Candy Candy

"La Stagione dei Narcisi" di Josephine Hymes, Traduzione di sailor74 (a.k.a. Ladybug)

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sailor74
view post Posted on 28/4/2013, 17:50 by: sailor74     +2   +1   -1

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Da quando Priscilla Andrew era morta, la zia Elroy aveva sempre svolto il ruolo di padrona di casa in occasione di grandi eventi e riunioni di famiglia. Tuttavia, negli ultimi tre anni, aveva delegato tale responsabilità nelle giovani ma capaci mani di Annie Cornwell. La decisione era stata un’amara sorpresa per Sarah Legan, che aveva creduto che il ruolo di matriarca della famiglia sarebbe toccato a lei, perlomeno finché William Albert non si fosse sposato. Di fatto, l’unica figlia di William C. Andrew, Rosemary, era ormai morta da tempo e la cugina Janice Cornwell, che precedeva Sarah in anzianità e lignaggio – essendo una vera Andrew da parte di madre – viveva all’estero. Pertanto, la conclusione logica sarebbe stata che la figliastra della zia Elroy ricevesse tale onore. Tuttavia, Sarah aveva dimenticato che in assenza di Janice, l’erede legittima sarebbe stata sua nuora. La donna sapeva che il protocollo imponeva che fosse così, ma non riusciva affatto a sopportare l’idea che un’orfana di vent’anni più giovane avesse precedenza sociale su di lei. Pertanto, cercava sistematicamente di trovare qualcosa che non andasse in ogni evento sociale organizzato da Annie, anche se con scarso successo. La Sig.ra Brighton aveva fatto un lavoro impeccabile nell’educare sua figlia. La giovane era perfettamente in grado di gestire le consuete responsabilità di una gran dama. Annie, per quanto timida e pacifica, aveva sviluppato un gusto raffinato ed era meticolosa ed abile nella gestione della casa. Inoltre, la Sig.ra Brighton era sempre presente, sostenendo Annie in tutti i suoi sforzi, pronta a difendere sua figlia qualora fosse stato necessario. La Cena del Ringraziamento era dunque un vero e proprio campo di battaglia in cui le dame presenti si contendevano la posta in gioco, costituita da potere e status sociale, così come facevano gli uomini con le rispettive imprese finanziarie.

Quella sera gli ospiti non erano molto numerosi. Si trattava, di fatto, di una riunione familiare con sole quattordici persone della cerchia più stretta. Tuttavia, Annie aveva scelto in ogni caso di utilizzare la grande sala da pranzo con il tavolo in mogano massiccio ed i magnifici lampadari barocchi. Dato che erano presenti anche i genitori di Archie, si trattava di un’occasione piuttosto importante, che richiedeva la massima formalità ed eleganza. Erano state preparate le migliori porcellane e le più raffinate posate d’argento per offrire agli ospiti una grandiosa cena del Ringraziamento. Il menu comprendeva due zuppe, diverse portate tra cui scegliere, contorni assortiti, tre dessert, una selezione di formaggi e un vasto assortimento di vini francesi e italiani. Prima dell’inizio del Proibizionismo, la zia Elroy era stata abbastanza previdente da rifornire le cantine di tutte le proprietà degli Andrew in modo da poter disporre di vini e liquori a sufficienza per gli anni a venire senza preoccuparsi delle regole. Pertanto, Annie aveva ora la possibilità di sorprendere i suoi ospiti con un’elegante selezione di vini.

Candy, che non nutriva il minimo interesse nei confronti delle rivendicazioni sociali che Annie sembrava voler fare con ogni portata servita ai suoi ospiti, era determinata a godersi la cena. La bionda non aveva mai disdegnato il buon cibo e la zuppa di vongole con il pane fragrante imburrato erano così invitanti che dimenticò per un attimo cosa stesse avvenendo intorno a sé. A sua insaputa, più di un paio d’occhi erano puntati sulle ragazze della Casa di Pony, aspettando l’opportunità di scagliare il primo dardo della serata.

"Allora, come stanno i tuoi orfanelli?" chiese Iriza, annoiata dalla conversazione sul sorprendente volo transatlantico dalla Germania al New Jersey compiuto dallo Zeppelin il mese precedente.

"Stanno benissimo, sei molto gentile a chiedermelo", rispose Candy, prima di continuare a sorseggiare un bicchiere di vino bianco Romanee Conti.

"Non so come tu faccia a condurre una vita così tranquilla. Io non riuscirei a star lontana dalla confusione di Chicago", continuò Iriza, scuotendo il capo in modo affettato, "ma ovviamente, per una ragazza di campagna come te, non deve essere un problema", aggiunse sarcastica.

"Hai perfettamente ragione, Iriza, amo molto la nostra meravigliosa campagna del Midwest. Ogni volta che sono lontana da casa, ne sento profondamente la mancanza", rispose Candy con naturalezza, facendo cenno alla domestica che avrebbe gradito un po’ di fagiolini, zucchine e carote come contorno.

"Non sei l’unica ad avere nostalgia dei nostri verdi prati, cara Candy", intervenne la Sig.ra Janice Cornwell, che era seduta accanto a lei, “Rimpiango i giorni in cui io e Rosemary scorrazzavamo per i campi intorno alla villa di Lakewood per raccogliere fiori di campo. Ricordo che nemofile e calendule erano quelli che preferivo".

"Quali erano i fiori di campo preferiti della Sig.ra. Brown?" chiese subito dopo Candy, sempre bramosa di sapere qualcosa in più sulla madre di Anthony.

"Ovviamente, i garofani del poeta, noti anche come dolci-william", fu la spontanea risposta di Albert, seguita da una maliziosa strizzatina d’occhio a Candy, che sedeva alla sua destra.

"Sei alquanto pieno di te, William. Mi domando come mai ciò non mi sorprenda affatto", intervenne la zia Elroy, che malgrado fosse seduta all’altro capo del tavolo, aveva seguito la conversazione. Tutti risero alla sua osservazione. Non capitava spesso che la distinta signora osasse fare un commento scherzoso.

"I fiori di campo preferiti della Signorina Rosemary erano le zinnie. Sono certo che se ne trovino molti intorno alla Casa di Pony, Signorina Candice", disse George, che era accomodato alla sinistra di Albert. Candy notò che quando aveva nominato Rosemary, l’uomo non aveva sollevato lo sguardo dal suo piatto.

"Sembra tutto così poetico", intervenne Iriza, non avendo gradito il cambio di argomento, "ma ribadisco che la vita in città offre innumerevoli opportunità di svago e lavoro. Ad esempio, pochi giorni fa ho avuto la fortuna di partecipare ad un evento estremamente piacevole", continuò, assaggiando appena il petto d’anatra con glassa d’acero che aveva scelto come piatto principale.

"Saresti così gentile da raccontarci di cosa si trattasse?" chiese Candy, avendo già intuito le sue intenzioni.

"Oh beh, sai com’è Chicago, offre sempre una grande varietà di spettacoli di altissima qualità, sono stata a teatro alcuni giorni fa per assistere alla rappresentazione di un’opera di Shakespeare. Ti ricorderai certamente che sono sempre stata molto appassionata del Bardo sin dai tempi della scuola".

Candy fece un sorrisino accondiscendente. Per quel che ricordava, Iriza aveva passato la maggior parte delle lezioni di letteratura di Suor Margaret sonnecchiando e sognando a occhi aperti.

"E dicci, di grazia, qual era l’opera in questione?" la imbeccò Candy, concentrandosi sul suo tacchino arrosto in salsa di mirtilli.

"Macbeth. Sono rimasta totalmente sorpresa dall’opulenza della produzione e dalla complessità dei personaggi", rispose Iriza, soddisfatta di aver attirato l’attenzione di tutti.

"Penso che ci siano alcuni personaggi della storia con cui ti identificherai sicuramente", disse Archie incapace di resistere alla tentazione, essendo seduto proprio accanto alla scellerata cugina. "Non è Macbeth l’opera in cui ci sono tre streghe?" chiese poi, rivolgendosi ai presenti con un malizioso sorriso. Annie, che aveva seguito la conversazione in silenzio, diede un pizzicotto al marito da sotto il tavolo.

"Ti piace sempre scherzare, cugino", rispose Iriza con un finto sorriso, per poi rivolgersi nuovamente a Candy, "Non crederai mai chi recitava nella parte di Macbeth, Candy. Terence Grandchester in persona, o forse dovrei dire Terence Graham. È un vero peccato che fossi impegnata a chiedere l’elemosina per i tuoi orfanelli. So che ti avrebbe fatto molto piacere rivederlo".

A quest’ultimo maligno commento, almeno tre paia d’occhi si voltarono a guardare Iriza, pronti a interromperla ed a cambiare argomento, ma prima che Archie, Albert o Neil potessero intervenire in alcun modo, Candy, con estrema tranquillità, rispose: "Se vi recitava anche Terence, sono certa che tu abbia passato una serata piacevole a teatro e sono felice per te, Iriza. Per quanto mi avrebbe fatto estremamente piacere essere lì con te per condividere l’esperienza, devo dire che non rimpiango neppure un minuto del tempo dedicato al benessere dei miei cari bambini. Uno di questi giorni sarò lieta di invitarti ad accompagnarmi in uno dei miei viaggi. Data la tua posizione sociale, sono certa che saresti molto utile alla causa", replicò Candy, senza battere ciglio.

"Forse avresti maggior successo in quello, sorellina", intervenne Neil che era rimasto in silenzio per tutta la cena, "Per quanto ricordi, i tuoi tentativi di avvicinare Grandchester dopo lo spettacolo sono stati un fallimento totale".
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, Neil sarebbe morto stecchito a causa dell’occhiata assassina lanciatagli dalla sorella.

"Una signora del nostro rango non dovrebbe mai dimenticare che ci si aspetta da lei che si interessi dei bisogni dei meno fortunati, Iriza", commentò la zia Elroy, mentre il resto degli ospiti a tavola ascoltava in rispettoso silenzio quello che l’anziana donna aveva da dire, "Mia cognata, la compianta Priscilla Andrew, aveva dedicato la sua vita alla beneficienza. Devo ammettere che dopo di lei, le donne della nostra famiglia, inclusa me, non sono state alla sua altezza in tal senso. Fortunatamente, con i suoi sforzi Candice sta riabilitando la nostra famiglia. Tutte le dame di Chicago approvano appieno quanto sta facendo. La prossima volta faresti bene ad accettare il suo invito, Iriza".

"Sì, zia Elroy", rispose la giovane, decidendo di rimanere in silenzio per il resto della cena, mentre la conversazione veniva dirottata su altri argomenti. Sapeva che avrebbe avuto altre occasioni di torturare Candy nel corso della serata, specialmente una volta che gli uomini si fossero congedati dalle signore.

Albert lanciò uno sguardo a Candy; si stava beatamente godendo la torta di noci mentre conversava con il Sig. Cornwell e sua moglie. Non aveva notato alcuna traccia di turbamento sul suo volto dopo che Iriza aveva malignamente sollevato la questione della visita di Terence a Chicago. Era fiero del modo in cui avesse gestito la situazione e si domandò se avesse finalmente smesso di versare lacrime sulla loro dolorosa rottura. Tra sé e sé, Albert sorrise pensando che dopo così tanti anni, fosse ormai giunto il momento. Soddisfatto di come si stava evolvendo la serata, continuò a degustare la sua aragosta. Annie sapeva che Albert amava molto il pesce ed aveva esplicitamente chiesto alla cuoca di preparare l’aragosta solo per lui. La maggior parte degli ospiti erano già al dessert, ma William Albert mangiava sempre piuttosto lentamente, perché preferiva assaporare ogni boccone, deliziandosi con ogni singolo aroma che costituiva una pietanza. Dopotutto, era una sua prerogativa in qualità di capofamiglia far sì che la cena durasse finché lui non ne fosse stato del tutto soddisfatto.

Inoltre, sapeva che dopo cena gli uomini si sarebbero congedati dalle donne per riunirsi nella sala francese e intrattenersi con sigari e Cognac, mentre le signore si sarebbero trasferite nella sala da thè. Paventava il momento, sapendo che i Legan avrebbero nuovamente tentato di convincerlo a prendere parte a uno dei loro progetti.

Per il momento, si sentiva benissimo, si stava godendo la cena, Candy era seduta alla sua destra e George alla sua sinistra. Pensò che fosse alquanto buffo che le due persone a cui era in assoluto più legato in seno alla famiglia non condividessero il suo stesso sangue. Inoltre, la giovane donna e l’uomo accanto a lui erano disprezzati dalla maggior parte dei suoi parenti, che non li ritenevano alla loro altezza. Sapeva che alcuni membri della sua famiglia chiamavano George "l’Intruso" e non accettavano che quest’ultimo avesse una così grande influenza su di lui. Sapeva anche che i Legan continuavano ad odiare Candy, malgrado l’apparente cortesia che cercavano di dimostrarle. In fondo ai loro cuori, Sarah e Iriza avrebbero sempre considerato Candy la "Stalliera". Ma non gliene importava nulla. I suoi parenti potevano pensarla come volevano, purché tenessero le proprie opinioni per sé senza fare del male alle persone che amava. Per il momento, era grato ad Annie per l’assegnazione dei posti a tavola quella sera, avendolo fatto accomodare a capotavola accanto alle persone a lui più care, seguite dai Cornwell, senior e junior, ed aver lasciato i Brighton ed i Legan vicino alla zia Elroy. Cos’altro avrebbe potuto desiderare?

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Dopo la biblioteca, la sala francese era stata la stanza preferita da William C. Andrew. Era stato proprio lì che aveva concluso gli accordi e le collaborazioni finanziarie di maggior successo durante le sontuose feste e cene che organizzava. Era arredata in stile Beaux-Arts, con boiserie che ornava le pareti, tappeti verde scuro adagiati sul parquet e mobili francesi in sfumature dorate. I divani e le poltrone in solida betulla erano decorati da listelli in ciliegio intarsiati con conchiglie e foglie d’acanto. La tappezzeria era prevalentemente di colore verde con alcuni tagli recanti il disegno del tartan della famiglia.

Il Sig. Legan si ricordò che era stato in quella stessa sala che aveva chiesto la mano di sua moglie Sarah. Dato che suo padre era passato a miglior vita alcuni anni prima, toccava al Sig. Andrew, in qualità di capofamiglia, decidere del futuro della figliastra di sua sorella. Ricordava perfettamente quanto si fosse sentito nervoso e insicuro inizialmente davanti alla figura imponente del biondo Sig. Andrew, consapevole della sua inferiorità in termini di rango e patrimonio. Con sua grande sorpresa, William Andrew, per quanto estremamente serio e riservato, non era affatto un tipo altezzoso e gli aveva dato subito la sua benedizione. Il suo matrimonio con Sarah era stato il primo passo della sua ambiziosa ascesa ai vertici della società di Chicago.

Sempre astuto e aggressivo quando si trattava di affari, Legan aveva da subito sfruttato al meglio la nuova posizione acquisita tramite il matrimonio. Attraverso le conoscenze garantitegli dai familiari di sua moglie, nel corso degli anni la sua fortuna era cresciuta in maniera esponenziale. Ora, dopo il grande successo della sua catena di alberghi a Miami, era pronto a espandere le proprie attività all’estero.

Quella sera il suo principale obiettivo era di convincere William Albert a finanziare il nuovo progetto che aveva intenzione di avviare a Cuba. Sapeva che non sarebbe stato facile, specialmente perché il giovane magnate non aveva mai mostrato grande interesse nei confronti delle sue proposte d’affari fino ad allora, ma doveva comunque tentare. Legan rimpiangeva ancora che suo figlio non fosse riuscito a sposare Candice. Se ciò fosse avvenuto, ora non si troverebbe lì aspettandosi di convincere William a sostenerlo in quella nuova avventura. Aveva creduto che lui e suo figlio avrebbero potuto trarre vantaggio dalla fiducia di Candy, ottenendone un enorme profitto. Tuttavia, era stato costretto ad abbandonare quel piano.

Ad essere onesti, l’idea non era stata sua. No, per quanto il piano sembrasse valido, doveva dar merito a sua figlia ed a sua moglie per aver suggerito tale possibilità. Nell’ambito dell’intera strategia, il fatto che suo figlio Neil fosse sinceramente innamorato di Candy all’epoca era solo una fortunata coincidenza. Ovviamente, Legan e sua moglie non avrebbero mai potuto prevedere che il padre adottivo di Candice si sarebbe opposto alla cosa con tale risolutezza. Gli bruciava ancora l’umiliazione che lui e la sua famiglia avevano subito quando William Albert Andrew aveva finalmente rivelato la sua identità di nuovo capofamiglia, annullando il fidanzamento.

Paradossalmente, da quella storia imbarazzante era comunque venuto fuori qualcosa di buono. A causa di quella delusione, suo figlio Neil era profondamente cambiato, interessandosi per la prima volta agli affari di famiglia. Da allora, il giovane aveva dimostrato una certa genialità dal punto di vista commerciale e ne aveva fatto il suo marchio distintivo. Legan era fiero che suo figlio fosse diventato un uomo d’affari talmente scaltro e astuto. Come lui, Neil non si faceva condizionare dagli scrupoli che sembravano essere la regola alla base di ogni decisione di William Albert Andrew, così come del suo discepolo, Archibald Cornwell. Legan credeva che le considerazioni di natura etica non fossero che una debolezza nel mondo degli affari e per questo disdegnava il comportamento di Albert. Eppure, questa volta sperava di riuscire a persuaderlo affinché lo sostenesse nella sua iniziativa con un prestito. Forse il cognac gli avrebbe dato un aiutino in tal senso.

Il Courvoisier era stato versato generosamente quella sera, accompagnato da sigari cubani che Legan aveva portato direttamente dall’isola. Durante i suoi studi alla Cornell, Legan aveva fatto amicizia con Mario García Menocal, divenuto successivamente presidente di Cuba, essendo entrambi membri della stessa confraternita Delta Kappa Epsilon. Nel 1920, quando García Menocal era ancora al governo, aveva organizzato la riunione della Confraternita nel suo paese, con lusso e generosità tali che avevano fatto storia. Da allora, gli era venuta l’idea di aprire una catena di locali notturni a L’Avana. Ora, sulla falsariga del successo dei suoi alberghi, sentiva di avere l’esperienza e la posizione finanziaria necessarie per fare fortuna a Cuba.

"Ho sentito che quel tuo amico, García, si era candidato nuovamente alla presidenza quest’anno, ma ha perso contro un certo liberale di nome Machado", disse il Sig. Cornwell Sr., dopo che Legan gli aveva illustrato l’idea, "Senz’altro non è una cosa positiva per quello che hai in programma. Machado non ama gli stati Uniti".

"Si era detta la stessa cosa quando il Presidente Zayas entrò in carica dopo Mario García, ma malgrado le idee liberali di Zayas, gli interessi americani nell’isola non sono stati intaccati durante il suo mandato. Non credo che le cose cambieranno durante l’amministrazione Machado. Non c’è nulla da temere in tal senso. I locali notturni a L’Avana sono tutti molto redditizi e anche nel caso in cui il nuovo presidente aumentasse le imposte, sarebbe comunque un affare vantaggioso", disse Neil gustandosi il suo sigaro.

"Che ne dici, William, ti unisci a noi? Se non lo facessi, sono certo che te ne pentiresti più avanti", insistette il Sig. Legan.

"Temo che ti deluderò ancora una volta, amico mio", rispose Albert con calma, "Le mie esperienze in America Latina non sono state affatto positive. Dopo i miei viaggi in Brasile e Messico sono giunto alla conclusione che noi americani dovremmo lasciare che quei paesi risolvano i loro problemi prima di pensare di fare affari con loro. Quando sono stato in Brasile due anni fa a visitare le miniere di ferro e le piantagioni di caffè di proprietà della famiglia sono rimasto inorridito davanti alle condizioni disumane in cui i miei stessi dipendenti erano costretti a lavorare e ho provato una profonda vergogna. Poi c’è stata la rivolta tenentista. Il Presidente Pessoa non è affatto riuscito a gestire la situazione e il risultato è stato il peggiore caos sociale che abbia mai visto. Non ce l’ho fatta a sopportare lo spargimento di sangue che ne ha fatto seguito. Pertanto, mi sono sentito molto sollevato quando ho finalmente trovato degli acquirenti interessati alle nostre proprietà".

"Avresti potuto mantenere le tue attività in Brasile e migliorare le condizioni dei lavoratori, se eri così interessato ad aiutarli”, suggerì il Sig. Brighton, che non aveva alcuna esperienza di investimenti all’estero.

"Non è così semplice", rispose Albert, con un pizzico di malinconia nella voce, "I governi latinoamericani non fanno quello che dovrebbero, ovvero tutelare gli interessi della gente. Al contrario, permettono che il nostro denaro controlli le loro decisioni e, incoraggiando i nostri investimenti, finiscono per promuovere un oltraggioso sfruttamento dei poveri, con la scusa di voler favorire il progresso, o almeno così dicono. Mi ero reso conto che qualsiasi cosa avessi fatto per cambiare le cose e tutelare i minatori ed i braccianti che lavoravano per noi, sarebbe durata solo finché fossi stato lì. Una volta tornato negli Stati Uniti, la corruzione del sistema, anche tra i sindacati e le forze di polizia, avrebbe ripristinato il caos di prima. Dato che non avevo in programma di trasferirmi in Brasile e vigilare sull’intera operazione restando lì a tempo indeterminato, ho deciso che sarebbe stato meglio vendere. Ho fatto la stessa cosa con la fattoria e la fabbrica che avevamo in Messico. E non me ne pento neanche un po’".

"Mi dispiace che tu la pensi così", fu la fredda risposta del Sig. Legan, "Quindi dovrò cercarmi un altro socio, forse tu, Cornwell".

"Mi dispiace, ma non sono la persona più adatta", rispose il padre di Archie, "Anche io sto vendendo le mie attività in Arabia. Penso di avere tutto il denaro che mi servirà per il resto della vita. Janice e io abbiamo passato fin troppi anni lontano da casa, e come hai sentito proprio da lei durante la cena, desidera tornare in Illinois e godersi nostro nipote. A partire dal prossimo anno, toccherà ad Archie decidere se vorrà correre il rischio di investimenti all’estero", concluse il Sig. Cornwell cingendo le spalle di suo figlio con il braccio destro in un gesto di orgoglio paterno.

"Anch’io sono d’accordo con lo zio William", disse Archie, "ma ti auguro di avere successo con il tuo progetto. Sono certo che nelle mani di Neil, i vostri locali notturni diventeranno estremamente redditizi", concluse, sforzandosi di essere il più cortese possibile. Dentro di sé, si sentiva torcere le budella alla vista dello sguardo di condiscendenza di suo zio. Per fortuna Archie aveva imparato qualcosa di fondamentale da Albert e George, ovvero che l’autocontrollo ed il tatto erano fondamentali nel mondo degli affari.
Albert era ben consapevole del grande sforzo di cortesia profuso da suo nipote, il cui temperamento era sempre piuttosto acceso, e fu fiero di lui. Non sopportava questa consuetudine di parlare di affari anche nel giorno del Ringraziamento, ma se le cose dovevano proprio andare così, avrebbe voluto quantomeno evitare di avere una discussione con i suoi parenti in una giornata come quella.

Il Sig. Legan si maledisse interiormente per aver insistito su una causa persa. D’ora in poi, pensò, i Legan non avrebbero più chiesto aiuto agli Andrew. Presto sarebbe diventato ben più ricco di tutti loro messi insieme e quella volgare arrivista di nome Candice White Andrew si sarebbe pentita amaramente di aver avuto l’arroganza di respingere suo figlio.


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Come era consuetudine, dopo il tempo dovuto uomini e donne si erano ritrovati nella sala della musica per l’ultima parte della serata. Candy, che ne aveva avuto abbastanza delle osservazioni caustiche di Iriza e di Sarah mentre erano sole, accolse con sollievo il ritorno dei gentiluomini. Doveva ammettere che la zia Elroy aveva tenuto le Legan sotto controllo, ma malgrado il suo intervento, le due donne erano comunque riuscite ad indirizzarle qualche commento spiacevole. In una certa misura, però, assistere al botta e risposta tra la Sig.ra Brighton e la Sig.ra Legan riguardo all’organizzazione della cena era stato piuttosto divertente. D’altra parte, anche Candy aveva avuto la sua piccola rivincita, mentre ascoltava Iriza raccontarle nei minimi dettagli dello spettacolo di Terence, con il deliberato intento di ferirla. Per tutto il tempo Candy aveva sorriso di nascosto da dietro la sua tazza da thè, gioendo in segreto dell’attuale stato di cose tra lei e l’attore.

Malgrado queste innegabili fonti di divertimento, Candy fu felice di rivedere Albert, George e Archie e fu sollevata di sapere che Neil aveva porto le sue scuse per ritirarsi. Negli ultimi anni si era abituata ad essere evitata da Neil in maniera alquanto scortese ogni volta che erano costretti ad incontrarsi in occasione di riunioni di famiglia. In un certo senso, a Candy non dispiaceva affatto questo atteggiamento, ma provava pena per lo sconforto che esso celava. Per questa ragione, e anche perché non aveva trovato il modo di distendere le cose tra di loro, si sentì più a suo agio quando seppe che se n’era andato.

Per l’ultima parte della serata, si erano tutti riuniti intorno al pianoforte a coda per ascoltare la Sig.ra Brighton e Annie mentre mettevano in mostra il proprio talento a beneficio della famiglia. Prima di iniziare, i presenti avevano avanzato alcune richieste musicali e le gentildonne furono felici di accontentarli. Candy sedeva accanto alla zia Elroy, proprio di fronte al pianoforte, mentre Albert aveva preferito la sua poltrona vicino al caminetto, esattamente dall’altro lato della stanza. Da lì, sperava di potersi godere in tranquillità le reazioni dei suoi parenti.

La prima a suonare fu la Sig.ra Brighton, che era forse meno abile di sua figlia, ma compensava eventuali carenze tecniche con una spiccata sensibilità musicale. Eseguì due invenzioni di Bach e un pezzo di Albinoni, molto apprezzato dal Sig. Brighton.

Poi, quando fu il turno di Annie, Candy azzardò una richiesta.

"Ti prego, Annie, suonami la Ninnannana di Mozart", le chiese, porgendole lo spartito corrispondente dalla selezione scelta da Annie per la serata.

"Certamente, Candy".

I presenti sedevano comodamente ognuno al suo posto, godendosi i tre pezzi suggeriti. Come prima cosa, Annie suonò la Gymnopedie No. 1 di Satie, richiestale da Archie, poi il primo movimento della sonata per pianoforte in do diesis minore di Beethoven, che era il preferito della zia Elroy.

Dalla sua poltrona vicino al camino, Albert riusciva a scorgere i volti della maggior parte dei suoi ospiti. Notò l’orgoglio materno sul viso della Sig.ra Brighton, mentre la figlia dimostrava la propria abilità al piano. Allo stesso modo, lo sguardo d’amore e tenerezza che le rivolgeva Archie era visibile a tutti. Poi, Albert si voltò verso Iriza, scrutando l’evidente espressione di fastidio sul suo volto, tipica di una persona che non aveva né gusto né sensibilità artistica. Infine, mentre le note del Chiaro di Luna risuonavano nella stanza, pensò per un fugace momento di aver percepito un’ombra di tristezza sul volto di sua zia. Immaginò che quel pezzo le avesse riportato alla memoria ricordi del passato.

Albert chiuse gli occhi per un attimo, godendo della bellezza della melodia magistralmente intrecciata nella sonata. Quando li riaprì, Annie stava per eseguire la Ninnananna.

L’uomo si voltò verso Candy, dato che era stata lei a richiedere quel pezzo. Quello che vide sul suo volto, mentre la musica deliziava i presenti, lo colse del tutto di sorpresa. Notò una luce particolare nei suoi occhi, un lieve rossore ad imporporarle le guance ed un sorriso che segretamente le incurvava le labbra. Albert non vedeva Candy così raggiante da molti anni. Frugò tra i suoi ricordi e rammentatosi dell’ultima occasione in cui le aveva visto quell’espressione di gioia assoluta, comprese che Candy si era nuovamente innamorata.

Ora capiva perché gli era sembrata così assente il giorno prima. Tuttavia, ora che aveva scoperto la causa delle sue stranezze, sentì il bisogno di scoprire a chi fosse dovuta tanta felicità. Le esperienze di Candy con l’amore erano state talmente traumatiche che per molto tempo non aveva mostrato interesse nei confronti di nessuno. Per quanto desiderasse tutta la felicità di questo mondo per la sua protetta, Albert non poté evitare di percepire la naturale apprensione condivisa dalla maggior parte degli uomini la cui pupilla si trovi in una condizione di vulnerabilità. Ricordava ancora le dolorose lacrime e la profonda depressione conseguenti alla rottura con Terence Grandchester, anni prima. L’ultima cosa che avrebbe voluto per Candy era un’altra amara delusione. Era deciso a scoprire chi fosse quell’uomo ed a fare qualsiasi cosa in suo potere per proteggere Candy, nel caso in cui quest’ultimo si fosse rivelato immeritevole del suo affetto. Con questa risolutezza in mente, si voltò nuovamente ad osservare Annie, facendo del proprio meglio per mantenere la padronanza di sé.


Ignara delle preoccupazioni fraterne di Albert, la mente di Candy era fuggita dalle quattro mura della Sala della Musica ed era tornata nei boschi della Saint Paul School. Era l’ora del crepuscolo e il cielo tingeva le nuvole di varie sfumature di arancio, oro e rosso. Mentre ricordava, poteva persino sentire la rugiada inumidirle la pelle, mentre la ninnannana di Mozart risuonava nell’aria. Poi, seguendo il percorso dettatole dalla melodia, aveva scoperto che era Terence a suonare il piano nella sala della musica ormai deserta.

Per un breve momento, prima che si accorgesse di essere osservato, era riuscita a scorgere un’espressione nuova sul suo volto solitamente così indifferente. Candy chiuse gli occhi, ricordando come gli ultimi raggi del sole che filtravano attraverso la finestra gli avevano illuminato il viso con tutte le sfumature d’oro. Sembrava sereno e persino addolcito, come trasfigurato dalla musica. Un volto come quello, aveva pensato allora, non poteva che essere lo specchio di un animo dolce e sensibile.

"Non mi sbagliavo", pensò in quel momento Candy, "quel ragazzo nella sala della musica è diventato un uomo meraviglioso. E pensare che quello stesso uomo mi stringeva tra le sue braccia appena qualche giorno fa; baciandomi con infinita tenerezza. . . Non puoi nascondermi il tuo cuore nobile, Terence. In cambio, il mio cuore è proprio lì davanti a te, cosicché i tuoi occhi lo vedano, amore mio".

L’applauso degli ospiti destò Candy dai suoi piacevoli ricordi. Il momento musicale era giunto alla fine, così la giovane presentò le sue scuse alla famiglia, come aveva promesso ad Albert. Dopo aver augurato la buonanotte a tutti i presenti, la bionda si incamminò su per le scale in direzione della biblioteca.

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La biblioteca di William C. Andrew era in semioscurità quando Candy entrò nell’imponente stanza. Accese il monumentale lampadario che illuminò l’ambiente con i suoi splendenti prismi e le sue brillanti gocce di cristallo Baccarat. La giovane iniziò ad ispezionare la stanza in cerca di un libro da leggere prima di coricarsi. Dopo la sessione musicale, era dell’umore giusto per un po’ di poesia; quindi, pensò di scegliere Elizabeth Barrett Browning. Tuttavia, mentre cercava sotto la B, il suo sguardo cadde su un volume dei Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza di William Blake.

Candy prese il libro, quando un rumore che pensò provenisse dal camino la fece sussultare.

"Ti dispiacerebbe lasciarmi in pace?" le intimò con voce roca Neil, che era seduto sul divano di fronte al caminetto.

“Non sapevo che fossi qui", rispose Candy, ancora imbarazzata dalla presenza inattesa del giovane.

"Beh, ora lo sai. Ti prego, vattene", insistette.
Candy notò che aveva bevuto. Sul tavolino davanti al divano c’era una caraffa pressoché vuota e la sua voce tremula tradiva una certa ubriachezza.

"Mi dispiace, ma non posso accontentarti, Neil. Lo zio William mi ha chiesto di aspettarlo qui", gli spiegò lei.

"Oh, beh, presumo che essendo casa tua, tu sia libera di fare quello che vuoi. Dunque me ne andrò io", disse, alzandosi in piedi e portando con sé caraffa e bicchiere.

"Mi dispiace, Neil", si scusò lei, evitando istintivamente il suo sguardo.

All’improvviso, la risata del giovane risuonò nell’aria.

"Ti dispiace per cosa, Candy?" le chiese, visibilmente alterato, "Per tutti gli spiacevoli incontri a cui siamo costretti di quando in quando?"

"So che la mia presenza ti disturba, Neil; ma non posso scusarmi per essere semplicemente quella che sono", rispose lei, la tensione evidente sulle sue tempie, "Mi dispiace solo averti fatto soffrire un tempo".

"Pietà!" sbottò lui, diventando improvvisamente triste, "È proprio quella che non sopporto; la pietà dipinta sul tuo volto, mentre ostenti la tua indifferente bellezza davanti a me. Se quello è l’unico sentimento che riesco a ispirarti, ti prego di risparmiarti le tue inutili scuse, Candy. Abbiamo da tempo oltrepassato il limite della civiltà. Ma non preoccuparti. Ti lascerò in pace".

Prima che Candy potesse pensare a una qualunque risposta alle spiacevoli osservazioni di Neil, il giovane aveva repentinamente abbandonato la biblioteca, lasciandola con la triste consapevolezza della sua ancora profonda delusione. Candy avrebbe voluto dirgli che sapeva cosa significava amare quando ogni speranza sembrava perduta; offrirgli sincera comprensione, al posto della condiscendente pietà per la quale si era sentito così profondamente offeso. Ma la giovane capì che qualsivoglia tentativo di riconciliazione con Neil sarebbe stato inutile. Era sinceramente dispiaciuta per lui.

Tirando un profondo sospiro, Candy decise di gettarsi alle spalle la spiacevole scena, non volendo soffermarsi troppo a tentare di comprendere gli atteggiamenti contorti dei Legan. Aveva di meglio a cui pensare. Guardò il libro che aveva scelto e si sedette per esaminarlo meglio. Inevitabilmente, le sue dita sfogliarono le pagine fino a soffermarsi su una poesia in particolare. Una volta trovata, la lesse in silenzio, assaporandone ogni parola:

Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l’immortale mano o l’occhio
Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?

In quali abissi o in quali cieli
Accese il fuoco dei tuoi occhi?
Sopra quali ali osa slanciarsi?
E quale mano afferra il fuoco?
Quali spalle, quale arte
Poté torcerti i tendini del cuore?
E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?

Quale mazza e quale catena?
Il tuo cervello fu in quale fornace?
E quale incudine?
Quale morsa robusta osò serrarne i terrori funesti?

Mentre gli astri perdevano le lance tirandole alla terra
e il paradiso empivano di pianti?
Fu nel sorriso che ebbe osservando compiuto il suo lavoro,
Chi l’Agnello creò, creò anche te?

Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale mano, quale immortale spia
Osa formare la tua agghiacciante simmetria?



La giovane chiuse gli occhi. Visualizzò nella sua mente i movimenti felini dell’unico uomo che potesse reggere il confronto con una tigre. Pensò che le parole della poesia descrivessero perfettamente bene la sua meraviglia di fronte all’esistenza di una tale creatura, in grado di affascinarla allo stesso modo in cui una falena è attratta dalla luce. Anche quand’erano alla Saint Paul School, mentre lottava con tutte le sue forze contro quell’attrazione, lui aveva esercitato un fascino irresistibile su di lei. Ormai il Terence che aveva rivisto a Pittsburgh non era più il ragazzino sedicenne di allora e, soprattutto, Candy sapeva che lei stessa non era più la ragazzina sprovveduta di una volta. D’istinto capì che al prossimo incontro con la tigre sarebbe andata direttamente e consapevolmente incontro al suo divampante fulgore. Non aveva alcun dubbio in proposito, perché il fuoco dei suoi occhi, forgiati in qualche misterioso abisso, come suggeriva la poesia, non le concedeva una notte di riposo da settimane ormai.

Il cigolio della porta ed il passo deciso di un uomo annunciò l’arrivo di Albert. Candy chiuse il libro e lo mise da parte.

"Ti ho fatto aspettare molto?" le chiese, prendendo posto di fronte a lei.

"Assolutamente no, ci sono tantissimi amici qui con cui passare il tempo", rispose lei lanciando uno sguardo agli innumerevoli libri sugli scaffali e cercando di acquietare lo scombussolamento causatole dai suoi pensieri.

"Beh, i Brighton si sono congedati, così come il Sig. Legan, che sembra avesse ancora della corrispondenza da sbrigare a casa. Il resto della famiglia resterà qui e se ne andrà domattina dopo colazione. Temo che dovrai sopportarli ancora un po’. Ti dispiace?" le chiese.

"Confesso che non sono tra i miei più cari amici, ma penso che qualche ora in più non sarà un problema", disse con un sorriso. Candy decise di non raccontare ad Albert del breve incontro avuto con Neil proprio un minuto prima.
Albert annuì e la guardò dritto negli occhi. Era ora di affrontare la questione. Si protese verso di lei, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, in modo da poter essere alla sua altezza.

"Candy, dimmi, sei molto innamorata?"

La donna spalancò i grandi occhi verdi per la sorpresa.

"Sono così trasparente?" fu la sua candida risposta, strappando un sorriso ad Albert.

"Dunque avevo ragione. Devo ammettere che ti sei comportata alquanto stranamente di recente, ma non ne avevo compreso la ragione fino a qualche minuto fa, quando eravamo nella sala della musica. Eri raggiante. Non ti vedevo con quel sorriso inebetito da anni", scherzò, cercando di dar respiro al nervosismo di Candy.

"Sapevo che avrei dovuto parlartene prima o poi, ma ero piuttosto riluttante a farlo, sapendo che mi avresti preso in giro all’infinito", gli disse annuendo e sorridendo apertamente, mostrandogli così le sue ben note fossette.

"Non c’è nulla di male ad essere innamorati, Candy. Temo solo che questa persona possa farti soffrire. Dimmi, chi è? Posso fidarmi di lui e affidargli la mia cara Candy?"

Questa volta Candy divenne improvvisamente seria e abbassò lo sguardo. Albert non poté nascondere la confusione davanti a quel repentino cambio d’umore. Immediatamente, il suo istinto protettivo scattò come una molla. Candy era forse coinvolta in una relazione disdicevole? Il suo amore non era corrisposto? L’oggetto del suo amore era immeritevole del suo valore? Era forse un paziente affetto da una malattia incurabile?

"Lo conosci bene", disse finalmente senza guardarlo, "e non mi sono appena innamorata, Albert. Lo amo da molti anni. Ma ora ho delle nuove ragioni per sperare".

L’espressione di Albert passò da angoscia a sorpresa, infine aggrottò la fronte incredulo.

"Stai parlando di Terence!" esclamò ancora piuttosto sorpreso, "ma lui. . ."

"La sua fidanzata è morta due anni fa, Albert. Mi ha scritto una lettera la scorsa primavera mentre era in tournée in Inghilterra e siamo in contatto da allora. L’ho incontrato durante il mio viaggio".

"E ti ha dimostrato di essere interessato a te come in passato?" le chiese, riluttante ad accantonare le sue riserve.

Prima di rispondere ad Albert con le parole, le fossette comparse ancora un volta sul viso di Candy, risposero per lei.
"Me l’ha fatto capire con i suoi soliti modi irriverenti", rispose alzando gli occhi al cielo. A quel punto, la tensione sulle spalle di Albert si allentò.

"Non riesco a crederci, Candy. Io . . . io pensavo che tu, che tu l’avessi dimenticato", disse poi, rendendosi conto di aver sbagliato nell’interpretare la sua solita energia e gioia di vivere come segno che avesse finalmente superato tutto.

"Ho cercato di convincermi della stessa cosa, Albert; ma non si ricorda nelle proprie preghiere ogni sera una persona che si è veramente dimenticata, non si conserva ogni ricordo e non si rammenta ogni compleanno di una persona per la quale non si prova più nulla".

"Temo di essere stato un pessimo amico", disse Albert con rimpianto.

"Non torturarti così, Bert", disse lei poggiando la sua mano su quella di lui, "Ho voluto nasconderlo a tutti. Forse solo Miss Pony e Suor Maria con cui vivo da anni potrebbero aver sospettato qualcosa. La cosa importante è che adesso sono felice".
Albert tirò un sospiro, rendendosi conto che Candy aveva ragione. Qualsiasi cosa fosse successa in passato, l’unica cosa che contava veramente al momento era che lei e Terence stessero cercando di riparare agli errori commessi. Sapeva per esperienza che non capitava spesso che la vita offrisse una tale opportunità.

"Quindi non mi resta che augurarti tanta felicità?" le chiese, non potendo evitare di percepire un senso di perdita, come sarebbe accaduto ad ogni padre.

"Sei peggio di Annie!" rise Candy, "Terence ed io dobbiamo ancora parlare di molte cose prima di chiarirci del tutto. Al momento temo che ciò non avverrà prima dell’anno nuovo. È in tournée per il paese, come avrai saputo da Iriza questa sera".

Improvvisamente, Albert comprese l’atteggiamento sereno di Candy quando Iriza aveva cercato di infastidirla durante la cena. Scoppiò a ridere ripensando al lato comico della situazione.

"Ed Iriza che si vantava di aver visto recitare Terence, mentre tu avevi motivo di credere di possedere ancora il suo cuore. E sei persino riuscita a restare imperturbabile senza proferire parola. Cara Candy, credo proprio che tu sia diventata una brava attrice ormai", scherzò.

"Beh, ti confesso che mi sono goduta ogni singolo momento passato con Iriza questa sera", rispose Candy, per poi interrompersi come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa di importante, "Albert, ora che le cose stanno cambiando per me, c’è qualcosa che desidero chiederti".

"Chiedimi pure qualunque cosa, Candy. Di cosa si tratta?"

"Potresti restituirmi il mio vecchio diario…e anche le lettere di Terence? Penso di non correre più alcun pericolo a tenerli con me ormai".

Albert capì immediatamente che il diario dei giorni passati alla Saint Paul School non costituiva più un doloroso ricordo del passato.

"Certo, capisco perfettamente; ma temo che dovrai aspettare che vada a Lakewood. Il diario e le lettere si trovano lì in cassaforte. Prometto di andarli a prendere quanto prima e di portarteli alla Casa di pony".

"Ti ringrazio, Albert".

"Ma ora devi dirmi come hai trovato Terence quando l’hai incontrato. Non lo vedo da così tanto tempo che temo che non lo riconoscerei. Deve essere più grande di quanto non fossi io quando ci siamo incontrati la prima volta".
Candy fu più che felice di soddisfare la curiosità di Albert. Era molto tardi ormai quando finalmente si ritirarono nelle proprie stanze. Candy prese con sé il libro di William Blake, sperando che la poesia intitolata "L’Agnello" potesse restituirle un po’ di tranquillità. Tuttavia, quando finalmente si addormentò, fu ben altra la creatura di Dio che popolò i suoi sogni.

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Le colline erano imbiancate dalla fitta neve che ogni sera degli ultimi tre giorni non aveva smesso di cadere incessantemente. Le strade erano sdrucciolevoli per via del ghiaccio, pertanto Candy guidava con prudenza. Era avvolta in una pesante mantella con una sciarpa che le copriva il viso fino al naso, ma malgrado ciò continuava a sentire freddo. Erano circa le cinque del pomeriggio, ma il crepuscolo iniziava già a scendere sul paesaggio nevoso. Quando finiva il suo turno alla clinica, Candy adorava mettersi alla guida della sua Chevrolet Sedan del 1923. La rilassava e la metteva di buon umore per la cena. Tuttavia, quella sera era ansiosa di tornare a casa al più presto. Natale era alle porte e c’erano ancora tante cose da fare alla casa di Pony. Purtroppo, la condizioni delle strade non le consentivano di accelerare quanto avrebbe voluto.
Rassegnandosi al suo destino, cercò di distrarsi con la radio. Le note di Astro del Ciel risuonarono nell’aria, mentre lei cercava di fischiettarne la melodia.

"Non indovini una nota neppure quando fischi, Candy", pensò deridendo la sua totale mancanza di talento musicale, "Per fortuna al piccolo Alistair non importa che io sia stonata e continua a chiedermi di cantare con lui".

Candy rammentò i pianti disperati del bambino quando era stata in procinto di partire da Chicago la settimana precedente. Alistair non si rassegnava all’idea che Candy tornasse alla casa di Pony senza di lui e dopo infinite lacrime, aveva convinto i suoi genitori a lasciarlo andare con zia Candy a passare qualche giorno con lei.

Il piccolo Stair aveva compiuto quattro anni proprio all’inizio di novembre e non era mai stato lontano da sua madre prima di allora. Pertanto, era comprensibile che gli adulti fossero alquanto scettici a lasciarlo partire per quell’avventura, sebbene si trattasse solo di pochi giorni. Incredibilmente, il bambino non aveva versato una sola lacrima da quando era salito in treno e per tutta la durata della sua visita non aveva fatto che ridere e divertirsi. Candy pensò che gli facesse bene iniziare ad acquisire un po’ più di indipendenza.

Erano le cinque e mezza quando finalmente la giovane arrivò a casa. Entrò nella proprietà dal giardino sul retro, proprio vicino al fienile che fungeva da garage per la sua auto. Quando aprì il cancello, i cavalli e la mucca le diedero il benvenuto con il loro amichevole verso. Salutò gli animali chiamandoli dolcemente per nome. Una volta parcheggiata l’auto, frugò nelle tasche cercando le zollette di zucchero per Cesare e Cleopatra. I cavalli le si avvicinarono pregustando il premio.

"Ecco a voi, amici miei", disse con affetto, togliendosi i guanti per dar loro da mangiare "Sapete bene che non potrei mai dimenticarmi di voi due".

Candy passò qualche minuto a coccolare i cavalli e ad accarezzare la mucca, prima di entrare in casa dalla porta sul retro. Una volta dentro, il calore della sua casa le riempì il cuore. Si tolse mantella, sciarpa e cappello, rivelando la sua uniforme da infermiera. Il grembiule bianco ancora impeccabile era legato intorno alla sua vita minuta. Il tessuto a righe di cotone della sua uniforme non era di certo adatto alla stagione, ma non poteva farne a meno. La maggior parte delle infermiere vestivano nello stesso modo per tutto l’anno. In ogni caso, una volta in casa non aveva granché importanza.

Avendo il pallino della pulizia, come prima cosa si lavò le mani nel lavandino, domandandosi come mai sembrasse tutto così tranquillo. Per una casa con ventiquattro bambini, si trattava di un vero miracolo. Mentre si asciugava le mani, la giovane uscì dalla cucina cercando invano gli abitanti della casa.

"Miss Pony?" chiamò senza ricevere risposta, "Suor Maria?"

Candy si incamminò per i corridoi della nuova ala. In virtù delle ultime migliorie, la casa si era trasformata in un vero e proprio labirinto.

"Siamo qui, Candy!" chiamò infine Miss Pony dal salotto. Quando finalmente la giovane entrò nella stanza, rimase a bocca aperta alla vista di Miss Pony beatamente accomodata su una pregiata sedia a dondolo, con Suor Maria che badava ad una bambina e tutti i bambini stranamente tranquilli intorno all’albero di Natale, mentre il piccolo Alistair dondolava felicemente le sue gambine accoccolato in braccio a Terence Graham.

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