, "Credo che faresti meglio a salutare George, non credi?"

Seguendo il suo suggerimento, Candy si voltò e il suo sguardo si posò sulla figura snella e impeccabile di George Johnson, che ad eccezione di una lieve brizzolatura sulle tempie, non era cambiato di una virgola rispetto al ricordo che Candy serbava di lui sin dall’infanzia.

"Come sta, George?" Candy lo salutò calorosamente tendendogli la mano.

"Molto bene, Signorina Candy," le rispose lui con un lieve inchino, facendole il baciamano, "Sono lieto di constatare che anche Lei sta bene".

"Ho visto che si è preso grande cura del mio caro Paparino", insistette, alzando gli occhi al cielo.

"Ho fatto del mio meglio, Signorina Candy", rispose l’uomo soffocando un sorriso, ma tornando immediatamente serio dopo aver lanciato uno sguardo al volto imbronciato di Albert, "Se permette, Signorina Candy, mi occuperò io del suo bagaglio".

"Oh, grazie, George. Vada pure e non si preoccupi del mio Paparino, vedo che sta bene. A proposito, caro papà, dov’è il tuo bastone da passeggio?"

"Andiamo, Candy-la piagnucolona", rispose Albert amabilmente, continuando a cingerle le spalle con il suo protettivo braccio, "andiamo a casa prima che tu mi costringa a sculacciarti in pubblico".

"Non chiamarmi piagnucolona! Stai parlando con una donna adulta ormai, piccolo Bert", gli rispose lei per le rime.

Il giocoso battibecco proseguì ancora per un po’, sebbene avessero già raggiunto l’auto. Entrambi percepivano chiaramente i propri cuori scaldarsi in presenza l’uno dell’altra, come accadeva ogni volta che si incontravano. Seduto accanto all’autista, George Johnson poté finalmente dar libero sfogo ad un sorriso. Era grato a Candy di essere parte di quella famiglia costantemente segnata dalla tragedia e particolarmente incline ad un’eccessiva severità, per la quale una personalità solare come la sua costituiva una boccata d’aria fresca. Prima di lei, era stata Rosemary l’unica della famiglia Andrew ad avere un carattere aperto. Con suo grande dolore, lei se n’era andata da più di vent’anni ormai. George pensò che nessuno avrebbe potuto prendere il suo posto, se non Candy. Nel corso degli anni, aveva imparato che quella ragazzina bionda, malgrado il suo aspetto così fragile e vulnerabile, era dotata della presenza di spirito e della forza che erano mancate a Rosemary. George pensò che fosse un bene averla lì accanto al Sig. Albert.

La lussuosa Rolls-Royce nera lasciò Michigan Avenue dirigendosi verso il Near North Side. Ben presto, i grattacieli lasciarono spazio alle lussuose dimore della Gold Coast, prima fra tutte la Palmer House che troneggiava sul profilo della città. La villa degli Andrew si trovava ai margini del quartiere, praticamente alla periferia di Chicago. Oltre i vasti terreni che circondavano la proprietà, si estendeva la campagna del Midwest con il suo imponente manto di foglie dorate.

Quando l’auto finalmente si fermò davanti all’ingresso principale della villa, un piccolo fulmine sfrecciò fuori dalla casa catapultandosi giù per la scalinata e finendo la sua corsa tra le braccia di Candy, che accolse con affetto il corpicino di suo nipote.

"Zia Candy! Zia Candy! Ci hai messo toppo!" disse il bambino stringendo il viso di Candy tra le sue manine, mentre lei lo prendeva in braccio.

"Troppo? Ti ho fatto aspettare, Stair?" gli chiese, notando con sorpresa i tondi occhiali che indossava, "Hey, che ci fai con questi occhiali, tesoro?"

"Me li ha regalati papà per il compleanno", spiegò il bambino toccando la montatura dei suoi occhiali, "Sono crante adesso".

"Sei grande, eh?" lo corresse Candy, "Sei davvero molto bello!"

Il bambino fece un naturale cenno di assenso, scatenando l’ilarità di Candy.

"Lo sai che gli uomini intelligenti portano sempre gli occhiali, non è vero?" gli chiese, "Tuo zio Stair non li toglieva mai!"

Il bambino corrugò la fronte come per cercare di capire quello che gli aveva appena detto Candy.

“Zio Bert li porta quando legge", rifletté il bambino poggiandosi il ditino sul mento, “. . . ma papà no".

“Oh, beh tesoro, era tuo zio Stair il più intelligente della famiglia", disse Candy ridacchiando.

“Parli di me alle mie spalle, ragazzaccia", una voce maschile le fece sollevare lo sguardo ad incrociare gli occhi nocciola di Archibald Cornwell.

“Assolutamente no, ti ho sempre detto che sei alquanto frivolo quando non fai che parlare di completi e cravatte", rispose la bionda, mettendo giù il bambino per stringere suo cugino in un forte abbraccio, “ma sai anche che ti ho sempre voluto bene lo stesso".

Il giovane la baciò sulla guancia, poi le prese la mano e la poggiò nell’incavo del suo braccio.

“E tu sei sempre la stessa sfacciata che crede che basti un semplice abbraccio per far dimenticare le sue offese", rispose lui con un caldo sorriso.

“Non posso parlare per gli altri, ma sono certa che il mio caro Archie non sarebbe capace di tenere il broncio a sua cugina Candy, vero?" rispose lei.

“Mi piacerebbe contraddirti, ma non posso", ammise lui.

“Sono proprio necessari gli occhiali?" chiese poi Candy, abbassando la voce, mentre il bambino correva a salutare Albert.

“Purtroppo sì. È inciampato sulle scale un paio di volte e aveva problemi quando colorava i suoi libri. Credo che avessi ragione quando hai detto che assomiglia tantissimo a mio fratello".

“Ma è assolutamente adorabile con gli occhiali", commentò Candy allegramente, voltandosi indietro a guardare Albert che si metteva il bambino a cavalcioni sulle spalle.

“Lo penso anch’io", disse una voce femminile che si unì al gruppo, “Sono così felice di rivederti, Candy".

“Annie, cara!" esclamò Candy, sempre felice di rivedere sua sorella, “Mi sei mancata così tanto".

La bionda si allontanò da Archie per abbracciare Annie con la stessa alacrità con cui aveva salutato suo marito.

“Com’è andato il viaggio, cara?", chiese Annie fissando intensamente la sua amica.

“Beh, è stato un successo assoluto! Faremo delle cose meravigliose per i bambini l’anno prossimo. Ci pensi, Annie? I bambini della casa di Pony che non saranno adottati avranno comunque la possibilità di andare all’università, se ne avranno voglia!" "È fantastico, Candy", commentò Albert che nel frattempo li aveva raggiunti. Devi raccontarci tutto per filo e per segno".

"Temo che dovrete aspettare fin dopo pranzo", intervenne Annie prendendo Candy per mano e lanciando un sorriso agli uomini, "Candy e io abbiamo alcune cose di cui discutere; sapete, roba di donne", e prima che potessero obiettare, Annie si allontanò con la sua amica su per le scale e attraverso gli immensi corridoi della villa.

Entrarono in una stanza dal parquet lucente e dalle mura di un delicato verde menta, arricchita da stucchi floreali bianchi sul soffitto. Era la stanza di Candy lì a Chicago, dove una domestica era già impegnata a sistemare gli abiti della giovane nell’armadio.

"Maria, puoi scusarci per un momento?" chiese Annie quando la vide. Prima che Candy potesse protestare, la giovane domestica fece un breve inchino e si allontanò.

"Buon Dio, Annie, avresti dovuto lasciarle finire il suo lavoro. Ora che ci penso, posso disfare il mio bagaglio da sola; non disturbarla più, per favore".

Candy si tolse il cappello, poggiandolo sul suo tavolino da toilette bianco, e appese il cappotto nell’armadio. Essendo un’amante dell’ordine e della pulizia, Candy decise che avrebbe potuto chiacchierare con la sua amica mentre sistemava il resto dei suoi indumenti. Annie prese posto su un divanetto a righe, accanto a una grande portafinestra. Per un po’, si limitò ad osservare la bionda che, impegnata nel suo compito, andava su e giù per la stanza.

"Immagino che tu voglia sapere dei Sutton e della loro nuova casa a Boston, non è vero Annie", chiese Candy con un sorriso, intuendo che Annie aveva cercato un po’ di privacy per farsi raccontare i pettegolezzi più succosi che aveva raccolto durante il suo viaggio.

"Beh, sì, ma più tardi", esitò Annie con le mani sulle ginocchia, "Ci sono altre cose che vorrei sapere prima. Per esempio, com’è stato lo spettacolo di Terence a Pittsburgh?"

L’improvvisa domanda cancellò subito il sorriso dal volto di Candy, che la guardò con gli occhi sgranati - semmai fosse possibile farli apparire ancora più grandi – restando a bocca aperta; eppure, non riuscì a proferire parola.

"Candice White Andrew, non osare mentirmi questa volta. So per certo che vi siete visti a Pittsburgh!" la ammonì Annie sventolando un dito in aria.

"A-Annie, io, io, non capisco, cosa ti fa pensare che l’abbia visto?" balbettò infine Candy, ancora scioccata dalla fermezza dimostrata da Annie.

"Oh sì che l’hai visto, Signorina Andrew e ti ordino di vuotare il sacco all’istante. E per favore, scordati che questa volta mi beva la storia che siete solo due amici che si ritrovano, non crederò più a una sola parola di tutto ciò".

"Annie. . . non so cosa dire. . ." mormorò Candy, accomodandosi accanto all’amica e domandandosi, nel frattempo, da quando Annie fosse diventata chiaroveggente.

Iniziando a innervosirsi davanti alla riluttanza di Candy a parlare, Annie si alzò, si avvicinò al tavolino da toilette e prese un giornale da un cassetto, poi si voltò verso Candy e glielo lasciò cadere in grembo.

"Potresti iniziare con lo spiegarmi cosa significa questa", disse la brunetta, incrociando le braccia al petto.

Questa volta, quando vide la foto di Terence che la baciava a Penn Station, gli occhi di Candy schizzarono quasi fuori dalle orbite. Nemmeno nei suoi sogni più fantasiosi avrebbe pensato di poter essere coinvolta in un’indiscrezione di questa portata. Era impallidita talmente da aver assunto un aspetto diafano.

"Santi numi!" disse finalmente quando riuscì a recuperare la voce, "Non mi sono accorta dei flash; non c’erano fotografi in giro. . ."

"Forse non li hai notati perché avevi gli occhi chiusi", suggerì Annie con una risatina.

"Non prendermi in giro, Annie. Cosa farò adesso? La Zia Elroy lo sa?" chiese la bionda, visibilmente preoccupata.

"Oh, Candy, non farne un dramma! Non lo sa nessuno a parte me", disse Annie, cercando di tranquillizzare l’amica.

"Ma è sui giornali davanti agli occhi di tutti! Come fai a essere sicura che non lo sappia nessun altro?"

"Ora ho la conferma che sei proprio stracotta di Terence", disse Annie, "Non ti sei accorta che nell’articolo non si cita il tuo nome e in foto il tuo viso non è riconoscibile?"

Candy guardò nuovamente l’articolo. Era vero. Diceva solo che Terence Graham era stato visto alla Penn Station di Pittsburgh mentre baciava una donna sconosciuta. Il resto della storia conteneva solo illazioni sulla serietà della relazione e sulla stranezza di una manifestazione pubblica di quel tipo, specialmente considerato il personaggio da cui proveniva, sempre estremamente riservato riguardo alla sua vita privata.

Un secondo sguardo alla foto confermò l’osservazione di Annie. La cloche di Candy le aveva fatto il favore di nasconderle il viso. Poi rivolse lo sguardo ad Annie con aria interrogativa.

"È stato facile per me capire che fossi tu", spiegò Annie rispondendo all’implicita domanda di Candy. "Ho riconosciuto la tua spilla. Ricorderai senz’altro che te l’avevo presa io nel mio negozio preferito lungo il Magnificent Mile. Quindi, ho verificato il tuo programma di viaggio con George per avere la conferma che ti trovassi a Pittsburgh nello stesso giorno in cui c’era anche Terence. Fare due più due è stato semplicissimo", disse mentre prendeva l’oggetto incriminato dal nécessaire di Candy. Era una spilla a forma di farfalla con cristalli di Boemia di colore rosso, abbastanza grande da essere distinguibile in foto.

"Sei certa che nessun altro della famiglia abbia visto questa foto?" le chiese nuovamente Candy, ancora dubbiosa.

"Archie l’ha vista, ma non ti ha riconosciuta. Non sa nulla del fatto che tu e Terence siate di nuovo in contatto; quindi pur avendo visto la foto, non ha avuto alcun sospetto. Presumo che vorrai mantenere il segreto per un po’, specialmente con Archie, visto che non ha mai nutrito grande simpatia per Terence. Ecco perché ti ho chiesto di non indossare la spilla. Non volevo correre il rischio che lui scoprisse tutto. Lo sai che ha occhio per gioielli e vestiti. Anche se la foto è in bianco e nero, temevo potesse riconoscere la spilla, nel caso l’avessi indossata questa mattina".

“Grazie, Annie. Sei stata molto astuta. Credo che sia meglio che Archie resti all’oscuro di tutto ciò per ora; almeno finché non capirò cosa mi aspetta adesso".

“Bene, sei in debito con me e intendo riscuotere subito. Dettagli, Candy, voglio un resoconto completo con dovizia di particolari e in cambio ti farò un’altra sorpresa, che tra l’altro sono certa adorerai", le promise la giovane con gli occhi che le brillavano per l’emozione.

Consapevole di non avere altra scelta, ma anche bisognosa di poter dare un po’ di sollievo al proprio cuore, Candy le raccontò per filo e per segno tutto quello che era accaduto. Essendo un’eterna romantica, Annie si sentì girare la testa per l’emozione mentre immaginava l’incontro tra i due amanti osteggiati dal destino. Nel profondo del suo cuore, Annie non aveva mai accettato la separazione di Candy e Terence, incapace di comprendere la decisione di Candy. Tuttavia, una volta ufficializzata la sconsiderata rottura, Annie aveva finito per sperare, piuttosto che credere, che un giorno la sua amica avrebbe potuto dimenticare Terence e innamorarsi di nuovo. Eppure, ora che vedeva Candy letteralmente raggiante mentre le raccontava gli ultimi eventi, Annie comprese finalmente che tutti i suoi tentativi di sistemarla sarebbero stati comunque destinati a fallire. Apparentemente nemmeno il destino era riuscito ad avere la meglio su un amore così profondamente radicato e avvincente.

“Oh, Candy, le cose sarebbero dovute andare così sin dall’inizio", osservò Annie, prendendo la mano dell’amica tra le sue, “E pensare che ha continuato ad amarti per tutti questi anni, sebbene fosse fidanzato con un’altra. Sembra uno di quei romanzi d’amore".

“Dio mio, Annie, stai di nuovo saltando a conclusioni affrettate. Non ha mai detto nulla del genere. Mi ha solo spiegato che i suoi sentimenti per Susanna non erano poi così forti", controbatté Candy.

“Candy, mi stupisco che una persona così brava in sala operatoria e così abile nella raccolta fondi come te, possa essere talmente ottusa a volte", disse Annie lanciandole un’occhiata di traverso, “Chiunque avesse visto come ti guardava Terence, come ho fatto io in Scozia, si sarebbe accorto che era cotto di te. Dovevi vederlo quella sera a Chicago quando ha recitato nella parte del Re di Francia. Quando ha scoperto che vivevi qui, il resto del mondo ha cessato di esistere per lui e l’unica cosa che gli importava era trovarti. Dubito che avrebbe mai potuto dimenticarti con quella scialba Susanna Marlowe".

“Non parlare così, Annie. Lei è morta".

“Lo so, lo so, ma è la verità. Non valeva nulla in confronto a te e non cominciare a blaterare di quanto fosse bella e gentile, perché non lo sopporterei. Ma se non ci credi, chiedilo a Terence la prossima volta che lo vedrai. E sono certa che lo vedrai molto presto".

“Lo pensi veramente?" chiese Candy dubbiosa.

Annie sorrise compiaciuta e si alzò ancora una volta per prendere una grossa busta dallo stesso cassetto del tavolino da toilette. Si voltò e guardò Candy dritto negli occhi, sostenendo il suo sguardo interrogativo, e dopo un attimo di suspense disse: "Il tuo Terence è un uomo astuto. Sai, la settimana scorsa è stato qui".

"È venuto alla villa!" chiese Candy, impallidendo nuovamente.

"Certo che no, Candy. Sa benissimo che almeno uno degli abitanti di questa casa non sarebbe felice di vederlo. Ha recitato al Teatro Baker per due giorni. Iriza ti fará sicuramente un resoconto dettagliato del suo spettacolo domani sera durante la cena del Ringraziamento. Ma poco importa. Ha mandato il Sig. Hayward in sua vece a cercare espressamente me per darmi questa", spiegò Annie consegnando a Candy la busta sigillata, su cui non era scritto nulla, né mittente, né destinatario.

"Quell’uomo non ha mai fatto il nome di Terence con la servitù. Ha solo detto di avere un plico per te e che avrebbe dovuto consegnarlo direttamente a me.
Una volta soli, il Sig. Hayward mi ha spiegato che il messaggio era di Terence ed era indirizzato a te. Sicuramente non voleva correre il rischio che fosse intercettato da qualcuno che non aveva piacere di sapere che siete di nuovo in contatto. È sempre stato un tipo perspicace; chissà perché immaginava che sarei stata tua alleata in questa delicata questione".

Candy rivolse nuovamente lo sguardo alla busta. Era piuttosto grande e chiaramente conteneva qualcosa di più di una semplice lettera.

"Adesso ti lascerò sola con la tua lettera, che considerate le proporzioni della busta, sarà quantomeno chilometrica. Il pranzo sarà servito entro un’ora. Saremo solo noi, perché la Zia Elroy è a fare compere con la Sig.ra Legan. Pertanto, avremo la massima tranquillità".

Candy non rispose, ma Annie non si aspettava che le prestasse granché attenzione ora che stringeva la lettera tra le mani. Pertanto, si limitò ad uscire dalla stanza ed a chiudere la porta dall’interno per dare a Candy un po’ più di privacy.

Una volta rimasta sola, Candy prese un tagliacarte dal suo secretaire e aprì la busta con mani tremanti. Una volta visualizzatone il contenuto, rimase senza parole. Dentro la busta, infatti, c’era la stessa foto che era stata pubblicata sul giornale, ma opportunamente stampata su carta fotografica opaca, accompagnata dal seguente biglietto:

Non ho scuse per quello che ho fatto, ma ti giuro che non volevo assolutamente rendere la cosa pubblica in questo modo, tuttelentiggini. Ma ora che la notizia si è sparsa e quantunque il tuo nome non sia stato reso noto, immagino che presto tutti sapranno di noi. Ti dispiace? A me no.
Al contrario, ho pensato che la foto fosse un bel ricordo del tempo passato insieme a Pittsburgh. Dobbiamo ringraziare l’intraprendente Sig. Hayward per essere riuscito a ottenerne due copie dalla redazione del giornale. Tieni pure questa, mentre deciderai cosa fare. Per quanto mi riguarda, mi assicurerò di indossare la mia maschera da scherma la prossima volta che ci vedremo, in caso volessi esercitare le tue abilità di schiaffeggiatrice sulla mia faccia.
Ma ti avverto, se ne avrò l’opportunità, ripeterò la scena quante più volte possibile, indipendentemente dai giornalisti.


Candy si coprì il volto con una mano, scuotendo il capo incredula. Le sue guance erano in fiamme. Terence era così, aveva sempre un commento sfrontato da fare nelle situazioni più assurde. Il gesto di inviarle la foto come ricordo era stata l’idea più impudente che avesse mai potuto partorire, e per di più, era stato così impertinente da minacciarla di ripetere la scena, ora che era stata pubblicamente resa nota a tutti.

"Dovrei preoccuparmi", disse Candy fra sé e sé arrossendo violentemente, "Meriteresti davvero che ti schiaffeggiassi, ma anziché arrabbiarmi con te, non faccio che sperare che tu dia seguito alle tue minacce. Devo essere impazzita".

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La stanza d’albergo di Topeka non aveva riscontrato il gradimento del Sig. Graham, non essendo comunicante con quella di Hayward. L’idea di dover aprire la porta principale al suo segretario ogni volta che ne aveva bisogno non si addiceva affatto alla sua mentalità aristocratica. Pertanto, Terence si era ritrovato in impaziente attesa nella hall, mentre Hayward richiedeva una stanza che rispondesse alle esigenze del suo datore di lavoro.

Essendosi accorto che l’attore era sull’orlo di una crisi di nervi, il direttore dell’albergo gli aveva fatto servire un thè e la familiare bevanda stava iniziando ad avere il consueto effetto benefico sul suo umore. Dentro di sé, Terence sapeva bene, però, che il suo cattivo umore avrebbe in ogni caso avuto vita breve, come accadeva spesso di recente. Persino quella foto indiscreta sui giornali non lo aveva scalfito più di tanto.

La notizia gli era giunta in maniera del tutto inaspettata. Si trovava ancora a Columbus – la città in cui avevano sostato dopo Pittsburgh – ed era intento a fare colazione con Robert Hathaway, quando il veterano attore gli aveva improvvisamente rivolto uno sguardo alquanto perplesso.

“C’è qualcosa che non va, Robert?" gli aveva domandato incuriosito.

“Mi sono chiesto più volte cosa ti stesse accadendo di recente", aveva detto Hathaway osservando il suo pupillo da dietro gli occhiali da lettura, mentre stringeva ancora il giornale tra le mani, “e ora penso di conoscere la risposta alla mia domanda; sebbene faccia fatica a crederci".

“Oh, davvero? E la risposta sarebbe. . ."

“Come hai detto tu stesso qualche giorno fa", replicò Hathaway con un sorriso trionfante, “è stato il tocco di un angelo".

E nel dire ciò, l’uomo aveva spiegato il giornale sul tavolo, per consentire a Terence di vedere la foto. Quando il suo sguardo si era posato sull’articolo, il giovane si era sforzato di mantenere il controllo delle proprie emozioni, ma un attore sa riconoscere facilmente i trucchi di un altro attore, per cui Hathaway non si era lasciato trarre in inganno. Non era da Terence farsi cogliere di sorpresa in una situazione così intima con una gentildonna, perlopiù in una delle stazioni ferroviarie più frequentate del paese. Di fatto, Hathaway non ricordava alcun passo falso di questo tipo in tutti gli anni in cui Terence era stato fidanzato con Susanna Marlowe. Quella donna doveva essere davvero importante per lui per fargli abbassare la guardia in quel modo e spingerlo a comportarsi da persona quantomeno normale.

“Cosa mi dici di questa?" gli aveva chiesto Hathaway.

Terence aveva atteso un po’ prima di rispondere. Per un attimo, si era limitato a sfregarsi delicatamente il mento come per tentare di riordinare le idee, mantenendo la sua solita maschera di impenetrabilità. I suoi timori iniziali erano svaniti una volta resosi conto che nell’articolo non si rivelava il nome di Candy. Non avrebbe voluto forzarla ad uscire allo scoperto in questo modo, nel caso in cui nutrisse ancora dei dubbi riguardo ai sentimenti che provava per lui. Una volta scampato questo pericolo, il giovane era persino riuscito a cogliere il lato divertente dell’intera situazione.

“Credo che questa foto non renda affatto", disse finalmente, mantenendo la sua espressione austera, “la dama in questione è decisamente più affascinante di persona".

Terence ricordò che dopo la sua conversazione con Hathaway, la sua principale preoccupazione era stata la reazione di Candy all’articolo. Si era sorpreso di non sentirsi affatto disturbato dall’imbarazzante scena. Sebbene avesse sempre odiato ed evitato i giornalisti, era rimasto alquanto compiaciuto da quell’articolo.

Dopo Pittsburgh, aveva infatti iniziato a domandarsi se quello che era accaduto non fosse stato solo un sogno. Per fortuna, quella foto gli forniva una prova tangibile del fatto che non era stato tutto frutto della sua fantasia. Terence si domandò se Candy avesse provato le stesse cose. Mosso da questi pensieri, aveva fatto in modo di ottenere la foto e successivamente, aveva elaborato un piano per consegnarla a Candy senza correre rischi.

Mentre Terence ripensava agli ultimi avvenimenti, fu richiamato alla realtà da Hayward, che gli comunicava di aver espletato tutte le formalità per far sì che gli fosse assegnata la stanza che aveva richiesto. Qualche minuto dopo, il Sig. Graham aveva preso possesso della sua camera e, una volta rimasto solo, si apprestava a leggere una lettera della sua governante.

In base a un accordo tra lui e sua madre, ogni volta che Terence o la Sig.ra Baker erano in viaggio, si spedivano delle lettere usando il nome della governante di Terence, in modo da sfuggire a sguardi indiscreti. Pertanto, non fu una sorpresa per il giovane trovare all’interno della busta una lettera vergata nell’elegante scrittura della madre. La natura della comunicazione si era però rivelata una questione completamente diversa. Di fatto, la lettera trattava un argomento che non si sarebbe mai aspettato.

Long Beach, 18 novembre, 1924

Caro Terry,

Spero che tu riceva questa lettera durante il tuo soggiorno a Topeka. Non intendo commentare un articolo che è stato pubblicato oggi; ti basti sapere che sono davvero felice per te. Il motivo per cui ti scrivo è però tutt’altro. Ho appena ricevuto una lettera da qualcuno con cui pensavo di aver interrotto qualsivoglia comunicazione.

Mi ha scritto tuo padre e la ragione per cui l’ha fatto sei tu. Ti prego, Terry, non gettare via questa lettera in uno dei tuoi attacchi d’ira. Leggila attentamente e poi deciderai liberamente cosa fare. Le intenzioni di tuo padre sono conciliatorie. Non avevo mai letto nulla di così profondamente sincero scritto di suo pugno.

Presumo che l’età e le difficoltà della vita abbiano intaccato il suo proverbiale orgoglio. Richard mi ha scritto chiaramente di rimpiangere molte delle cose accadute in passato, specialmente per quanto ti riguarda. Ha inoltre aggiunto che desidererebbe incontrarti la prossima volta che sarà in America, ovvero il prossimo gennaio. Giura che la sua unica intenzione è di cercare una riconciliazione con te e mi ha chiesto di persuaderti ad accettare la sua visita.

So benissimo che la tua prima reazione sarà di rifiutare questo incontro. So che hai sofferto troppo per causa sua e il tuo risentimento non ti consente di accoglierlo a braccia aperte, ma ti prego di valutare con attenzione quello che intenderai fare.
Ho pensato che avresti avuto bisogno di un po’ di tempo per riflettere sulla questione, ecco perché ho deciso di inviarti questa lettera adesso.

Prima che tu prenda una qualsiasi decisione, lasciami dire che malgrado le sue molte mancanze, Richard Grandchester è pur sempre tuo padre – puoi biasimare me per questo, se vuoi – ed in quanto tale dovresti almeno dargli la possibilità di parlarti. Inoltre, qualcuno a te molto caro ti ha recentemente dato un’importante lezione sul perdono, che credo tu debba prendere ad esempio. Sono certa che lei sarebbe fiera di te, se ti riconciliassi con tuo padre.

Pensa a tutto questo, figlio mio. Qualsiasi cosa deciderai, sappi che la tua devota madre ti sosterrà sempre.
Con amore,
Eleanor

Visibilmente scosso, il giovane lasciò cadere la lettera sul tavolino davanti a sé. Il solo sapere che suo padre aveva intenzione di contattarlo gli sembrava un’idea assurda, ma il fatto che sua madre avesse usato la storia con Candy come espediente per intercedere a favore di quest’ultimo era stato davvero troppo. Non sopportava che sua madre lo conoscesse così bene.

Terence si sdraiò sul divano della sua camera, con lo sguardo perso a fissare il soffitto. Per anni aveva cercato di convincersi che in cuor suo non gli importasse nulla di Sua Grazia. Tuttavia, il peso sul petto che aveva improvvisamente avvertito lo contraddiceva. Adesso, oltre ai sentimenti confusi che nutriva nei confronti di suo padre, paventava il giorno in cui Candy avrebbe scoperto quanto stava accadendo.

"Se non facessi di nuovo parte della mia vita, Candy, sarebbe molto più semplice risolvere la questione con il Duca. Ma ora che ho la sensazione che tra me e te le cose possano sistemarsi, la situazione potrebbe paradossalmente complicarsi". Il giovane rise riflettendo sull’ironia della sorte, "Per così tanto tempo ho desiderato riaverti nella mia vita ben più di quanto desiderassi la vita stessa. Eppure, avevo dimenticato che questo significherebbe lasciare che tu metta bocca in tutte le questioni che mi riguardano, tirando fuori tutti i miei scheletri dall’armadio, inclusi quelli più dolorosi. Ma non questa volta, tuttelentiggini. Non lascerò che tu venga a sapere di questa storia".


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Candy si guardò nello specchio per l’ultima volta. Dopo Pittsburgh non aveva più avuto il coraggio di indossare il vestito con le perline, così aveva deciso di acquistare qualcosa di diverso. Aveva scelto un abito verde scuro in crêpe de chine con risvolti ai lati e corpetto senza maniche. La vita bassa era adornata da alcuni fiocchetti all’altezza del fianco sinistro; la gonna, che le arrivava alle caviglie, era di pizzo dello stesso colore. Le piaceva il contrasto tra la tonalità scura dell’abito e la sua pelle chiara, sebbene il pallore sembrasse ormai essere démodé. Candy sapeva che per una bionda come lei sarebbe stato impossibile acquisire un colorito più abbronzato. Ma non essendo mai stata schiava della moda, non si preoccupava più di tanto della sua carnagione o delle sue lentiggini.



In ogni caso, non importava quanto si fosse impegnata per avere un aspetto impeccabile, sapeva che alcune delle dame presenti avrebbero comunque trovato qualcosa da ridire nel suo abbigliamento, nel suo atteggiamento o nelle sue parole. Dato che era inutile agghindarsi per piacere agli altri, aveva deciso di farlo per sé stessa. Lanciò un nuovo sguardo ai gioielli che aveva scelto per l’occasione e fu soddisfatta dell’effetto dei brillanti che indossava. La discreta demi-parure composta da collana e orecchini le era stata regalata da Albert per il suo compleanno.



La giovane si allontanò dallo specchio per cercare i guanti, quando un lieve colpo alla porta le fece intuire che Albert era già lì per accompagnarla. Pensò che fosse un po’ presto, così credette che lui volesse cogliere l’occasione per parlarle in privato, prima che avesse inizio la cena.



"Avanti. È aperto", disse mentre si voltava, accogliendo Albert con un sorriso, "Come sto?" gli chiese.



"Sai perfettamente di essere bellissima, cara", le rispose lui, dandole un bacio sulla guancia.



"Va' a dirlo alla zia Sarah ed alla cara cugina Iriza", scherzò, invitando Albert ad accomodarsi.



L’uomo la seguì e prese posto su una poltrona verde chiaro, mentre Candy preferì un divanetto.



"Cosa c’è che non va, Albert?" gli chiese, optando per l’approccio diretto, "Conosco quello sguardo. C’è qualcosa che ti preoccupa".



"Sei terribilmente perspicace, ragazzina", ridacchiò lui con un mezzo sorriso. "Hai ragione; sono venuto qui perché volevo parlare un po’ con te prima di cena. Ci sono alcune cose che mi preoccupano ultimamente".



"Per caso c’entra la Zia Elroy?" gli chiese, corrugando la fronte quasi impercettibilmente, "Ho notato che ha perso peso".



"Hai indovinato ancora. Un paio di mesi fa le è stato diagnosticato il diabete. Il medico sostiene che non esista una cura", disse Albert, mentre un’ombra gli velava gli occhi azzurri.



Candy rimase in silenzio per un momento, sapendo bene cosa implicasse quella malattia.



"Albert, il medico ha ragione, ma sicuramente ti avrà detto che recentemente è stato sviluppato un nuovo farmaco per tenere il diabete sotto controllo", lo consolò lei, mentre gli prendeva la mano.



"Sì, me l’ha detto, ma mi ha anche spiegato che la zia Elroy deve cambiare stile di vita per garantire l'efficacia della terapia e che, alla fine, la battaglia sarà comunque persa. So che la morte fa parte della vita e considerata la sua età, è qualcosa che avremmo dovuto aspettarci prima o poi, ma non riesco a farmene una ragione. È sempre stata così forte e indipendente; è stata sempre presente, ha fatto sempre parte della mia vita".



"Ma la zia Elroy non ci lascerà tanto presto, Bert. La terapia insulinica è piuttosto nuova e ancora non sappiamo quanto a lungo si possa combattere la malattia con il suo aiuto, ma è decisamente un’ottima possibilità rispetto al passato", disse Candy, facendo del proprio meglio per tirargli su il morale, "ma dovrà seguire la terapia scrupolosamente, specialmente per quanto riguarda l'alimentazione".



"È esattamente questo che mi preoccupa. So che il personale le è molto devoto malgrado i suoi modi arcigni, ma non sarebbe disposta a dar retta a nessuno di loro. C’è bisogno che uno di noi si accerti che segua la terapia e la metta sotto pressione nel caso in cui si rifiutasse di farlo. Sai bene che quando sono a Chicago sono sempre troppo impegnato con la banca e con le altre società della famiglia; e il resto dell’anno sono costantemente in viaggio. Pertanto, non sarei la persona più adatta. Mia cugina Janice vive all’estero e ci fa visita raramente e Sarah. . . beh, la conosci. Non penso che le si possa affidare la cura di una persona anziana. Tu vivi alla Casa di Pony e non oserei interferire con il tuo lavoro lì".

"Hai mai pensato che Annie è qui tutto il tempo, Albert?" gli chiese Candy.


Albert guardò Candy mal celando la sua incredulità.


"Non credo che Annie sarebbe abbastanza forte da opporsi a mia zia qualora decidesse di concedersi qualcosa di dolce", disse Albert, sfregandosi la nuca.


"Annie sarà sempre la stessa ragazza dolce e timorosa", obiettò Candy, "ma il matrimonio e la maternità hanno operato alcuni cambiamenti in lei. È meno egoista e insicura di prima. So che con l’aiuto del personale, sarà in grado di tenere sotto controllo la dieta della zia Elroy senza perderla di vista. Se vuoi, potrei insegnarle a misurarle la pressione ed altri segni vitali e potremmo discutere dell’intera terapia con la zia Elroy in persona. Sai bene che mi dà più ascolto dopo che mi sono presa cura di lei quando ha avuto quella terribile febbre un paio d’anni fa. Annie era con me quella volta ed è stata un valido aiuto. Sono certa che sarebbe perfettamente capace di tenere sott’occhio la zia Elroy e chiamare immediatamente un dottore nel caso in cui le cose dovessero peggiorare".


"Beh, messa così, sembra una buona soluzione", rispose, sembrando un po’ più sollevato, "hai la capacità di rendere semplici anche le cose più complicate”, aggiunse l’uomo, mentre la tensione si allontanava dal suo viso.


"Può fidarsi di questa infermiera per risolvere qualunque problema, Sig. Albert", scherzò, felice di constatare che il suo amico aveva ritrovato il sorriso. "Piuttosto, quale sarebbe l’altra cosa che ti preoccupa?" gli chiese nuovamente, intenzionata a non lasciar cadere l’argomento finché Albert non le avesse confidato tutto.



"Credo che spetti a me risolvere il secondo problema", esordì.



"Quindi ha a che fare con gli affari", suppose lei.



"Esattamente. So che odi parlare di questioni finanziarie ma tu e Archie siete gli unici due di cui mi fidi. Ne ho già parlato con lui, ma non volevo lasciarti all’oscuro delle mie intenzioni".



"D’accordo, se non puoi farne a meno, dimmi pure", disse lei con rassegnazione, sperando di riuscire a comprendere le sue motivazioni. Per lei, il mondo della finanza era un enigma che non aveva interesse a risolvere.



"Candy, ci stiamo arricchendo parecchio ultimamente, sai?" esordì.



"Ed è una novità?"



"Beh, non proprio, ma c’è qualcosa che non mi convince. Le banche guadagnano grazie ai prestiti e possono fare molto comodo, fino a un certo punto. Quando l’economia va bene, sono più accessibili e molta più gente vi fa ricorso".



"Dovrebbe essere una cosa positiva per le attività di famiglia", esclamò Candy.



"Certo, ma quando si prende in prestito più denaro di quanto non si possa restituire, le cose potrebbero mettersi male per tutti", continuò, alzandosi ed appoggiandosi alla mensola del camino, "dalla fine della guerra è scoppiata una vera e propria moda, la gente compra e chiede prestiti come mai prima d’ora. Sembrano tutti entusiasti e ottimisti rispetto all’andamento dell’economia, ma il mondo degli affari sta diventando sempre più torbido. C’è molta speculazione; troppi rischi e troppa aggressività per i miei gusti. Il marito di Sarah sta facendo soldi a palate in questo modo".



Candy notò che Albert era piuttosto teso mentre le parlava. Ne dedusse che non era affatto d’accordo con l’atteggiamento del Sig. Legan.



"Sbaglio, o non approvi?" disse Candy apertamente.



"Assolutamente no, Candy. La gente ricca, come noi, finisce per credere che si possa disporre di qualunque cosa a proprio piacimento. Dimentichiamo che il potere che ci dà il denaro, richiede anche una grande responsabilità. Centinaia di famiglie dipendono dalle nostre attività per guadagnarsi da vivere. Se pensassimo soltanto alla nostra avidità, finiremmo senz’altro per arricchirci, ma ciò significherebbe semplicemente far impoverire gli altri. Non era ciò in cui credeva mio padre. Non ho avuto la possibilità di conoscerlo come uomo d’affari, ma ha insegnato tutto quello che sapeva a George ed io sono perfettamente in grado di discernere cosa avviene intorno a me. A differenza di quello che si pensa, temo che sia impossibile sostenere a lungo la stabilità economica ed il tasso di crescita di cui godiamo al momento. Se scoppiasse una crisi, sarebbe troppo rischioso avere la maggior parte del nostro patrimonio investito in manovre speculative".


"Non stai seriamente pensando che gli Andrew possano restare a corto di risorse, vero?" chiese Candy divertita da quell’ipotesi.


"Sarebbe alquanto improbabile, viste le nostre conoscenze e la nostra influenza", rispose Albert condividendo il sorriso, "ma se la nostra fortuna subisse un duro colpo, ciò si ripercuoterebbe sulle vite di coloro che lavorano per noi. Pertanto, ho deciso di non seguire questa pericolosa moda come vorrebbero i Legan. Al contrario, cercherò di ridimensionare le nostre attività".


"Vale a dire?" chiese Candy incuriosita.


"Vale a dire che eviterò di partecipare a determinate imprese, venderò alcune delle nostre proprietà e investirò in qualcosa di sicuro, forse oro, ridimensionando il nostro bilancio per qualche anno. Voglio costituire un fondo d’emergenza per tutelare gli interessi dei nostri dipendenti e assicurarmi che il loro posto di lavoro non sia a rischio nell’eventualità di una crisi".



"Significa anche che ridurrai le donazioni alla Casa di Pony?" chiese Candy, allarmata di fronte a tale eventualità.



"Dio mio, no, cara; al contrario, il fondo dovrebbe essere abbastanza nutrito per consentirci di continuare a dare il nostro contributo, indipendentemente da tutto. Sfortunatamente, la famiglia dovrà fare qualche sacrificio rispetto ad alcuni progetti personali. La zia Elroy dovrà rinunciare all’idea di rinnovare la casa per l’ennesima volta e Archie dovrà accontentarsi di venire dopo il Principe di Galles in quanto a eleganza. Forse sono troppo apprensivo e alcuni potrebbero pensare che sia fuori di senno, ma ho un presentimento e preferisco ascoltarlo. Voglio essere preparato nel caso in cui qualcosa destabilizzasse la nostra economia. Mi sosterrai in questo?" le chiese, mentre l’ombra del dubbio velava il suo sguardo.



Candy pensò che fosse buffo vedere Albert così insicuro, sebbene fosse sempre così determinato e saggio. Fu felice di potergli offrire sostegno e consiglio. Forse non avrebbe mai compreso appieno i misteri dell’economia e del mercato azionario, ma il suo buonsenso e la sua perspicacia la spingevano a condividere i timori altruistici di Albert.



"Bert, se ritieni che sia più saggio ridimensionare le attività di famiglia anziché espanderle, in modo da tutelare chi dipende da noi, allora fai pure. Sei il capofamiglia e qualsiasi cosa farai, io ti sosterrò. Se dovessi fallire nel tentativo di proteggere coloro che si affidano alle nostre attività, almeno saprai di aver fatto quello che ritenevi giusto in tutta onestà, dedicando tutti i tuoi sforzi a quest’impresa. Inoltre, semmai diventassi povero, potresti sempre venire a vivere alla Casa di Pony con noi. Non stavamo bene nel nostro appartamentino di Chicago?" concluse, strizzandogli l’occhio.



Alle parole di conforto di Candy, il volto e le spalle di Albert iniziarono a rilassarsi.



"Eravamo piuttosto felici allora, vero?" gli chiese, spalancando le braccia per accogliere la giovane.



"Il denaro può essere d’aiuto, Bert, ma si può andare avanti anche con poco, se necessario. Sono ben altre le cose che, con la loro mancanza, ci rendono tristi e infelici", rispose, poggiando la testa sul suo petto.



Restarono così per un po’. Il silenzio che seguì fu tanto accogliente quanto necessario.



"Candy," disse lui, rompendo iI silenzio, "Io ti ho raccontato cosa mi affliggeva. Ora tocca a te. Quando mi dirai cosa c’è che non va? Non mi sei sembrata la solita Candy negli ultimi due giorni", chiese l’uomo, sollevandole il mento con la mano destra.



"Non è così semplice, Albert", esordì, sapendo che doveva al suo padre adottivo un resoconto completo degli eventi recenti. In quel momento, l’orologio della sua stanza segnò le otto in punto. "Ne possiamo parlare dopo cena? Ho bisogno di un po’ di tempo per raccontarti tutto".



"Forse hai ragione. La zia Elroy ci starà aspettando per farsi accompagnare in sala da pranzo. È meglio andare", suggerì, mentre prendeva la mano di Candy per condurla verso la porta, "dopo il caffè ed il consueto intrattenimento musicale, congedati da tutti e aspettami in biblioteca. Non appena mi sarò liberato degli ospiti, ti raggiungerò lì".



E nel dir ciò, uscirono dalla stanza verde, affidandosi alla loro salda amicizia ed al loro affetto per affrontare il branco di iene che li attendeva per cena.

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Edited by sailor74 - 28/4/2013, 18:58
 
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