Candy Candy

"La Stagione dei Narcisi" di Josephine Hymes, Traduzione di sailor74 (a.k.a. Ladybug)

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sailor74
view post Posted on 28/4/2013, 18:58 by: sailor74     +4   +1   -1

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Capitolo 6
Lo Chalet



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Si era deciso che Terence e Candy sarebbero partiti molto presto al mattino, prima che si fossero svegliati i bambini. Miss Pony era stata particolarmente insistente su questo punto, ribadendo che avrebbe avuto bisogno dell’aiuto di Candy più in là nel corso della giornata.

Per questa ragione, la giovane rimase alquanto sorpresa quando la donna le consegnò un cestino pieno di provviste, come se avessero dovuto star fuori per l’intera giornata.

"Ma ci metteremo solo un paio d’ore ad arrivare lì, cercare il giocattolo e tornare. Potremmo essere a casa in tempo per il brunch", disse Candy, lanciando un’occhiata dubbiosa all’enorme cestino.

"Sono certa che tu non voglia far morire di fame il nostro ospite, cara. Tra l’altro, sembra che oggi ci sarà il sole, potresti portare il Sig. Grandchester a fare una passeggiata nei dintorni dello chalet", spiegò Miss Pony, mentre copriva il cestino con una delle sue tovaglie ricamate.

"Il bosco vicino allo chalet è stupendo in questo periodo dell’anno. Sembra una cartolina di Natale, non è vero? Non credi che sia un’ottima occasione per fare un’escursione sulla neve, Candy?" aggiunse Suor Maria, dando man forte a Miss Pony.

Candy alzò gli occhi al cielo incapace di contraddire Miss Pony e Suor Maria quando decidevano di coalizzarsi a sostegno di una causa. Pertanto, la giovane si limitò a stringersi nelle spalle ed a portare il cestino fuori, dove Terence la stava già aspettando. Quando la vide, il giovane le andò immediatamente incontro.

"Stiamo partendo per l’Alaska?" le chiese, con un mezzo sorriso.
"Lasciamo perdere. Una volta che si mettono in testa una cosa, non c’è modo di far cambiare loro idea", gli sussurrò. Lui afferrò il cestino per poggiarlo sul sedile posteriore, ignaro dei brividi che aveva scatenato in lei quando la sua mano inguantata aveva sfiorato la sua.

Senza commentare oltre, Candy e Terence si congedarono dalle signore della casa e si misero in viaggio. Mentre l’auto si allontanava, Miss Pony e Suor Maria restarono per un po’ sull’uscio salutandoli con la mano.

"Siamo certe di aver fatto la cosa giusta?" chiese Suor Maria alla sua vecchia amica.

"Assolutamente sì! Hanno bisogno di passare un po’ di tempo da soli per chiarirsi", rispose Miss Pony con un sorriso, "Tra l’altro, sembra proprio che sarà una bella giornata di sole. Questo pomeriggio quando saranno di ritorno, potremo iniziare a pensare a dove trovare dei fiori bianchi in questo periodo dell’anno. Si fidi di me, Suor Maria".

Le donne condivisero un sorriso complice, mentre osservavano la macchina sparire dietro l’ultima curva.

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Lo sguardo di Candy era perso nella chioma sempreverde degli alberi circostanti. Come soldati in parata, i pini e le querce sembravano sfilare davanti ai suoi occhi, mentre l’auto avanzava sulla strada. Non osava rivolgere lo sguardo al guidatore, timorosa di incrociare il suo. Non riusciva a trovare le parole giuste da dire, pertanto decise di rimanere in silenzio, guardando distrattamente il panorama che scorreva davanti ai suoi occhi. Per più di venti minuti dopo che ebbero imboccato la strada, l’unica cosa che riuscì a sentire fu il battito del suo cuore.

"È assurdo!", si disse Candy, "Perché mi comporto come una ragazzina timida?. . . Oh Signore! Le mie guance sono in fiamme! Sto forse arrossendo?"

La giovane chiuse gli occhi per un attimo, cercando di tirare un profondo respiro nel tentativo di controllare le proprie emozioni. Infine, quando credette che il suo cuore avesse rallentato un po’ il suo battito, osò voltarsi per rivolgere lo sguardo verso Terence.

Indossava un maglione blu scuro a collo alto sotto un trench di pelle. Per cambiare, al posto di un cappello più formale portava un berretto con visiera in tinta con il suo soprabito. Candy pensò che quello stile più disinvolto le ricordasse un Terence più giovane, in una mattina d’inverno simile a quella, ma di molti anni prima, quando l’aveva portata in giro per Manhattan. Candy non poté fare a meno di ammirare ancora una volta i suoi lineamenti. Mentre lo osservava, una sensazione di felicità le scaldò il cuore.

"Perché sorridi?" le chiese lui, rompendo il silenzio.

"Davvero?. . . Io. . . Io non me n’ero accorta! Deve. . . essere stata questa bella giornata ad avermi messo di buonumore", rispose lei, riuscendo ad improvvisare una spiegazione.

"È sempre stata una tua dote", ribatté lui, con lo sguardo fisso sulla strada.

"Sorridere?"

"Intendevo dire la tua solarità, indipendentemente dalle circostanze", le disse lui, con un pizzico di malinconia.

"E la tua è sempre stata quella di prenderti gioco di tutto e tutti", disse la giovane con una strizzatina d’occhio, cercando di sollevargli il morale.

"E sarebbe una dote?"

"Oh guarda!" lo interruppe lei, "Siamo già arrivati! Non trovi che la vista da qui sia meravigliosa?"

Terence doveva ammettere che Candy aveva ragione. La casa si ergeva in cima a una collina interamente ricoperta di neve. Un ventaglio di pini circondava lo chalet da ambo i lati, spezzando la monotonia dello sfondo bianco con chiazze di verde.

Il giovane parcheggiò l’auto proprio davanti al portico e si attardò un po’ prima di scendere, osservando Candy che correva verso la porta. Indossava dei pantaloni, una redingote e un basco alla francese. Pensò che fosse incredibile come riuscisse a sembrare femminile anche con quell’abbigliamento maschile. Capì che c’era qualcosa di terribilmente seducente nel suo sguardo, nei suoi riccioli ribelli o forse nel suo portamento che l’avrebbe resa sempre e comunque attraente ai suoi occhi, anche se avesse indossato un sacco.

Terence uscì dall’auto e seguì Candy in casa.

Di certo non era paragonabile a una villa, ma la casa era arredata con gusto e qui e là era ricca di dettagli interessanti. Le tonalità scure e le naturali venature del legno conferivano calore e profondità all’ambiente, illuminato magnificamente dal sole che filtrava attraverso le numerose finestre. Il salone era spazioso, arredato semplicemente con un grande e invitante divano e due poltrone in tinta poste intorno ad un focolare in pietra. Alcune fotografie in bianco e nero facevano bella mostra sulla parete principale, tutte raffiguranti panorami esotici, sicuramente scattate durante le molteplici avventure di Albert all’estero. Uno spesso tappeto di lana color avorio ricopriva il pavimento, contrastando con la tonalità marrone scuro dei mobili. In un angolo, una piccola libreria con strani oggetti ed una serie di libri la diceva lunga sul proprietario. Ad un rapido sguardo, Terence notò alcuni romanzi di Verne, la biografia di Livingstone ed i resoconti di Darwin dei viaggi in Sudamerica, a Tahiti ed in Australia sulla HMS Beagle.

"Decisamente tipico di Albert", pensò.

Il salone fungeva anche da sala da pranzo grazie a un solido tavolo di cedro in stile rustico posto in un angolo. La variopinta tovaglia che lo ricopriva ed i fiori secchi di lavanda disposti in un cestino erano l’unico tocco femminile nella stanza, un ovvio segno del passaggio di Candy. La cucina era perfettamente attrezzata e c’era un’altra stanza sul retro; una scala portava al piano di sopra, dove c’era l’unica camera da letto.

"Allora, Le piace il rifugio di mio zio, Sig. Graham?" chiese Candy con il suo solito tono spensierato, "Viene qui per fuggire dalle pressioni di Wall Street e dall’instabilità del Dow Jones. E per un po’ torna a essere l’Albert che hai conosciuto una volta".

"Ci viene da solo?" le chiese incuriosito, ma allo stesso tempo riluttante a parlare del suo vecchio amico.

"Oh sì, assolutamente, e non consente a nessuno di disturbarlo durante le sue meditazioni. Neppure a George od a me".

"George?" disse Terence, sollevando un sopracciglio con sguardo interrogativo.

"George Johnson, il suo assistente personale nonché migliore amico. Credo che tu l’abbia visto una volta. È stato lui ad accompagnarmi in Inghilterra quando mi hanno mandata a studiare alla St. Paul School".

"Credo di ricordarlo vagamente", concluse, mentre il suo sguardo si posava su un paio di damigiane in vetro piene d’acqua potabile che si intravedevano in cucina.

"Quando sono stata qui la settimana scorsa ho rifornito la dispensa", gli spiegò, anticipando la sua domanda, "nel caso in cui Albert avesse voglia di venire allo chalet uno di questi giorni, ora che è tornato a Chicago. È molto stressato ultimamente".

"Immagino che la vita di un magnate sia dura", commentò lui casualmente.

"Proprio così. . . ma adesso credo sia il caso di cercare la macchinina. Che ne dici?" suggerì cambiando argomento, memore del consiglio di Miss Pony.

"D’accordo, allora dimmi, da dove cominciamo?"

"Io pensavo di cercare nella camera da letto al piano di sopra e, se non ti dispiace, tu potresti controllare in cucina e in salotto".

"E la stanza sul retro?"

"Quella è la camera oscura di Albert. Non lascio mai che i bambini giochino lì dentro, perché ci sono delle sostanze chimiche tossiche e alcune attrezzature che non dovrebbero toccare. L’ho chiusa a chiave quando sono venuta con loro".

"Allora cercherò qui intorno".

Dunque, si separarono per mettersi in cerca dell’oggetto smarrito e furono ben presto premiati con il successo. Alistair aveva lasciato la macchinina blu ed un libro per colorare in un baule fatto a mano dove veniva riposta la biancheria. Una volta raggiunto l’obiettivo della spedizione, Candy suggerì di fare uno spuntino e Terence si offrì di andare in macchina a prendere il cestino con le provviste.

Una volta fuori, notò con sorpresa che il cielo si era ingrigito e si era alzato un timido vento. Pensò che oltre al rischio legato ad un possibile cambio del tempo, per il suo bene e per quello di Candy sarebbe stato meglio non fermarsi a lungo allo chalet. Aveva sognato per mesi di avere l’opportunità di stare solo con lei; per ironia della sorte, ora che ne aveva l’occasione, non aveva la lucidità per coglierla. Le cose si erano rivelate più complicate del previsto. Sentiva di aver bisogno di più tempo per valutare la questione prima di poterne parlare con lei.

Di fatto, la notte precedente Terence non era riuscito a dormire, perché aveva pensato e ripensato al passato ed a come questo sembrasse improvvisamente gettare delle ombre sul suo futuro. Allo spuntare dell’alba era ancora combattuto se raccontare a Candy del periodo più buio della sua vita oppure no. Aveva sempre creduto che dopo la delusione iniziale conseguente alla loro rottura, Candy avrebbe ripreso in mano le redini della sua vita senza grandi problemi. Ma il giorno prima gli aveva parlato dei tempi duri che aveva vissuto e persino delle minacce che aveva ricevuto da coloro che l’avevano sempre odiata. Non riusciva assolutamente a perdonarsi per non essere stato lì presente a proteggerla da quelle sofferenze. Se avesse saputo che vita aveva condotto lui proprio in quello stesso periodo, sarebbe stata capace di perdonarlo? Avrebbe dovuto nasconderglielo?

Ignara del suo oscuro passato, Candy era stata aperta e disponibile rispetto al suo corteggiamento. Solo il giorno prima non nutriva alcun dubbio che lei avrebbe accettato la sua proposta di matrimonio. Altrimenti non gli avrebbe concesso determinate libertà. Ma cosa sarebbe accaduto se avesse scoperto dei suoi problemi con l’alcool? Lo avrebbe respinto, se gliene avesse parlato? Cosa avrebbe dovuto fare? Se doveva prendere una decisione, era essenziale che avesse la mente lucida ed essere solo con lei non gli era affatto d’aiuto. Un piccolo errore avrebbe potuto mandare ancora una volta in frantumi i suoi sogni più preziosi.

Mentre Terence era fuori, la giovane, con l’aiuto di una piccola scala, era intenta a cercare qualcosa nella dispensa, pertanto non si accorse che Terence era rientrato. Si era tolta la redingote consentendo a Terence di apprezzare le morbide curve del suo corpo, audacemente accentuate dai pantaloni. A quei tempi non era una cosa consueta vedere una donna in pantaloni e dunque, sebbene non fossero aderenti, il solo fatto di indossarli avrebbe comunque attirato l’attenzione di un uomo.

"Pantaloni!" pensò con frustrazione, "Perché doveva indossare dei pantaloni proprio oggi che siamo soli e devo mantenere il sangue freddo?"
"Cosa stai cercando?" le chiese, dopo aver dato un colpo di tosse per schiarirsi la voce.

"Un barattolo di marmellata. . . sì. . . eccolo!" disse trionfante, "Miss Pony ha messo nel cestino un po’ di pane fresco e ho pensato che sarebbe stato perfetto con questa marmellata di albicocche".

Mentre scendeva dalla scala, Candy si voltò a guardare il giovane ma, inspiegabilmente, mancò un gradino e si ritrovò ad agitare le braccia in aria per tentare di recuperare l’equilibrio.

Un secondo dopo era tra le braccia di Terence che era corso in suo aiuto, afferrandola prima che potesse farsi male.

"Chi l’avrebbe mai detto che Tarzan Tuttelentiggini potesse cadere da una scala con soli tre gradini? Hai perso l’allenamento, scimmietta?" disse lui con voce roca, prendendo il barattolo di marmellata e riponendolo sul bancone della cucina senza mai staccare gli occhi da lei.

Candy non riuscì a rispondere. Sapeva perfettamente che non c’era bisogno di continuare ad abbracciarsi, perché i suoi piedi ormai poggiavano saldamente sul pavimento, ma non riusciva a staccarsi da lui né dalle sue braccia. Per un secondo, fu combattuta tra l’impulso naturale di cedergli e la sua determinazione a non concedergli ulteriori libertà finché non avessero parlato. In quel momento, lui la stringeva saldamente contro il suo corpo e lei non voleva allontanarsene.

Dimenticando in un istante tutti i suoi propositi, Terence si era perso ancora una volta nei suoi occhi verdi. Con un dito le sfiorò un labbro con delicatezza tale, che lei lo sentì appena. Tuttavia, quella lieve carezza bastò a farla fremere.

"Queste labbra sono state fatte apposta per essere ardentemente baciate il più spesso possibile", le sussurrò, intenzionato ancora una volta a reclamare la sua bocca.

"Terence. . . ti prego", lo implorò debolmente lei, distogliendo il viso, "non ricominciare".

"Ti sto mancando di rispetto?" le chiese lui, deluso.

"Non è per questo. . . è solo. . . è solo che non trovo giusto che tu ti avvicini ora, se poi intendi allontanarti di nuovo. Non capisci?" gli disse, riuscendo finalmente ad affrontare l’argomento, mentre si liberava dalla sua presa.

Alle parole di Candy, un’ombra attraversò il volto di Terence. Subito dopo, anche lui si allontanò da lei, stringendo i pugni.

"Capisci cosa intendo?" lo incalzò, "Per una ragione a me sconosciuta, decidi che ho fatto o detto qualcosa di sbagliato e interrompi ogni comunicazione, proprio quando avremmo così tante cose da dirci".

"È questo che credi? Che sia arrabbiato con te al punto di punirti con il silenzio?" le chiese, sorpreso dall’interpretazione che aveva dato alle sue reazioni.

"Non è così, Terence? Non eri arrabbiato con me l’altra sera per via della mia telefonata con Albert?"

Terence impallidì per un secondo. Poteva negare di essere stato verde di gelosia?

"Dunque non sono un attore bravo come dicono", ammise con riluttanza.

"Forse solo quando sei insensatamente geloso, Terence", sbottò lei, incrociando le braccia al petto.

"Non è così semplice come credi, Candy".

"Allora perché non me lo spieghi? Parlami, Terence! Ti sembro così irrazionale da non voler neppure tentare di capire il tuo punto di vista? Dimmi, in che modo ti ho offeso ieri? Che cosa ho fatto?"

Terence si sentì colpevole e confuso. Senza volerlo, il suo tormento interiore le aveva fatto credere che ce l’avesse con lei.

"Le cose non stanno così, Candy. Io. . . ti chiedo scusa se ti ho dato. . . un’impressione sbagliata", le disse, mal celando la vergogna. "È vero, l’altra sera ero geloso", ebbe il coraggio di ammettere, mentre i suoi occhi cercavano disperatamente quelli di lei, implorandola di dargli conferma dell’infondatezza delle sue paure.

Non vedendo altro che puro amore negli occhi di lei, prese il coraggio a due mani e decise di continuare.

" . . . ma ieri, le cose sono andate diversamente, Candy. Non ero arrabbiato con te, ma con me stesso". "Che vuoi dire?" insistette lei, confusa dalle sue parole.

Terence chiuse gli occhi. Aveva riconosciuto quello sguardo sul volto di Candy e sapeva che non gli avrebbe consentito di chiudere l’argomento finché non avesse ottenuto una risposta chiara. A quanto pare, sebbene avesse deciso di attendere ancora qualche giorno per riflettere sulla sua situazione, Candy non aveva alcuna intenzione di aspettare. Non c’erano alternative. Non poteva nasconderle il suo passato. Avrebbe insistito per sapere tutto…l’avrebbe scoperto prima o poi…doveva parlargliene adesso.

"Ieri", iniziò con esitazione, "quando mi hai raccontato di quando hai conosciuto il Dott. Martin…mi sono reso conto…di aver mancato nei tuoi confronti ben più di quanto pensassi…forse fino al punto di non potermi riscattare…rendendo impossibile il nostro stare insieme…temo che alla fine le mie colpe finiranno per mettersi tra noi".

"Mancato nei miei confronti? Terence, non dire così. Quando avresti mancato nei miei confronti? E cosa potrebbe mettersi tra noi?" replicò lei, mentre il suo nervosismo e le sue paure crescevano attimo dopo attimo.

"Non capisci? Non mi hai detto di aver conosciuto il Dott. Martin subito dopo che ci siamo lasciati?" le chiese.

Candy restò per un attimo senza parole. Era la prima volta che lui faceva riferimento apertamente alla loro precedente relazione.

"Beh. . . sì. . .è così", balbettò, sempre più confusa e nervosa, "ma non capisco in che modo. . ."

"Candy, ma non vedi le mie colpe?" le domandò, finché, dopo aver tirato un profondo sospiro, non trovò il coraggio di spiegarsi meglio. ". . . . Per molto tempo ho dovuto portare sulle mie spalle il peso dei miei errori. Credimi, in dieci anni ho avuto tempo a sufficienza per rimpiangere la nostra separazione. Ormai, non ho alcun dubbio che la mia mancanza di coraggio quella sera a New York mi abbia spinto a commettere il più grande errore della mia vita. . . non avrei mai dovuto lasciarti andare. . . malgrado questa certezza, è stato solo ieri che ho capito realmente quali conseguenze avessero avuto le mie sconsiderate decisioni sulla tua vita. Avrei dovuto lottare per…noi…non solo per il mio bene, ma anche per il tuo".

"Ma, Terence, sai bene che non c’erano alternative. Se ci fosse stata un’altra soluzione, pensi che avrei acconsentito a rinunciare a te?" rispose Candy, sentendo che le sue certezze si scontravano con la veemenza delle sue parole, "Susanna . . . lei. . . lei aveva bisogno di te! Era tuo dovere!" insistette, ricorrendo all’unica spiegazione che avesse una parvenza di razionalità ed a cui si era aggrappata per tutto quel tempo.

"Oh, Candy, non parlarmi di dovere! Detesto quella parola! Per colpa di un ingiusto senso del dovere ho rovinato la mia vita e la tua", le disse, alzando la voce e voltandosi verso la finestra.

"Come puoi dire così? Lei ti amava, Terence! Era impossibile per noi stare insieme sapendo che avremmo causato l’infelicità di una persona che aveva sacrificato tutto per te", rispose lei, rifiutandosi di lasciar andare l’unica convinzione che le era servita a giustificare le sue decisioni.

Terence esitò per un secondo. Si domandò quanto ancora avrebbe potuto rivelarle della verità su Susanna. Sapere come erano andate effettivamente le cose l’avrebbe fatta soffrire ancora di più? Sarebbe stato meglio risparmiarle un altro duro colpo? O avrebbe dovuto essere del tutto onesto? Per la prima volta da quando era iniziata quell’accesa discussione, il giovane abbassò lo sguardo, cercando le parole giuste per continuare.

"Per anni ho cercato di convincermi della stessa bugia, Candy", esordì finalmente, rivolgendo ancora una volta lo sguardo verso di lei. "Ma nell’esatto momento in cui ti ho rivisto a Pittsburgh, quando ti ho stretto di nuovo tra le mie braccia, ho scacciato anche l’ultima di quelle assurde fantasie. Quella sera, mi hai chiesto se lei era stata felice e ti assicuro che lo è stata davvero; ma solo una persona egoista come lei avrebbe potuto accontentarsi delle briciole di affetto che nutrivo nei suoi confronti. Solo una persona priva di generosità e compassione avrebbe potuto essere felice pur sapendo che io, l’uomo che diceva di amare così profondamente, vivevo nella più dilaniante infelicità. Se solo avesse avuto pietà di me, lasciandomi libero di correre da te…ma lei non ha mai tenuto realmente a me. Le importava solo di sé stessa".

"Terence, non può essere vero!" disse Candy con orrore, restando senza fiato. Ai suoi occhi, Susanna era sempre stata la quintessenza dell’altruismo e del sacrificio. Le parole di Terence le svelavano l’immagine di una donna completamente diversa.

Candy si avvicinò esitante al tavolo da pranzo e vi si aggrappò con mani tremanti, prima di trovare la forza di mettersi a sedere. Per molto tempo, l’unica cosa che l’aveva sostenuta nella sua decisione era stata l’idea che lui avrebbe potuto essere felice con Susanna. A Pittsburgh le aveva confessato di non essere addolorato dalla sua morte, perché i sentimenti che aveva nutrito per lei erano sempre stati piuttosto freddi. E scoprirlo era stato uno choc per Candy. Tuttavia, sapere che era stato sempre infelice in tutti questi anni e che Susanna era stata talmente egoista da ignorarlo, era un altro paio di maniche.
Terence si accorse dell’ombra che aveva attraversato il suo sguardo, mentre i suoi occhi vagavano nervosamente da un punto all’altro della stanza. Si rese conto del suo choc e decise di concederle un attimo di tempo, prima di riprendere il suo triste racconto.

"Lei ha sempre saputo che tu eri. . . infelice? . . . Per tutto questo tempo? . . .Non riesco ancora a credere…che lei…possa…esserne stata consapevole…e non aver mosso un dito!" mormorò, con la voce ridotta a un flebile sussurro.

Avvolta nella nebbia della sua stessa confusione, Candy ricordò vagamente la lettera che Susanna le aveva scritto diversi anni prima. Ora, sotto quella nuova luce, le sue parole assumevano un significato completamente diverso. Candy sentì per la prima volta di essere stata ingannata.

"Non può essere vero!" bisbigliò, sentendo un improvviso senso di nausea.

"Invece è così, anche se non vuoi crederci, Candy", continuò lui, in piedi davanti a lei, "Avevo pensato di nasconderti la verità, perché so che l’hai sempre considerata una santa e hai sinceramente creduto che potessi essere felice al suo fianco. Ma, Candy, ho imparato la lezione nel peggiore dei modi. Quando dopo l’incidente non ti ho detto come stavano le cose, è andato tutto storto. Mi hai chiesto di parlare. Beh, devo confessarti onestamente che in tutto questo tempo non sono mai stato felice".

Candy sollevò lo sguardo verso di lui. Ora i suoi occhi erano pieni di lacrime.
"Non ho mantenuto la promessa che ti avevo fatto", continuò abbassando la voce, "perché la felicità mi è sempre sfuggita. Quando ti ho lasciato andare, ho vissuto le pene dell’inferno per mesi. Solo Dio, forse mosso dalle tue preghiere per me, mi ha salvato dal farla finita. Tuttavia, soffrivo per mia stessa mano. Ecco perché ho accettato il mio destino ed ho persino perdonato Susanna per tutte le sue mancanze e per il suo ruolo in questa triste e torbida storia. Per certi versi, ero degno di lei e dei suoi modi perversi e macchinosi, così come avevo meritato ogni anno di infelicità e solitudine. . . ma non tu. Se hai sofferto o versato lacrime per quest’uomo indegno, è stata solo colpa mia, io. . ."
"No, Terence, non te lo permetto!" lo interruppe con veemenza, guardandolo nuovamente negli occhi. "Non lascerò che ti prenda tutta la colpa. Se lasciarci è stato un errore, allora sono da biasimare anch’io. Sono stata io ad andarmene quella sera; sono stata io a non voltarmi indietro quando hai cercato di fermarmi. Tu parli solo delle tue colpe; ma che ne è delle mie? Ti ho spinto io a prendere quella decisione. Sono stata io il tuo carnefice. Non lo capisci?" ribatté lei e poi, rendendosi conto del peso delle sue stesse parole, esclamò: "Oh mio Dio! Che cosa ho fatto?" E si nascose il volto tra le mani.
Tuttavia, Terence non intendeva permetterle di addossarsi la colpa di quanto era accaduto. Una tale eventualità non gli era mai passata per la testa.

"No, Candy, avrei dovuto fare di più, avrei dovuto insistere, io. . . sarei dovuto correre alla stazione e fermarti. E invece cosa ho fatto? Sono rimasto in quel maledetto ospedale…paralizzato…scioccato…ed ho offerto la mia protezione a lei, lasciandoti sola. Dimmi, Candy, dov’ero io quando Neil Legan ti ha molestato?"

"Terence. .. .lui. . . lui non. . . non mi ha molestato.. . Stai esagerando", gli rispose, mal celando un certo nervosismo.

"Davvero? Allora perché balbetti?" le chiese, impietoso, "Non ti credo, Candy. Non sei mai stata brava a mentire. Ieri ho avuto la netta sensazione che mi avessi raccontato solo una minima parte delle cose che hai dovuto subire. E comunque, credo di conoscere abbastanza bene la mente malata di Legan per colmare le lacune del tuo racconto. Stai cercando di sminuire qualcosa di estremamente serio che ti ha lasciato senza lavoro con il chiaro obiettivo di costringerti a piegarti alla volontà altrui e metterti con le spalle al muro. Tu parli di dovere? Ebbene, ora mi rendo conto che anziché restare al fianco di un’altra donna, il mio posto era accanto a te ed il mio primo dovere era di proteggerti da tutte quelle sofferenze. Ho mancato nei tuoi confronti in questo".

"Ti stai addossando troppe colpe, Terence. Non avresti potuto aiutarmi in alcun modo. Tra l’altro, non ero affatto sola. Ti ho già detto di come il Dott. Martin ed io ci siamo sostenuti l’un l’altra all’epoca. . . e poi c’erano Albert e Archie . . ."

"E pensi che mi consoli il fatto che altri uomini ti siano venuti in aiuto, perché io ti avevo abbandonata?" sbottò con rabbia, "Persino un uomo distrutto dal dolore come il Dott .Martin ti ha dato una mano. E io? Vuoi sapere dov’ero io, Candy, mentre tu subivi tutto questo?"

"Terence, questo non ci è di nessun aiuto, non c’è bisogno di rivangare il passato…o almeno, non in questo modo", disse lei, impallidendo al pensiero della piega che stava prendendo la loro conversazione.

"Non c’è bisogno? È proprio il passato il punto! Ieri mi sono reso conto che il passato, il mio passato, potrebbe essere troppo grave e oneroso per permetterci di stare insieme".

"Ma cosa dici?" gli chiese lei, impallidendo ancor più.

"Dico che forse se scoprissi la verità su di me, se sapessi del livello di codardia e degrado che ho raggiunto, non saresti qui con me adesso. Resteresti sconvolta se sapessi che cosa ho fatto", rispose con amarezza.

"Terence. . .non dire così. . .ti stai facendo del male inutilmente", lo implorò.

"No, mi hai detto di parlare. Ebbene, devi sapere che mentre il Dott. Martin superava coraggiosamente il suo problema con l’alcool per venirti in aiuto, io sprofondavo nella mia ubriachezza. Affogavo nell’alcool, perché non avevo la forza necessaria di decidere se liberarmi dal giogo che mi ero autoimposto e riconquistarti o mantenere le promesse che avevo fatto. Per mesi dopo che ci siamo lasciati, Candy, mi sono dato all’alcool ed ho quasi distrutto la mia carriera. La mia patetica mancanza di risolutezza mi ha condotto fino a quel punto. Quello che ho fatto in quei giorni, come ho perso la mia dignità, il mio orgoglio e la mia innocenza nel giro di pochi mesi è un racconto che le tue caste orecchie non dovrebbero mai ascoltare, Signorina Andrew. Se mi avessi visto allora, ti saresti vergognata di me e avresti rimpianto il giorno in cui mi hai conosciuto".

"MA IO TI HO VISTO!" urlò lei, scoppiando in lacrime e alzandosi in piedi, come se una strana forza avesse improvvisamente pervaso il suo corpo, "Ti ho visto! . . . ho sofferto a vederti così, ma i miei sentimenti per te non sono mai cambiati!"

Ora era il turno di Terence di rimanere senza parole.

"Mi hai visto?" le chiese incredulo, avvicinandosi a lei e prendendola per le spalle, mentre lei iniziava a singhiozzare sommessamente. Improvvisamente, si rese conto della verità ". . . Dunque eri tu! . . . Eri veramente tu!"

Candy sollevò timidamente lo sguardo, con gli occhi pieni di lacrime. Annuì appena, ma lui colse comunque la sua risposta. Poi, tirando un profondo sospiro, trovò il coraggio di parlare:

"Il mio amore non si è affievolito solo perché eri disperato e ti eri lasciato sopraffare dalle circostanze. Anzi, ti ho amato persino di più, perché quando ti ho visto superare la tua dipendenza, ho capito che eri stato talmente coraggioso da sconfiggere i tuoi demoni. . . ti ho visto in quel teatro di quart’ordine e sapevo che non saresti rimasto lì per sempre…sapevo che le tue virtù ti avrebbero aiutato a vincere le tue debolezze…sapevo che un giorno saresti tornato al posto che ti spettava di diritto, facendo appello alla tua dignità. Dopo qualche tempo, quando ho saputo del tuo ritorno e del tuo grande successo con l’Amleto qui ed in Inghilterra, non ne sono rimasta sorpresa. Mi aspettavo questo da te, proprio lì in quel teatro ambulante…”, si interruppe, mentre la sua espressione diventava più cupa, "L’unica cosa che rimpiango adesso, sapendo quello che mi hai detto di Susanna, è di averti lasciato andare ancora una volta. Avrei dovuto aspettare fino alla fine dello spettacolo, anziché scappare via. Avrei dovuto buttarmi tra le tue braccia e dirti quanto ti amavo…ma lo faccio adesso, Terence…ti amavo allora e ti amo adesso, come ho sempre fatto in tutti questi anni. E come farò sempre, anche se dovessi uscire dalla mia vita ancora una volta…ma ti prego, non lo fare. Ti ho mentito a New York. Non potrò mai essere veramente felice senza di te”, gli chiese e lui capì che la sua preghiera veniva dal profondo del suo cuore.

Terence era in estasi. In tutta la sua vita, non aveva mai immaginato che qualcuno potesse amarlo in quel modo, con tale tenacia e assoluta fiducia.

"Come fai a dire una cosa del genere? Non capisci che non merito. . . ?" Tuttavia, non riuscì a finire la frase, perché lei l’aveva zittito con le sue labbra, travolgendolo con un bacio appassionato ed agrodolce mai provato prima.

"Mi sta baciando. . . di sua spontanea volontà. . . mi ama malgrado tutto. . . esiste un Dio, dunque!" riuscì a pensare, prima di perdere definitivamente la capacità di produrre un qualsivoglia pensiero coerente.

Lei gli teneva il volto tra le mani e le sue labbra esploravano quelle di lui con vigorosa passione, come se volesse cancellare con quel gesto l’amarezza delle tante notti passate tra dolorosi rimpianti. Lentamente, lui iniziò a rispondere al suo bacio, contraccambiando la sua passione con altrettanto ardore.

Le loro braccia si cercarono, finché non furono stretti in un abbraccio. Un bacio fece seguito a un altro, in una piacevole e liberatoria sequenza che durò per un lungo meraviglioso momento. Dopo un po’, con il respiro affannoso, lei si lasciò scappare un singhiozzo. Lui sentì il gusto salato delle sue lacrime mischiarsi con quello del loro bacio e si staccò da lei per asciugargliele con le sue labbra.

"Non piangere, Candy", le sussurrò tra un bacio e l’altro, "Ho capito. . . shhhh. . . ora ho capito. Quella sera ho creduto di aver avuto una visione di te, amore mio…avevo visto le tue lacrime, proprio come adesso…se avessi saputo che eri veramente tu…non so cosa avrei fatto! . . . Forse sarei scappato via per la vergogna, o mi sarei gettato tra le tue braccia, pentito. . . Sapevo solo una cosa per certo. . . che non avrei potuto continuare a rotolarmi nel fango. Non è stato facile uscirne…ritornare…ricominciare, ma l’ho fatto per te. Anche se ho commesso l’errore di tornare da Susanna, perché tratto in inganno, l’ho fatto per te. Da quel giorno nel teatro ambulante, ogni piccola vittoria sulle mie debolezze, ogni mio sforzo ed ogni mio successo, tutto era dedicato a te, perché…vedi…tu sei sempre stata l’unica donna che io", esitò per un attimo, ma poi, reso più audace dalla precedente confessione di lei, continuò, "l’unica donna che io abbia mai amato. . . da sempre, dalla prima volta che ti ho visto sulla nave. . . ho capito subito di amarti. Questo è quello che avevo cercato di dirti nella mia prima lettera a maggio, che il mio amore per te non è mai cambiato".

"Oh, Terence!" disse lei, scoppiando in singhiozzi disperati.

Terence l’attirò a sé per consolarla, incerto della ragione che aveva scatenato la sua reazione ed attanagliato dall’ansia di conoscerla.

"Dio mio, tuttelentiggini. . . cosa ho detto? Non piangere più, amore mio", la pregò, cullandola dolcemente tra le sue braccia.

Rimasero abbracciati per un po’, mentre i suoi singhiozzi si placavano in risposta al suo tenero tocco.

"No, Terence. . . non hai detto nulla di male", esordì lei, una volta recuperata la capacità di parlare, "È solo. . . che hai finalmente detto che mi ami. . . non sai quanto ho desiderato sentirtelo dire!" gli confessò.

"Allora ti prometto che d’ora in poi te lo dirò spesso, così avrai modo di abituartici e non piangerai più”, le rispose con un debole sorriso, incurvando appena le labbra.

Improvvisamente, una violenta raffica di vento spalancò la porta, che Terence non aveva chiuso a chiave. Gli innamorati si sciolsero dal loro abbraccio e corsero verso l’ingresso. Davanti ai loro increduli occhi, il vento forte e gelido piegava gli alberi con incredibile furia.

"Non posso crederci!" disse lei, sorpresa, "C’era il sole quando siamo arrivati. . . da dove arriva questa bufera?"

"Non ne ho idea, Candy, ma sembra che non potremo muoverci da qui per almeno qualche ora", replicò lui, attirando istintivamente Candy a sé con fare protettivo; poi, resosi conto della violenza del vento, aggiunse "Credo che sarebbe meglio chiudere le persiane" e si infilò il soprabito per mettere in pratica quanto suggerito.

Candy lo seguì con lo sguardo mentre chiudeva le imposte, che avevano già iniziato a sbattere rumorosamente contro le pareti. Man mano che procedeva chiudendole una ad una, Candy si rese conto che ben presto lo chalet sarebbe rimasto al buio. Pertanto, decise di prendere alcune candele dalla dispensa. Quando Terence rientrò chiudendo la porta dietro di sé, l’ambiente era già illuminato dalla fioca luce delle candele. La giovane era di spalle, impegnata ad impilare ciocchi di legno nel camino.

"Lascia fare a me", le disse, prendendo il suo posto.

"Allora vado a mettere su un po’ d’acqua. Credo che ci farebbe bene una bella tazza di thè, anche se dovrai fare a meno del limone", commentò lei con un timido sorriso.

Terence ricambiò il sorriso in silenzio. Lo inteneriva il fatto che lei potesse prevedere le sue abitudini e le sue piccole manie. Di tanto in tanto, mentre accendeva il fuoco, si voltava a guardarla. Si era tolta gli stivali da neve e girava per la casa a piedi nudi. Davanti a quella semplice prova della loro crescente intimità, si sentì pervadere da una deliziosa sensazione di piacere.
Ormai era chiaro che avrebbero dovuto restare allo chalet per qualche ora, forse per tutta la notte, ed il solo pensiero lo aveva messo in allarme. Ora che tutto sembrava chiarito tra di loro, non gli restava che porle la fatidica domanda. Grazie alla bufera avrebbe certamente avuto abbastanza tempo per farlo. Il problema riguardava cosa avrebbero fatto dopo. Terence pensò che in una giornata come quella sarebbe stato alquanto difficile comportarsi da gentiluomo.

Qualche minuto dopo, con il fuoco che crepitava nel caminetto, i due ragazzi erano già seduti a tavola a godersi il loro thè ed a gustare il pane che Miss Pony aveva preparato per loro quella mattina. Tra di loro era sceso un confortevole silenzio, mentre si rilassavano dalle tensioni esacerbate dalla loro appassionata conversazione. Fuori, il vento ululava e la temperatura scendeva velocemente.

"Sai, non penso che si tratti di una semplice bufera. Ha la violenza di una tempesta", disse lui, rompendo il silenzio, "Mi ricordo che ce ne fu una molto forte a New York l’anno in cui scoppiò la guerra. Erano i primi di marzo, se non erro. All’epoca eravamo impegnati nelle prove di Re Lear, ma dovemmo sospendere tutto per due o tre giorni. Le comunicazioni con il New Jersey erano interrotte, perché i forti venti avevano fatto cadere alcuni pali della luce causando un blackout per tutta la notte".

"Speriamo che questa non sia così forte. Credo che si affievolirà nel giro di qualche ora", rispose lei con calma, mentre sparecchiavano la tavola, "Anche nell’eventualità in cui dovessimo restare qui per giorni, avremmo acqua e provviste a sufficienza. Non preoccuparti".

Terence pensò che la sua principale preoccupazione non era propriamente quella di sopravvivere alla tempesta di neve.

Dopo lo spuntino, Terence scelse un libro dalla modesta selezione di Albert, si sedette accanto al fuoco e iniziò a leggere ad alta voce, mentre Candy poggiava la testa sulla sua spalla. Aveva preso una coperta di ciniglia dalla camera da letto per coprirsi le gambe.

Una tale libertà di godere della reciproca compagnia era un’esperienza totalmente nuova per entrambi. Sembrava appena ieri quando dovevano sgattaiolare nel parco della scuola tra una lezione e l’altra per incontrarsi di nascosto. Ora, improvvisamente, erano due adulti, liberi e indipendenti, bloccati in un angolo sperduto del mondo. Nessuno avrebbe fatto irruzione nella stanza per disturbare la loro intimità, nessuno aveva il potere di obbligarli ad allontanarsi, nulla si frapponeva tra loro. Candy non riusciva a crederci. Essere accoccolata accanto a lui, con il calore del camino che le riscaldava il viso fino a farla arrossire, le ricordò inevitabilmente un’altra occasione di tanto tempo prima in cui avevano condiviso un momento simile.

"Tutto questo non ti ricorda la Scozia?" gli chiese, interrompendo la sua lettura.

Terence mise giù il libro e la guardò in silenzio. Con la luce fioca del camino, gli occhi di lei sembravano iridescenti, con sfumature d’oro che baluginavano su un oceano verde.

"Sì, certo", ammise poi, "ma devi ammettere che le circostanze sono parecchio cambiate. All’epoca ero solo un ragazzino stupido e presuntuoso, troppo arrogante per ammettere di avere una paura terribile di te".

A questo commento, lei scoppiò a ridere.

"Tu paura di me? Non credevo potesse essere possibile!" disse, incredula.

"Sono serio, Candy, avevo paura di quello che sentivo per te", confessò, mettendo da parte il libro. "Era qualcosa di così travolgente e al di fuori del mio controllo che avevo il terrore di quello che sarebbe potuto accadere se l’avessi scoperto. Se ti avessi manifestato i miei sentimenti, avresti potuto ferirmi come nessun altro, o almeno così credevo. Ecco perché scherzavo sempre con te, punzecchiandoti con stupidi scherzi e allontanandoti con parole dure a volte. Ma la verità è che quella sera, quando eravamo seduti davanti al fuoco come stiamo facendo adesso, morivo dalla voglia di stringerti tra le mie braccia in questo modo", le disse, attirandola dolcemente al suo petto e baciandole i capelli. "Per anni ho rimpianto la mia totale mancanza di coraggio quel pomeriggio".

"Non so come avrei reagito se avessi osato farlo", si domandò lei.

"Beh, mi avresti strapazzato dandomi uno schiaffo", rise lui di tutto cuore. "Sono felice di vedere che sembri aver perso quella brutta abitudine, amore".

"Ti prego, lasciamo stare! Se non avessi reagito così duramente quella volta. . ."

Candy si interruppe a metà frase. Improvvisamente, Terence aveva assunto un’espressione seria e lei poté istintivamente leggere sul suo viso la domanda che esprimevano silenziosamente i suoi occhi.

"Temo che ormai sia un po’ tardi per dirlo, ma mi dispiace per la reazione che ho avuto quel pomeriggio, Terence. Non intendevo ferirti…è solo che", sollevò lo sguardo cercando le parole giuste, "non me l’aspettavo…ed ero troppo giovane e inesperta".

"Ma era solo un bacio”, la interruppe lui, con una lieve nota di rimprovero nella voce.

Candy lo guardò, vagamente contrariata dal fatto che lui sembrasse non aver colto il senso delle sue parole.

"Terence. . era. . . la mia prima volta. Non te lo ricordi? Te lo dissi allora . . . " replicò lei, abbassando lo sguardo.

Gli occhi di Terence si illuminarono di mille emozioni diverse. Era sempre stato segretamente compiaciuto e orgoglioso di essere stato lui a rubarle il primo bacio. Ma il dolore che aveva provato nel momento in cui lei l’aveva paragonato a Anthony aveva avvelenato quello che altrimenti sarebbe stato il più dolce ricordo della sua adolescenza. Anche da adulto, indipendentemente da quanto avesse ragionato sulla questione, non era stato in grado di superare quella sensazione.

"Io . . . credo" la interruppe lui, ancora incerto su come avrebbe potuto spiegarsi, "che sia stato un colpo piuttosto duro per me…ho agito impulsivamente, ma con il cuore, cercando di esprimere al meglio quello che non riuscivo a dire a parole e poi", si interruppe, lo sguardo fisso nel vuoto, "tu hai nominato lui. . . insinuando che lui non si sarebbe mai comportato in modo così villano come avevo fatto io".

Candy, che attraverso le sue espressioni aveva osservato il vortice di emozioni che lo aveva assalito, si rese conto per la prima volta che le sue parole l’avevano ferito ben più dello schiaffo.

"Terence", gli disse prendendogli il viso tra le mani obbligandolo a guardarla, "Ti chiedo scusa. Ero troppo scioccata e confusa per rendermi conto che le mie parole ti avevano ferito. Da ragazzina quale ero avevo immaginato che il mio primo bacio sarebbe arrivato molto più in là, in circostanze diverse. Mi hai colto di sorpresa, quando i miei stessi sentimenti erano incerti, sconcertanti..sconosciuti. Non avevo mai provato nulla di simile a quello che provocavi in me. Ma oggi, Terence, non sono più quella ragazzina spaventata e ingenua. Ora so che nessun uomo al mondo potrebbe mai reggere il confronto con te. Mi perdoni?"

Le parole di Candy accarezzarono le orecchie di Terence come una dolce brezza d’estate. Per lui, che era cresciuto sentendosi rifiutato, sentirsi dire da lei che nessun altro era paragonabile a lui era come un balsamo lenitivo per le ferite del suo cuore. Lentamente, sentendosi pervadere da un sentimento simile alla fiducia, poté riconoscere le sue stesse colpe.

"Solo se tu perdoni me per la mia maleducazione", disse finalmente in risposta alla domanda di Candy, dopo una pausa che l’aveva fatta preoccupare, " . . . Vorrei averti baciato con maggiore tenerezza, ma non ero mai stato innamorato prima ed ero inesperto e confuso quanto te…e, ovviamente, schiaffeggiarti a mia volta è stato imperdonabile", ammise, provando sincera vergogna per le proprie reazioni.

"Allora è tutto perdonato", rispose lei con un sorriso, sigillando le sue parole con un nuovo bacio, decisamente più piacevole rispetto al loro primo maldestro tentativo.

"Essere ragazzini è un’esperienza terribile, giusto?" disse, non appena le loro labbra si separarono, "comunque, rifarei tutto da capo solo per guadagnarmi il diritto di rubare ancora una volta il tuo primo bacio. . ." aggiunse, incurvando leggermente le labbra nel suo ben noto sorriso malizioso.

Rimasero abbracciati per un po’, senza dire nulla. Terence aveva bisogno di un po’ di tempo per metabolizzare l’ondata di piacere che la confessione di Candy aveva rappresentato per il suo ego e lei apprezzava l’opportunità di riprendersi da tutte le emozioni scatenate da quello che si erano detti.

Tuttavia, la natura possessiva di Terence non gli consentiva di gioire a lungo. Ben presto, la sua mente vagò in un’altra direzione, inducendolo a irrigidirsi. Candy, che poggiava la testa sul suo petto, si accorse del ritmo frenetico del suo cuore.

"Candy . . ." esordì, ancora incerto di cosa avrebbe voluto dirle.

"Sì?"

"Non so se posso chiedertelo. . ."

La giovane si sciolse dall’abbraccio quel tanto necessario per guardarlo negli occhi con espressione interrogativa. "Ma. . ." lo imbeccò lei.

"No . . . lascia stare. Non è importante", le disse, cambiando idea.

"Terence, così non va. Se hai una domanda da fare, falla", insistette.

Terence torse le labbra, ancora dubbioso, ma dopo un po’ osò finalmente porle la domanda che lo tormentava.
"Hai detto che in tutti questi anni tu…hai continuato ad amarmi. Ti confesso che è ben più di quanto avessi osato sperare…Tuttavia, mi domandavo…”, facendo nuovamente una pausa, "se in tutto questo tempo avessi mai…avuto qualcuno…non ti biasimerei se fosse così. Come potrei? È solo che. . ."

"Vuoi sapere se ho mai avuto uno spasimante dopo che ci siamo lasciati?" disse lei, riformulando la sua domanda in maniera più precisa.

"Beh. . . sì", confessò lui, distogliendo lo sguardo, chiaramente nervoso al pensiero della risposta che lei avrebbe potuto dargli.

Questa volta Candy sorrise. Non aveva mai visto un’espressione così infantile nei suoi occhi solitamente così seri.

"Nessuno di fisso”, iniziò lentamente, soppesando ogni parola, “Ho partecipato ad alcuni balli accompagnata da alcuni gentiluomini che mi aveva presentato Annie…e forse…ho avuto qualche appuntamento. . .", disse, facendo una pausa per scrutare la sua reazione. Lui non disse una parola, continuando ad evitare il suo sguardo, "ma non ne è mai nato nulla di serio. Annie restava sempre profondamente delusa, ma non mi sono mai sentita a mio agio con nessuno di loro. Era piuttosto difficile capire se fossero effettivamente interessati a me o al denaro che avrei potuto ereditare. E comunque…non potevo fare a meno di paragonarli tutti a te e quando lo facevo, nessuno reggeva il confronto”, concluse, prendendogli la mano e carezzandola dolcemente.

A quelle parole, la tensione sul suo petto si allentò e Terence aprì la mano per consentirle di avere accesso al suo palmo, intensificando la sensazione provocatagli dalle sue carezze.

Non riusciva ad articolare una risposta. Lei lo osservava in silenzio mentre batteva le palpebre nervosamente, intrecciando le dita con le sue. La luce nei suoi occhi le fece intendere che era felice della sua risposta, ma qualcosa sulle sue labbra tradiva la sua esitazione, come se stesse cercando le parole giuste per quello che avrebbe dovuto dirle.

"Per molto tempo", le disse finalmente, "ho pensato di averti perso per sempre. Con il passare degli anni avevo iniziato ad accettare che mi avessi dimenticato e che qualcuno, alla fine, sarebbe riuscito…a conquistare il tuo cuore…Razionalmente, sapevo che era una cosa naturale e auspicabile e che avrei dovuto essere felice che almeno uno di noi due potesse essere felice. Ma ogni volta che ti immaginavo con…un altro uomo…dimenticavo la mia generosità e la mia passione scatenava il mio lato peggiore. Mi odiavo profondamente in quei momenti, sapendo che ero ingiusto ed egoista, specialmente perché ero promesso ad un’altra…tuttavia, non riuscivo ad evitare di…essere geloso", concluse, con gli occhi pieni di desiderio e profonda emozione.

Lei gli si avvicinò, gettandogli le braccia al collo ed appoggiando la sua guancia sulla sua. La giovane non riusciva a dire una parola. Tuttavia, nel calore del suo abbraccio, lui comprese che le sue paure erano state infondate ed il suo cuore rallentò la sua corsa. Dopo un po’, tuttavia, il suo senso di rettitudine gli impose di non lasciar cadere il discorso sul loro passato, finché non avessero chiarito tutto.

"Ora credo di doverti una spiegazione", continuò, attirandola a sé e appoggiandosi allo schienale del divano.

"Una spiegazione?" chiese lei, ignara di cosa le volesse dire.

"Ti ho chiesto del tuo passato e penso di dover essere onesto riguardo al mio. Mi riferisco al fatto che…io abbia vissuto con un’altra donna per diversi anni. Credo che sia opportuno darti una spiegazione".

"Non ne ho bisogno", replicò lei, rannicchiandosi contro il suo petto, non avendo voglia di affrontare quell’argomento.

"Forse ne ho bisogno io, devo togliermi un peso. Ti dispiacerebbe ascoltarmi, anche se non si tratta di un racconto piacevole?" insistette, segretamente convinto che una spiegazione fosse effettivamente necessaria, se voleva abbattere l’ultimo muro tra di loro.

Candy dubitò per un momento, ma vedendo la sua determinazione, finì per cedere.

"Se proprio devi, vai avanti, ti ascolto", acconsentì, poggiando le testa sulla sua spalla.

"Ebbene. . . dopo quella volta a Rockstown, non appena racimolati i soldi per il biglietto ritornai a New York. Feci una serie di lavori umili per mantenermi, mentre cercavo qualcosa nel mondo dello spettacolo. Non fu semplice, perché avevo stabilito un pessimo precedente. La maggior parte dei registi non volevano correre rischi con un giovane attore che aveva la fama di abbandonare il lavoro senza una buona ragione. Impiegai quasi un anno ad ottenere un piccolo ruolo. Fu come ricominciare tutto da capo, ma l’unica cosa che contava era che mi stavo finalmente rimettendo in carreggiata. La compagnia per cui lavoravo all’epoca non aveva neppure la metà del prestigio della Stratford, ma era comunque professionale e dignitosa; nulla a che vedere con quella pietosa compagnia di Rockstown. Fu allora che feci visita a Susanna per la prima volta e lei si mostrò intenzionata a riprendere la nostra relazione da dove l’avevamo lasciata. Onestamente, mi sentivo talmente in colpa all’epoca che non prestai attenzione al fatto che non fosse naturale per una donna essere così compiacente e comprensiva, specialmente considerato il fatto che non le avevo mai parlato di sentimenti. Tutto quello che potei offrirle fu la mia risolutezza a mantenere la promessa di una relazione senz’amore. Le chiesi un po’ di tempo per riprendermi finanziariamente prima di parlare di matrimonio e lei accettò".

"Lavoravo di nuovo come attore da quasi un anno quando Robert Hathaway in persona mi scrisse un messaggio, dicendomi che voleva parlarmi. Puoi sicuramente immaginare quanto fossi emozionato. Tuttavia, quando ci incontrammo, Robert non si mostrò affatto aperto e collaborativo come in passato. Mi accorsi che aveva delle riserve, ma mi offrì comunque un lavoro per la stagione successiva. Accettai di buon grado, giurando a me stesso che non l’avrei più deluso".

"Chiaramente, non mi assegnò un ruolo da protagonista, ma non mi importava. Avevo ripreso a lavorare con la prima compagnia di Broadway. Sarebbe stata una soddisfazione ancora più grande se ciò non avesse significato che era giunto il momento di onorare la promessa fatta a Susanna. Malgrado la mia riluttanza, quella volta mantenni la parola e chiesi la sua mano in matrimonio. Con mia grande sorpresa, la madre ebbe da obiettare, suggerendo che sarebbe stato meglio un fidanzamento più lungo, cosicché potessi offrire a sua figlia una posizione migliore. Susanna non sembrò essere particolarmente convinta dell’idea di sua madre, ma finì per acconsentire. Quindi, fissammo una data per l’inverno dell’anno successivo, il 1918, e concordammo altresì che, nel frattempo, Susanna avrebbe seguito una terapia per imparare ad usare una protesi, ovviamente con il mio sostegno finanziario".

"Da quel momento, la mia vita si divise tra il lavoro e Susanna. Ogni giorno andavo a prendere lei e sua madre nella loro casa di Brooklyn e le accompagnavo al Saint Vincent's Medical Center a Manhattan. Poi, andavo a lavorare e infine le riportavo a casa. A volte restavo a cena da loro per poi tornare in teatro a ora tarda per continuare a provare. Era alquanto stancante, ma mi ci abituai. Infine, circa tre anni dopo la nostra separazione, ottenni il mio primo ruolo da protagonista dopo Romeo e Giulietta, quanto di meglio avrei potuto desiderare" .

"Fu un successo assoluto. Dopo la prima settimana, c’era già il tutto esaurito per il resto della stagione. Ricevemmo delle recensioni talmente buone che Robert ebbe l’idea di non limitare la tournée agli Stati Uniti, ma di partire per l’Inghilterra. La guerra si era appena conclusa e gli inglesi cercavano di dimenticare il passato con una buona dose di intrattenimento. Robert era convinto che una giovane stella come me sarebbe stata accolta con calore. Aveva alcuni amici a Londra che avevano mostrato interesse nei confronti della nostra versione di Amleto, così non fu difficile organizzare tutto".

"Con la prospettiva di una lunga tournée, la Sig.ra Marlowe suggerì che avrei dovuto trovar loro una casa a Manhattan e mettere a disposizione un autista che le accompagnasse in ospedale durante la mia assenza. Dunque, proprio prima di partire per la mia tournée, affittai un appartamento per loro nello stesso edificio in cui abitavo. Il matrimonio fu nuovamente rimandato; questa volta fui io a proporre di posticiparne la data a causa della mia tournée. Susanna doveva restare a New York per sottoporsi alla terapia. Sebbene stavolta sua madre non fosse felice del cambio di programma, dovette acconsentire; specialmente dopo che avevo soddisfatto le sue richieste riguardo all’appartamento, all’autista ed infine a un’auto".

"Durante i sei mesi della mia assenza, Susanna iniziò a scrivere. Non era dotata di particolare talento, ma le sue opere erano comunque accettabili per il mondo dello spettacolo. Non fu difficile per sua madre trovare una compagnia che fosse disposta a mettere in scena qualcosa scritto dalla fidanzata di Terence Graham. Per certi versi, il mio nome le aprì delle porte ed ero felice per lei. Nei due anni e mezzo del nostro fidanzamento, Susanna era sempre stata talmente possessiva e dipendente da me, che mi sentii sollevato quando, di ritorno dall’Europa, la ritrovai così piena di entusiasmo per la sua nuova carriera".

"Il successo che avevamo avuto in Inghilterra ci aveva fruttato eccellenti guadagni. Così, la madre di Susanna divenne ancora più avida. Non appena rientrai dalla tournée, iniziò a insistere che l’appartamento fosse troppo piccolo per sua figlia, visto che stava iniziando a farsi un nome nell’ambito della drammaturgia ed in virtù della sua nuova carriera avrebbe dovuto ricevere potenziali clienti, registi e attori. Dissi alla Sig.ra Marlowe che avrebbe dovuto scegliere tra il matrimonio ed il grandioso ricevimento che desiderava, continuando a vivere nello stesso appartamento, o l’acquisto di una casa, rimandando il matrimonio di altri sei mesi. Questa volta la Sig.ra Marlowe esitò e mi chiese del tempo per pensarci. Credo che fosse combattuta tra la sua paura che il successo ed il denaro mi avrebbero allontanato da Susanna, se non l’avessi sposata subito e la sua apparentemente sconfinata avidità. Alla fine, arrivammo a un compromesso: avremmo lasciato i due appartamenti in affitto e avrei acquistato una casa dove ci saremmo trasferiti io e Susanna con sua madre come chaperone, finché non ci fossimo sposati. La data delle nozze fu fissata per la primavera del 1920".

"Per certi versi, la Sig.ra Marlowe aveva ottenuto tutto quello che desiderava in un colpo solo, una casa a Manhattan e la pubblica affermazione che io e Susanna vivessimo insieme. Tutto in un’unica soluzione. Anche se non eravamo ancora sposati, il fatto che vivessimo insieme era un modo per sottolineare nella nostra cerchia che non ero più sul mercato. Le altre donne interessate a me ci avrebbero pensato due volte prima di provarci con un uomo che viveva già sotto lo stesso tetto della sua fidanzata. Devo ammettere che la Sig.ra Marlowe fu molto astuta".

Terence si interruppe per un attimo, notando che Candy lo osservava con sguardo interrogativo.

"Ti sto scandalizzando?" le chiese.

"Non proprio. . . Sapevo che tu e Susanna avevate vissuto insieme. Ma è difficile per me comprendere come una madre possa proporre un accordo del genere. Non mi sembra…."

"Decoroso?" finì la frase per lei, "Mia cara tuttelentiggini, la Sig.ra Marlowe non ha mai vissuto seguendo i principi morali a cui sei abituata tu. Inoltre, nel mondo in cui vivo, la gente non si preoccupa granché della decenza, pertanto Susanna e sua madre potevano farla franca con il loro piano senza temere il rifiuto della nostra cerchia. Ovviamente, per le sfere più conservatrici della società newyorchese, Susanna non poteva più essere considerata una signora, da quando eravamo andati a vivere insieme. Ma per dirla tutta, la Sig.ra Marlowe era ed è tuttora una mercenaria. Suo marito morì lasciandola al verde, così decise di sfruttare la bellezza di Susanna per assicurarsi un reddito. Quando ho conosciuto Susanna, era lei a sostenere tutte le spese di sua madre con i suoi guadagni, come se la madre non fosse in grado di lavorare per mantenersi. La Sig.ra Marlowe non è affatto in là con gli anni. Credo abbia più o meno l’età di mia madre, potrebbe tranquillamente lavorare per guadagnarsi da vivere, ma ha preferito vivere alle spalle di Susanna. Non mi sorprende che non abbia esitato a rovinare la reputazione della figlia, se poteva ottenerne in cambio una casa lussuosa e una vita confortevole".

"Povera Susanna", mormorò Candy, esterrefatta.

"Non compatirla, Candy. In questa storia Susanna non è stata affatto una vittima innocente. Forse si è comportata in modo fragile e persino infantile a volte, ma non è mai stata all’oscuro delle macchinazioni di sua madre. Sapeva benissimo che sua madre cercava un modo di sfruttare il mio denaro a proprio vantaggio e non ha fatto mai nulla per fermarla. Eppure, ogni suo accordo con i piani di sua madre le è costato caro. Ogni volta che il matrimonio veniva rimandato, Susanna accettava solo dopo aver fatto una scenata in cui recitava magistralmente la sua parte, ricordandomi il suo sacrificio e le sofferenze che aveva patito quando l’avevo lasciata. Manipolava il mio senso di colpa per assicurarsi che mantenessi la mia promessa fino al giorno del matrimonio. Non sopportavo quella messa in scena, ma finivo per acconsentire alle richieste della Sig.ra Marlowe sopportando il ricatto di Susanna solo perché ti avevo promesso che le sarei rimasto accanto. Ma ti giuro che ho desiderato più di una volta di voltarle le spalle e non tornare mai più. Non è stato così, ma ora vorrei averlo fatto".

Candy era senza parole. In tutta la sua vita, non aveva mai conosciuto un personaggio più contorto della Susanna del racconto di Terence. Il giovane notò il suo silenzio e interruppe per un attimo il suo triste resoconto dei fatti. La parte che doveva ancora svelarle sarebbe stata ancora più difficile da affrontare.

"Candy, ti sto raccontando tutto questo perché voglio che tu sappia che sebbene io e Susanna vivessimo sotto lo stesso tetto. . ."

"Terence, non devi parlarmi di questo. Sinceramente, non c’è bisogno…che io sappia", lo interruppe lei, sentendo un’improvvisa stretta allo stomaco.

La giovane non era più appoggiata comodamente al suo petto, ma ora sedeva al suo fianco, alquanto a disagio. Terence, comprendendo la sua riluttanza, le si avvicinò, prendendole il mento con una mano per indurla a guardarlo.

"Amore mio, so bene che la mia situazione con Susanna era altamente compromettente. Molti credevano che ne avessi fatto…la mia amante. Ma voglio che tu sappia che non è assolutamente vero. Vivevamo nella stessa casa ma non siamo mai stati intimi. Capisci cosa intendo?" le chiese, mentre la guardava nervosamente, "Non è mai stato parte del nostro accordo. Acconsentire a una cosa del genere avrebbe reso il mio gesto di offrire una casa a lei ed a sua madre egualmente mercenario e indegno. Poi, la primavera successiva, quando avremmo dovuto sposarci, Susanna si ammalò. La sua malattia peggiorò terribilmente nel corso di quell’anno e di quello seguente. Infine, fu dichiarata terminale e morì nel mese di dicembre, circa tre anni dopo che eravamo andati a vivere insieme”, concluse Terence.

Candy si sentì sollevata quando si rese conto che lui aveva terminato il suo racconto. Per molto tempo aveva cercato di sorvolare sul fatto che Terence avesse vissuto con Susanna pur non essendo suo marito. Malgrado gli sforzi profusi per non giudicarlo, nel profondo del suo cuore, Candy sentiva che una tale decisione, sebbene fosse promesso a Susanna, non si confacesse al senso dell’onore di Terence. Non era quello che si sarebbe aspettata da lui. Ora, sapendo che malgrado le apparenze, Terence si era sempre comportato rispettosamente nei confronti di Susanna, le diede un certo sollievo.

"Apprezzo la tua onestà, Terence", gli disse timidamente. Quanto Terence si rese conto che la tensione che l’aveva attanagliata era svanita, la cinse nuovamente con le sue braccia.

"Non sono fiero delle cose che ho fatto nel periodo in cui mi sono dato all’alcool, Candy”, continuò con un tono particolarmente solenne mentre la guardava negli occhi, "Vorrei poter tornare sui miei passi e offrirmi a te come l’ingenuo ragazzo diciassettenne che ero quando ci siamo lasciati. Sfortunatamente, però, non è possibile. Ho vissuto esperienze laceranti ed ho macchiato la mia reputazione. Tuttavia, posso quantomeno assicurarti che dopo il mio ritorno ho fatto del mio meglio per vivere onorabilmente. Tutto quello che ho, l’ho guadagnato onestamente. E per quanto riguarda la mia relazione con Susanna, dopo averle chiesto di sposarmi, l’ho onorata rimanendole fedele, anche durante la sua malattia. L’ho fatto perché era il mio modo di restare fedele a te. Questo è tutto quello che ho da offrirti adesso; neppure la metà di quello che avevo quando ti ho invitato a New York. Potrebbe bastarti?" esitò, "Saresti. . ." impallidendo improvvisamente mentre cercava il coraggio di continuare, "Saresti disposta a dimenticare gli errori che ho commesso in passato e acconsentire…a diventare…mia moglie?"

Per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare, Candy sorrise, mostrandogli le sue fossette. Il suo viso rispose per lei prima che potesse parlare.

"In questa vita e per l’eternità, Terence, sì, lo sarei e lo sarò”, gli rispose, abbracciandolo teneramente e restando così per un lungo perfetto momento.

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Il mattino seguente Terence aprì gli occhi senza riuscire a distinguere granché nell’oscurità. Il fuoco si era spento dopo aver consumato l’ultimo ciocco e le finestre erano ancora chiuse. Sicuramente fuori si gelava, ma dentro si stava ancora piuttosto caldi. Una particolare fragranza gli penetrò le narici, senza che riuscisse a definirne la natura. Non era profumo e non proveniva neppure dalle lenzuola pulite in cui aveva dormito. Chiuse nuovamente gli occhi e inspirò profondamente. Il dolce aroma era inebriante. Si abbandonò per un po’ al suo seducente effetto, senza domandarsi quale ne fosse la fonte. Dopo un momento di attesa, si accorse che il suo corpo mostrava i primi segni di eccitazione.

I suoi muscoli si tesero e nel farlo si rese conto che il suo braccio destro le cingeva la vita. La fragranza che percepiva veniva da lei, non era il suo profumo, ma l’aroma naturale della sua pelle. L’aveva tenuta stretta altre volte prima, ma non aveva mai assaporato quell’inebriante fragranza come adesso. L’abbracciava da dietro mentre era ancora beatamente addormentata. Riusciva a sentire il suo respiro regolare attraverso la sua schiena che era praticamente incollata al suo petto. Il suo aroma, la sua vicinanza, il suo calore; l’intrecciarsi di tutte quelle sensazioni era fonte di pura felicità per lui. Chi mai avrebbe voluto svegliarsi da un sogno così?

Eppure, Terence aprì nuovamente gli occhi. Stavolta si sforzò di abituarsi all’oscurità e dopo un po’ riuscì a distinguere i dettagli intorno a sé. Ripensò a quanto era accaduto il giorno prima. No, stavolta non era un sogno. Era la più soprendente e dolce delle realtà. Ora riusciva a discernere la massa dei suoi ricci dorati che si stagliavano nelle ombre della stanza. Allungò una mano per accarezzarle dolcemente i capelli. Erano deliziosamente in disordine. Il battito del suo cuore accelerava di attimo in attimo e non poteva ignorarne la ragione. Tuttavia, attese ancora un po’.

Poi, si ricordò che anche in quella maledetta sera in cui si erano lasciati c’era una bufera di neve; era strano che fosse stata un’altra bufera a dar loro la possibilità di chiarirsi una volta per tutte. Ed ora lui era lì, che l’abbracciava da dietro, proprio come aveva fatto quella sera prima di lasciarla andare. Ma quella mattina le cose erano totalmente diverse.

Come per assicurarsi che non potesse svanire nell’oscurità, la strinse ancora di più e affondò il viso nella sua chioma, finché le sue narici non furono invase dall’aroma della sua pelle, che sulla nuca era perfino più intenso. Sapeva che quelle sensazioni gli stavano causando un notevole sconvolgimento, ma non voleva separarsi da lei. Ancora no.

Rimase così per un po’, crogiolandosi nell’idea che avesse dormito con lei per la prima volta nella sua vita. Si sentì talmente rassicurato che la gelosia che aveva provato nei confronti di Albert gli sembrò ormai ridicola. Il pomeriggio precedente, Candy gli aveva raccontato tutti i dettagli della sua convivenza con Albert nel loro appartamentino di Chicago, la successiva scoperta della sua vera identità, il suo ruolo nella storia con Neil e come si fossero avvicinati negli anni, fino a diventare realmente come fratello e sorella.

"Sono stato uno sciocco", pensò, "ma quello che conta adesso è che lei è qui e dorme accanto a me!"

Terence sorrise ancora una volta. Era profondamente grato per il cattivo tempo e per la neve che si era accumulata, impedendo loro di far rientro alla Casa di Pony. Se avesse deciso di organizzare tutto per avere il tempo di parlarle liberamente, sicuramente le cose non sarebbero andate altrettanto bene.

Si ricordò che poco dopo cena Candy si era addormentata sul divano, mentre lui attizzava il fuoco nel camino. Quando se ne era reso conto, aveva pensato di portarla in camera da letto per farla stare più comoda e lasciarla lì, mentre lui avrebbe dormito sul divano. Tuttavia, quando l’aveva depositata sul letto, lei aveva aperto gli occhi, ancora mezzo addormentata, attirandolo dolcemente tra le sue braccia.

"Non mi lasciare", lo aveva implorato, "fa troppo freddo".

Terence, che francamente non aveva bisogno di ulteriori incoraggiamenti, aveva immediatamente ceduto alle sue preghiere. Si era tolto le scarpe e si era sdraiato accanto a lei, abbracciandola da dietro.

"Credo che potremmo lasciarci andare, almeno per un po’", le aveva sussurrato all’orecchio, prima che lei si addormentasse di nuovo.

Tirò un profondo sospiro, del tutto appagato. Per lui non aveva alcuna importanza che avessero dormito completamente vestiti e che non fosse successo nulla. Sapeva che nessun altro si era spinto tanto in là con lei e questo era più di quanto necessitasse al momento. Inoltre, lei aveva accettato di diventare sua moglie e ben presto avrebbero potuto lasciarsi andare a maggiori intimità.

A dispetto delle sue rosee prospettive, però, l’unica cosa che desiderava in quel momento era che lei indossasse il suo anello nuziale, per poterla possedere come gli stava ardentemente chiedendo il suo corpo. Ma un uomo che ha aspettato ben dieci anni poteva aspettare qualche giorno in più, se necessario, giusto?

Di fatto, le aveva proposto di sposarsi all’inizio della primavera, per darle il tempo di organizzare tutto e di trovare una persona che potesse prendere il suo posto alla Casa di Pony. Sorprendentemente, era stata lei a chiedergli di non aspettare troppo.

"Non voglio più separarmi da te, Terence. Ho paura che potrebbe succedere qualcosa se tu partissi per New York e io restassi qui fino alla prossima primavera. Perché non ci sposiamo al più presto? Ti dispiacerebbe se rinunciassimo a un matrimonio in grande con i giornalisti e tutti i tuoi amici di Broadway?"

"Amici?" le aveva risposto lui, sollevando un sopracciglio, "Non ho amici a parte Robert e francamente non credo sia indispensabile averlo al mio matrimonio. Per quanto riguarda i giornalisti, non li voglio intorno in ogni caso. Ti sposerei anche stasera, se potessi. Ho proposto una data in primavera perché solitamente le signore hanno mille cose da fare prima di un matrimonio e hanno bisogno di tempo per i preparativi. Ti dispiacerebbe se organizzassimo una cerimonia molto intima?"

"Ormai dovresti sapere che non sono una donna come le altre. Non mi importa della cerimonia. Mi importa solo di diventare tua moglie", gli rispose raggiante.

Al ricordo di quel momento, Terence sorrise nuovamente. Sì, decisamente lei non era una donna come le altre, e come nessun’altra, il suo seducente profumo era impossibile da sopportare oltre. Controvoglia, si sciolse dall’abbraccio e si diresse verso il bagno, con la speranza che l’acqua gelata potesse raffreddare i suoi bollenti spiriti.

Candy finalmente si svegliò. Avendo dormito con i vestiti addosso, era certa che sarebbe stata un disastro. La giovane si stiracchiò e rotolò dall’altra parte del letto. Quando affondò il viso nel cuscino accanto al suo, poté percepire il profumo di lui. Sorrise al ricordo di quanto era accaduto il giorno prima.

E il suo sorriso divenne ancora più smagliante quando ripensò alla nuova intimità che avevano condiviso.

"Temo di essere stata veramente birichina!" pensò, "Mi domando cosa direbbe la zia Elroy se sapesse del mio comportamento audace", ridacchiando mentre immaginava l’espressione di disapprovazione dell’anziana donna.

"Sembri piuttosto compiaciuta, Signorina Andrew", disse Terence che usciva dal bagno proprio in quell’istante, con i capelli leggermente umidi e perfettamente pettinati. I suoi pantaloni erano un po’ sgualciti, ma a parte ciò, era ancora abbastanza presentabile.

"Sono molto felice, Terence", rispose lei e poi osservandolo aggiunse, “e un po’ invidiosa. Come fai ad essere così in ordine dopo aver dormito con i vestiti addosso? Guardami! Sono un disastro totale, per non parlare dei miei capelli!"

"I tuoi capelli non hanno nulla che non vada", le disse sollevando un sopracciglio.

"Sei davvero gentile, ma non ho bisogno di uno specchio per sapere come si comportano questi terribili riccioli. Ci convivo da abbastanza a lungo per conoscerne la natura".

Alle sue parole ed al broncio che vi aveva fatto seguito, Terence scoppiò a ridere.

"Immagino che i tuoi riccioli non ti piacciano tanto quanto le tue lentiggini", le disse, sedendosi sul letto accanto a lei.

"Proprio no. Mi assomigliano troppo, temo. Indisciplinati e ribelli. Ho sempre invidiato i bellissimi capelli lisci di Annie”, concluse, soffiando via un ricciolo che indugiava testardo sulla sua fronte.

Terence allungò una mano per accarezzarle i capelli. Nei suoi occhi brillava quella particolare luce che era allo stesso tempo ipnotica e inquietante.

"Sei una donna bellissima, Candice", le disse, sollevandole il mento per indurla a guardarlo negli occhi. "Il motivo per cui scegli di ignoralo è un mistero. Ma credimi, la Sig.ra Cornwell non potrà mai reggere il confronto con te e con i tuoi straordinari capelli ricci", dopodiché fece una pausa, per poi aggiungere con tono allusivo, "Oltre al mio oggettivo apprezzamento della tua bellezza, potrei parlarti per ore delle molte cose che ti rendono attraente ai miei occhi, in modo più intimo e personale, ma questo argomento lo affronteremo quando sarai mia moglie".

Sapendo che il suo autocontrollo era ancora precario, Terence si limitò a baciare Candy sulla fronte, per poi lasciarla sola a darsi una sistemata. Nel frattempo, decise di uscire per aprire le imposte e fare il punto della situazione dopo la tormenta.

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La neve era decisamente un problema. La macchina era praticamente sepolta sotto quasi un metro di neve e la strada era del tutto scomparsa. Quando Candy raggiunse Terence all’esterno dello chalet, valutarono insieme le alternative possibili. Restare lì per un altro giorno era fuori questione. Candy era certa che Miss Pony e Suor Maria fossero già abbastanza preoccupate e non voleva allarmarle oltre. Terence, da parte sua, sapeva che se voleva continuare a comportarsi da gentiluomo, avrebbero dovuto far rientro alla Casa di Pony il più presto possibile. Pertanto, il problema da risolvere era come arrivarci, dato che l’auto era inservibile.

Fortunatamente, Candy si ricordò che a un paio di miglia di distanza c’era una fattoria di una coppia che conosceva molto bene. Il Sig. e la Sig.ra Kinkaid erano stati suoi pazienti diverse volte. Se fossero riusciti a raggiungerla, il Sig. Kinkaid avrebbe potuto prestarle la sua slitta e uno dei cavalli per permettere loro di arrivare alla Casa di Pony.

"Non starai pensando di andare a piedi fino alla fattoria con la neve così alta, vero Candy?" le chiese Terence, che aveva ancora dei dubbi sul suo piano.
Candy gli sorrise e corse verso la casa. Qualche minuto dopo ne uscì con un paio di sci tra le braccia.

"E se ci andassimo sciando?" gli chiese, lanciandogli uno sguardo birichino.

"Non dimenticare che siamo in due" obiettò lui, incrociando le braccia al petto.

"Sei un guastafeste!" lo rimproverò lei, "Ovviamente ce ne sono altri. Albert ne ha diverse paia. Vai a prendere i tuoi".

"D’accordo! Sembra che dovremo fare a modo tuo, Tarzan Tuttelentiggini. Ma farai meglio a conoscere per bene questi boschi, perché non intendo perdermi con questo freddo".

"Dimentichi con chi stai parlando? Ho passato quasi tutta la mia vita in questi boschi. Andiamo, sbrigati e vedrai che in un attimo saremo a far colazione dai Kinkaid!"

Dopo aver chiuso la casa ed aver preso la macchinina ed il libro per colorare di Alistair, i due ragazzi sciarono attraverso i boschi, seguendo le indicazioni di Candy. Fedele ai suoi calcoli, arrivarono alla fattoria dei Kinkaid in tempo per colazione. La coppia di contadini, sulla mezza età, li accolse con calore. Furono particolarmente felici quando Candy li informò che il gentiluomo che era con lei era il suo fidanzato e che si sarebbero sposati presto. Con l’occasione, la coppia li invitò a far colazione con loro per festeggiare la notizia, esattamente come aveva previsto Candy. Dopo aver mangiato, il Sig. Kinkaid offrì ai due ragazzi la sua slitta prima ancora che potessero chiedergliela.

Candy fece l’occhiolino a Terence, fiera di aver previsto tutto per filo e per segno. Lui le rispose con un sorriso, per poi aggiungere a bassa voce "Mi ricorderò di portarti con me la prossima volta che deciderò di restare isolato nel bel mezzo di una tormenta. Ti sei rivelata una compagna decisamente piena di risorse".

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