Candy Candy

"La Stagione dei Narcisi" di Josephine Hymes, Traduzione di sailor74 (a.k.a. Ladybug)

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sailor74
view post Posted on 28/4/2013, 18:25 by: sailor74     +3   +1   -1

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Capitolo 5
Distanza



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Stair, Rick, Peter e Larry emettevano ogni verso possibile per tentare di imitare il rombo dei motori. I disegni del tappeto della sala da pranzo erano divenuti il circuito ideale per la collezione di macchinine del piccolo Stair, mentre le gambe di tavolo e sedie creavano un intricato labirinto dove si verificavano gli incidenti più spettacolari. I bambini erano impegnati in questo gioco già da un po’.

Ogni volta che una macchinina si schiantava, Stair la portava dal meccanico per farla aggiustare. Una scatola in cui teneva la sua intera collezione fungeva da officina, per cui lasciava lì la macchinina ‘rotta’ per prelevarne un’altra e continuare a giocare. Fu proprio così facendo che il bambino si accorse che mancava la sua macchinina preferita. Aveva un debole per la sua Model T blu cobalto, perché le portiere e il cofano si aprivano e si chiudevano e le ruote erano dotate di veri pneumatici in miniatura. Ora, però, non la trovava da nessuna parte.

Suor Maria era intenta a lavorare a maglia, mentre teneva sotto controllo i più piccoli che giocavano. Accanto a lei, una bambina, avvolta in morbide coperte, dormiva tranquillamente nella culla. Gli altri bambini erano a lezione con Miss Pony. La suora era intenta ad osservare il visino preoccupato di Stair quando si udì un colpo deciso alla porta principale.

"Vado io, Suor Maria!" si offrì, Stair, alzandosi di scatto dal tappeto.

Pensando che si trattasse del postino, la donna concesse al bambino di andare ad aprire. Abitando in una villa la cui servitù si occupava sempre di espletare tali mansioni, Stair era ingenuamente affascinato dalla possibilità di fare una cosa che sembrasse essere riservata solo ai grandi.

Il bambino corse alla porta e, sollevandosi sulle punte dei piedi, riuscì a raggiungerne la maniglia. Una volta aperto, si trovò davanti un uomo, che dall’altezza gli ricordava Zio Bert. L’uomo si inchinò leggermente per rivolgersi a lui.

"Buon pomeriggio, signore. È questa la Casa di Pony?" chiese l’uomo con una voce talmente profonda, che Stair pensò avesse ingoiato un rospo.

Inizialmente, Stair non rispose, limitandosi a ridacchiare ed a scuotere la testa.

"No", disse finalmente il bambino con un sorriso.

"È sicuro che questa non sia la Casa di Pony, signore?" chiese nuovamente l’uomo, facendo del proprio meglio per restare serio.

"No. Io non sono un ‘signore’. Sono un bambino!" rispose il piccolo e subito dopo il suo sguardo fu rapito da una sagoma blu proprio alle spalle dell’uomo.
Il bambino inclinò la testa verso destra e l’uomo si voltò seguendo il suo sguardo, consentendo a Stair di avere una visione completa dell’oggetto della sua curiosità. Gli occhi del bambino si spalancarono per la sorpresa quando scoprì che alle spalle dell’uomo, nel parcheggio del cortile principale, c’era una Ford Model T Coupé blu cobalto che era la copia esatta della sua macchinina preferita. Il fatto che fosse a grandezza naturale era irrilevante per la fervida immaginazione del bambino.

"La mia macchina!" esclamò sorpreso.

"Come, prego?" chiese l’uomo divertito.

"Mi hai riportato la macchina! Crazie(1)!" spiegò il bambino con un largo sorriso mentre, in preda all’emozione, si aggrappava alle lunghe gambe dell’uomo.

"Hey! Giovanotto! Vacci piano. È solo un auto a noleggio!" rise l’uomo.

"Sei uno degli aiutanti di Babbo Natale?" chiese Stair, ignorando la spiegazione che gli era stata data.

"Dio mio, no!", rispose l’uomo scoppiando a ridere di tutto cuore, dopodiché, ritenendo opportuno presentarsi, si tolse il cappello, si accucciò per mettersi alla stessa altezza del bambino e disse: "Mi chiamo Terence Graham. Piacere di conoscerti, giovanotto" disse, offrendogli la mano destra.

Stair, che non era abituato ad essere trattato come un adulto, trovò l’intera situazione estremamente divertente.

"Ciao, Sig. Cram" rispose Stair, stringendo la mano di Terence, ridacchiando ancora un po’.

"No, non Cram, Graham" ripeté lentamente l’uomo.

"Craaam" disse nuovamente il bambino, scatenando ancora una volta l’ilarità dell’uomo.

"Graham, con la G" spiegò, ma uno sguardo all’espressione perplessa del bambino gli bastò per rendersi conto che questi non era ancora in grado di riconoscere le lettere.

"G? Sig. G?" chiese il bambino aggrottando la fronte, continuando a sorridere con gli occhi.

"D’accordo! Puoi chiamarmi Sig. G. se preferisci, amico", si rassegnò l’uomo.

"Santa Maria, Madre di Dio!" esclamò sorpresa una voce femminile avvicinandosi all’ingresso, "Sig. Grandchester!"

"Suor Maria, Le chiedo perdono per essermi presentato qui senza preavviso", disse il giovane facendo un breve inchino in segno di cortesia.

"Oh Dio mio! Non è affatto un disturbo, figliolo. La prego, entri", gli disse con cordialità Suor Maria, offrendogli la mano. Tuttavia, anziché stringergliela, Terence si inchinò e le fece un galante baciamano; se il giovane non fosse stato nella grazie della donna – come di fatto già era – si sarebbe sicuramente conquistato il suo favore con quel gesto.

Seguito da Stair, il giovane entrò in casa, che di primo acchito gli sembrò parecchio cambiata. Il vecchio salotto era stato trasformato in un ingresso, la porta interna era aperta consentendogli di scorgere un salotto piuttosto spazioso con un grande albero di Natale. La suora lo fece entrare in salotto, ma anziché farlo accomodare lì, lo guidò in una sala da pranzo altrettanto grande, dove altri bambini erano intenti a giocare con una pila di giocattoli sparsi sul tappeto.

"Deve scusarmi se l’ho condotta qui anziché riceverLa nel salotto come avrei dovuto, Sig. Grandchester", spiegò Suor Maria, "ma non posso lasciare i piccoli soli a lungo".

La suora si sedette accanto alla culla, invitando Terence a prendere posto di fronte a lei.

"Posso offrirLe qualcosa da bere Sig. Grandchester, magari una tazza di caffè o di cioccolata?"

"È da parecchio che non gusto una buona tazza di cioccolata, signora. La ringrazio per la premura, la gradirei molto volentieri".

"Le dispiacerebbe dare un’occhiata ai bambini durante la mia assenza?" gli chiese, lanciando un eloquente sguardo in direzione dei piccoli.
Terence si voltò verso i bambini che giocavano accucciati sul pavimento.

"Penso di potercela fare, signora", rispose educatamente, seppur leggermente dubbioso rispetto alle sue capacità di supervisore.

"Perfetto! Sarò di ritorno tra un attimo. Spero che Isabella non si metta a piangere nel frattempo", disse Suor Maria affrettandosi in direzione della porta.

"I-Isabella?"chiese Terence confuso, rendendosi conto che c’erano solo bambini nella stanza; tuttavia, Suor Maria si era già eclissata dietro la porta della cucina e non poté sentirlo.

"Isabella è lì!" disse il piccolo Alistair indicando la culla. Il giovane si alzò e si avvicinò alla culla, realizzando che era occupata da un neonato che dormiva beatamente.

"Capisco. Sembra piuttosto tranquilla. Piange spesso?" chiese Terence ai bambini.

"Tutto il tempo!" rispose uno degli amichetti di Stair.

"Davvero?" chiese il giovane, lanciando uno sguardo alla porta della cucina sperando che la suora fosse di ritorno quanto prima, "Povero me, e cosa dovremmo fare se iniziasse a piangere?"

"Non lo so!" disse un secondo bambino con un’alzata di spalle.

"La zia Candy la tiene così", disse Stair stringendo una delle sue macchinine e cullandola come se fosse un bambino.

"La zia Candy?" ripeté Terence, guardando attentamente il piccolo. Scrutò il suo volto con maggior attenzione, sorridendo tra sé e sé mentre riconosceva il sorriso aperto ed i luminosi occhi scuri dietro gli occhiali, "Deve essere il figlio del Damerino", pensò, allarmandosi subito dopo al pensiero che potesse esserci anche il padre. L’ultima cosa che desiderava in quel momento era un caustico incontro con Cornwell. Si sentiva dell’umore per incontri decisamente più piacevoli; pertanto, sebbene sapesse che avrebbe dovuto affrontare i parenti di Candy prima o poi, sperava di poter rimandare l’evento il più possibile.

"Stair", disse rivolgendosi al bambino, che reagì immediatamente girandosi a guardarlo e confermando i suoi sospetti, "Dove sono la tua mamma e il tuo papà?" chiese casualmente.

"A casa", fu la candida risposta di Stair.

"Sei qui da solo?" chiese Terence, accucciandosi sul tappeto accanto ai bambini, che avevano ripreso a giocare.

Stair sorrise nuovamente. mentre scuoteva la testa con decisione.

"Sono con la zia Candy, e Miss Pony, e Suor Maria, e Peter, e Rick e Larry e Cesare e Cleopatra", spiegò, annuendo al suono di ogni nome.

"E dov’è la zia Candy?" chiese l’uomo inarcando il sopracciglio, con una luce particolare nello sguardo.

"A lavoro", rispose il bimbo con naturalezza e, dopo una pausa, aggiunse con il tono di una persona che ha qualcosa di molto importante da dire, "Lo sai che la zia Candy ti sa cucire la pelle con un ago quando cadi?"

"Mi ha messo i punti e non ho pianto", disse il terzo bambino che finora era rimasto in silenzio, mostrandogli la gamba fasciata.

"Sono colpito", rispose Terence reprimendo un sorriso. L’abitudine dei bambini a cambiare argomento improvvisamente era una cosa del tutto nuova per lui.

Finalmente, in quel momento la porta della cucina si aprì e Terence si precipitò a dare una mano a Suor Maria con il vassoio. Ben presto, tutti i partecipanti a quella inaspettata riunione erano intenti a godersi una buona tazza di cioccolata calda, mentre Suor Maria riprendeva la conversazione che aveva iniziato prima di allontanarsi.

"Devo dire che la Sua visita è davvero molto gradita, Sig. Grandchester. Ma temo che la persona in particolare che sono certa Lei vorrà vedere non sia qui al momento".

"Sebbene non possa negare di essere venuto qui con il preciso intento di vedere Candice, vi sarebbe anche un altro motivo che mi ha indotto a infrangere le regole della buona educazione presentandomi al vostro cospetto senza preavviso, signora".

"Davvero? E posso chiederLe quale sarebbe tale motivo", chiese la suora, divertita dalla cerimoniosità dell’uomo.

"In una della sue lettere Candice aveva espresso il desiderio di regalare a Miss Pony qualcosa di speciale per Natale ed io mi sono offerto di provvedere all’acquisto del regalo in questione durante la mia tournée. Dunque, mi trovo qui in qualità di messaggero e di corriere".

"È stato davvero generoso da parte Sua, Sig. Grandchester, ma Candy non avrebbe dovuto darLe tutto questo disturbo".

"Non è stato affatto un disturbo, Suor Maria, mi sono offerto di occuparmi personalmente della transazione, specificando che le avrei fatto recapitare il regalo su consegna speciale. Ho semplicemente omesso di specificare quanto speciale”, disse con un mezzo sorriso ed una luce maliziosa negli occhi.

"Dunque, immagino che non sarà solo Miss Pony a ricevere una bella sorpresa questa sera", disse la donna, rivolgendogli un intenso sguardo.
Rendendosi conto di avere tutto il tempo necessario a disposizione, Suor Maria colse l’occasione per chiedergli notizie della tournée. Il giovane non era abituato ad intrattenere lunghe conversazioni con altri che non fossero sua madre, ma per qualche strana ragione, si sentiva abbastanza a proprio agio in compagnia della suora. Nei modi affabili di Suor Maria rivedeva traccia del sincero interesse che Candy nutriva sempre nei confronti degli altri, cosa che gli fece mettere da parte le sue consuete riserve. Pertanto, le fece un dettagliato resoconto della sua tournée, accennando appena al suo incontro con Candy, senza scendere in particolari troppo personali.

Ad eccezione di quest’omissione, si premurò di infarcire il suo racconto di così tanti dettagli interessanti da monopolizzare completamente l’attenzione di Suor Maria. La donna ne fu talmente assorta da aver quasi dimenticato di dondolare la culla di Isabella, che iniziò ad agitarsi nel sonno. Persino i bambini che erano impegnati poco lontano a giocare tra di loro, finirono per prestare attenzione ad alcuni particolari del racconto.

Prima che entrambi potessero rendersi conto di quanto tempo fosse trascorso, il suono di una campanella, le risate argentine dei bambini ed il trambusto di vivaci passi annunciarono la fine delle lezioni. Nel giro di qualche secondo, circa venti bambini si riversarono in massa nella sala da pranzo, che a quel punto non sembrò più così grande, vista la presenza di tanti bambini inquieti. Alcuni istanti dopo l’arrivo dei bambini, Miss Giddings fece il suo ingresso con la sua morbida figura ed il suo allegro sorriso. Terence pensò che ad eccezione dei suoi capelli, che erano ormai quasi completamente bianchi, l’anziana donna non fosse cambiata poi tanto dalla sua prima visita nell’inverno del 1913.

Quando si rese conto di chi fosse la persona davanti a lei lì nella sala da pranzo, l’anziana donna restò a bocca aperta per la sorpresa. Si tolse gli occhiali per un secondo per poi inforcarli nuovamente. Infine, si prese il volto tra le mani, ancora incapace di proferire parola.

"Buon pomeriggio, signora, è un piacere rivederLa", disse Terence con un inchino, reagendo per primo dopo un iniziale momento di mutuo riconoscimento.

"Oh Signore! Ma è proprio Lei, Sig. Grandchester?" chiese la donna avvicinandosi alla figura slanciata dell’uomo con la mal celata curiosità di chi ha vissuto abbastanza a lungo da non curarsi delle convenzioni sociali. "È cresciuto un bel po’ figliolo! Si lasci guardare, è proprio un adulto adesso. Benvenuto alla Casa di Pony", gli disse accogliendolo con grande spontaneità e abbracciandolo con il suo ben noto calore materno.

Colto alla sprovvista, Terence accettò l’abbraccio affettuoso dell’anziana donna senza dire una parola. Essere trattato con una tale dolcezza innocente da qualcuno che non fosse sua madre era una bizzarra novità per il giovane. Ricordò che anche in occasione della sua prima visita, le donne erano state entrambe molto gentili e affettuose con lui. Eppure, all’epoca erano state colte di sorpresa, essendo state all’oscuro della sua esistenza, finché non si era presentato alla loro porta; pertanto, nel corso del colloquio che ne seguì, si erano limitate a mantenere una certa riservatezza. Tuttavia, ora Miss Pony lo accoglieva come un figlio che tornava a casa dopo una lunga assenza. Era una sensazione travolgente, ma anche inaspettatamente piacevole.

"Questa è davvero una bella sorpresa, figliolo" , disse l’anziana donna una volta scioltasi dall’abbraccio, "ma non dovrebbe fare di queste cose a una povera anziana come me, potrei non farcela a reggere l’emozione, capisce?"

"In tal caso, Le chiedo perdono, signora, ma mi trovo qui per sbrigare un’importante commissione per conto di Sua figlia", le spiegò, "Ho un pacco da consegnarLe da parte sua".

"Intende dire Candy?" chiese lei, incuriosita.

"Candy ha chiesto al Sig. Grandchester di portarLe un regalo, Miss Pony, o qualcosa del genere", intervenne Suor Maria, sapendo che Miss Pony non era certo il tipo da aspettare fino alla mattina di Natale per aprire un regalo e avrebbe sicuramente provveduto in anticipo.

"Davvero? È stato veramente gentile a fare una cosa del genere per me, Sig. Grandchester!" disse la donna con stupore. Poi, dopo una pausa, si rivolse nuovamente al giovane e, cambiando tono, gli disse "Pensa che potrei vedere il mio regalo adesso?", strizzandogli l’occhio con fare birichino.

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Candy non credeva ai propri occhi. Sebbene avesse desiderato con tutta sé stessa di rivedere Terence, si era rassegnata all’idea che avrebbe dovuto attendere fino alla fine della sua tournée per riprendere la corrispondenza con lui. In un certo senso, era rimasta un po’ delusa dal fatto che egli non avesse espresso il desiderio di incontrarla durante le feste, sebbene lei gli avesse esplicitamente chiesto dei suoi programmi dopo la tournée. Si era convinta che la loro relazione si trovasse in un momento di incertezza e forse lui aveva sentito il bisogno di un po’ di tempo – e di distanza – per comprendere appieno i propri sentimenti, prima di fare il prossimo passo. Malgrado l’emozione suscitatale dalla sua ultima lettera e dalla fotografia ad essa allegata, ultimamente il suo cuore aveva iniziato a dubitare. Il furtivo pensiero che il suo interesse potesse essere scemato con il passare delle settimane non le concedeva un’intera notte di riposo da tempo ormai.

"Cosa mi fa credere che un uomo come lui, raffinato ed elegante, possa avere intenzioni serie nei confronti di una ragazza di campagna senza pretese come me, che si dà il caso fosse la sua ragazza a scuola un milione di anni fa?" le aveva più volte sussurrato nell’orecchio quella vocina durante le sue notti insonni, risvegliando in lei le sue ben radicate insicurezze, "E se nelle ultime settimane della tournée avesse conosciuto qualcun’altra a cui dedicare le sue attenzioni?"
Eppure, nonostante questi allarmanti pensieri, Terence era lì, proprio davanti a lei, beatamente accomodato nel suo salotto e intento a fissarla con quei suoi occhi cangianti. Il suo sorriso malizioso indicava chiaramente che si stava godendo ogni istante della sua reazione di smarrimento. Ed a peggiorar le cose, quel furfante sembrava aver affascinato l’intera casa, perché tutti l’avevano accolto come se fosse stata casa sua.

"Candy, non sei felice di vedere che il Sig. Grandchester è venuto a trovarci dopo una tournée così estenuante? Il poverino è arrivato appositamente da San Francisco per consegnarmi questo meraviglioso regalo", disse Miss Pony, divertendosi alle spese di Candy. Un’espressione di sconcerto mista a totale felicità, condita da un pizzico di rabbia, si era chiaramente diffusa sul volto di Candy ed era perfettamente leggibile all’anziana donna.

La bionda, sforzandosi di distogliere lo sguardo da quello di Terence, guardò l’oggetto indicato da Miss Pony. Doveva ammettere che si trattava di un pezzo davvero pregiato. Calle e rose erano state magistralmente intagliate lungo la cornice dello schienale e sui braccioli. Le assi ricurve erano in solida quercia, offrendo un’immagine di stabilità e forza, mentre la seduta e lo schienale erano rivestiti in morbida pelle.

"Credo di dover ringraziare voi due per questo regalo. Avevo in mente di sostituire la vecchia sedia, ora che abbiamo questo nuovo salotto, ma non avevo trovato il tempo di comprarne una nuova. Siete stati entrambi molto premurosi", li ringraziò sinceramente Miss Pony.

"Anch’io devo ringraziarti per il mio regalo di Natale, Candy", aggiunse Suor Maria, indicando una scatolina quadrata posta sotto l’albero, "ma penso che io aspetterò fino a Natale prima di aprirlo".

Candy lanciò uno sguardo in direzione di Terence e capì immediatamente che il regalo per Suor Maria era stata tutta opera sua.

"Dovete ringraziare Terence per essersi preso il disturbo di acquistare i regali per mio conto. Devo ammettere che è stato lui a coprirne le spese, perciò non ringraziatemi finché non l’avrò ripagato".

"Non c’è di che, Candy", disse il giovane e per un secondo Candy pensò di aver notato un lieve rossore sulle sue guance.

"Il Sig. G. ha portato un recalo(2) anche a me, zietta", intervenne Stair sorprendendo i presenti. "La mia macchina blu è crande(3) come la tua adesso". "Che vuoi dire, Stair?" chiese Candy confusa e stupita dal nomignolo che il bambino aveva dato a Terence.

"È una lunga storia", disse il giovane, ridendo di soppiatto.

"Possiamo rimandare le lunghe storie al dopocena, che ne dite?" li interruppe Miss Pony, per poi aggiungere, "Candy, sappi che il Sig. Grandchester ha accettato il nostro invito a passare le feste qui da noi. All’inizio non voleva, ma ho insistito parecchio. Ci credi che non aveva ancora fatto programmi?"

"Oh, davvero? Chi l’avrebbe mai immaginato! Una celebrità talmente impegnata come lui", commentò la giovane con un pizzico di ironia nella voce.

"Proprio così! E ora possiamo monopolizzare la sua attenzione per qualche giorno. Saresti così gentile da mostrargli la stanza degli ospiti, mentre noi prepariamo la tavola per la cena, cara?"

A quello spunto, Terence prese Stair e lo depositò sul pavimento, trattandolo con la massima cura. Per un istante, il cuore di Candy si sciolse quando vide l'uomo di cui era innamorata interagire con il bambino. Tuttavia, doveva ancora decidere se dargli apertamente il benvenuto o rimproverarlo per averle dato l’impressione sbagliata solo per prendersi gioco di lei.

"Che uomo insopportabile! Se avessi saputo che teneva abbastanza a me da fare tutta questa strada per venire a trovarmi, avrei dormito sonni tranquilli negli ultimi giorni…non è così?" pensò, mentre la sua stizza cresceva di minuto in minuto notando il luccichio malizioso negli occhi di lui. Chiaramente si stava godendo il successo della sua bravata.

"Ti dispiacerebbe seguirmi?" gli chiese con un cenno del capo, voltandogli prontamente le spalle per fargli strada lungo i corridoi della casa.

Terence si congedò dalle signore presenti e, una volta recuperate le sue valigie che si trovavano in un angolo della stanza, seguì la giovane. Sapeva che ce l’aveva con lui per essersi presentato senza preavviso e sebbene non conoscesse la misura della sua rabbia, aveva deciso di godersi la vista dei suoi fiammeggianti occhi.

Ben presto giunsero davanti a una porta nella nuova ala della casa, che Candy aprì senza tante cerimonie. La stanza, seppur senza pretese, profumava di cedro, biancheria pulita e fiori di lavanda secchi, che ornavano un vaso posto sul comodino. Terence pensò che non avrebbe potuto desiderare un ritiro più invitante dopo una tournée così estenuante. Il letto coperto da una trapunta patchwork fatta a mano gli fece ricordare che non dormiva per una notte di fila da due giorni ormai.

Troppo arrabbiata per notare gli evidenti segni di stanchezza sul volto del giovane, Candy attese finché Terence non ebbe posato le valigie sul pavimento prima di affrontarlo.

"Potresti smetterla con i tuoi giochetti, Terence? Perché non mi hai detto che avevi intenzione di venire qui?" gli disse bruscamente, preparandosi a dargli una bella lezione, quando fu improvvisamente interrotta da un suo repentino movimento. Prima che potesse impedirglielo, le si era avvicinato pericolosamente, al punto che riusciva a sentire il suo respiro sul volto.

"E perdermi l’opportunità di vedere questi occhi da gattina accesi da un ardente fuoco? Non credo proprio", le sussurrò all’orecchio, piegandosi sulla sua figura minuta. "Tra l’altro, ti sta bene per avermi fatto credere che il signorino con gli occhiali potesse essere un mio rivale".

"Intendi. . .intendi dire . . . Stair?" chiese Candy, sconcertata.

"Esattamente, il tuo spasimante che non si lamenta dei tuoi tanti impegni, milady. Vedi, noi attori shakespeariani sappiamo sempre come goderci una vendetta ben meditata", confessò lui con un sorrisetto compiaciuto.
Finalmente Candy si rese conto che non l’aveva perdonata per essersi presa gioco di lui quella sera a Pittsburgh.

"Quello. . . quello era uno scherzo innocente!" si difese, puntando l’indice per ribadire il punto. La rabbia nei suoi occhi aveva ormai lasciato spazio al panico, quando si accorse di essere con le spalle al muro. Terence non riusciva a decidere quale delle due espressioni trovasse più provocante. D’istinto, si avvicinò ancora un po’.

"Te- Terence! Non. . ." mormorò lei, poggiandogli entrambe le mani sul petto in un flebile tentativo di resistergli.
"Dunque ora sono Terence per te?" le chiese, mentre le sue labbra le accarezzavano il lobo dell’orecchio, scatenandole brividi in tutto il corpo, "A Pittsburgh mi chiamavi ancora Terry. Non è vero?"

Candy poteva chiaramente sentire il proprio cuore accelerare il battito attimo per attimo. Senza grandi sforzi, lui l’aveva circondata con le sue braccia, stringendola sempre più. Candy sapeva che ormai le sarebbe stato impossibile reagire e lui, accorgendosi della sua resa, divenne più audace. Le sue labbra iniziarono a infiammarle le tempie e le guance con leggerissimi baci.

"Mi sei mancata!" le confessò con un sospiro, cambiando completamente tono, mentre il suo respiro lasciava una scia incandescente sul suo volto.
"Anche tu mi sei mancato, Terry", mormorò lei con un sospiro, chiudendo gli occhi e dimenticando all’istante tutti i suoi dubbi e la sua insonnia.
"Così va meglio", disse lui con un sorriso, proprio un secondo prima che le sue labbra prendessero possesso di quelle di lei.

Questa volta fu un bacio vero e proprio. Le labbra del giovane reclamarono quelle di lei lambendole con avvolgente decisione, diventando sempre più avide ad ogni morbida contrazione, finché lei non rispose schiudendo inconsapevolmente le sue. Per un fugace momento lui dubitò, ma reso più audace dalla sua passione, si fece finalmente strada nella bocca di lei, assaporandola appieno per la prima volta.

Per Candy, quell’iniziale invasione del proprio corpo fu tanto inaspettata quanto seducente. Non aveva mai immaginato che un bacio potesse trasformarsi in uno scambio così intimo. Tuttavia, malgrado la sua mancanza di esperienza, i sentimenti che nutriva nei confronti di Terence le erano così chiari e definiti che non si oppose a quelle effusioni decisamente più ardite. Come posseduta da una strana forza che non aveva mai sentito prima, le sue braccia risposero al bacio cingendogli la nuca, mentre la lingua di lui accarezzava la sua. Lui la stringeva in un abbraccio talmente stretto che i suoi seni ed i suoi fianchi erano fermamente schiacciati contro il corpo di lui, rendendo impossibile una vicinanza ancora maggiore. Fu in quel momento che percepì uno strano brivido che le attraversò il corpo e le infiammò il ventre. Con il respiro sempre più affannoso, si lasciò sfuggire un lieve gemito, che lo eccitò ancora di più. Per quanto Terence si stesse godendo le reazioni suscitate in lei, si rese conto che avrebbero dovuto fermarsi presto. Aveva il cuore a mille e ben presto il resto del suo corpo avrebbe iniziato a reagire al suo dolce abbandono in un modo tutt’altro che casto; quando l’aveva baciata non aveva previsto che l’atmosfera potesse surriscaldarsi a tal punto in così breve tempo. Tuttavia, non volendo staccarsi da lei bruscamente, decise di sciogliersi dall’abbraccio dolcemente, allentando la presa e alleggerendo i suoi baci poco a poco.

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Quando finalmente le lasciò libere le labbra, poggiò la fronte sulla sua, tenendo ancora gli occhi chiusi e assaporando la dolcezza del respiro affannoso di lei sul suo volto. Quell’aperta accettazione dell’espressione fisica dei suoi sentimenti era per lui una sensazione meravigliosamente nuova. Si rese conto che si trattava solo del preludio di quello che li aspettava. Inconsapevolmente, sorrise e aprì gli occhi per guardarla.

"Allora, Signorina Andrew, pensi che avrò bisogno della mia maschera da scherma?" scherzò, mentre lei, per tutta risposta, scoppiò in una risatina scrollando il capo all’indietro. Terence pensò che non esistesse nulla di più ammaliante della sua risata argentina.

"Credo che tu sia ben consapevole del fatto che abbiamo da tempo oltrepassato quella fase, Sig. Graham", rispose lei, guardandolo nuovamente negli occhi e ritrovando quell’intensa luce che aveva notato per la prima volta a Pittsburgh. D’istinto, le tornò alla mente la poesia di Blake e dovette abbassare lo sguardo insicura delle reazioni che avrebbe potuto avere se avesse continuato a fissarlo, "Credo che sia meglio andare adesso, Miss Pony e Suor Maria ci staranno aspettando per la cena", aggiunse poi, sapendo che non avrebbero potuto restare soli in quella stanza ancora a lungo.

"Credo che tu abbia ragione", concordò lui con riluttanza.

Mentre la liberava lentamente dalla sua presa, le sue mani percorsero le braccia di lei in una prolungata carezza. Anche se coperta dalle maniche lunghe della sua uniforme, la sua pelle tremò al suo tocco. Poi, le prese la mano e la condusse fuori dalla stanza. Mano nella mano, percorsero in silenzio il corridoio della casa verso la sala da pranzo.


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Quando la coppia raggiunse la porta della sala da pranzo, Candy lasciò discretamente la mano di Terence, mentre lui si sforzava di reprimere un sorriso alla vista del suo tenero rossore. Malgrado ciò, era impossibile nascondere la luce che brillava nei suoi occhi e che tradiva la sua felicità. Miss Pony, che aveva l’età e l’esperienza per capire cosa stesse accadendo, rise tra sé e sé.

L’ora dei pasti alla Casa di Pony era una questione alquanto complicata, ben più di quanto avrebbe potuto immaginare Terence. Dar da mangiare contemporaneamente a ventiquattro bambini e ad un neonato era un compito decisamente arduo. Tuttavia, sembrava che le tre donne riuscissero in qualche modo a farcela senza troppe difficoltà, tenendo tutto sotto controllo per evitare che scoppiasse il caos più totale.

Sforzandosi di sembrare padrona di sé, Candy si dedicò alle sue solite mansioni e, dopo un attimo, era già impegnata a servire la zuppa, a pulire il naso ai bimbi ed a fare le smorfie a Isabella. La bambina era sveglissima e beveva avidamente dal biberon beatamente accoccolata tra le braccia di Suor Maria.

Su sua richiesta, Terence aveva preso posto accanto a Miss Pony ed era impegnato in una fitta conversazione con l’anziana donna. Malgrado ciò, i suoi occhi non smettevano di seguire Candy, stregato da ogni suo minimo movimento. Avendo notato l’intera scena, Miss Pony e Suor Maria si erano scambiate uno sguardo di intesa.

"È stata sempre qui la felicità, accanto a lei? Era così a portata di mano?" si chiese, osservandola in silenzio curarsi dei bambini, mentre era impegnata a tagliare il pane con destrezza ed a parlare con Stair che era un vero chiacchierone.

Terence si rese conto che il bambino era effettivamente un vero tesoro e avendo ereditato dal suo compianto zio non soltanto l’aspetto, ma anche la gestualità ed i modi, era davvero molto caro a Candy. Il bambino sembrava corrisponderla in tutto e per tutto, dato che era ovvio che stravedesse per sua Zia Candy, così come suo zio e suo padre prima di lui.

Il giovane non poté evitare di pensare che se non fosse stato per le disastrose decisioni maturate a New York dieci anni prima, in quel momento in braccio alla sua amata Candy avrebbero potuto esserci i loro bambini, anziché il piccolo di Archibald e Annie Cornwell; i figli che lui avrebbe dovuto darle tanto tempo fa. Un’improvvisa fitta di rimorso gli trafisse il cuore, mentre si rendeva conto del tempo che avevano perso soffrendo inutilmente.

"Ho commesso un imperdonabile errore a lasciarti andare, amore mio", pensò, "Ne ho pagato le conseguenze per tutti questi anni, ma era giusto così perché era stata tutta colpa mia; ma tu? Cosa avevi fatto tu per meritare il mio abbandono? Ti ho fatto soffrire terribilmente, Candy! E ora, mi accogli senza un rimprovero. Un bastardo come me merita davvero una seconda opportunità? "

Inconsapevole dei suoi malinconici pensieri, lei gli sorrise dall’altro lato del tavolo e una sensazione di tenero calore si diffuse nel suo petto, allontanando la tristezza per un momento.

"Dobbiamo parlare", le disse, muovendo le labbra ma senza emettere alcun suono.

"Dopo", gli rispose lei nello stesso modo, regalandogli un altro sorriso.

La cena si svolse con il suo caratteristico trambusto e la consueta confusione. Le pietanze erano semplici, ma gustose e abbondanti. I più piccoli avevano mangiato solo della pasta in brodo con le verdure, pane e latte caldo, mentre ai bambini più grandi ed agli adulti era toccato anche un po’ di brasato ed un’insalata. Verso la fine del pasto ci fu grande alacrità riguardo al dolce, una torta di mele che apparentemente era la preferita dei bambini.

Candy si alzò in piedi per tagliare a fette due grandi torte, mentre Miss Pony si occupava di servire le bevande calde.

"Thè o caffè?" chiese l’anziana donna a Terence con la sua solita gentilezza.

"Thè", rispose Candy prima che potesse farlo il giovane. In un attimo, Candy passò a Miss Pony mezzo limone e una zolletta di zucchero, per poi riprendere immediatamente e senza battere ciglio a servire la torta, iniziando dai più piccoli. Terence, felice di sapere che lei ricordava perfettamente i suoi gusti, non fece alcun commento, ma la convinzione che lei tenesse a lui si radicò ancor più nel suo cuore.

Ignara delle riflessioni del giovane, Candy continuò il suo lavoro. Mentre si concentrava sul suo compito, si ricordò di una delle lettere di Terence in cui lui l’aveva presa in giro dicendole che non le sarebbe servito alcun costume per sembrare una strega. Guardando la torta che aveva preparato la sera prima, le venne un’idea.

Quando giunse il momento di servire Terence, gli fece un sorriso impertinente e, abbassando la voce, gli disse:

"Guardati dalla torta di una strega, Lord Macbeth; potresti soffocare a causa di una mela avvelenata".

Il giovane le lanciò uno sguardo e ricordandosi del divertente battibecco che avevano avuto tramite lettera, capì che era stata lei a preparare la torta. L’ultima volta che aveva parlato con Candy delle sue abilità culinarie, ormai molti anni prima, la giovane gli aveva confessato che nell’appartamento di Chicago che condivideva con Albert era lui ad occuparsi della cucina, perché lei non ne era assolutamente in grado. Pertanto, fissò con diffidenza la fetta che gli era stata servita.

Una volta accomodatasi nuovamente al suo posto, Candy notò la riluttanza di Terence ad assaggiare il dolce e riuscì a malapena a soffocare una risata quando si accorse del modo estremamente cauto con cui aveva infilzato il primo boccone. Miss Pony e Suor Maria avevano seguito l’intera schermaglia, facendo del proprio meglio per fingere di non aver capito.

La bionda sedeva proprio di fronte a lui e con grande sicurezza si portò un boccone alla bocca. Il giovane si stava ancora guardando intorno e avendo notato che tutti sembravano giudicare la torta commestibile, aveva deciso di rischiare e assaggiarne un boccone. Con sua grande sorpresa, il dolce era veramente squisito. La sua espressione tradì il suo sconcerto.

"Oh uomo di poca fede", disse lei scuotendo la testa. "Dubiti del fatto che un maschiaccio possa imparare a fare una torta?"

Questa volta Miss Pony e Suor Maria non poterono evitare di scoppiare a ridere, seguite subito dalla stessa Candy. Essendosi reso conto di essere stato vittima dell’insaziabile sete di scherzi della giovane, anche Terence si unì a loro ridendo di tutto cuore.

Pensò che era da tantissimo tempo che non si godeva una cena con una compagnia così piacevole.

In quel momento, l’ilarità generale fu interrotta dallo squillo del telefono. Candy schizzò letteralmente in piedi per correre a rispondere. Ancora una volta, Terence la seguì con lo sguardo.

"Pronto"
……
"Oh, Albert! Aspettavo la tua chiamata da ieri". "D’accordo, d’accordo; ti perdono, ma sai bene che mi ingelosisco quando mi trascuri", disse con una risatina, "Stanno tutti bene?
……
"Annie si prende cura della dieta della zia Elroy?
……
"Fantastico! Te l’avevo detto che in questo modo le cose si sarebbero sistemate. Devi solo fidarti della tua Candy e vedrai che tutti i tuoi problemi saranno magicamente risolti, Bert".
……
"Certo, Stair sta bene. Di’ pure ad Annie di non preoccuparsi. Sta facendo nuove amicizie e si comporta benissimo. Quando verrai a prenderlo?"
……
"Perfetto! Tutti qui non vedono l’ora di rivederti, sai che sei il loro preferito. E poi, ho una sorpresina per te per quando arriverai. Sono certa che ti piacerà".
……
"Lo so, lo so...., ma sono certa capirai che devo passare il Natale qui, Bert. È una giornata molto importante per la Casa di Pony. Non possono fare a meno di me. Ma ti prometto che tornerò a Chicago dopo le feste, così potrai viziarmi quanto vorrai".
……
"D’accordo. Darò loro i tuoi saluti. Salutami Annie e Archie".
……
"Ti voglio bene anche io, Bert".
……
Mentre Candy parlava al telefono, Miss Pony notò come il volto di Terence si fosse trasfigurato. Improvvisamente, il caldo e vivace scintillio dei suoi occhi era scomparso ed il suo volto aveva assunto un’espressione austera.

"Albert arriverà il 21", annunciò lei dopo aver riagganciato, "Verrà a prendere Stair per riportarlo a casa. La tua mamma sente tanto la tua mancanza, Stair", aggiunse lanciando un intenso sguardo al bambino.

Terence restò in silenzio, concentrando la sua attenzione sulla tazza di thè.

"Sarà davvero sorpreso di trovarti qui", aggiunse lei rivolgendosi al giovane.

"Immagino di sì", rispose lui seccamente.

Candy percepì il suo cambiamento. Sapeva bene che non era una novità per Terence avere questi repentini sbalzi d’umore, ma erano passati anni dall’ultima volta che una cosa del genere era accaduta davanti a lei, perciò l’aveva colta impreparata. La conversazione, poi, si era indirizzata su altri argomenti e Terence aveva ritrovato la padronanza di sé. Tuttavia, il suo volto iniziava a mostrare segni di stanchezza.

Avendo notato tutto, Suor Maria e Miss Pony suggerirono discretamente al loro ospite di ritirarsi per riposarsi un po’ dopo il lungo viaggio. Il giovane apprezzò la premura delle donne e presentò le sue scuse, lasciando la sala da pranzo per dirigersi verso la camera degli ospiti. Candy, che si aspettava di poter parlare un po’ con lui prima di coricarsi, era rimasta sbigottita davanti al suo frettoloso congedo, soprattutto perché lui non le aveva lanciato neppure uno sguardo.

Incapace di dare una spiegazione al suo comportamento e confidando nel fatto che avrebbero avuto modo di chiarirsi più avanti, la giovane si dedicò alle sue abituali mansioni. Decise che c’erano così tante ragioni per essere felice dopo una giornata come quella che non avrebbe perso tempo a torturarsi senza un valido motivo.


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Terence si asciugò i capelli appena lavati strofinandoli con forse fin troppa energia. Aveva creduto che una doccia prima di andare a letto l’avrebbe aiutato a riordinarsi le idee, ma chiaramente quella strategia non stava affatto funzionando. Con indosso solo i pantaloni del pigiama e un asciugamano intorno al collo, il giovane si sedette sul letto. Si tirò su distrattamente sui cuscini, puntellandosi sui gomiti, il volto assorto nella confusione dei suoi pensieri.

Si guardò intorno e ritrovò il punto della stanza in cui lui e Candy si erano abbracciati e baciati solo qualche ora prima. Ebbe un tuffo al cuore ripensando alle sensazioni che aveva provato mentre la stringeva tra le braccia.

In tutta la sua vita, non aveva mai baciato nessuna né era stato mai baciato con tale assoluta e inconfondibile passione. Era stato tutto come l’aveva da tempo sognato, con Candy che non solo l’aveva accettato completamente, ma aveva risposto alle sue pulsioni con uguale intensità. Anche se nessuno dei due aveva ancora dato voce ai propri sentimenti, il fatto che lei gli si fosse offerta con tale arrendevolezza era per lui equiparabile alla più tenera delle dichiarazioni d’amore. Sapeva che in quel momento avrebbe fatto o detto qualsiasi cosa che lei avesse osato chiedergli. Ma lei non gli aveva chiesto nulla.

Durante tutta la cena – ne era ben consapevole – aveva dovuto far ricorso a tutte le sue abilità d’attore per non sembrare un perfetto idiota e riuscire a coordinare le proprie idee per sostenere una conversazione civile. Poi, verso la fine, proprio quando era riuscito a raggiungere un beato equilibrio, la telefonata di Albert – o meglio, l’interazione di Candy al telefono con Albert – aveva rinfocolato le sue vecchie insicurezze.

Solo un filino di razionalità gli era venuto in soccorso per mantenere il controllo sui suoi furibondi impulsi. Sebbene fosse ancora giovane e passionale, anni di sofferenze e delusioni gli avevano insegnato a dominare le proprie reazioni in pubblico. Quindi, era riuscito a soggiogare la violenza dei suoi sentimenti trincerandosi nel silenzio. Sapeva che il suo repentino cambiamento d’umore doveva aver spiazzato Candy, causandole confusione, ma era stato senz’altro preferibile ad una scenata davanti alle signore della casa. Per quella ragione, aveva accolto con favore l’invito di Miss Pony e Suor Maria a ritirarsi, perché gli avrebbe dato il tempo di acquietare la sua ansia.

Pensare non gli era d’aiuto. Il suo lato razionale gli diceva che stava esagerando. Terence si ripeté ancora una volta che Albert era il padre adottivo, nonché il migliore amico di Candy. Tra l’altro, in tutti quegli anni era rimasto sempre e solo un amico. Se avesse nutrito sentimenti di altra natura nei suoi confronti, avrebbe certamente corteggiato Candy molto prima, giusto? E per quanto riguardava i sentimenti di lei, non gli aveva dimostrato chiaramente proprio quella sera a chi appartenesse il suo cuore?

"Eppure. . . non riesco a mandar giù il fatto che si sia definita la "sua" Candy, quando ha detto che stava aspettando la sua chiamata e che si era ingelosita, anche se stava solo scherzando”, pensò Terence, che nel frattempo si era sdraiato sulla schiena; i suoi occhi assunsero una sfumatura grigiastra, mentre sentiva ancora una volta montare l’ira dentro di sé, "È stato talmente disgustoso sentirla ripetere mille volte "Bert", che ho pensato di alzarmi e andarmene seduta stante!"

Animato da quello spiacevole ricordo, il giovane si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra. Fuori la notte era già calata sul quieto panorama innevato.

"Ma la cosa peggiore di tutte", continuò con le sue riflessioni, “è stata quando gli ha detto "Ti voglio bene anch’io". Temo che se fosse stato qui l’avrei strangolato. Sono veramente un mostro!" si rimproverò Terence, coprendosi il volto con una mano, come se provasse vergogna dei suoi sentimenti. "Quel pover’uomo merita la mia gratitudine per tantissime ragioni ed invece io sono qui a fare pensieri omicidi su di lui".

Terence si ricordò chiaramente che una volta Albert gli aveva salvato la vita e, per di più, era stato proprio lui a mandare Candy a studiare in Inghilterra; quindi, tecnicamente gli era debitore per averla conosciuta. Inoltre, in tutti questi anni le aveva offerto amicizia e protezione, mentre Terence era legato ad un’altra. Sapeva bene che tutta quella gelosia era assolutamente irrazionale e fuori luogo.

"È. . . è solo che non sopporto l’idea che tu possa amare un altro uomo, Candy", mentre nella sua mente riviveva ancora una volta il ricordo del sapore delle sue labbra sotto le sue appassionate carezze, "se fossi qui con me adesso…e mi dicessi con quelle tue stesse labbra che è me che ami, che sono io il tuo uomo e tu la mia donna, solo allora mi sentirei totalmente rassicurato".

In quel preciso istante si rese conto di una cosa: non avevano mai parlato apertamente dei loro sentimenti; né ai tempi della scuola, né dopo che si erano ritrovati.

"Sì, è proprio questo il punto! Devo sentirti dire che mi ami e dirti senza mezzi termini quello che provo per te! Devo trovare il tempo e il modo di sistemare le cose tra di noi e chiarire tutto prima che arrivi Albert, altrimenti impazzirò".
Con questa nuova risolutezza, finalmente si coricò e scivolò lentamente in un sonno profondo popolato dai sogni di lei.

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Non era ancora spuntato il giorno e tutti in casa dormivano ancora profondamente quando il rumore degli stivali di Candy riecheggiò nella cucina. Cercando di non fare il minimo rumore, la giovane iniziò a prepararsi una leggera colazione a base di farinata d’aveva e caffè caldo. Mentre versava l’acqua nella caffettiera, Candy ripensò per la centesima volta a quello che era accaduto il giorno prima. Non riusciva ancora a credere che lei e Terence avessero dormito sotto lo stesso tetto. Per anni, si era rassegnata all’idea che non l’avrebbe più rivisto. Solo a volte, in quei furtivi momenti quando la solerte guardia che teneva a bada i suoi pensieri vacillava, aveva osato sognare che forse…chissà…un giorno, la vita avrebbe potuto offrirle l’opportunità di tornare a sperare. Ma bastava un attimo e la sua razionalità la obbligava a rifuggire da tali improbabili considerazioni. Ora, però, quei suoi sogni impossibili si erano incredibilmente tramutati in realtà e Terence era lì, in carne ed ossa, che riposava nella stanza degli ospiti.

"Ed ora non ci sono più dubbi sulle sue intenzioni nei miei confronti", pensò, arrossendo violentemente al ricordo dell’abbraccio che si erano scambiati solo poche ore prima, "Oh povera me! Non posso credere di essermi comportata in modo talmente sconsiderato!"

Candy sapeva che non sarebbero potuti andare avanti così per sempre, fingendo di ricominciare da dove si erano lasciati tanto tempo addietro. Dovevano assolutamente parlarne, a lungo e seriamente, ma paventava il momento in cui avrebbero dovuto riaprire vecchie e dolorose ferite.

Miss Pony era stata molto chiara la sera prima, quando ne avevano parlato prima di coricarsi. Non era abitudine dell’anziana donna intromettersi nella vita di Candy, ma in questo caso in particolare si era permessa di affrontare l’argomento.

La giovane ricordò di essere rimasta sorpresa dalla visita di Miss Pony nella sua stanza quella sera.

"Candy, sai bene che Suor Maria ed io abbiamo sempre rispettato le tue decisioni riguardo alla tua relazione con il Sig. Grandchester, sia in passato che nel corso degli ultimi mesi", aveva esordito l’anziana donna, guardandola con l’amore di una madre, "ma se questa volta me lo consenti, vorrei sapere a che punto è adesso la vostra amicizia".

"Beh. . . ehm. . . non ne abbiamo ancora parlato nei dettagli. . . per ora", aveva balbettato la giovane abbassando lo sguardo.

"Ma non crederai davvero che sia interessato a te soltanto come amica, non è vero Candy?" chiese Miss Pony, prendendo posto sul letto accanto a lei.

"No, Miss Pony, ora credo di poter affermare con certezza che Terence nutra interesse nei miei confronti come donna e non solo come amica", aveva confessato, tenendo lo sguardo fisso sulle mani, che agitava nervosamente. "Ma ti ha detto con chiarezza quali siano i suoi sentimenti?"

"Non a parole, se è questo che intende. L’ho capito dal suo comportamento", riuscì a spiegare Candy, sperando che Miss Pony non desiderasse approfondire oltre la questione.

"Beh, quello è chiarissimo anche a me", sottolineò Miss Pony con un sorriso, "quel poverino è innamorato cotto ed è proprio questo che mi preoccupa, Candy".
"Non…non sono sicura di aver capito cosa intende dire", aveva chiesto Candy, confusa dall’enigmatica espressione di Miss Pony, oltre che dalle sue parole.

"Oh Candy!" rispose Miss Pony, tirando un profondo sospiro, "Un uomo innamorato può essere alquanto impacciato a dar voce ai propri sentimenti, persino nelle condizioni più incoraggianti. E considerata la posizione piuttosto difficile in cui si trova il Sig. Grandchester al momento, sapendo di averti fatto soffrire così tanto in passato, sebbene involontariamente, sono certa che sia molto combattuto e stia cercando di trovare il coraggio di parlarti. Il suo cuore sarà senz’altro gravato da insicurezze e dubbi riguardo ai tuoi sentimenti per lui".

"Lo crede davvero?" riuscì a chiedere Candy, con gli occhi spalancati per la sorpresa.

"Non hai notato il suo cambiamento d’umore questa sera a cena?"

"Oh, beh, sì . . . ma per certi versi è sempre stato un tipo un po’ lunatico", disse Candy nel tentativo di trovare una giustificazione al suo comportamento.

Miss Pony non contraddisse la giovane, ma la fissò intensamente prima di porle un’altra domanda.

"Candy, hai chiarito con il Sig. Grandchester la natura del tuo rapporto con il Sig. Andrew?" chiese la donna, stringendo le palpebre.

"Il mio rapporto con Albert?" aveva chiesto a sua volta la bionda, non capendo dove volesse arrivare Miss Pony. "Certo, Terence sa bene che Albert è il mio padre adottivo. Tra l’altro, lui e Albert si conoscono benissimo. Quando eravamo a Londra erano diventati grandi amici".

"Forse lo sa qui", disse Miss Pony portandosi un dito alla tempia, "ma nutre ancora dei forti dubbi qui", aggiunse poi, toccandosi il petto all’altezza del cuore.

Candy restò a bocca aperta, incredula.

"Non vorrà forse lasciarmi intendere che Terence sia geloso di Albert!"

"Per una volta, cerca di metterti nei suoi panni. È stato lontano da te….per quanto? Nove, dieci anni, giusto? In tutto questo tempo, il rapporto tra te e il Sig. Andrew è diventato molto più intimo; come fratello e sorella, intendo. Ma il tuo Sig. Grandchester non ha assistito a nulla di tutto ciò. Improvvisamente, ti sente parlare al telefono con il Sig. Andrew, mentre ti rivolgi a lui in termini estremamente affettuosi, dicendogli persino che gli vuoi bene. Credi che un uomo la prenderebbe alla leggera se la donna di cui è innamorato mostrasse affetto apertamente nei confronti di un altro uomo? Il Sig. Andrew è stato il tuo tutore legale fino alla tua maggiore età, ma ora sei una donna adulta e lui è ancora giovane e peraltro scapolo. Ci hai mai pensato?"

Candy restò in silenzio per un po’. Immediatamente, iniziò a frugare tra i suoi ricordi. Rammentava chiaramente che nei mesi passati alla Saint Paul School, Terence si era dimostrato geloso in più di un’occasione. Di fatto, ora che ci pensava, la sua gelosia era stata spesso del tutto irrazionale e ingiustificata. Innanzitutto, sebbene fossero solo amici all’epoca – sempre che le loro costanti litigate potessero essere equiparabili ad un’amicizia – andava su tutte le furie ogni volta che lei nominava Anthony, come avrebbe fatto un qualunque marito tradito. All’epoca, Candy non aveva capito che le reazioni di Terence fossero in realtà vere e proprie scenate di gelosia, ma adesso era in grado di giudicare. Aveva avuto un atteggiamento possessivo nei suoi confronti sin da quando si erano conosciuti. Anche i suoi assurdi litigi con Archibald erano stati un’ulteriore prova della sua propensione alla gelosia e, per essere del tutto onesta, doveva ammettere che era sempre stato alquanto diffidente nei confronti di ogni ragazzo che le si avvicinava.

Il flusso dei pensieri di Candy si interruppe nel momento in cui le tornò alla mente un altro ricordo.

"Come hai conosciuto Albert?" le aveva chiesto una volta, con un certo nervosismo nella voce, mentre i suoi occhi assumevano una sfumatura blu-grigiastra; esattamente come quando avevano litigato per via di Anthony.

Candy ricordò vagamente di aver notato la tensione sulle sue spalle allentarsi quando gli aveva raccontato la storia di come aveva conosciuto Albert, riferendosi a lui come suo migliore amico sulla cui spalla aveva pianto molte volte in passato. Dopo quella volta, l’amicizia tra Terence e Albert era divenuta così stretta da fugare completamente ogni suo dubbio. Anni dopo, aveva persino acconsentito alla sua convivenza con Albert nel periodo in cui questi aveva sofferto di amnesia. Tuttavia, doveva ammettere che il ragionamento di Miss Pony non faceva una piega; tutte queste cose erano accadute tanto, tanto tempo fa. La fiducia che Terence nutriva nei confronti di Albert sarebbe potuta svanire con il passare del tempo. Tra l’altro, malgrado i baci che lei e Terence si erano scambiati, non avevano ancora parlato dei rispettivi sentimenti. Data la sua natura, quindi, era molto probabile che Terence, in quel preciso istante, proprio mentre lei era intenta a chiacchierare con Miss Pony, si stesse rodendo il fegato nella sua stanza, facendo i ragionamenti più assurdi.

"Vedo che inizi a capire cosa intendo", disse Miss Pony, leggendo l’espressione sul volto di Candy come se si fosse trattato di un libro aperto, "Candy, cerca di fare al più presto possibile una bella chiacchierata con il Sig. Grandchester e, nel frattempo, non parlare troppo del Sig. Andrew in sua presenza. Le cose non migliorerebbero se ti sentisse tessere le lodi del Sig. Andrew come spesso tendi a fare".

"Farò del mio meglio per incoraggiare Terence a parlare, Miss Pony, glielo prometto", le aveva poi detto per rassicurare l’anziana donna.

Dopodiché, la loro conversazione non si era protratta ancora a lungo, ma l’argomento di cui avevano parlato l’aveva tenuta sveglia fino a tardi. Per questo motivo, quella mattina avrebbe avuto bisogno di una dose maggiore di caffeina per rimanere vigile al lavoro. Il sibilo della caffettiera invase la cucina, facendole intendere che il caffè era pronto. La giovane versò la bevanda scura nella tazza più grande che riuscì a trovare ed era ancora in piedi davanti al lavandino intenta a cercare lo zucchero, quando percepì una presenza familiare alle sue spalle.

"Sempre mattiniera, eh?" le chiese Terence con la sua voce baritonale, ancora più profonda del solito.

"Sempre", rispose lei voltandosi a guardarlo, "So che non ami il caffè, ma ti andrebbe di farmi compagnia? Magari un po’ di farinata d’avena?" gli disse, notando che era vestito di tutto punto e apparentemente pronto a iniziare la giornata.

"Mi farebbe molto piacere, grazie".

La giovane si voltò di nuovo per servire i cereali e filtrare il caffè al suo ospite, ponendogli le domande che si fanno solitamente al mattino quando ci si saluta. Lui le rispose un po’ frettolosamente, distratto dalla figura di lei fasciata dalle semplici linee dell’uniforme da infermiera.

In base alla moda dell’epoca, era piuttosto comune per le donne indossare abiti dalle linee alquanto morbide e maschili. Ma l’uniforme di Candy era ancora molto aderente sul punto vita e la curva naturale dei suoi fianchi e del suo fondoschiena era delicatamente accentuata dalla gonna dritta. Terence pensò che non gli sarebbe dispiaciuto affatto se Candy se si fosse vestita così ogni giorno, sebbene fosse uno stile un po’ démodé.

"Per iniziare bene la giornata, però, sarebbe persino meglio se non si vestisse affatto", disse fra sé e sé, dando ancora una volta libero sfogo alla sua immaginazione.

"Ecco qui", disse la giovane passandogli il caffè, "Fai attenzione, è bollente". "Grazie", rispose lui, sfiorandole la mano mentre afferrava la tazza.

D’istinto, Candy si ritrasse. Notò che gli occhi lui erano ancora una volta accesi da quel fuoco che aveva ormai imparato a conoscere. Se voleva cogliere l’occasione di parlargli, non doveva consentirgli di coinvolgerla in un altro silenzioso scambio di carezze.

"Sarò alla clinica per tutta la mattina", lo informò, nel tentativo di fare conversazione, mentre gli serviva la farinata d’avena e si accomodava al tavolo.

"Pensavo che non lavorassi lì tutti i giorni".

"Infatti è così. Il Dott. Martin ha un’altra infermiera che lo aiuta a giorni alterni. Ma oggi mi ha chiamata per chiedermi aiuto con un parto cesareo. La mia collega della clinica non ha alcuna formazione chirurgica, così ha bisogno che lo assista durante l’intervento. Sarà qui da un momento all’altro per venire a prendermi".

"Ieri Miss Pony mi ha detto che solitamente prendi la tua macchina”, puntualizzò lui, ritenendo che la premura del medico fosse eccessiva.

"Oh, beh, la paziente abita in una fattoria qui vicino ed il Dott. Martin era stato chiamato per il parto. Sfortunatamente le cose non sono andate come pensava e sta portando la madre ed il marito alla clinica in paese. Ha pensato che fosse il caso di venire a prendere anche me lungo la strada e riaccompagnarmi una volta assicuratosi che la madre e il bambino stessero bene. Diciamo che non è mai tranquillo quando mi metto alla guida da sola, specialmente con questo tempo e con tutto il ghiaccio che c’è sulle strade".

"Gentile da parte sua", disse Terence con un pizzico di irritazione nella voce.

Candy fu sorpresa dal suo tono.

"Potrebbe essere che se la sia presa perché devo allontanarmi per qualche ora? Oppure è. . .?" pensò, cercando di interpretare il suo umore.

"Oh beh, lavoriamo insieme da così tanti anni ormai che il Dott. Martin mi considera più una figlia, che una dipendente, ed anche per me è come se lui facesse parte della famiglia", aggiunse casualmente, notando che la sua espressione si era rilassata un bel po’ subito dopo il suo commento.

"Oh mio Dio! Dobbiamo assolutamente parlare al più presto, altrimenti mi terrà in ostaggio per assicurarsi che non entri in contatto con nessun uomo là fuori", pensò, tra il serio e il faceto.

Cercando di alleggerire la tensione, Candy cambiò argomento. Iniziò a parlare del paese e dei suoi abitanti, facendo a Terence un resoconto dettagliato del luogo dove lavorava. Entrambi sapevano di dover affrontare la fondamentale questione della loro relazione. Tuttavia, la gioia di far colazione insieme in un contesto così tranquillo era assolutamente travolgente nella sua ammaliante bellezza per rischiare di sciuparla con dolorosi ricordi del passato.

"È un’atmosfera così intima", pensò Candy. "È come se fossimo sposati da anni e stessimo facendo colazione in un giorno come un altro".

Dunque, incapace di trovare il coraggio di lasciare che fossero i loro cuori a parlare, entrambi si aggrapparono alla sicurezza che dava loro una semplice chiacchierata.

"Che ne diresti se venissi a prenderti dopo l’intervento? Potresti mostrarmi il paese", azzardò lui dopo aver finito di fare colazione, con una luce diversa che gli brillava negli occhi.

"Beh, farà sicuramente comodo al Dott. Martin, ma temo che il nostro paesino non abbia granché da offrire, specialmente a un uomo di mondo come te".

"I miei gusti sono molto più semplici di quanto tu creda. Una semplice passeggiata sarà più che sufficiente".

"In tal caso, potresti accompagnarmi a fare la spesa. Miss Pony vuole che compri alcune cose per il ripieno del tacchino che ha in mente di cucinare a Natale", disse, alzandosi e riponendo tazze e ciotole vuote nel lavandino, "Prometto che non ci vorrà molto. In ogni caso, non ci saranno giornalisti a importunarti", continuò, mentre gli voltava le spalle per lavare i piatti.

"Non sono io a dovermi preoccupare dei giornalisti", rispose lui, alzandosi silenziosamente dalla sedia.

"Che vuoi dire?" chiese lei, senza ricevere alcuna risposta.

Prima che potesse ripetere la domanda una seconda volta, percepì il calore del corpo di lui lungo la schiena. Aveva poggiato entrambe le mani sul lavandino, intrappolandola in una posizione alquanto compromettente.

"Voglio dire che non mi interesserebbe affatto se mi fotografassero mentre passeggio in un paesino del Midwest in compagnia di questa affascinante infermiera, ma non sono certo che a te farebbe piacere vedere il nome della tua altolocata famiglia associato pubblicamente al mio", le sussurrò in un orecchio.

"Terence. . . ti prego, allontanati", riuscì a protestare con un debole filo di voce. "Perché?" le chiese lui con tono insolente, "Mi trovi così ripugnante?"

"Sai perfettamente che non è così. È solo che…non è opportuno", ribadì lei.

"Allora avresti dovuto fare maggiore attenzione e abbottonarti per bene la camicetta”, le rispose lui con voce roca.

Prima che Candy potesse reagire, aveva iniziato ad accarezzarle la nuca con un dito, tracciando una linea immaginaria fin dove glielo consentiva la scollatura della camicetta. Subito dopo, percepì l’ormai familiare tocco delle sue labbra sulla sua pelle, mentre con una mano le cingeva la vita, attirandola a sé. I brividi che sentiva lungo la schiena erano diventati insopportabili.
Il semplice profumo di miele e camomilla lasciatole sulla pelle dal sapone che aveva usato durante il bagno gli invadeva le narici. Quindi, sebbene sembrasse avere il controllo della situazione, Terence era dolorosamente consapevole di essere prigioniero del suo stesso desiderio.

"Mi stai facendo impazzire!" le sussurrò tra i baci, mentre lottava contro il suo stesso impulso di lasciarsi andare.

Incerti della loro incapacità di controllarsi, non seppero se ringraziare o maledire quell’interruzione, quando qualche secondo dopo il suono di un clacson obbligò Terence a fermarsi.

"Deve essere il Dott. Martin", disse lei quasi ansimando, "Devo andare".

"Lo so", rispose lui, mentre con riluttanza le abbottonava la famigerata camicetta.

In un secondo, la giovane si sciolse dal suo abbraccio per indossare la mantella ed il cappello da infermiera e prendere la sua borsa. Quando si voltò, Terence riuscì a intravedere il rosso fuoco che le coloriva le guance.

"A che ora devo venire a prenderti?" le chiese, visibilmente compiaciuto dal suo affascinante rossore.

"Alle undici va benissimo. Miss Pony o Suor Maria ti indicheranno la strada", aggiunse, prima di uscire di corsa dalla porta sul retro.

Assaporando ancora il profumo della sua pelle, Terence decise di finire di lavare i piatti che Candy aveva lasciato nel lavandino, ripromettendosi di trovare il coraggio di porle "la fatidica domanda" entro quella sera.

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Il paese era tanto piccolo quanto pittoresco. Grazie alle precise indicazioni di Suor Maria, Terence non impiegò molto a trovare la Clinica Felice. Era ovvio che l’edificio fosse stato in precedenza un’abitazione privata su cui era stato fatto un lavoro certosino per trasformarla in una più che dignitosa piccola clinica. L’ingresso era occupato dal banco dell’accettazione, mentre il salone fungeva da sala d’aspetto.

Quando Terence arrivò alle undici in punto, fedele alla sua caratteristica ossessione per la puntualità, fu accolto da un’infermiera di mezz’età che era talmente impegnata a riordinare le cartelle che non sollevò neppure lo sguardo quando lui le rivolse la parola.

"Buongiorno, signora", esordì.

"Buongiorno. La prego, si accomodi finché non verrà chiamato", rispose la donna piuttosto frettolosamente. "Mi scusi, temo non abbia capito", insistette lui.

"Certo che sì, signore. Immagino che il suo sia un caso urgente, ma oggi siamo un po’ in ritardo con gli appuntamenti, perché il dottore sta terminando un intervento. La prego, si accomodi e verrà chiamato al più presto", ripeté la donna, indicandogli la sala d’attesa. Terence, che non era abituato ad essere obbligato ad aspettare, restò un po’ deluso. Tuttavia, avendo sentito che l’intervento era quasi concluso, pensò che avrebbe dovuto comunque attendere che Candy finisse il suo lavoro.

Una giovane coppia afroamericana con una bambina, un’anziana signora ed un uomo sulla trentina erano anch’essi in attesa. Terence si accomodò accanto all’anziana donna, si tolse il cappello e accavallò le gambe.

L’anziana, che era intenta a lavorare a maglia, sollevò lo sguardo per osservare il nuovo arrivato. L’elegante cappello in pelliccia di feltro ed il soprabito dal taglio pregiato perfettamente in tinta con il completo che indossava, le fecero pensare che quello straniero fosse sicuramente nato con la camicia. Aveva altresì notato la sicurezza del suo contegno ed il suo aspetto sano, cosa che la indusse a chiedersi per quale motivo si trovasse lì alla clinica.

Alcuni minuti dopo il suo arrivo, la porta della stanza adiacente si aprì e un uomo corpulento di quasi sessant’anni, con i capelli grigi ed un camice bianco, fece il suo ingresso in sala d’attesa salutando tutti i presenti.

"Buongiorno a tutti", disse il Dott. Martin, rivolgendosi ai suoi pazienti con entusiasmo, "Mi dispiace avervi fatto attendere così a lungo, ma questa è una giornata memorabile per il nostro paese. Abbiamo una nuova vicina! Gli Stewart hanno appena avuto una bellissima bambina".

"Sono felice per loro, Dottore. La Sig.ra Stewart sta bene?", chiese la donna di colore.

"Oh sì, sta benissimo, Sig.ra Johnson. La sua famiglia dovrà prendersi cura di lei un po’ più a lungo rispetto a quanto ci aspettassimo, perché abbiamo dovuto operarla, ma si riprenderà perfettamente. Ora, suppongo di potermi dedicare a tutti voi", spiegò il dottore e poi, rivolgendosi all’infermiera all’accettazione, chiese, "Cynthia, chi è il primo?"

"Il Sig. e la Sig.ra Johnson sono qui con la piccola Paulette che ha un po’ di febbre, Dottore. Poi toccherebbe alla Sig.ra Donnel ed al Sig. Kennedy, e da ultimo il gentiluomo laggiù”, rispose l’infermiera.

Il Dottor Martin rivolse lo sguardo verso l’uomo dalla figura slanciata e dall’aspetto distinto del nordest e un largo sorriso gli illuminò il volto.

"Questo giovane non è un mio paziente, bensì un ospite molto gradito”, disse il medico, offrendo la mano a Terence, "È un onore conoscerla, Sig. Graham".

"Anche per me, signore", rispose Terence, alzandosi in piedi e ricambiando la stretta con decisione, "Candy mi ha parlato benissimo di Lei".

"Sono certo che avrà esagerato. Lei, al contrario, è esattamente come L’ha descritta. Ma venga, La sta aspettando al piano di sopra. La troverà nella seconda stanza a sinistra”, disse l’uomo, indicandogli le scale che portavano al primo piano. Terence capì di essere libero di andare da lei.

"La ringrazio, dottore, e La prego di accettare le mie scuse se rapisco la Sua infermiera per il pomeriggio".

"Sciocchezze! Sono io che approfitto del suo buon cuore anche quando non è di turno. Vi auguro di passare un buon weekend!"

E nel dire ciò, il Dott. Martin rivolse la sua attenzione alla coppia con la bambina febbricitante, lasciando Terence libero di andare a cercare Candy. Il giovane, ovviamente, non necessitava di ulteriori incoraggiamenti.

Quando arrivò in cima alle scale, imboccò il corridoio e bussò con decisione alla porta che gli era stata indicata.

"Avanti", rispose Candy con voce squillante.

Terence fece dunque il suo ingresso in una stanza dalle pareti immacolate, arredata con grandi vetrinette ricolme di medicine, boccette e bende. Sul tavolo giacevano un paio di vassoi di metallo dove alcuni strumenti chirurgici erano ordinatamente riposti. Accanto al tavolo, notò un cesto della biancheria. Terence si accorse che il grembiule bianco che Candy indossava quella mattina era poggiato proprio lì, macchiato di sangue.

Quello che vide lo lasciò piuttosto sorpreso. Non aveva mai riflettuto seriamente su quanto fosse duro il lavoro di Candy. Ricordava di come si fosse presa cura di lui, medicandogli la ferita, quando era entrato nella sua stanza per errore. Sebbene all’epoca fosse giovane ed inesperta, Candy non aveva battuto ciglio alla vista del sangue. Aveva capito subito che avrebbe dovuto fermarne il flusso e non aveva esitato un attimo mentre gli fasciava la gamba.

"La mia donna non è una fragile donzella che sviene alla vista del sangue", pensò con orgoglio.

Non v’era dubbio che il lavoro di infermiera strumentista non fosse adatto a chi aveva il cuore debole, ma il carattere impavido di Candy, unito alla sua indole dolce ed al suo buon cuore, la rendevano perfetta per quel ruolo. Pensò che erano stati proprio quei tratti del suo carattere a suscitargli la profonda ammirazione che sentiva nei suoi confronti.

"È come un fuoco in una notte d’inverno; caldo e accogliente, ma allo stesso tempo, divorante come il desiderio!"

"Mi dispiace averti fatto attendere", si scusò Candy, rivolgendosi a lui dalla stanza da bagno adiacente, un secondo prima di entrare nella stanza. Terence notò che si era tolta l’uniforme ed aveva indossato un vestito color arancio con gonna plissé che le arrivava alle caviglie. La tonalità del vestito le illuminava meravigliosamente il viso.

Una volta nella stanza, la giovane si accorse del grembiule e si affrettò a riporlo nel cesto della biancheria.

"Scusa il disordine", gli disse imbarazzata.

"Stai scherzando? Questo posto è talmente pulito e ordinato che ho l’impressione di contaminarlo solo con la mia presenza", rispose lui, con un accenno di sorriso.

"Avresti dovuto vedere l’ospedale Mary Jane. Era talmente immacolato che questa stanza al confronto sembrerebbe una discarica", rise, mentre allungava la mano per prendere la sua mantella. Tuttavia, prima che potesse farlo, lui la anticipò mettendogliela sulle spalle.

"Credo che tu mi debba un giro del paese", le ricordò dolcemente.

"Ed intendo mantenere la parola, Sig. Graham. Vogliamo andare?"

Scesero le scale e Candy si congedò dalla sua collega e dai pazienti in sala d’attesa con il sorriso solare che tutti conoscevano, augurando a tutti buone feste. Il Dott. Martin, nel frattempo, era impegnato con i pazienti nel suo studio; pertanto, la coppia se ne andò senza poterlo rivedere.

Una volta in strada, Candy poggiò delicatamente la mano nell’incavo del braccio che Terence le aveva offerto. Si domandò cosa avrebbero pensato i vicini vedendoli passeggiare a braccetto per il paese; ma poi, si rese conto che non le sarebbe affatto importato se avessero creduto che ci fosse qualcosa tra lei e quell’uomo affascinante. Tra l’altro, per essere del tutto onesti, quello che era accaduto tra di loro la sera prima e quella stessa mattina non poteva essere inteso diversamente. Pertanto, sorrise tra sé e sé e si aggrappò al suo braccio con maggiore fermezza.

Sebbene facesse piuttosto freddo, c’era un bel sole e l’atmosfera era alquanto effervescente. Con le feste alle porte, quella mattina molti degli abitanti del paese erano impegnati a fare le ultime compere natalizie. Terence e Candy fecero un giro per gli affascinanti negozietti, per poi andare dal droghiere, dove Candy doveva acquistare alcune erbe e delle noci per il ripieno del famoso tacchino di Miss Pony.

Mentre Candy sceglieva con attenzione cosa comprare, Terence assaporava la semplice gioia di condividere con lei anche le cose più banali. Inevitabilmente, la sua mente ritornò ad alcuni anni prima. Anche in quel caso aveva aspettato in un negozio, decisamente più elegante e costoso, mentre un’altra donna terminava di acquistare dei regali alcuni giorni prima di Natale. Si ricordò della sensazione di estrema irritazione e di insopportabile malumore che lo aveva attanagliato, mentre Susanna e sua madre lo trascinavano in giro per B. Altman (2).

Di fatto, se doveva essere onesto, la maggior parte dei ricordi della sua vita con Susanna erano macchiati da un senso di disagio, di frustrazione o di disprezzo. Sebbene avesse imparato a nutrire un certo rispetto per Susanna, era stato perlopiù a causa della pietà e della preoccupazione generate dalle sue sofferenze, la più grande delle quali era stata la sua sventurata famiglia.
Nel corso degli anni aveva capito che la disgrazia più grande per Susanna era stato il suo rapporto con la madre. Dipendevano l’una dall’altra in modo malato e perverso. Anche quando la carriera di Susanna era solo agli inizi, la Sig.ra Marlowe aveva fatto interamente affidamento sui guadagni della figlia per sopravvivere, come se i ruoli di madre e figlia si fossero invertiti anzitempo. Eppure, la Sig.ra Marlowe controllava le decisioni e la vita della giovane con una tale tirannia da lasciare atterrito Terence. Allo stesso tempo, la donna viziava la figlia assecondando ogni suo capriccio, anche laddove avesse dovuto darsi una gran pena per soddisfare le spesso irrazionali richieste di Susanna. Era come un vicolo cieco in cui si ingiuriavano, si manipolavano e si coccolavano a vicenda, incapaci di spezzarne il circolo vizioso. Era chiaro, dunque, il perché Susanna avesse sviluppato una personalità debole, terribilmente egoista e totalmente incapace di vivere la propria vita da sola. Terence non riusciva a dimenticare quanto avesse trovato ripugnante e spregevole il suo carattere debole e immaturo.

In breve, sebbene Terence fosse sinceramente dispiaciuto per la sua situazione ed avesse fatto del proprio meglio per offrirle una qualche consolazione, la sopportava a malapena. A volte, malgrado gli sforzi profusi per comprenderla, Terence finiva per perdere la pazienza e per discutere con lei, esortandola a rimettersi in sesto ed a superare la sua infantile dipendenza. Tuttavia, questi litigi non facevano che inasprire la loro già precaria relazione, avvelenando l’atmosfera che erano costretti a condividere.

Per questo motivo, aveva accolto con favore la sua decisione di intraprendere una nuova carriera, con la speranza che potesse finalmente trovare un modo di acquisire una sorta di indipendenza, concedendogli allo stesso tempo un po’ di tregua dalla sua soffocante presenza. Sfortunatamente, le sue imprese nel campo della drammaturgia erano state inaspettatamente interrotte dalla sua improvvisa malattia, che aveva finito per inasprire ulteriormente il suo carattere immaturo e capriccioso.

Nel corso di tutti quegli anni, Terence non aveva potuto evitare di paragonare Susanna a Candice. Conservava l’indelebile ricordo della contagiosa passione di Candy per la libertà a della sua sorprendente capacità di decidere per sé, spesso con un’audacia ed una forza che non corrispondevano al suo aspetto dolce e alquanto fragile. A quindici anni era talmente minuta e magrolina da far risultare quasi incredibile che un involucro talmente piccolo potesse contenere una mente così volitiva.

Quindi, quando Terence ripensava a lei, nei momenti che ritagliava per sé, si domandava come fosse diventata quella sorprendente e indipendente ragazzina che aveva conosciuto una volta. E adesso lei era proprio davanti a lui, nel seducente corpo di una donna, sempre snella ma non propriamente alta, che emanava sicurezza in ogni suo gesto ed in ogni sua interazione.

Nella piccola clinica, per le strade del paese che gli aveva mostrato, nella sua casa circondata da bambini rumorosi, ovunque andasse e con chiunque parlasse, Candy mostrava una vitalità contagiosa. D’istinto, Terence capì che era proprio lei l’unica donna sulla faccia della terra che potesse toccare le giuste corde del suo cuore per farlo vibrare ed allontanare una volta per tutte le tenebre del suo passato. Per certi versi, l’aveva sempre saputo e per questa ragione non riusciva a capire perché l’avesse lasciata andare.

"Ti vanno un po’ di noci, Terence?" gli offrì lei, distogliendolo dai suoi pensieri.
Terence notò che durante la passeggiata, a causa del freddo del mattino, le sue guance avevano acquisito un colorito rosaceo. Era veramente una visione, pensò.

"È il caso di sgranocchiare dolciumi prima di pranzo, Infermiera Andrew?" chiese, mentre prendeva una manciata di noci glassate che lei gli aveva offerto.

"Giusto un paio non ci faranno male. Dopotutto, ci vorrà almeno mezzora per arrivare alla Casa di Pony".

"In tal caso, dovremmo avviarci adesso, perché dobbiamo ritornare alla clinica. Ho parcheggiato la macchina lì. Ti posso aiutare?" le disse, indicando le buste della spesa che aveva in mano.

"Certo! Grazie!"

Uscirono dal negozio e si incamminarono in direzione della Clinica Felice. Una volta arrivati, Terence guidò Candy verso il luogo dove aveva lasciato l’auto e stava per aprirle la portiera quando notò che si era incantata a fissare il veicolo.

"Che succede?" le chiese, incuriosito dalla sua espressione.

"Quest’auto! È dello stesso colore e dello stesso modello di una delle macchinine di Stair", rispose lei.

"Davvero? Questo spiega il suo entusiasmo quando sono arrivato ieri pomeriggio. Mi ha aperto lui la porta e ha visto la macchina”, rifletté.
Candy sollevò gli occhi al cielo come se stesse cercando di risolvere un enigma.

"Terence, credo che Stair creda seriamente che quest’auto sia il suo giocattolo. Intendo dire che probabilmente si è convinto che la sua macchinina sia cresciuta fino a diventare grande come una macchina vera".

"Lo pensi davvero?" le chiese lui con una risatina, mentre la aiutava a entrare in macchina.

"So che ti sembra assurdo", continuò dopo che lui si fu accomodato al posto di guida ed ebbe avviato il motore, "ma Stair ha un’immaginazione sorprendente per un bambino della sua età. Ti ha detto niente della macchina quando l’ha vista?"

"Beh, sì! Mi sembra che mi abbia ringraziato per avergli riportato la "sua" macchina. Ovviamente, gli ho detto che era solo un’auto a noleggio, anche se non sono certo che abbia capito cosa intendessi".

"Sicuramente non ha la minima idea di cosa significhi noleggiare qualcosa. Credo sia meglio fargli qualche domanda quando saremo a casa".

"Ha veramente preso da suo zio; idee assurde e passione per le macchine in generale, eh?" sottolineò con un sorriso.

"Puoi dirlo forte", rispose lei e entrambi scoppiarono a ridere.

Terence guidò l’auto fuori dal paese, ma quando stava per imboccare la stessa strada che aveva percorso all’andata, Candy gli suggerì una via alternativa.

"Prendi la prossima a sinistra. Preferisco fare questa scorciatoia, ci condurrà direttamente al cortile posteriore della Casa di Pony, è molto più veloce; anche se il Dott. Martin dice sempre che è una strada troppo isolata e non dovrei percorrerla da sola", spiegò con un sorriso birichino.

"Il buon vecchio dottore sembra piuttosto affezionato a te, mentre tu sei talmente impudente da non seguire il suo consiglio. Molto male, ragazza mia", replicò scherzosamente lui, mentre svoltava nella direzione indicatagli da Candy.

"Lo so! Ma è un uomo talmente dolce da non offendersi", rispose lei con una risatina.

"Lo conosci da quand’eri piccola?" le chiese per pura curiosità, dato che la sua gelosia era ormai svanita dopo aver conosciuto l’uomo in questione.

"Oh, in realtà no! L’ho conosciuto a Chicago. Ero già un’infermiera e stavo cercando un nuovo lavoro. Lui aveva una piccola clinica in un quartiere del centro. Ho lavorato per lui per circa un anno prima di tornare alla Casa di Pony".

"Ma prima lavoravi in un grande ospedale, non è vero?" le chiese, incuriosito. Fino a quel momento, nessuno dei due aveva parlato granché di cosa fosse accaduto nelle loro vite dopo la rottura.

"Sì, ma sono stata licenziata", rispose lei, facendo un buffo muso lungo.

"Sei stata licenziata?" ridacchiò lui, "Cosa avrai mai fatto per meritarlo?"
Candy tirò un profondo sospiro, incerta se avrebbe dovuto raccontargli tutta la storia.

"Andiamo, Candy, raccontami cosa è successo", le domandò, percependo la sua reticenza.

"O.K., ma devi promettermi di non dimenticare che tutto quello che sto per dirti è accaduto molti anni fa, è acqua passata ormai. D’accordo?" gli disse lei, agitando un dito per ammonirlo.

"Mi stai spaventando! Ma va bene, te lo prometto. Allora, cosa è successo?"
Candy lo fissò dritto nei suoi profondi occhi blu, valutando ancora quanto della sua storia avrebbe potuto rivelargli. Qualcosa nel suo intenso sguardo le fece intendere che aveva parlato seriamente, così decise finalmente di essere onesta con lui.

"Circa undici o dodici anni fa, per una ragione ancora del tutto inspiegabile, Neil Legan ha iniziato a nutrire…una specie di…simpatia nei miei confronti", esordì scegliendo con cura le parole, "ha cominciato a fare cose che avrei ritenuto impossibili, come mandarmi fiori e. . . ", d’istinto abbassò lo sguardo, "invitarmi a uscire…con lui".

A quel punto Terence schiacciò i freni con forza, arrestando improvvisamente l’auto.

"Mi stai dicendo che quel maledetto figlio di puttana ha avuto il coraggio di corteggiarti?" le chiese alzando la voce, con il volto alterato dall’indignazione, "Ovviamente non hai accettato le sue avances, vero?"

"Certo che no, ho chiarito subito che non ero interessata, ma questa non è una scusa per usare quel linguaggio volgare davanti a me, Terence", lo rimproverò, "Ti ho già detto che è successo tutto molto tempo fa, non c’è alcun motivo di arrabbiarsi tanto adesso!"

Il giovane tirò un profondo respiro. Il tormento che lo attanagliava dentro era visibile attraverso i suoi occhi.
Candy, non sapendo cos’altro dire o fare, continuò a osservarlo in silenzio per un po’.

"Ti chiedo scusa, ti prego continua", le disse lui, una volta recuperata la padronanza di sé.

"Beh... quando ho respinto Neil, lui e sua sorella hanno fatto leva sulla loro influenza per farmi licenziare, impedendomi di trovare lavoro in qualsiasi altro ospedale di Chicago. Credevano che se avessero potuto mettermi con le spalle al muro, prima o poi avrei acconsentito a sposare Neil. Ma si sbagliavano di grosso", disse lei con un pizzico di orgoglio nella voce.
Candy fece una breve pausa, osservando la reazione di Terence. Il giovane era in silenzio e aveva la sua solita espressione impenetrabile. Decise di continuare.

"È stato allora che mi sono imbattuta nel Dott. Martin e nella sua Clinica Felice. Non aveva quasi più pazienti e lui stesso non era al meglio della forma, ma fu così gentile da assumermi e darmi uno stipendio decente. Per certi versi, credo che sia stato Dio a farci incontrare. Lui mi ha aiutata dandomi un lavoro ed io, quando ho scoperto del suo problema con l’alcool, mi sono sentita di aiutarlo a mia volta".

"Dunque. . . era un. ..alcolizzato", disse Terence, quasi stritolando il volante con la mano sinistra.

"Sì, aveva da poco perso sua moglie e aveva iniziato a bere per affrontare il dolore. Era un peccato vedere il suo talento sprecato in questo modo, perché è davvero un bravo medico. Fortunatamente, da quando mi ha assunta, si è sentito responsabile per me e si è rimboccato le maniche per risolvere il suo problema. Grazie alla ritrovata sobrietà, sono aumentati anche i pazienti ed è tornato a sentirsi utile".

"Sono certo che la tua presenza l’abbia aiutato molto", mormorò Terence, distogliendo lo sguardo da lei.

"Ci siamo aiutati a vicenda", disse lei, notando che il giovane si era incupito.

"Sono stati tempi duri anche per me e avere un amico è sempre d’aiuto. Dopo un po’, ho deciso di tornare alla Casa di Pony e il Dott. Martin è rimasto a Chicago. Vivevo qui da qualche mese, quando morì l’unico dottore della zona. Ho pensato che il Dott Martin potesse essere interessato a prendere il suo posto e così gli scrissi facendogli intendere che ci sarebbe stato bisogno di lui qui".

"E lui ovviamente ha accettato il tuo invito", disse Terence riavviando il motore.

"Come vedi, sì; vive in paese da circa otto anni ormai. Gode del rispetto e della fiducia di tutti. Per non parlare del fatto che essendo un uomo di buon cuore, spesso dimentica di farsi pagare. Se capisci cosa intendo".
Candy continuò a parlare per un altro po’, ma Terence restò perlopiù in silenzio, finché non arrivarono alla Casa di Pony. A volte, se interpellato, le rispondeva a monosillabi, ma nulla di più. Sebbene la giovane si fosse sforzata di trattare argomenti più piacevoli, cercando di restare allegra, tutto risultò inutile. Nulla sembrava fargli cambiare umore.

Quando finalmente arrivarono alla casa di Pony, Candy, che era profondamente frustrata dall’improvvisa cupezza di Terence, ringraziò Dio per l’opportunità di interagire con altre persone. Forse grazie a loro l’umore del giovane sarebbe migliorato.

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Alla Casa di Pony era praticamente impossibile passare un minuto lontano dagli onnipresenti bambini. Nel corso del pomeriggio, l’umore di Terence era decisamente migliorato, in parte perché interagire con i bambini era una novità per lui ed in parte perché, essendo una persona sensibile, si lasciava trascinare dalla loro sincerità. Dopo essersi accorta che si era nuovamente liberato della sua ben nota maschera di impenetrabilità, Candy si rilassò godendosi il pomeriggio libero, malgrado il freddo che non consentiva loro di passare del tempo all’aria aperta.

Passarono il pomeriggio a fare ogni gioco possibile con i bambini. Dopo cena, si riunirono tutti davanti al fuoco per leggere ad alta voce alcune storie di Mamma Oca. Suor Maria, Candy e Terence si alternavano per imitare le voci dei personaggi, mentre Miss Pony svolgeva il ruolo del narratore. I bambini seguivano la storia con grande partecipazione, ridendo e battendo le mani di tanto in tanto, quando gli eroi riuscivano ad averla vinta sui cattivi.

Il piccolo Alistair, che si era affezionato molto a Terence, passò la maggior parte della serata seduto sulle sue ginocchia, finendo per addormentarsi tra le sue braccia. Quando gli altri bambini iniziarono a sbadigliare, Miss Pony capì che era giunta l’ora di congedare i presenti e mandare i bambini a letto.

Candy chiese a Terence di seguirla per aiutarla a mettere Alistair a letto. Si incamminarono lungo un corridoio della casa che il giovane non aveva mai visto prima, finché non raggiunsero la camerata dove dormivano i bambini. Terence diede una rapida occhiata ai letti a castello, riconoscendo il classico chiacchiericcio dei bambini che si preparano a dormire. Con sua grande sorpresa, però, non si fermarono lì, ma continuarono a camminare finché non raggiunsero un’altra camera da letto, dove finalmente entrarono.
Quando Candy accese una delle lampade, consentendogli di scrutare l’ambiente, capì dai tratti chiaramente femminili degli arredi che si trovavano nella camera di Candy. La giovane sollevò le coperte e chiese a Terence di depositare il bambino sul letto.

Con tocco veloce ed esperto, la giovane tolse le scarpe ed i vestiti di Stair senza disturbarne il sonno. Infine, gli infilò il pigiama e lo coprì con una morbida coperta. Quando si voltò verso il giovane, si accorse che la stava guardando con un’espressione di estrema dolcezza.

Si sentiva profondamente commossa dalla sua indifesa tenerezza, ma non volendo svegliare il bambino, si portò un dito alle labbra facendogli segno di uscire dalla camera in silenzio. Terence la seguì senza dire una parola, ancora troppo frastornato dal vortice di sentimenti che lo avevano travolto nel corso del pomeriggio e della serata appena trascorsi.

Una volta tornati in salotto, Miss Pony e Suor Maria si intrattennero ancora un po’ a chiacchierare con la giovane coppia, quando Candy disse:

"Ho chiesto a Stair della macchina blu e ho la certezza che sia sinceramente convinto che la macchina di Terence sia la sua".

"Come gli è venuta un’idea simile?" chiese Suor Maria con una risatina.

"Credo che sia nato tutto dal fatto che non riesca a trovare la sua macchinina blu e la macchina di Terence è esattamente dello stesso modello e dello stesso colore. Dopo pranzo, ho cercato la macchina nella scatola dove tiene tutte le altre ed anche nella mia camera, ma non sono riuscita a trovarla", rispose la giovane.

"Pensi che possa averla lasciata allo chalet?" suggerì Miss Pony, mentre si dedicava al suo ricamo.

"Chalet?", intervenne Terence.

"Mi lasci spiegare, Sig. Grandchester", rispose Miss Pony, "il Sig. Andrew, che è un amante della natura, è particolarmente legato alle montagne intorno alla Casa di Pony ed alcuni anni fa ha acquistato uno chalet a ventiquattro o venticinque miglia da qui, sul Monte MacIntyre. Il Sig. Andrew lo usa come rifugio una o due volte l’anno quando è troppo stanco a causa del lavoro o degli impegni sociali. Solitamente resta qualche giorno lì da solo per poi fare ritorno alla solita vita. Candy si prende cura della casa durante l’anno. Una settimana fa, Candy è stata lì per fare le pulizie e lasciare delle provviste; ha portato con sé alcuni bambini, perché avevano espresso il desiderio di giocare un po’ nella neve. C’era anche Stair con tutti i suoi giocattoli".

"Quindi, Miss Pony, Lei pensa che la macchinina possa essere rimasta lì", concluse Suor Maria, "Pensi sia possibile, Candy?"

"È probabile. Mi ricordo di aver visto Stair e Larry giocare con la macchinina blu nel salotto dello chalet. Di fatto, ora che me lo fa notare, mi sembra sia stata l’ultima volta che l’ho vista".

"Forse sarebbe una buona idea andare a cercarla lì. Se troviamo la sua macchinina, capirà di essersi sbagliato. Non vorrei vederlo piangere quando me ne andrò portandomi via quello che crede suo", propose Terence con tono serio. Il fatto che avesse parlato della sua ‘partenza’ con un’espressione così austera fece nascere delle preoccupazioni in Candy.

"Perché non ci andate domani?" disse Miss Pony, rivolgendosi alla giovane coppia, "Oggi non è nevicato ed a dire il vero, fa un po’ meno freddo. Sono certa che la strada per lo chalet sarà ancora in buone condizioni, purché si guidi con cautela. Non avrei mai fatto una proposta del genere se non ci fosse stato Lei, Sig. Grandchester, ma dato che è qui, ci farebbe il favore di accompagnare Candy?"

"Miss Pony, sta forse insinuando che io non guidi con cautela?" chiese Candy con tono riprovatorio.

"Diciamo che hai una guida un po’ troppo frizzante, mia cara", rispose Miss Pony ed a questo ultimo commento, Suor Maria non riuscì a contenere una risata.

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Candy sedeva vicino alla finestra. La sua stanza era illuminata appena dalla flebile luce dell’abat-jour. Tra le mani, stringeva il suo vecchio rosario e il libro delle preghiere. C’era una chiara ragione per cui quella sera non riusciva a concentrarsi sulle sue preghiere. Non poteva fare a meno di ripensare a quanto era accaduto negli ultimi due giorni, cercando di risolvere quell’enigma chiamato Terence.

Un minuto prima era un amante appassionato ed un minuto dopo si allontanava evitando di rivolgerle lo sguardo come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Candy sapeva perfettamente che Terence era sempre stato così. Ogni volta che si sentiva insicuro o temeva che qualcosa potesse ferirlo, diventava improvvisamente freddo e distaccato, come se stesse recitando.
Tuttavia, la giovane era convinta che avessero superato la fare di sfiducia iniziale già molti anni prima. Era vero che erano stati lontani a lungo, ma Candy aveva creduto che grazie alle loro lettere e dopo l’incontro a Pittsburgh, il loro rapporto stesse sbocciando nuovamente. Contrariamente ad ogni logica, nelle ultime ventiquattro ore, lui era tornato ai suoi fuorvianti sbalzi d’umore, causandole profonda confusione.

"Perché mi bacia come se non ci fosse un domani e subito dopo non si degna neppure di rispondere alle mie domande? Prima si ingelosisce senza una valida ragione; poi fa un sacco di storie per una cosa accaduta secoli fa, quando eravamo lontani e senza legami. La smetterà mai di comportarsi così? E poi, quando avremmo potuto cogliere l’occasione del tragitto per parlare, si rifiuta semplicemente di farlo. Allora perché si è preso il disturbo di fare tutta quella strada, se aveva intenzione di restare in silenzio e rimuginare?"

"A volte, Terence, mi sembra di odiare questa tua insopportabile abitudine ad allontanarti, almeno quanto ti abbia sempre amato. È impossibile per noi giungere a un chiarimento, Terence? O la distanza che ci ha diviso in questi dieci anni è troppo grande da colmare?"

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(1)Crazie = Il piccolo Alistair intendeva "grazie", ma ha problemi a pronunciare la “g”, suono prodotto dal palato posteriore (velare), come nelle parole ‘regalo, ‘grande’ e ovviamente ‘Graham’. Tuttavia, non ha difficoltà a pronunciare il suono ‘gi’, essendo generato dalla vibrazione della lingua sotto l’arcata dentale.
(2)Benjamin Altman: era un famoso grande magazzino sulla 5a strada. inaugurato nel 1865. Chiuse i battenti nel 1989.
 
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