Candy Candy

"La Stagione dei Narcisi" di Josephine Hymes, Traduzione di sailor74 (a.k.a. Ladybug)

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sailor74
view post Posted on 28/4/2013, 21:23 by: sailor74     +4   +1   -1

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Capitolo 8
Ballata n. 1, opera 23



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Il caldo aroma del caffè le accarezzava la lingua, mentre beveva a piccoli sorsi. Era il primo giorno del nuovo anno e Candy sapeva che nessuno si sarebbe svegliato prima di mezzogiorno e ne era felice. Essendo soltanto le nove, sperava di avere abbastanza tempo per domare il vortice di sensazioni che minacciavano di esploderle nel petto in un milione di scintille.

Si sentiva esattamente nuova ed inesperta come l’anno che era appena iniziato. E questa novità era la sensazione più piacevole che avesse mai provato. Seduta tranquillamente nella sua poltrona preferita, di fronte alla portafinestra della sua camera, gustava il suo caffè assaporandolo lentamente. In una mano teneva la lettera che le aveva dato il buongiorno al suo risveglio quella mattina. Sulla punta delle dita, poteva ancora sentire distintamente il calore della pelle che la notte scorsa si era fusa con la sua in un’unica entità, di cui ora non poteva più fare a meno.

La giovane sentì l’aria gelida del mattino filtrare attraverso il tessuto leggero delle tende bianche. Poggiò la testa sullo schienale della poltrona e posò la tazza. Con la mano destra, si avvolse nella sciarpa di seta che aveva messo intorno al collo quando la domestica era entrata in camera a servirle il caffè. Candy sapeva che i segni rosacei che lui le aveva lasciato in tutto il corpo sarebbero stati visibili sulla sua carnagione delicata. Sorrise e si sentì sollevata che il freddo dell’inverno le consentisse di coprirsi senza destare sospetti.

Candy sorrise di nuovo. Un’occasione così unica richiedeva un nuovo sorriso e quella mattina ne aveva inventato uno appositamente. Continuando a sorridere, pensò che fosse strano non provare alcuna vergogna. Di fatto, l’unica cosa che rimpiangeva in quel momento era di aver rinunciato a quella stessa felicità dieci anni prima. Tirò un sospiro e lesse nuovamente la sua lettera.

1 gennaio, 1925

Amore mio,

Per quanto avrei voluto restarti accanto fino al tuo risveglio, ho pensato che fosse meglio andarmene prima che occhi indiscreti potessero immischiarsi in cose che riguardano solo noi due. Pertanto, spero che mi perdonerai per essermi allontanato come un ladro che scappa quando è ancora buio. Ti prometto che molto presto condivideremo ogni alba, tramonto, giorno e notte senza più separarci e nessuno avrà nulla da ridire in proposito.

Mentre ti scrivo, mi rendo conto che sono al mondo da più di ventisette anni ed ho sempre ignorato che l’unica cosa che conta realmente è lo stato di perfetta felicità che un’anima raggiunge nel fondersi con un’altra. Ieri notte, per la prima volta, grazie alla tua generosità, ho avuto un anticipo di quella beatitudine. Per questo dono, proprio nell’anniversario del nostro primo incontro, ti sarò eternamente grato. Se fosse necessario, sarei disposto ad aspettare altri dodici anni solo per guadagnarmi il diritto di amarti. Tuttavia, per come stanno le cose, spero sinceramente che non sarà più necessario attendere.

Ardentemente tuo,
T.G.

P.S. Ho preso il tuo diario. Te lo restituirò solo dopo che l’avrò letto almeno una decina di volte.


Candy chiuse gli occhi assaporando le sue parole. Seppur breve, quella era senza dubbio la prima lettera d’amore che lui le avesse mai scritto. Nessuna bonaria presa in giro per nascondere i suoi sentimenti, nessuna maschera, niente chiacchiere…solo la sua anima messa totalmente a nudo. Era la prova inconfutabile che quello che era successo qualche ora prima non era stato solo un sogno…beh, doveva ammettere, però, che il P.S. era una delle sue solite bravate. Solo qualche giorno prima, quando le aveva fatto visita alla casa di Pony, Albert le aveva restituito il diario che lei aveva scritto alla Saint Paul School, unitamente alle lettere di Terence. Ora, lui gliel’aveva impunemente rubato. Ma oggi gli avrebbe perdonato tutto. Mentre mandava giù un altro sorso di caffè, le tornarono alle mente gli intimi ricordi del loro incontro della notte appena trascorsa.

Non aveva mai immaginato che un’anima potesse essere messa così totalmente a nudo nel fare l’amore. Per quanto il suo legame con Terence fosse sempre stato molto profondo, nulla di quello che avevano condiviso in passato reggeva il confronto con quel radicato senso di appartenenza l’uno all’altra generato dalla fusione dei loro corpi. L’uomo a cui si era donata si era letteralmente trasfigurato davanti ai suoi occhi. Nel mettere a nudo il proprio corpo, le aveva mostrato anche il suo essere più profondo con un’intensità che non credeva possibile.

La giovane sospirò ancora una volta. Si domandò fino a che punto la loro comunicazione fosse stata verbale e quanto di essa, invece, avesse avuto luogo solo attraverso pelle e fluidi. Non riusciva più a vederne la differenza.
La sua confessione di averla amata dalla prima volta che l’aveva vista era stata espressa a parole? In che modo le aveva rivelato il suo ardente desiderio di proteggerla? Forse negli sforzi che aveva profuso per essere delicato nel momento ultimo di possederla, malgrado la forza della passione di quella notte? O gliel’aveva sussurrato all’orecchio? Non era in grado di dirlo, ma ormai era consapevole di tutto ciò ed il suo cuore traboccava di certezze.

Per certi versi, questa nuova consapevolezza la spaventava, perché sapeva che lui era nelle sue mani. Se avesse fallito nell’amarlo come aveva bisogno di essere amato, l’avrebbe ferito irreparabilmente, ferendo anche sé stessa, perché il risultato estremo della loro unione era stata la fusione del loro essere in un’unica entità. Sperava solo di poter essere all’altezza del compito di amare quell’uomo terribilmente possessivo, ma al contempo estremamente vulnerabile ed incredibilmente forte.

Ora, come avrebbe fatto ad affrontare il mondo quella mattina e mascherare tutta quella gioia? Non lo sapeva, ma in quel momento, non le importava granché. Di fatto, l’unica cosa che contava, era andare a cercarlo per bearsi alla vista di lui.

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Malgrado la mano gonfia, quella mattina i tasti del pianoforte sembravano danzare sotto le sue dita. Dopo l’intenso arpeggio iniziale, l’ipnotica melodia del valzer si diffuse nella stanza. Ben presto, scale ed accordi seguirono in una frenetica sequenza. Quella ballata gli aveva sempre ricordato lei, passionale ma dolce, tenera a suo modo, ma allo stesso tempo animata da una straordinaria forza, a volte giocosa, altre saggia e soprattutto di buon cuore. Aveva sempre saputo che lei era così, dalla prima volta che l’aveva vista. Per di più, per anni, aveva immaginato che quei tratti della sua personalità che la rendevano così esplosiva, sia nella rabbia che nella gioia, l’avrebbero resa una meravigliosa amante. E non si sbagliava…Oh sì! Tra le sue braccia, gli aveva dimostrato tutto questo.

Quella mattina Chopin sembrava offrirgli la melodia perfetta per permette al suo cuore di cantare a squarciagola: lei è mia! Solo mia! . . . Che sensazione travolgente sentiva scorrergli nelle vene! Era lo stesso uomo che era stato fino ad allora? No! Era rinato in quella felice mattina di gennaio ed il nuovo Terence era un uomo che sapeva cosa fosse la felicità.

Se in tutti quegli anni di terribile depressione qualcuno gli avesse detto che un giorno si sarebbe svegliato con il sapore di ogni centimetro del suo corpo irrevocabilmente impresso sulle sue labbra, l’avrebbe considerato uno scherzo crudele. Ma invece ora era lì, appena sette mesi dopo che aveva osato scriverle quella prima inarticolata lettera, eletto ad unico padrone del suo corpo e della sua anima. Era uno stato di appagamento che non aveva eguali.

Il pensiero che gli avesse concesso i diritti di un marito ancora prima che il loro matrimonio fosse debitamente celebrato lo rendeva euforico. Quando era accaduto ciò che era accaduto, nessuno dei due era riuscito a pensare con lucidità. Avevano entrambi dato e preso liberamente, senza nessuna razionale considerazione a frapporsi fra loro. Poi, quando fu tutto finito e la frenesia aveva ceduto il passo alla pace, fu il suo turno di aver paura. Si era definito un mascalzone, vergognandosi di aver violato i limiti del decoro ben due volte in un’unica sera, l’ultima volta in modo decisamente più grave della prima.

Terence sorrise ripensando al fatto che a quel punto era stata lei a calmare le sue ansie. Il suo cuore aveva fatto fatica a trattenere la gioia quando lei gli aveva ribadito che non rimpiangeva affatto quello che era successo.

"Come potrei vergognarmi di essere tua?" gli aveva detto, appoggiandogli la testa sulla spalla, "So che non è quello che mi è stato insegnato, ma non capisco come potrebbe essere sbagliato davanti a Dio, quando Lui sa bene che nel mio cuore sono sempre stata tua moglie e lo sarò per sempre".

Il motivo originale si ripeté ancora una volta, fluendo dalle dita di Terence, mentre con gli occhi della sua mente si rivedeva mentre le baciava i capelli e le sussurrava "grazie". A volte, le parole più semplici sono cariche di un significato profondo.

"Vorrei poter fare per te qualcosa di altrettanto importante e generoso come quello che hai fatto tu per me stanotte!" le aveva detto tra i baci.

"Dimmi che mi amerai per sempre".
"Questo è un compito troppo facile. Non potrei fare altrimenti".

Le note si intrecciarono, creando un’illusione di onde che si infrangevano sulla sabbia. Poi, si ricongiunsero a dar nuova vita al valzer, questa volta in crescendo, con accordi più pieni e più imponenti. Infine, irruppero in una cascata per alcuni appassionati secondi, fino a concludersi con un accordo deciso in sol minore.

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Un delicato applauso ruppe il silenzio che seguì. Ancor prima di voltarsi, seduto davanti al pianoforte a coda, Terence seppe che si trattava di lei. Quando finalmente la vide, vestita in un tailleur grigio con giacca e gonna a tubino ed un maglione rosso a collo alto, le tese il braccio destro e lei gli rispose andandogli incontro. Le fece spazio sullo sgabello e lei si sedette accanto a lui, con le gambe ed il corpo in opposizione ai suoi. Non le lasciò dire una parola finché non l’ebbe baciata profondamente, accarezzandole il viso in un muto riconoscimento dei suoi lineamenti alla luce del giorno.

"Buongiorno, mogliettina", mormorò, stringendola a sé.

"Buongiorno, maritino. Avevo sognato di sentirti suonare di nuovo!" gli rispose lei, guardandolo in totale adorazione.

"Non suonavo più da anni, ma negli ultimi mesi ho ritrovato la voglia di farlo. Ti è piaciuto il mio Chopin?"

"Mi è sempre piaciuta questa ballata, ma per quanto mi riguarda potresti suonare anche delle semplici bacchette cinesi ed il risultato mi piacerebbe comunque, perché saresti tu a farlo".

"Se intendi adularmi in questo modo, non mi aiuterai a migliorare la tecnica", si lamentò scherzosamente lui.

"Probabilmente no, ma forse se mi lasciassi dare un’occhiata alla tua mano, potrei aiutarti in qualche altro modo", suggerì lei, prendendogliela tra le sue.

"Sembra che il ghiaccio che mi hai messo ieri notte abbia fatto effetto, mi sembra meno gonfia”, disse lui, pensando che avrebbe dato volentieri un altro pugno a Neil solo per rivivere l’eroticità della scena in cui lei si era preoccupata della sua mano livida, mentre erano insieme sotto le lenzuola.

"Vado a prendere una bacinella, così potrai immergere la mano per un po’ in una soluzione di acqua e sali di Epson", disse lei, ma mentre tentava di alzarsi per mettere in pratica il suo proposito, lui glielo impedì.

"Non ora. . . più tardi potrai farmi anche il bagno nei sali di Epson, se lo desideri, a condizione che tu lo faccia con me", le sussurrò, mentre i suoi occhi risplendevano di ogni possibile sfumatura di blu e di verde.

Lei arrossì mentre lui la prendeva tra le braccia facendola scivolare all’indietro e impossessandosi della sua bocca con un altro ardente bacio. Proprio in quel momento, un colpo di tosse li fece trasalire. Le loro labbra si separarono e si voltarono per vedere chi fosse. Candy si tirò su a sedere, ma non lasciò immediatamente le braccia di Terence.

"Buongiorno, Archie!" disse lei, sorridendo malgrado il suo acceso rossore, "Ti sei alzato piuttosto presto".

"Buongiorno", disse Archibald, facendo fatica a ritrovare la prontezza di spirito per darle una risposta coerente.

Che strano! Sorprendere sua cugina in un abbraccio appassionato con il suo fidanzato non era stato affatto sconvolgente quanto la travolgente sensazione che l’aveva assalito quando la coppia si era voltata a guardarlo.

Per un attimo, Archibald si sentì smarrito. La sua testa gli diceva che avrebbe dovuto proteggere sua cugina da quell’uomo, che forse era tornato a far parte della sua vita solo per ferirla di nuovo e poi andarsene. Tuttavia, quella mattina, erano entrambi avvolti in una strana aura, come se fossero immersi in un mondo tutto loro in cui lui era solo un intruso. La sensazione era impalpabile, eppure talmente reale che lui non seppe cosa dire o fare.

"Annie è già in piedi?" chiese Candy, destando Archie dalla sua confusione interiore.

"Sì, è con Stair adesso, lo sta preparando per il brunch", riuscì finalmente a risponderle.

"Allora, penso che la raggiungerò. Voglio chiederle se ha dei sali di Epson. Vi dispiace se vi lascio soli per un po’?" chiese Candy, alzandosi in piedi.

Terence non le lasciò la mano, che aveva stretto possessivamente per tutto il tempo. Poi, mentre Candy era già in piedi accanto a lui, si scambiarono uno dei loro sguardi particolari e lui, con riluttanza, la lasciò andare.

"Ci vediamo a colazione tra una quindicina di minuti. Che ne dite?" chiese a entrambi, mentre si incamminava verso la porta.

"Va. . . va bene", concesse Archie, recuperando lentamente la sua capacità di formulare un pensiero coerente.

Terence fece appena un cenno con la testa, avendo capito le intenzioni di Candy nel lasciarlo solo con Archibald.

"Ecco un’altra delle tue manovre conciliatorie, Tarzan Tuttelentiggini. Ma questa me la paghi…”

Non appena la giovane ebbe chiuso la porta dietro di sé, per un po’ regnò un imbarazzante silenzio.

Con il suo solito distacco, Terence chiuse il coperchio del pianoforte e si avvicinò alla finestra, sentendo il bisogno di accendersi la prima sigaretta del mattino, decidendo tuttavia di rimandare. Le tende erano aperte, pertanto incrociò le braccia al petto e decise di concentrarsi sulla vista del giardino e ignorare la presenza di Archibald. Non era dell’umore per conversare con una persona che aveva una così chiara avversione per lui.

Archibald sedeva nella poltrona accanto al caminetto e dopo aver preso il giornale da un tavolino lì accanto, per un po’ finse di leggere. Ogni tanto lanciava uno sguardo in direzione di Terence, impassibile davanti alla finestra, domandandosi se avrebbe dovuto prendere l’iniziativa ed iniziare una conversazione. Desiderava parlare con il suo ex compagno di scuola sin da quando era arrivato alla villa alcuni giorni prima. Eppure, ora che Candy gliene aveva offerto l’opportunità in modo così palese, non sapeva come rompere il ghiaccio.

Sentendo la necessità di un po’ di caffeina nelle vene per riattivare il cervello, Archibald decise di usare il telefono e ordinare un caffè. Poco dopo, un domestico entrò con un vassoio d’argento.

"Vuoi unirti a me?" disse Archibald a Terence, rompendo finalmente il silenzio.

Terence, che nel frattempo si era concentrato su pensieri decisamente più gradevoli ricordando quanto era accaduto la sera prima, scosse appena la testa per declinare l’invito. Malgrado tutti gli anni passati negli Stati Uniti, non riusciva ancora a comprendere il fascino che gli americani sentivano nei confronti del caffè. Pensò che avrebbe preferito aspettare una bella tazza di thè per cominciare la giornata come si deve.

Mentre Terence si voltava nuovamente per riprendere quella che sembrava un’approfondita ispezione del giardino degli Andrew, il domestico se ne andò lasciandoli soli.

"Hai intenzione di restare lì a guardare fuori dalla finestra fino all’ora del brunch?" gli chiese Archibald, incapace di trovare un modo più amichevole di iniziare la conversazione.

"Pensavo di sì, ma immagino che tu abbia un’idea migliore", rispose Terence, voltandosi verso Archibald e avvicinandosi lentamente al caminetto. Nel farlo, tirò fuori il suo accendino Alfred Dunhill da una delle sue tasche.

"Pensavo che potesse essere un buon momento per discutere di una cosa con te", disse Archibald da dietro alla sua tazza di caffè.

Terence appoggiò il gomito alla mensola del camino, spostando il peso sulla gamba sinistra, continuando a giocare con il suo accendino d’oro.
"Lasciami indovinare", rispose poi con il suo consueto tono beffardo, sollevando un sopracciglio, "intendi dirmi che non approvi che sposi tua cugina".

Archie strinse i denti davanti all’esasperante abitudine di Terence di affrontare un argomento in modo così esplicitamente insolente.

"Non intendevo esprimermi in questo modo, ma devo ammettere che il senso è quello", confessò Archie, posando la tazza e preparandosi ad uno scontro verbale.

"Allora, ora tocca a me dirti che non me ne importa un fico secco", lo sfidò Terence, fissandolo dritto negli occhi.

"Mi aspettavo una risposta del genere. Ma non ha alcuna importanza cosa pensiamo l’uno dell’altro. Voglio solo avvertirti di star bene attento a non rovinare tutto stavolta", sbottò Archie, i cui occhi color nocciola avevano assunto un’espressione minacciosa.

"Per favore, Cornwell, ho avuto abbastanza drammi nella vita, dentro e fuori dal palco”, rispose Terence, esprimendo chiaramente la sua irritazione, "Credimi, non c’è alcun bisogno di questa teatrale chiacchierata in cui mi minacci di morte se dovessi far soffrire di nuovo Candy".

"Beh, se avessi avuto più buon senso, l’avresti lasciata in pace per permetterle di essere felice!" disse Archie, alzandosi di scatto per fronteggiare Terence.

"È facile per te dirlo. Hai tutto, una bella moglie, un bambino adorabile…"

"Oh, per favore, Grandchester! Intendi biasimarmi perché sono felice? La felicità bisogna sapersela guadagnare. Tu, invece, non hai fatto che allontanarla"

"So benissimo cosa ho fatto!" ammise Terence, alzando la voce, carica di senso di colpa e rabbia.

"No che non lo sai, stupido arrogante!" urlò Archie, diventando paonazzo, "Non hai idea di quanto sia stato difficile per lei riprendersi dopo che sei stato così vigliacco da lasciarla. Vuoi sapere cosa le è successo a causa della tua catastrofica idea di invitarla a New York?"
Questa volta Terence non rispose. Un veloce battito di ciglia ed un’improvvisa tensione alle tempie furono le sue uniche reazioni.

"Ebbene, devi sapere che dopo che le hai spezzato il cuore senza pietà, ha camminato nella neve per ore finché non le è venuta la polmonite", continuò Archibald, cogliendo l’occasione offertagli dal silenzio del suo interlocutore. "È svenuta sul treno per via della febbre alta. Il personale della stazione l’ha portata qui da noi priva di conoscenza! Lei, che era sempre stata sana e forte, era pallida e in delirio al punto che abbiamo temuto per la sua vita!"

A queste parole, Terence sbiancò, ma non osò interrompere Archibald.
"E tutto solo perché non sei stato capace di comportarti da uomo ed amarla come meritava. Se il tuo maledetto onore aristocratico era già compromesso con un’altra donna, non avresti potuto almeno risparmiarle l’umiliazione di fare centinaia di chilometri solo per essere scaricata?"

"Credi che non ci abbia pensato migliaia di volte negli ultimi anni? Pensi che mi rallegri della mia stupidità e della mia vigliaccheria?" sbottò finalmente Terence, "Credimi, Cornwell, forse non conoscevo i dettagli che mi hai appena raccontato, ma sono perfettamente consapevole di averla fatta soffrire e non ne vado affatto fiero".

"Allora, se avessi avuto un po’ di ritegno, non avresti osato tornare da lei! Per molto tempo, è stata benissimo senza di te!" rispose Archibald, alzando nuovamente la voce e diventando sempre più paonazzo per la rabbia.

Terence incassò stoicamente il colpo. Tra sé e sé, ammise di aver fatto lo stesso pensiero più di una volta. Di fatto, l’agonia che aveva sofferto prima di spedirle la sua prima lettera dopo dieci anni di silenzio era stata il risultato di quella stessa paura. Per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare, Terence abbassò lo sguardo.

"Non posso biasimarti se la pensi così. Per un po’, ne sono stato convinto anch’io".

L’improvviso cambiamento nel tono di Terence colse Archibald di sorpresa. Se non fosse stato così convinto che Grandchester non fosse capace di provare vergogna, avrebbe pensato che sembrava sinceramente pentito stavolta.

"E poi che cosa ti ha fatto cambiare idea?" chiese Archibald dubbioso, aggrottando la fronte.

"La consapevolezza che senza di lei sono solo una nave in balia delle onde!" fu l’onesta risposta di Terence. "Sarò anche un maledetto bastardo, ma non sono uno stupido. So bene che in questo matrimonio sono io ad aver tutto da guadagnare, Cornwell. Un uomo tetro come me, con una vita incolore come quella che ho sempre condotto, ha ben poco a che spartire con una donna che fa splendere il sole come lei. Se preferisci, dammi pure dell’egoista, ma quando mi ha aperto la porta, non ho potuto evitare di rientrare nella sua vita e offrirle il mio cuore. Ti saresti comportato diversamente al mio posto? Sinceramente?"

Questa volta fu Archie ad abbassare lo sguardo. Sapeva bene che in passato, se gli fosse stata offerta quella stessa opportunità, l’avrebbe colta senza esitare.

"No, non mi sarei comportato diversamente", ammise Archie, incapace di mentire su una questione così vicina al suo cuore. Inoltre, la parole di Terence, cariche di sentimento, l’avevano molto colpito. Tuttavia, non intendeva cedere così facilmente. "Ma come puoi essere certo che questa volta non la farai soffrire? Ieri sera, per esempio, ci hai offerto un altro classico esempio. Spero non negherai che avete litigato dopo che l’hai trascinata via dalla sala da ballo senza tanti complimenti".

"Non intendo negare ciò che è così chiaro ai tuoi occhi, Cornwell!" rispose Terence, irritato dal commento di Archibald, "Per quanto lei mi ami, non intende assecondare ogni mio capriccio e tra l’altro, non mi piacerebbe se lo facesse. Non posso prometterti che non litigheremo mai, ma posso assicurarti una cosa. Quello che è successo in passato, non si ripeterà più. Non permetterò a nessuno di mettersi tra noi".

"Vorrei poter credere alle tue parole, Grandchester".

"Le parole non contano, Cornwell. Lascia che il tempo ti dimostri se sono in grado di farla felice o meno".

"Se non lo farai. . ."

"Lo so, lo so, sono un uomo morto", gli concesse Terence, alzando entrambe le mani.

"Almeno su questo siamo d’accordo", concluse Archibald, mettendosi a sedere sul divano.
Terence si rese conto che per il momento lo scontro tra di loro era giunto al termine. Pertanto, sentendosi un po’ più rilassato dopo le cose spiacevoli che si erano detti, prese il portasigarette e lo porse ad Archibald.

"Ne vuoi una?" gli disse.

Archibald lo guardò con sospetto.

"Andiamo, non essere così diffidente. Non c’è nulla che non vada in queste sigarette”, disse Terence, prendendone una per sé.

"D’accordo!" accettò Archibald, seppur con una certa riluttanza, "Ma solo una, perché sto cercando di smettere. E dovresti farlo anche tu. Lo sai che a Candy non piace”.

"Puoi dirlo forte!"

Terence sorrise da dietro il fumo della sua sigaretta. Era un bene che Archie fosse beatamente all’oscuro di quello che era accaduto nella stanza di Candy alle prime ore del mattino. Al contrario, la loro piccola discussione non si sarebbe conclusa altrettanto bene.

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Quel giorno il brunch fu alquanto informale. Solo Albert, i Cornwell e la coppia di fidanzati sedevano a tavola senza la presenza di altri parenti, inclusa la Zia Elroy, che si era fatta servire la colazione nelle sue stanze alla solita ora. La tensione tra Archie e Terence sembrava essersi allentata un po’ dopo la loro conversazione e Candy si vantò di quella piccola vittoria. Era un peccato, però, che non potesse godersela appieno, perché c’erano altre preoccupazioni che affollavano la sua mente.

Temeva, infatti, che l’overdose di felicità che aveva vissuto la sera prima potesse diventare troppo palese agli occhi degli altri. Un solo sguardo in direzione di Terence era bastato a scombussolarla, riportandole alla mente con la sua sola presenza i ricordi di quello che era accaduto tra di loro. A peggiorar le cose, quella mattina sembrava che anche la cosa più innocente le richiamasse un ricordo legato alla loro intimità.

Mentre spalmava il burro sul pane tostato e Terence era impegnato a chiacchierare con Albert, non poté fare a meno di pensare a come quell’uomo apparentemente distaccato e disinvolto si fosse trasfigurato davanti ai suoi occhi.

"Toccami!" l’aveva implorata, prendendole la mano e portandosela al volto. Lentamente, lei gli aveva accarezzato la mascella volitiva ed il possente collo, diventando a poco a poco più audace, finché non aveva più avuto bisogno di alcuna guida. A quel punto lui aveva chiuso gli occhi, lasciando che lei assistesse alla sua totale resa ai sentimenti che avevano soggiogato il suo volere così a lungo.

Aveva percepito con chiarezza il suo respiro diventare sempre più affannoso, mentre la pelle delle sue spalle e delle sue braccia nude fremeva al suo tocco, accendendosi di passione. Allo stesso modo, Candy si era stupita dell’effetto che la pelle di lui aveva sul palmo della sua mano. Era come se da essa irradiasse una forza che la rendeva più audace e, tuttavia, ebbe come la sensazione di cadere, con il suo intero essere che si abbandonava sempre più.

"Mi passeresti il burro?" ripeté Annie per la terza volta, facendo finalmente sobbalzare Candy.

"Oh sì, certo! Ecco", rispose lei, un po’ imbarazzata per la sua distrazione.

Candy si domandò come avrebbe fatto a mantenere una parvenza di normalità. Terence le lanciò uno sguardo d’intesa dall’altro capo del tavolo, ma il risultato fu solo un altro flashblack che la turbò persino di più.

"È così che sarebbero dovute andare le cose tra me e te. Questo era quello che avevo sempre immaginato per noi", le aveva sussurrato all’orecchio un attimo prima di consumare la loro unione.

Incapace di trattenere oltre il suo rossore, la giovane presentò le proprie scuse e si recò in bagno per sciacquarsi il viso.
Fortunatamente, nessuno dei presenti, ad eccezione di Terence, aveva notato qualcosa di strano.

Una volta alla toilette, persino sotto l’effetto dell’acqua fredda, il rossore di Candy persisteva. Al contrario, nella temporanea privacy della stanza da bagno, immagini ancora più vivide dell’apice di quel loro primo incontro le affollarono la mente.

Si rivide mentre si aggrappava disperatamente alle lenzuola, ansimando sempre più freneticamente. Essere posseduta da lui, con una tale inconfondibile forza che si riversava dentro di lei, era allo stesso tempo selvaggiamente primordiale e profondamente spirituale. D’istinto, le sue gambe gli cinsero la vita, stringendolo in una forte presa. Lui aveva accolto il suo gesto con un gemito di piacere.

In quel momento, intrappolato tra le sue gambe e le sue braccia, aveva iniziato a chiamarla, con appellativi di una dolcezza tale che lei non avrebbe mai creduto possibile, finché le sue parole non avevano lasciato spazio solo a gemiti che si fondevano con i suoi.

Candy appoggiò la fronte sulla fredda superficie del marmo, eccitata da quel ricordo, con le mani tremanti come se stesse rivivendo l’acme del piacere. Le ci vollero più di dieci minuti per ricomporsi prima di rientrare nella sala della colazione.

Al suo ritorno, fu stupita nel vedere Terence così sereno. Ma del resto, sapeva bene che lui era il re delle maschere. Di fatto, se avesse potuto leggergli nel pensiero nel momento in cui era rientrata nella stanza, avrebbe avuto bisogno di un altro time-out in bagno. Nella fattispecie, mentre percorreva la sala e prendeva posto davanti a lui, la figura minuta di Candy gli aveva ricordato i deliziosi momenti che avevano condiviso subito dopo aver fatto l’amore.
Era talmente leggera che il suo peso sopra di lui era quasi impercettibile. Tuttavia, la sensazione di ogni sua curva premuta contro il suo corpo era un piacere che era felice di assaporare. Ricordò chiaramente di aver chiuso gli occhi, mentre il loro respiro ed il battito del loro cuore si normalizzavano, affondando le dita nei suoi corti riccioli.

"Ti amo", le aveva ripetuto, dimentico di averlo detto molte volte all’apice della loro unione.
"Anch’io ti amo, Terry; più di chiunque altro", gli aveva risposto lei, ricoprendogli il petto di baci.

Lui non aveva detto nulla, ma le implicazioni delle sue parole gli avevano fatto scendere una lacrima. Era esattamente quello che aveva sempre desiderato, la confessione di essere il fulcro ed il culmine dei suoi affetti. Il suo cuore non si sarebbe accontentato di meno. Aveva tirato un profondo sospiro ed aveva voltato il capo, sentendo che il sonno prendeva il sopravvento sulla sua mente ed il suo corpo.

Tra tutte le cose che aveva desiderato fare con lei, dormire insieme ancora una volta era una delle prime. Non esisteva nulla di altrettanto intimo e unico. L’aveva fatto solo con lei ed era certo che non l’avrebbe mai fatto con nessun’altra. Eppure, quella sera non aveva chiuso occhio.

"Allora, dove andrete in luna di miele?" chiese timidamente Annie, interrompendo involontariamente i piacevoli pensieri di Terence.

"Temo che dovremo rimandarla a un altro momento", aveva risposto lui con la sua solita imperturbabilità, essendo un maestro nel controllare le proprie reazioni davanti agli altri.

"Oh davvero? Che peccato! Per la nostra luna di miele, Annie ed io siamo stati ai Caraibi. È stata un’esperienza fantastica", si intromise Archibald con tono pieno di condiscendenza, facendo irritare Terence.

"Beh, a dire il vero io volevo andare in Italia, ma la guerra si era conclusa da appena un anno e ci avevano consigliato di scegliere un’altra destinazione. L’Europa era ancora in subbuglio all’epoca”, spiegò Annie, facendo del proprio meglio per fare ammenda per il commento fuori luogo di suo marito.

"Posso assicurarti che è stata una decisione saggia”, rispose Terence senza scomporsi, "Sono stato in tournée in Inghilterra nel 1919 ed ho passato qualche giorno a Parigi. Sebbene la città fosse inviolata, attraversando il paese era evidente il grado di devastazione, di certo non l’ideale per chi viaggia, figuriamoci per due sposini in luna di miele. Mentre adesso mi piacerebbe portarci Candy per una visita approfondita, ma temo di aver esaurito i miei giorni di ferie, senza contare che ho persino chiesto un’altra settimana per via del matrimonio. Non appena rientreremo a New York, dovremo iniziare a preparare un nuovo spettacolo".

"Mi dispiace", commentò educatamente Annie.

"Non preoccuparti, Annie", intervenne Candy con un sorriso smagliante, "L’ultima cosa che ho voglia di fare in questo momento è viaggiare. Ne ho avuto abbastanza di treni ed alberghi lo scorso novembre e Terence, per quanto sia desideroso di offrirmi il meglio, è stanco ed ha voglia di rientrare. Manca da casa da oltre due mesi".

Terence, seduto di fronte a Candy, non poteva stringerle la mano, ma il cambiamento di colore nei suoi iridescenti occhi, quasi impercettibile, le fece capire che aveva apprezzato molto la sua premura.

"Invece, io", si intromise Albert, "non mi stanco mai di viaggiare. È un peccato che possa fare solo viaggi di lavoro. George mi dice sempre che quando sono stato in Africa ed in Italia ho sfruttato tutte le vacanze che una persona normale può fare in una vita. Non lo trovate ingiusto?"

A quest’ultimo commento, tutti i presenti scoppiarono in una fragorosa risata.

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Dopo il brunch, Albert e Terence ebbero un colloquio privato riguardo all’incidente con Neil Legan. Albert era visibilmente dispiaciuto dell’imperdonabile condotta di suo nipote, ma Terence, che era di ottimo umore, ritenne che per il momento la perdita di un dente fosse una punizione sufficiente per Neil. Tuttavia, Albert pensò che fosse il caso di fare una bella chiacchierata con suo padre.

Mentre gli spiegava quali fossero le sue intenzioni, Terence dovette sforzarsi non poco per concentrarsi su quanto gli stava dicendo Albert. Tutto quello a cui riusciva a pensare in quel momento era Candy.

Davanti alla vigorosa verità della comunione fisica e spirituale che aveva condiviso con lei, tutto il resto sembrava irrilevante. Terence pensò che avrebbe potuto imparare ad apprezzare i loro litigi se avessero sempre fatto pace in modo così piacevole.
Non avrebbe mai pensato di dover essere grato a Legan per qualcosa, figuriamoci per quel delizioso anticipo delle sue promesse nuziali. A dire il vero, con il senno di poi, quello che era accaduto tra i due uomini, gli sembrava quasi ridicolo ormai.

Gli venne in mente il momento in cui lui e Candy erano l’uno nelle braccia dell’altra, dopo aver fatto l’amore. Di punto in bianco, lui era scoppiato a ridere.

"Che cosa c’è di così divertente, Terence?" gli aveva chiesto lei, incuriosita da quella risata.
"Stavo. . . stavo pensando che hai messo al tappeto Legan con una semplice spinta. Ed eri solo una ragazzina minuta!. . . è davvero uno smidollato" aveva risposto lui, continuando a ridere.
"Non l’ho trovato così divertente quando è successo", ammise lei, felice del buonumore di Terence, "ma in effetti, ora che ci penso, è stata una scena alquanto buffa. Tra l’altro l’ho graffiato per bene. Ha ancora una piccola cicatrice sulla guancia sinistra".
"Davvero?" le chiese lui, ridendo sempre più forte, "Oh Signore! Ti confesso che questa sera ho aggiunto un’altra decorazione alla sua faccia".
"Che cosa hai fatto?"
"Credo . . . credo"
, cercò di dire, ridendo a crepapelle e incontrando non poche difficoltà a finire la frase, "credo che abbia perso un dente, quando l’ho preso a pugni".
"Stai scherzando?"
"Assolutamente no! C’è un motivo se la mia mano è così gonfia", le aveva detto mostrandole le nocche livide.
"Oh, la tua mano! Dove ho la testa?" aveva esclamato a quel punto lei, alzandosi di scatto, “Vado a prendere qualcosa per attenuare il gonfiore".
Era talmente presa dalla preoccupazione per lui che non aveva notato i suoi occhi infiammati di passione, mentre la osservava in piedi nella sua totale nudità.
"Ho sempre saputo che sarebbe diventata bellissima. Diamine! Ho occhio!" si era detto, compiaciuto.

Mentre parlavano, Albert aveva riconosciuto più di una volta negli occhi di Terence, lo sguardo assente di un uomo pazzamente innamorato. Persino dietro la maschera della sua solita compostezza, la serenità in ogni suo gesto lasciava trasparire che il giovane si era riconciliato con la sua fidanzata. Albert aveva altresì notato gli sguardi esplicitamente affettuosi che Candy gli aveva lanciato durante il brunch, pertanto aveva avuto la certezza che avessero fatto pace. Albert pensò che non fosse il caso di chiedere quando avesse avuto luogo la riconciliazione e cosa si fossero detti.

Essendo un uomo di mondo, Albert aveva capito che i giorni in cui Candy correva da lui per confidarsi erano giunti al termine. D’ora in poi, la sua piccola piagnucolona avrebbe avuto qualcun altro a cui aggrapparsi nei momenti difficili. Albert sapeva che forse avrebbe cercato il suo consiglio ed il suo sostegno in un momento di grave crisi, ma solo nella misura in cui Terence non fosse stato lì per lei. Ed a giudicare dalla natura possessiva del giovane attore, questi aveva tutte le intenzioni di non lasciarla neppure un attimo.

Non essendo un tipo geloso, Albert la prese con filosofia e subito dopo aver informato Terence di quello che intendeva dire al Sig. Legan, lasciò che il suo amico tornasse dalla sua fidanzata. Dopotutto, quella mattina Terence non sembrava essere al meglio per una conversazione tra uomini.

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Per gli Andrew, il primo dell’anno era abitualmente un giorno da passare in casa con la famiglia. Tuttavia, specialmente nel tardo pomeriggio, erano soliti ricevere delle visite, soprattutto da parte di persone a loro vicine. All’ora del thè, dunque, erano arrivati i Brighton per far visita agli Andrew ed ai Cornwell. La sera precedente il Sig. e la Sig.ra Brighton avevano organizzato un ricevimento di capodanno presso la loro villa, ma una volta terminate le incombenze sociali, avevano espresso il desiderio di passare il primo pomeriggio dell’anno con la loro figlia e la sua famiglia. Tra gli ospiti c’era anche una giovane nipote giunta da Detroit per passare la stagione invernale con loro.

Quando il maggiordomo aveva annunciato l’arrivo degli ospiti, Candy ed Annie erano nella sala da thè della zia Elroy a giocare a carte, mentre Stair – seduto di fronte a loro – colorava il suo libro. Mentre ricamava, la zia Elroy non perdeva d’occhio il bambino. I gentiluomini, invece, erano impegnati a giocare a biliardo in un’altra ala della casa.

Non appena gli ospiti fecero il loro ingresso nella sala in stile coloniale, ebbe inizio uno scambio di saluti e di abbracci per festeggiare l’anno nuovo ed ai domestici fu ordinato di servire thè e pasticcini. Annie chiese ad una delle cameriere di informare suo marito che i suoi suoceri erano venuti a far loro visita. Nel frattempo, la Signorina Sally Brighton, una vivace brunetta di ventiquattro anni, fu propriamente presentata ai presenti e accolta con cordialità dalla Zia Elroy che la definì “una giovane incantevole".

Quando la cameriera rientrò per servire il thè, le signore avevano già preso posto vicino alla Zia Elroy. Seduta accanto a Candy, la cugina di Annie si guardava intorno con interesse. Era rimasta molto colpita dalla grandiosità della residenza degli Andrew e voleva prender nota di ogni singolo dettaglio della sala che li ospitava. Dal bovindo a tre vetri ai richiami giapponesi, fino ad arrivare ai mobili in stile Regina Anna, ogni singolo dettaglio ricordava una fortuna ormai consolidata.

Sally si soffermò anche sulla sorridente Signorina Andrew, mentre quest’ultima era impegnata in conversazione. I suoi riccioli dorati ed i luminosi occhi verdi erano senz’altro le caratteristiche del suo aspetto che colpivano maggiormente. Malgrado ciò, il suo portamento le fece supporre che ci fosse qualcosa di più in lei, oltre ad un bel viso. La giovane aveva saputo che anche la Signorina Andrew era stata adottata, proprio come sua cugina Annie. Dunque, aveva creduto che fosse anche lei una donna dal carattere dolce e mite, esattamente come Annie. Con sua grande sorpresa, quella giovane dalla personalità vivace e dagli occhi scintillanti era, invece, esattamente il contrario.

Sally stava ancora cercando di decifrare il carattere della sua interlocutrice, quando Annie informò i presenti che la Signorina Andrew stava per sposarsi e che il matrimonio avrebbe avuto luogo dopo appena una settimana. Mentre i Brighton si congratulavano con Candice, gli uomini fecero il loro ingresso nella sala dai toni rosa e lilla per accogliere a loro volta gli ospiti. Sally era stata propriamente istruita dalla madre di Annie affinché prestasse particolare attenzione al Sig. Andrew, trattandosi di uno scapolo molto ambito. Malgrado ciò, quando la figura imponente di Terence Graham entrò nella sala, fu impossibile per Sally notare qualsiasi altro uomo presente – o essere umano.

Alla reazione di Sally, Candy sorrise tra sé e sé. La bionda non poteva biasimare la giovane per essere rimasta ipnotizzata dalla bellezza di Terence. Candy sapeva bene che quasi tutte avevano quella stessa reazione, ma pensò che la cosa non le importasse affatto, specialmente adesso.

La giovane fu lieta di essere ignorata da Sally per il prosieguo della visita. Mentre gli altri chiacchieravano, preferì per una volta restare in silenzio e guardarsi intorno. Non essendo impegnata in conversazione, la sua mente ritornò subito alla sera prima.

Si rivide mentre percorreva i lunghi corridoi bui della villa, in cerca di un po’ di ghiaccio per la mano di Terence. Passo dopo passo, cercava di assimilare quello che era appena accaduto tra di loro. Non riusciva a credere alla sua audacia! In tutta onestà, doveva ammettere che aveva desiderato che le cose andassero così sin dalla prima volta che avevano dormito insieme allo chalet…forse anche prima…negli ultimi dieci anni, infatti, malgrado fosse convinta che lui appartenesse ad un’altra, aveva sognato – persino ad occhi aperti – di essere sua.

Ovviamente, per accuratezza e intensità, il frutto della sua immaginazione non era paragonabile alla realtà, ma il desiderio di sentire il suo tocco su di sé era assolutamente lo stesso. Oh! Essere posseduta da lui con tale passione era ben più di quanto si sarebbe mai aspettata!

Avendo notato che le mani le tremavano leggermente al ricordo delle appassionate carezze di lui su ogni centimetro del suo corpo, cercò di congiungerle. Non soltanto non si vergognava affatto di quello che era successo, ma sperava sinceramente che accadesse di nuovo, nonostante il lieve malessere del momento. Mentre fingeva di seguire la conversazione, le venne in mente quello che Terence le aveva raccontato riguardo al suo rapporto con Susanna.
Malgrado la sua generosità, Candy si era resa conto che per tutti quegli anni era stata terribilmente gelosa di Susanna. Ora, improvvisamente, era divenuta l’unica indiscutibile amante di Terence. Nella notte appena trascorsa non era stata una fidanzata impostagli dal senso del dovere, né un rapporto occasionale e irrilevante. Oh no! Terence aveva riversato tutta la sua anima nel loro atto d’amore e questo l’aveva reso il suo uomo. Stavano insieme soltanto da due settimane e non erano riusciti a mantenere casta la loro relazione. Per contro, lui aveva vissuto con Susanna per quasi quattro anni. . . e non era successo nulla. Il sapore della vittoria su Susanna e su tutte le altre donne che avrebbero desiderato essere al suo posto – inclusa Sally – era indescrivibile! Lui apparteneva a lei!

Persino davanti a tutti i presenti, Candy non poté fare a meno di lasciare che un sorriso le illuminasse il volto.

Terence, da parte sua, era rimasto piuttosto deluso quando si era accorto che il posto accanto alla sua fidanzata era stato occupato da una dama a lui sconosciuta. A peggiorar le cose, quella fastidiosa brunetta non la smetteva di fissarlo. Non potendo far nulla per cambiare le cose, decise di prendere posto di fronte alle signore, rifugiandosi nei suoi piacevoli ricordi.

Tra sé e sé, sorrise ripensando all’occhiataccia che gli aveva lanciato Candy quando aveva scoperto che aveva iniziato a leggere il suo vecchio diario mentre lei era via alla ricerca del ghiaccio. Lo aveva incautamente lasciato sul tavolino da toilette e lui non aveva resistito alla tentazione di leggerlo. Al suo ritorno, quando si era accorta di cosa avesse tra le mani, il suo volto aveva cambiato colore, assumendo tutte le tonalità del rosso.

"Quello è il mio diario!" aveva esclamato tra l’irritazione e l’imbarazzo, correndo verso il letto con l’intenzione di riprenderlo dalle invadenti mani del suo fidanzato. "Non dovresti ficcare il naso nella mia vita privata!" gli aveva detto, mentre tutti i suoi tentativi di recupero andavano a vuoto, dato che lui era troppo veloce e troppo forte per lei.

"La tua vita privata?" le aveva chiesto lui, profondamente divertito, "Tesoro mio, stanotte mi hai accolto a braccia aperte nella tua vita privata! Devo ricordarti quello che è appena accaduto?"

"Questo non ti dà il diritto di leggere il mio diario. Non sono affari tuoi!" aveva insistito lei, arrossendo ancor più alle sue allusioni.

"Beh, per quello che ho letto finora, questo diario è assolutamente affar mio, perché sembra proprio che sia io il protagonista della storia”, aveva sorriso egoisticamente, sollevando in alto il suo diario in modo che lei non potesse arrivarci.

"Avevo quasi dimenticato che sei un pallone gonfiato!"

"Sì, in effetti ho notato che da qualche parte mi descrivi in questi termini, oltre a mascalzone e delinquente”.

"Perché è quello che sei. Dammi il mio diario!"

"Ma hai anche scritto che ho un cuore generoso…e un sorriso affascinante…e… "
"Dovevo essere pazza per scrivere certe cose!"
aveva ribattuto lei, rinunciando per un po’ a recuperare il suo diario, incrociando le braccia al petto e mettendo su il broncio, delusa.

"Pazza di me?" le aveva chiesto lui avvicinandosi, finché non furono entrambi in ginocchio sul letto, l’uno di fronte all’altra.
Con uno scatto felino, Terence si era avvicinato ancora un po’. Sebbene lei fosse ancora arrabbiata perché lui aveva osato leggere il suo diario senza il suo permesso, non riuscì a resistere al suo approccio.
"Non avrei mai immaginato che potessi paragonarmi ad una tigre, piccola" le aveva detto all’orecchio con voce roca.

Candy aveva sgranato gli occhi, essendosi resa conto di fin dove fosse arrivato a leggere.

"DAMMI IL MIO DIARIO” aveva esclamato con forza, questa volta facendo uno scatto a sua volta, riuscendo però solo a sfiorargli la mano destra.
"Ahia! La mia mano!" aveva esclamato lui, contorcendosi dal dolore con una smorfia – o almeno così sembrava.

Quando si era accorta di avergli fatto male senza volerlo, Candy si era subito dimenticata del diario e si era preoccupata solo della sua mano livida.
"Oh! Mi dispiace, Terence. Sono talmente sbadata! Perdonami. . . fammi vedere la mano!" gli aveva chiesto.
Lui l’aveva prontamente accontentata, lasciando che si prendesse cura della sua mano finché gli faceva comodo.
"Ecco, questo è un ottimo trucco per rabbonire la mia tigre", aveva pensato, ringraziando le sue abilità istrioniche, mentre si sdraiava sul cuscino assaporando il piacere di essere viziato da lei.

"Immagino che il vostro matrimonio sarà su tutti i giornali la prossima settimana, Sig. Graham. Lei e la Signorina Andrew vi sposerete a Chicago?"
Terence indirizzò lentamente lo sguardo verso Sally Brighton, che gli aveva appena rivolto la parola. Il fatto che stesse tentando di avviare una conversazione con lui, con Candy seduta proprio accanto, era del tutto assurdo. Un’altra dama avrebbe piuttosto chiesto alla sposa, ma era ovvio che la Signorina Brighton stesse cercando di attirare la sua attenzione.
"Si sbaglia, signorina, Candice ed io non siamo interessati ad avere i giornalisti od altre presenze invadenti al nostro matrimonio. Sarà una cerimonia piuttosto intima. Parteciperanno solo i nostri più cari amici e la famiglia", le aveva frettolosamente risposto, usando il suo tono più distaccato.
"Ma di certo non vorrà deludere le sue ammiratrici tenendo segreto un evento così importante!" insistette la giovane e sebbene l’espressione di Terence non tradisse alcuna emozione, Candy capì che era seccato dall’impertinenza della Signorina Brighton.
"Come ogni uomo innamorato, Signorina Brighton, sono il primo a voler divulgare la notizia che Candice mi ha accolto come compagno di vita. La comunicazione alla stampa sarà fatta a tempo debito. Ma mi rifiuto categoricamente di avere sconosciuti al mio matrimonio. Le mie ammiratrici sanno che sono sempre stato un uomo schivo. Ormai dovrebbero essere abituate alla mia misantropia", concluse, e nel farlo, si alzò facendo un breve inchino alle signore, raggiungendo gli uomini che si stavano intrattenendo con il Sig. Brighton in un altro angolo della sala.

Per il resto della visita, la Signorina Brighton non proferì parola.

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La giornata era finalmente giunta al termine. Terence si era congedato piuttosto presto dopo cena, ma Candy era rimasta con Stair ancora un po’ ed aveva accompagnato Annie a metterlo a letto. Dopo che si fu addormentato, Annie chiese alla sua amica se poteva parlarle in privato nella sua camera da letto. Candy pensò che Annie volesse affrontare l’argomento del mutato atteggiamento di Archie nei confronti di Terence, successivo al loro colloquio del mattino. Tuttavia, quando entrarono nella stanza dei Cornwell, Annie iniziò a blaterare cose senza senso, mostrando evidenti segni di nervosismo.

Un po’ allarmata dall’inquietudine di sua sorella, Candy le prese le mani per rassicurarla, come era solita fare quando erano bambine.

"Annie, c’è qualcosa che non va?" le chiese Candy, guardandola dritto negli occhi grigio-azzurri.

"Qualcosa che non va?" aveva ripetuto Annie, confusa.

"Magari tra te ed Archie? Problemi con Alistair?" le aveva suggerito Candy.

"Oh, no! Assolutamente no, Candy. . . è solo. . . che", Annie si rese conto che non poteva temporeggiare oltre, "ho. . . ho ricevuto una chiamata da Miss Pony questa mattina. . . mi ha chiesto un favore".

"Davvero?" le domandò Candy, pensando che fosse strano che Miss Pony chiedesse aiuto ad Annie, dato che era sempre lei a farsi carico di qualsivoglia necessità riguardante la Casa di Pony. "Che cosa ti ha chiesto?"

"Miss Pony voleva. . . voleva che ti parlassi", le spiegò Annie, lasciando le mani di Candy, sentendo che le sue iniziavano a sudare.

"Riguardo a cosa?"

"Riguardo al matrimonio", le rispose Annie, disorientando Candy ancor di più, dato che non capiva in che misura i preparativi di una cerimonia così semplice potessero costituire un problema.

"Ti riferisci alla cerimonia? Credevo fosse tutto a posto! Il prete ha confermato la sua disponibilità, Miss Pony si è offerta di cucinare e. . .

"No, la cerimonia non c’entra, mi riferisco alla. . . prima notte di nozze", riuscì finalmente a dire Annie, distogliendo gli occhi da quelli della sua amica e arrossendo violentemente, in perfetta sintonia con il colore del maglione di Candy.

Finalmente Candy si rese conto di cosa stesse accadendo. Evidentemente, Miss Pony, avendo sempre avuto a cuore il benessere di Candy, aveva chiesto ad Annie – in quanto donna sposata – di farle ‘il discorsetto’, prima che quest’ultima fosse chiamata ad espletare i propri obblighi coniugali. Candy non riuscì a trattenere un sorriso. Era grata a Miss Pony e ad Annie per la loro premura, ma chiaramente la povera Annie non era la persona più adatta a svolgere un tale compito. . . non che Candy avesse realmente bisogno di essere istruita sull’argomento…specialmente adesso.

"Capisco", disse finalmente Candy, aggrottando la fronte e mostrando le sue fossette, "Non c’è bisogno di imbarazzarsi oltre al riguardo", continuò, cercando di trovare un modo per affrontare la questione senza svelare più del dovuto.

"Certo che sì!" insistette Annie, cercando di farsi coraggio. "Mia madre l’ha fatto con me quando ne ho avuto bisogno e…e sono stata molto grata dei suoi consigli. Non. . . non so cosa avrei fatto. . . se. . . se lei non mi avesse spiegato certe cose. . . Insomma, io. . . Io non avevo mai. . . mai immaginato cosa implicasse il dovere coniugale. . . intendo dire. . ."

"So cosa intendi dire", disse Candy, provando pietà per la povera balbettante Annie.

"No, Candy, non puoi immaginare cosa significhi. . . stare con un uomo!" rispose Annie con forza. "Una signora non dovrebbe saperlo, quantomeno finché. . . finché non sia propriamente istruita da una donna sposata…come me".

"Annie, non siamo più nel diciannovesimo secolo!" disse Candy con una risatina, "La conoscenza non è un peccato. Quando ti ho detto che non c’era bisogno che mi parlassi dei miei obblighi coniugali, parlavo seriamente. Sono pienamente consapevole di quello che accade tra un uomo ed una donna quando fanno l’amore".

A quelle parole, Annie sgranò i suoi grandi occhi blu.

"Davvero?"

"Beh, ovviamente sì, in teoria", aggiunse Candy, mordendosi la lingua per l’innocente bugia che aveva implicitamente detto. Per quanto si fidasse di Annie, conosceva bene i suoi limiti. Candy era sicura che le avrebbe causato un dolore se le avesse confessato che recentemente aveva messo da parte la teoria ed era passata alla pratica. A parte Terence, non avrebbe confessato ad anima viva quello che era successo la notte scorsa, neppure ad Albert.

"Com’è possibile?" le aveva chiesto Annie, stupita.

"Annie, sono un’infermiera. I dettagli sulla riproduzione umana si insegnano alla scuola per infermiere. Tra l’altro, sono molti anni che assisto in sala parto. Stai pur certa che so bene come si fanno i bambini. Non ero accanto a te anche quando è nato Stair?"

"Beh, sì. . . ma pensavo che non sapessi esattamente come accade".

Candy osservò sua sorella e tirò un profondo sospiro. Era sicura che Archie fosse un marito affettuoso e tenero, quindi pensò che il disagio di Annie nell’affrontare l’argomento fosse semplicemente dovuto alla sua timidezza ed alla rigida educazione. Di fatto, dopo il suo ritorno dalla luna di miele, Candy aveva cercato di farsi raccontare le sue impressioni sulla vita matrimoniale, ma Annie aveva sempre evitato l’argomento, arrossendo e parlando d’altro. Quindi, Candy trovò commovente che la sua amica volesse affrontare un argomento per lei così imbarazzante, soltanto per amor suo.

"Non preoccuparti per me, Annie", ripeté Candy, "Credo di saperne abbastanza per affrontare quello che mi aspetta. Tra l’altro, sebbene Terence possa sembrare un uomo piuttosto austero ed a volte persino arcigno, posso assicurarti che sarà per me tutto quello che una donna possa desiderare in un amante".

Annie fu sorpresa dalla tranquillità di Candy rispetto ad una questione talmente delicata, per non parlare della sorprendente fiducia che nutriva nei confronti del suo futuro marito. Eppure, aveva sempre saputo che Candy era una ragazza impavida e sicura di sé. Pertanto, Annie si rilassò e decise di cambiare argomento, concentrandosi sulla questione ben più inoffensiva e neutrale del vestito da sposa di Candy, che non avevano ancora avuto tempo di ordinare.

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Candy era distrutta! Comportarsi con la solita allegria e nonchalance davanti alla famiglia ed agli ospiti era stata un’impresa titanica. La sensazione di stordimento e le farfalle nello stomaco non l’avevano abbandonata per un secondo. In certi momenti, aveva creduto che tutti avrebbero finito per accorgersi di quello che stava cercando di celare. Tra l’altro, aver avuto intorno Terence per la maggior parte del tempo non le era stato affatto d’aiuto. Gli intensi sguardi che le aveva lanciato non avevano fatto che alimentare ulteriormente il suo desiderio di lui.

Il momento peggiore della giornata era arrivato dopo l’ora del thè. Una sensazione familiare di disagio e l’impossibilità di parlare con il suo fidanzato in privato l’avevano snervata ancora di più, specialmente una volta terminata la cena. Infine, gli inopportuni tentativi da parte di Annie di introdurla ai segreti del matrimonio erano stati la ciliegina sulla torta. Mentre si dirigeva verso la sua camera, si domandò se Terence stesse già dormendo. Non avrebbe potuto biasimarlo, se così fosse stato. Sapeva bene che la notte precedente non aveva chiuso occhio. Ma malgrado il suo desidero di stare con lui, considerate le sue attuali condizioni, era decisamente meglio che Terence riposasse per conto proprio.

Entrò nella stanza, ma prima che riuscisse ad accendere le luci, si sentì afferrare da due forti braccia, finché non si ritrovò con la schiena schiacciata contro l’ampio petto di Terence.

"Dio mio, stavo impazzendo qui! Pensavo che non saresti mai arrivata, tesoro!" le disse lui con voce roca, cingendole la vita in un abbraccio, esattamente come aveva fatto qualche giorno prima alla Casa di Pony. Candy ricordava perfettamente quella mattina quando si era trovata intrappolata tra il lavandino ed il corpo di lui.

Stavolta, però, lui le sollevò il mento per farla voltare, in modo che potesse guardarlo con la coda dell’occhio.

"Terence. . . non mi aspettavo che tu. . ." esordì lei.

"Venissi da te stanotte? Ho vissuto come un monaco abbastanza a lungo, amore mio. Non si addice alla mia natura", le rispose, un attimo prima di farle reclinare il volto quel tanto necessario a consentirgli di prendere possesso delle sue labbra.

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Candy era talmente sorpresa dall’inattesa presenza di Terence nella sua stanza, che non poté far molto se non rispondere al suo bacio. A giudicare dall’intraprendenza delle sue parole e dalla bramosia dei suoi baci, non doveva essere poi così stanco come aveva creduto. Inoltre, era ovvio che desse per scontato che dopo la loro prima notte insieme, il suo letto – ed il suo corpo – gli sarebbero stati sempre concessi. Sfortunatamente, Candy sapeva che avrebbe dovuto deluderlo in tal senso….ma magari non ancora. I suoi baci sapevano di paradiso e non riusciva a trovare il coraggio di farlo smettere.

Terence affondò la lingua nella bocca di lei, mentre con la mano sinistra la accarezzava lentamente dalla vita in su. L’audacia dei suoi gesti era un chiaro segno del fatto che non intendesse perdere tempo. Per quanto i suoi baci le stessero facendo girare la testa, Candy capì che era giunto il momento di fermarlo prima che fosse troppo tardi.

"Terence, per favore", lo implorò tra un bacio e l’altro, "Dobbiamo parlare".

"Ti prego, tesoro. Facciamo prima l’amore, possiamo parlare dopo, d’accordo?" le chiese, mentre entrambe le sue mani si avventuravano sotto il suo maglione.

"Non posso aspettare, Terence. . . non possiamo fare l’amore adesso", gli disse e, alle sue parole, lui si raggelò immediatamente.

"Cosa. . . cosa vuoi dire? Ti sei pentita. . . ?"

Candy accennò un sorriso. Era tipico del suo Terence interpretare le cose nel peggior modo possible. Approfittando della sua confusione, si voltò a guardarlo.

"No, Terence. Non mi sono pentita di nulla, ma c’è un motivo per cui non possiamo fare l’amore stanotte".

"Che sarebbe?" le chiese lui, mentre la sua esasperazione diventava sempre più evidente.

Candy alzò gli occhi al cielo, cercando di trovare le parole più adatte per spiegargli quale fosse il problema. Dopodiché, dopo averci riflettuto per qualche secondo, giunse alla conclusione che l’unica soluzione possibile fosse l’approccio diretto, indipendentemente da quanto potesse essere imbarazzante.

"Qualche ora fa è iniziato il mio ciclo, Terence. Mi dispiace", gli disse il più in fretta possibile, abbassando lo sguardo subito dopo.

Fu una doccia fredda di realtà per il giovane. Era consapevole di quella particolare condizione delle donne. Tuttavia, non avendo mai avuto una relazione di lunga durata, non aveva mai preso in considerazione una tale eventualità. La sua espressione di delusione mista a sconcerto era quasi commovente.

"Capisco", mormorò, quando finalmente ritrovò facoltà di parola, "Mi dispiace, non avevo considerato che potessi essere indisposta".

"Non sono propriamente indisposta, Terence. Non sono semplicemente nelle condizioni per farlo", rispose lei, allungando una mano per allontanare una ciocca ribelle dalla sua fronte, "Quando abbiamo fissato la data per il 7, l’ho fatto di proposito…intendo dire che…avevo considerato che in questo modo non avremmo dovuto preoccuparci di questo per circa un mese dopo il matrimonio", cercò di spiegargli, mentre arrossiva ancor più, "ma non avevo calcolato che noi…che noi avremmo…"

"Anticipato le nostre promesse?" la aiutò a terminare la frase, sorpreso dal fatto che lei avesse ponderato la questione, "Non ci avevo pensato neppure io, amore".

E nel dire ciò, l’attirò nuovamente in un abbraccio, stavolta decisamente più casto.

"Oggi mi sono reso conto di aver sempre avuto una convinzione errata", le disse mentre la cullava dolcemente tra le sue braccia.

"Davvero?"

"Sì. Avevo sempre creduto che una volta che avessimo fatto l’amore, questo ardente desiderio che sento per te sarebbe stato finalmente appagato, ma mi sbagliavo. Stare con te la scorsa notte lo ha soltanto reso ancora più intenso. Mi sento ardere dal desiderio come mai prima d’ora. Mantenere una parvenza di normalità per tutto il giorno è stato un vero inferno. Ora capisco il senso della luna di miele".

"È successo anche a me!" gli disse lei, affondando il viso sul suo petto.

Terence non riusciva a credere alle proprie orecchie. Aveva davvero ammesso di averlo desiderato? Era semplicemente in estasi.

"Se fossi stato meno impulsivo e avessi aspettato fino al matrimonio. . ."

Lei sollevò lo sguardo e gli sorrise, poggiandogli un dito sulle labbra.
"Non dirlo neanche. Non cambierei nulla rispetto a stanotte. Così come non cambierei nulla di quello che è successo tra me e te, ad eccezione della nostra insensata separazione".

Lui chiuse gli occhi, rispondendole con un bacio in cui aveva riversato tutto il suo cuore.

"Ti dispiacerebbe se restassi e dormissi qui con te? Intendo dire, solo dormire", le chiese al termine del bacio.

"Pensavo che non me l’avresti mai chiesto".

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