Candy Candy

"La Stagione dei Narcisi" di Josephine Hymes, Traduzione di sailor74 (a.k.a. Ladybug)

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sailor74
view post Posted on 28/4/2013, 22:32 by: sailor74     +4   +1   -1

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Capitolo 10
Sig.ra Graham - Sig.ra Grandchester


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Era giunta voce alla stampa che qualcosa di serio bollisse in pentola riguardo a Terence Graham. Un amico di un amico aveva lasciato trapelare la notizia che fosse fidanzato ed in procinto di sposarsi con una ricca ereditiera di Chicago. Se fosse stato vero, si sarebbe trattato di uno scoop da pubblicare direttamente nella rubrica Spettacolo. Tuttavia, lo sfuggente Sig. Graham non si era fatto vedere né a New York né a Chicago. I tabloid locali avevano sguinzagliato alcuni dei loro reporter alla stazione Grand Central in attesa dell’arrivo del Twentieth Century Limited. Conoscevano le abitudini del giovane attore e si aspettavano di vederlo calcare il tappeto rosso quanto prima. Pertanto, volevano essere certi di riuscire ad avvicinarlo per un’intervista.

Ma Terence era nel mondo dello spettacolo da molto tempo e non si sarebbe mai fatto incastrare tanto facilmente. Consapevole del fatto che la notizia della sua presenza alla festa di capodanno degli Andrew sarebbe giunta alla stampa prima o poi, fece ricorso a uno dei suoi trucchetti per evitare i giornalisti. Anziché arrivare fino alla stazione Grand Central, lui e sua moglie scesero all’ultima stazione del New Jersey, dove il suo autista, Roberto Barbera, li aspettava. La giovane coppia percorse il resto del tragitto nell’auto di Terence, una Packard modello 126 del 1923, raggiungendo il Village intorno all’ora di pranzo. Il giovane sapeva che avrebbe dovuto affrontare i giornalisti prima o poi, ma desiderava farlo alle proprie condizioni e nell’ambito di una conferenza stampa. Non voleva che i reporter spaventassero sua moglie con l’aggressività delle domande che erano soliti rivolgere incautamente alle celebrità, laddove non fossero costretti ad attenersi al protocollo di una conferenza stampa.

Beatamente ignara delle riflessioni di suo marito, Candy si era goduta il viaggio, che era stato del tutto all’altezza delle sue aspettative, finché finalmente non giunsero alla loro nuova casa. Non era mai stata al Greenwich Village e trovò che sembrasse meno freddo degli altri quartieri di quella grande città. Terence viveva in uno spazioso edificio sulla East 10th Street. Era una costruzione di 12 piani in mattoncini a qualche isolato da Washington Square Park. Candy era entusiasta di sapere che la sua nuova casa non fosse lontana da un po’ di verde.

L’atrio era arredato in stile elisabettiano e presentava una corte con giardino che dava un tocco di colore, cosa che Candy trovò molto gradevole. L’appartamento era tutt’altro che piccolo. Aveva tre camere da letto e una biblioteca, un salotto spazioso ed una sala da pranzo molto confortevole e luminosa. Attraverso delle grandi finestre, la luce del sole inondava le stanze, esaltandone l’effetto sulle pareti candide. I mobili seguivano linee molto semplici, giocando con tonalità di avorio, blu scuro e verde Nilo su sfondo bianco. L’insieme era decisamente snello e pulito, proprio come il proprietario. Candy si era innamorata della casa a prima vista, ritenendo che ci fosse bisogno solo di qualche pianta qui e là e forse di leggere tende nella camera da letto padronale. Comunque, pensò di poter rimediare al più presto.

Dopo aver sistemato il bagaglio nella camera da letto, Candy fu ufficialmente presentata alla governante, la Sig.ra O'Malley, una donna corpulenta di mezza età dai capelli brizzolati. La donna era di origine irlandese e Candy trovò subito uno spunto di conversazione, informandola che anche una delle sue migliori amiche era irlandese. La Sig.ra O'Malley, che già conosceva Candy di nome, avendo ritirato la maggior parte delle sue lettere nei mesi trascorsi, restò piacevolmente sorpresa dalla nuova Sig.ra Graham. Pensò che la giovane fosse estroversa e chiaramente di buona famiglia.
Il Sig. Graham si era comportato in modo piuttosto insolito prima dell’inizio della tournée e la sua governante, che la sapeva lunga, pensò che ciò fosse in qualche modo correlato alle profumate lettere rosa che aveva ricevuto ogni settimana dal mese di giugno. Temeva che un nuovo affetto stesse crescendo nel cuore del suo datore di lavoro. La sua esperienza con la defunta Signorina Marlowe era andata talmente male, che paventava il giorno in cui un’altra donna sarebbe venuta a vivere con lui. Le preoccupazioni della governante avevano acquisito maggior peso quando il Sig. Graham le aveva chiesto di spedirgli l’anello di fidanzamento che teneva in cassaforte.

"Ha intenzione di portare a casa un’altra "fidanzata"? si domandò la Sig.ra O'Malley, non essendo certa che i gusti del suo capo corrispondessero alle sue preferenze riguardo ad una futura padrona di casa.

Ma la sorpresa della Sig.ra O'Malley aveva raggiunto il culmine nel momento in cui il suo datore di lavoro l’aveva chiamata per informarla che sarebbe tornato a casa con sua moglie.

"Beh, questo cambia decisamente le cose", aveva pensato la governante, "Deve trattarsi di una vera signora per spingere il Sig. Graham ad impegnarsi fino a tal punto. Non come quella ragazzina linguacciuta che si definiva la sua fidanzata".

Alla Sig.ra O'Malley non era mai piaciuta Susannah Marlowe. Tuttavia, non riusciva a capire come mai un uomo che avesse vissuto per anni con una donna, senza mai legittimare la loro unione, avesse chiesto la mano di un’altra dopo appena sei mesi di rapporto epistolare. Nei mesi a venire, la Sig.ra O'Malley non sarebbe stata l’unica a porsi quella domanda.

Eppure, questa volta la Sig.ra O'Malley fu grata al suo datore di lavoro per l’apparente impulsività. Trovava che la Sig.ra Graham fosse di una bellezza discreta ma ben più coinvolgente della Signorina Marlowe, oltre che estremamente gentile e ben educata. Pertanto, quando Terence le diede il resto della settimana libera, la Sig.ra O'Malley fece ritorno a casa decisamente soddisfatta della sua nuova padrona di casa, certa che questa volta avrebbe servito una signora.

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Gli sposi passarono il resto di quel giovedì in totale beatitudine, lasciandosi andare alla comunione fisica e spirituale senza che nessuno li interrompesse. Essendo due spiriti liberi nell’animo, diedero libero sfogo ad ogni loro fantasia, indugiando in un delizioso bagno ben più a lungo del necessario e mangiucchiando qualcosa in cucina quando non erano impegnati a fare l’amore. Terence aveva scoperto che sua moglie era un’avida apprendista nelle arti di Afrodite e si complimentò con se stesso per aver trovato una donna che soddisfacesse le sue aspettative da ogni punto di vista. Lui, che aveva sempre creduto che la fortuna non fosse dalla sua parte, si era improvvisamente sentito travolto da un amore passionale, cosa non affatto comune.

Sfortunatamente, anche i momenti più belli della vita giungono al termine prima o poi, ed il giorno seguente Terence si trovò costretto a tornare alla realtà, dovendo partecipare ad un’improrogabile riunione di lavoro con la Compagnia Stratford. Prima di uscire, si era raccomandato con sua moglie affinché non si avventurasse da sola fuori dall’appartamento, in modo da evitare i giornalisti. A Candy non piaceva granché l’idea, ma pensò che probabilmente Terence avesse le sue buone ragioni per essere così cauto. Pertanto, si accontentò di familiarizzare con la sua nuova casa e mettere a posto il disordine che avevano creato nelle precedenti ore.
Terence, che si aspettava la solita riunione per discutere delle rappresentazioni previste per la nuova stagione, dovette affrontare la più spiacevole delle sorprese. Una volta presenti tutti i membri della compagnia e scambiatisi gli auguri per l’anno nuovo, Hathaway diede una notizia del tutto inattesa, annunciando la sua volontà di ritirarsi e di vendere la compagnia.
Come c’era da aspettarsi, le implicazioni di un tale cambiamento causarono un certo turbamento a tutti gli attori. Tuttavia, Hathaway aveva ribadito che avrebbe venduto la compagnia soltanto qualora il compratore gli avesse assicurato di continuare sulla stessa linea drammatica di sempre. La conferma di tutti gli attori ed il mantenimento delle attuali condizioni di lavoro facevano parte dei requisiti per la cessione. Di fatto, vi erano già un paio di potenziali acquirenti ed uno di essi in particolare vantava un lignaggio teatrale d’eccezione. Le sue parole placarono le ansie degli attori e dunque la riunione poté proseguire concentrandosi sugli spettacoli previsti per la stagione. Dopo aver concordato il calendario per le letture ed aver discusso di eventuali opportunità lavorative e delle prove, la riunione giunse al termine. Mentre gli attori si accingevano ad andarsene, Hathaway si avvicinò a Terence chiedendogli di trattenersi per un colloquio privato. Nessuno dei presenti ne rimase sorpreso, perché era consuetudine per Hathaway fermarsi a parlare con il suo primo attore di quando in quando.

I due uomini entrarono nell’ufficio di Hathaway e quest’ultimo, sapendo che il suo pupillo aveva smesso di bere, decise di offrirgli un sigaro.

"No, ti ringrazio, Robert, sto cercando di smettere", rispose il giovane, accomodandosi sul divano e accavallando le gambe.

"Dici sul serio?" chiese Hathaway, aggrottando la fronte incredulo, mentre prendeva posto di fronte a Terence con un bicchiere di Bourbon in mano.

"Certamente. Qualcuno mi ha detto che potrebbe giovare alla mia voce".

"E da quando ascolti i consigli della gente? Non è da te, Terence", ridacchiò Hathaway, scuotendo il capo.

"Beh, non è mai troppo tardi per cominciare, giusto?" rispose il giovane, incrociando le mani dietro la testa e appoggiandosi allo schienale del divano.

"Immagino di sì", rispose Hathaway, fissando distrattamente il suo whiskey. "Comunque, volevo parlarti di questa questione della cessione".

"Non c’è nulla di cui parlare, Robert", lo interruppe Terence, "Capisco perfettamente che la salute di tua moglie viene prima di tutto. Se fossi al tuo posto mi comporterei esattamente allo stesso modo. Non preoccuparti di noi e cerca di concludere un buon affare. Il resto non conta".

"Ti ringrazio, Terence. Ti assicuro che prenderò una decisione solo dopo aver considerato attentamente cos’è meglio per tutti. Tuttavia, sono particolarmente preoccupato per te".

"Per me? E perché mai?" chiese il giovane attore, temendo che Robert avesse qualche spiacevole rivelazione da fargli. "Stai pensando di vendere a qualcuno che potrebbe non piacermi?"

"Beh, devo ancora incontrare una persona che possa onestamente piacerti”, rise l’uomo da dietro al suo bicchiere. Conosceva bene il carattere scostante del suo pupillo.

"Stavo parlando in generale. So che le relazioni pubbliche non fanno parte delle mie qualità, ma credo di poter essere sufficientemente professionale da cavarmela con un nuovo regista".

"Forse non con colui che potrebbe essere a capo della compagnia a partire dal prossimo autunno".
Il tono cupo di Hathaway aggravò ulteriormente lo stato di allerta di Terence.

"Di cosa stai parlando, Robert?", gli domandò senza mezzi termini.

"I Barrymore mi hanno fatto un’offerta decisamente superiore all’importo a cui pensavo”, confessò Hathaway, mettendo da parte il suo bicchiere ormai mezzo vuoto.

"Dunque la Famiglia Reale vuole la Stratford", concluse Terence, incrociando le braccia al petto.

"Temo di sì".

"Immagino che tu abbia paura di cosa potrebbe accadere se scoprissero chi è mia madre".

"Beh, in parte sì. Ma mi preoccupa anche il fatto che John Barrymore non voglia concorrenza in seno alla sua compagnia".

Robert Hathaway sapeva bene che John Barrymore era abituato a ruoli da protagonista e non avrebbe esitato a mettere da parte chiunque avesse potuto metterlo in ombra.

"Potrei essere io a non voler avere nulla a che fare con loro", rispose Terence con il suo consueto distacco. "Senza offesa, so che i Barrymore hanno talento, ma il capofamiglia era quasi riuscito a rovinare la carriera di mia madre. Non mi ci vedo a lavorare con i suoi figli. Specialmente se hanno intenzione di trattarmi con condiscendenza, come sono abituati a fare con tutti qui a Broadway".

Quest’ultimo commento fece rabbuiare Hathaway. Desiderava fare un buon affare, ma non a costo che il suo pupillo fosse trattato ingiustamente.

"Allora, se le cose stanno così, scarterò questa possibilità".

"Non commettere una simile sciocchezza, Robert”, ribatté Terence con enfasi, “Apprezzo la tua lealtà, ma riguardo a questa questione dovresti considerare quel che è meglio per te e Melanie”.

"Non se questo mette a repentaglio il tuo futuro, figliolo".

A quel punto, forse per la prima volta in vita sua, Terence rivolse ad Hathaway uno sguardo quasi di tenerezza.

"Hai fatto fin troppo per me, Robert", rispose il giovane dando una pacca sulla spalla del suo mentore, "Penso di potermela cavare in un’altra compagnia…chi lo sa, potrei anche decidere di lavorare come indipendente. Mia madre mi aveva consigliato qualcosa del genere qualche mese fa".

"Ne sei certo?" chiese Hathaway, i cui dubbi non erano stati del tutto fugati.

"Non c’è pressoché nulla di certo in questa vita, Robert. Comunque, credo proprio che dovresti vendere ai Barrymore, se ti hanno fatto un’offerta così vantaggiosa. Io troverò una sistemazione prima o poi".

"Lo apprezzo molto, Terence", disse l’uomo, visibilmente commosso dal sincero interessamento del suo pupillo, "Non mi resta che sperare di avere una fantastica stagione per il mio addio al teatro".

"Forse ho un paio di assi nella manica per garantirci un po’ di pubblicità extra quest’anno”, osservò Terence con un mezzo sorriso.

"Davvero? Cos’hai in mente, figliolo?"

"Beh, innanzitutto, dopo il successo che ho avuto con Macbeth, pensavo di impersonare un altro ‘cattivo’. Ma questa volta vorrei fare qualcosa di ancora più impegnativo. Che ne diresti se mettessimo in scena Riccardo III anziché La Tempesta come spettacolo di punta della stagione?"

"Vuoi recitare nella parte di Riccardo III?"

Questa volta fu Robert a restare sorpreso. Mettere in scena Riccardo III come ultimo spettacolo della carriera sarebbe stato il desiderio di qualunque regista. L’opera era talmente complessa e incisiva da poter dar vita ad uno dei suoi più grandi successi professionali come regista, specialmente potendo contare su un primo attore del calibro di Terence.

"Allora immagino che truccatrici e costumiste dovranno fare gli straordinari. Trasformare un bel ragazzo come te in Riccardo III sarà un’impresa alquanto ardua".

"Mi hai sempre detto che il trucco migliore di un attore sono la sua voce ed il suo atteggiamento. Sono certo che faremo un ottimo lavoro".

"D’accordo! Questa stagione proveremo Riccardo III", concluse Robert sfregandosi le mani al pensiero dei successi che lo aspettavano.

"C’è’ un’altra cosa, Robert", aggiunse Terence con disinvoltura, "Vorrei convocare una conferenza stampa per fare un annuncio".

"Tu VUOI convocare una conferenza stampa?" gli chiese Robert restando a bocca aperta per l’incredulità, "Penso proprio di potermi ritirare in santa pace adesso. Posso dire di averle viste tutte! Terence Graham che desiderare parlare con i giornalisti. Si avvicina forse l’Apocalisse?"

"Oh, ti prego Robert. Non farne un dramma!" ridacchiò Terence. "Lo so che ti ho sempre dato filo da torcere con i giornalisti. Ma questa volta ho una notizia che merita un annuncio ufficiale. Vedi, Robert, mi sono appena sposato".

Un pesantissimo silenzio scese fra di loro per qualche secondo, prima che Robert ritrovasse facoltà di parola.

"Ho sentito bene? Hai forse detto di esserti sposato?"

"Proprio così!" rispose Terence, sollevando il suo solito sopracciglio come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo.

"Allora tutte quelle voci erano vere! Non ho voluto crederci perché ero convinto che non fossi tipo da matrimonio".

"Ti sbagliavi, amico mio. Non sono più sul mercato e ne sono molto felice".
Il sorriso radioso di Terence, chiaro sintomo della sua sincera felicità, sembrava del tutto estraneo al volto del giovane.

"Chi sei tu? E cosa ne hai fatto del mio primo attore?" scherzò Hathaway, incapace di riconoscere il suo cupo amico nell’uomo genuinamente felice che sedeva di fronte a lui.

"Accidenti, Robert! È così difficile da credere?"

"Aspetta un attimo! In tutto ciò c’entra forse qualcosa l’Angelo di Pittsburgh?" fu l’immediata conclusione di Hathaway.

"C’entra eccome! Solo che quell’Angelo non è di Pittsburgh, ma dell’Indiana. E ora si trova nel mio appartamento, dove penso seriamente di tenerla in ostaggio per il resto della vita".

"Sei un uomo bizzarro, Terence! Sei sicuro che non ti importi che venda la compagnia ai Barrymore lasciandoti senza lavoro proprio ora che ti sei appena sposato?"

"Ovviamente sono preoccupato, Robert", ammise Terence in tutta onestà, "Ma ne ho passate di peggio e la mia Sig.ra Graham non è certo il tipo da svenire davanti ai problemi. Su questo non ho dubbi”, aggiunse, sicuro della lealtà che gli avrebbe dimostrato sua moglie in caso di eventuali difficoltà.

"Allora devi presentare subito la Sig.ra Graham a me e Melanie. Che ne dici di venire a cena da noi lunedì prossimo?"

"Mi sembra un’ottima idea, ma credo di doverne prima parlare con la mia signora".

"Ora sì che parli come un uomo sposato".

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Oxford, 30 Dicembre 1924

Carissima Candy,

Non sto nella pelle per la notizia! Quando ho letto la tua lettera, non riuscivo a credere a quanto il Signore fosse stato misericordioso con noi tutti. Sapere che, malgrado le circostanze, tu e Terence abbiate finalmente ritrovato quell’amore che vi aveva sempre uniti è decisamente la notizia più bella che abbia mai ricevuto dalla nascita del piccolo Alistair.

In tutti questi anni ho sempre creduto che la vostra separazione, sebbene foste entrambi in vita su questa terra, fosse una terribile atrocità. Ora devo confessarti, cara amica, di averlo visto quando è stato in Inghilterra quest’anno. Recitava nella parte di Marcantonio ed aveva un portamento più regale che mai. Ovviamente, lui non mi ha notata. Ero solo una qualunque spettatrice tra il pubblico, con il privilegio di apprezzare la sua superba recitazione. Sai bene quanto io sia timida. Non avrei mai osato farmi vedere.

Comunque, ho avuto modo di osservarlo mentre usciva dal teatro, anche se da lontano. Spogliato delle vesti del suo personaggio, sembrava stanco e triste, come se fosse combattuto. Era così diverso dal ragazzo sereno e felice che avevo visto in Scozia tanto tempo fa. Ho pensato che anche dopo tutti questi anni sentisse ancora la tua mancanza. Ora so che avevo ragione.

Per quanto avessi apprezzato il suo spettacolo, ho volutamente deciso di non parlartene quando ci siamo viste alla tua festa di compleanno lo scorso maggio. Sapevo che il nome di Terence era tabù e non volevo farti preoccupare condividendo con te le mie osservazioni sul suo triste contegno. Mi permetto di farlo ora, perché sono certa che abbia ritrovato il suo sorriso accanto a te.

Sono felice per entrambi. Ti prego di porgere a Terence i miei più sinceri auguri per la vostra vita insieme e digli che è un uomo molto fortunato. Mi dispiace soltanto di non aver potuto essere presente al vostro matrimonio. Ma non ti biasimo. So bene che la vostra attesa è stata fin troppo lunga.

Spero solo di rivederti presto. Purtroppo, però, temo di non poter venire in America la prossima estate. Devo terminare la tesi entro l'anno. Ma forse potresti venire tu in Inghilterra, ora che sei sposata con Terence. Chi lo sa? Potrebbe venire nuovamente qui in tournée presto. Se ciò dovesse accadere, sarei felicissima di accogliervi in casa mia.

In attesa di rivederti, ti abbraccio con l’affetto di sempre

Patricia O’Brien



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Candy tirò un profondo sospiro mentre ripiegava la lettera di Patty per riporla nel cofanetto di legno dove conservava la sua corrispondenza. Era la prima missiva che riceveva nella sua nuova casa di New York. Quando aveva letto della tristezza di Terence, aveva sentito un’improvvisa fitta al petto. Nel profondo del suo cuore, non riusciva ancora a perdonarsi per averlo lasciato quella fatidica sera all’ospedale. Tuttavia, si stava impegnando con tutte le proprie forze per recuperare il tempo perduto.

Dopo il primo idilliaco weekend passato insieme a lui, Candy aveva iniziato a familiarizzare con il suo mondo. Il lunedì successivo aveva ricevuto la Sig.ra O'Malley ed il Sig. Barbera, gli unici due dipendenti di suo marito, per conoscere meglio le loro mansioni e spiegar loro che la sua presenza in casa non avrebbe comportato alcun aggravio di lavoro. Al contrario, la Sig.ra O'Malley fu sorpresa nell’apprendere che la Sig.ra Graham desiderava esentarla dalla preparazione dei pasti, perché aveva intenzione di occuparsene personalmente. Si trattava di una cosa assolutamente scandalosa, pensò la Sig.ra O'Malley, ma per una ragione a lei ignota, era praticamente impossibile resistere al fascino della nuova padrona di casa ed alle sue bizzarre idee riguardo all’organizzazione delle mansioni casalinghe. Pertanto, accondiscese senza proferire parola.

Roberto, che non amava la cucina irlandese della Sig.ra O'Malley, accolse con favore la novità, in particolare una volta resosi conto che la Sig.ra Graham era decisamente un’ottima cuoca. Ed un tale apprezzamento da parte di un italiano era decisamente un grande complimento per le abilità culinarie di Candy. Persino la Sig.ra O'Malley dovette ammettere che la padrona di casa era più brava di lei.
Dunque, la governante fu lieta di poter concentrare i propri sforzi sulla pulizia dell’appartamento e sulla biancheria da lavare. Non che i suoi padroni di casa le dessero particolarmente da fare. Il Sig. Graham era sempre stato piuttosto ordinato; cosa rara per un uomo, pensò la donna. Quando si trattava di ordine e igiene, sua moglie era persino più scrupolosa. A volte la Sig.ra O'Malley aveva l’impressione che la signora volesse trasformare l’appartamento in un ospedale, ma soddisfaceva comunque ogni sua richiesta, perché la Sig.ra Graham aveva un modo di chiedere le cose talmente cortese e gentile da non risultare affatto gravoso.

Nel corso della stessa settimana, Candy conobbe gli Hathaway e bastò un’unica serata per entrare nelle loro grazie. Melanie Hathaway sembrava meno incline a lasciarsi sedurre dal fascino della Sig.ra Graham. Era stata una cara amica di Susanna Marlowe e per questo motivo, aveva assunto un atteggiamento alquanto difensivo quando suo marito le aveva comunicato la notizia del recente matrimonio di Terence. La Sig.ra Hathaway sapeva che Terence aveva rispettato un decoroso periodo di lutto dopo la morte di Susanna, ma non aveva comunque gradito il fatto che il giovane si fosse sposato così all’improvviso. Era intollerabile, soprattutto sapendo che la sua amica Susanna aveva aspettato per anni senza mai giungere all’altare. Eppure, Melanie sapeva che il matrimonio era stato più volte rimandato a causa della madre di Susanna. Sicuramente la nuova Sig.ra Graham era stata ben più astuta ed aveva colto l’opportunità al volo, una volta presentatasi. Questo faceva forse di lei una poco di buono?

Gli Hathaway ignoravano il ruolo che Candy aveva rivestito in passato nella vita di Terence. Il giovane aveva sempre tenuto per sé la loro relazione e Susanna non aveva mai confidato a Melanie i drammatici dettagli della sua storia con Candice White Andrew. Quindi, quando Candy fu presentata al regista ed a sua moglie, essi non disponevano di alcuna informazione pregiudizievole nei suoi confronti, ad eccezione del fatto che si trattava di una donna che aveva raggiunto un obiettivo che sembrava irraggiungibile.

Malgrado le riserve di Melanie, le ci vollero solo pochi minuti per capire che quella giovane, dal carattere completamente diverso da quello riservato di Susanna, fosse padrona del cuore di Terence come nessun’altra. Melanie era assolutamente sbalordita. Influenzata dalla sua simpatia per Susanna, aveva creduto in passato che Terence fosse incapace di manifestazioni di affetto in pubblico. Il fatto che la defunta attrice si vantasse costantemente della devozione dimostratale dal suo fidanzato aveva indotto Melanie a credere che Terence fosse realmente innamorato di Susanna, malgrado il suo apparente distacco. Ma il giovane che le aveva presentato sua moglie quella sera era un Terence Graham completamente diverso. Ogni scusa era buona per abbracciare la sua signora ed il suo volto si illuminava di un involontario sorriso ogni volta che il suo sguardo si posava su di lei. Era indubbiamente innamorato cotto.

Robert Hathaway, invece, che non aveva mai avuto un debole per Susanna, non si era lasciato trarre in inganno. Era convinto che il rapporto tra i suoi due attori fosse solo una messinscena, quantomeno da parte di Terence. Al contrario, con questa ragazza era stato tutto diverso sin dal’inizio. Quello che era successo a Pittsburgh era stato talmente insolito per Terence, che doveva per forza trattarsi di un amore saldo e forte. L’interazione tra il giovane attore e sua moglie durante la cena ne era stata la definitiva conferma. Robert fu lieto di sapere che dopotutto il suo primo attore era un essere umano.

Alla fine, persino la Sig.ra Hathaway fu conquistata da quella giovane così modesta e cordiale. Si sa che l’amore vero ci fa risplendere di una luce irresistibile ed era ovvio che la Sig.ra Graham fosse inondata da quella luce. Nonostante la devozione di Melanie nei confronti di Susanna, non poté resistere al fascino di Candice e, a fine serata, confessò a suo marito il desiderio di approfondire ulteriormente la loro conoscenza.

Finora tutto sembrava andare a gonfie vele nella sua vita, pensò Candy, mettendo da parte la corrispondenza e avvicinandosi alla finestra. Controllò i bulbi di narcisi che aveva portato con sé dall’Indiana. A causa delle rigide temperature, li teneva in camera da letto, innaffiandoli puntualmente. Chiuse gli occhi ed espresse il desiderio che fosse presto primavera. Eppure, quell’anno, il sole sembrava essere giunto in anticipo a splendere nel suo cuore.

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Infine, dopo un’attesa che era stata particolarmente difficile per Candice, giunse il tanto temuto giorno della conferenza stampa. Non essendo abituata a parlare in pubblico, perlopiù davanti ai fotografi e sotto la pressione dei media, la giovane aveva dormito appena la notte precedente all’evento. Di fatto, non sarebbero state concesse troppe domande sul loro recente matrimonio, perché il principale oggetto della conferenza non sarebbe stata la vita privata di Terence, bensì la presentazione del nuovo programma teatrale. Tuttavia, i Graham avevano studiato nei minimi dettagli come affrontare i giornalisti, concordando quanto avrebbero voluto e dovuto rivelare. Malgrado i preparativi, però, Candy temeva la novità della situazione e soprattutto aveva paura che la sua incapacità di esprimersi potesse finire per rovinare tutto.

Dunque, era con grande trepidazione che attendeva nella stanza accanto, mentre suo marito e gli altri membri della compagnia, unitamente a Robert Hathaway, facevano il loro ingresso nella sala dove si sarebbe tenuta la conferenza. Mentre camminava nervosamente su e giù, Candy udì il moderatore che dava inizio alla conferenza.

"Signore e Signori, la Compagnia Stratford vi dà il benvenuto a questa conferenza stampa. Vi ringraziamo per la vostra partecipazione e per l’interesse nei confronti del nostro lavoro. Saremo lieti di presentarvi le opere che metteremo in scena nel corso della prossima stagione, nonché gli attori che ricopriranno i ruoli chiave. Inoltre, faremo un annuncio di grande importanza per il futuro della compagnia, dopodiché lasceremo spazio alle vostre domande. Infine, sappiamo che avete interesse ad ascoltare cosa avrà da dire il nostro primo attore, il Sig. Graham, rispetto ad alcune voci che riguardano la sua vita privata. Il Sig. Graham sarà lieto di rispondere ad alcune domande su questo argomento, ma solo al termine della conferenza. Ora, per presentare le opere che saranno messe in scena nel corso della prossima stagione e per discutere del cast prescelto, passo la parola al nostro regista e direttore, Robert Hathaway".

Nel tentativo di controllare la propria inquietudine, Candy si sfregò le mani, mentre Robert Hathaway annunciava le opere in cartellone. L’attenzione dei presenti si concentrò perlopiù sulla scelta di Riccardo III, dato che erano passati anni dall’ultima volta che la compagnia l’aveva messo in scena. Inoltre, l’assegnazione del ruolo da protagonista a Terence Graham diede adito ad un’altra serie di domande sulla questione, a cui Terence rispose con la sua consueta sobrietà. Mentre ascoltava la sua voce, da cui trasparivano tranquillità e padronanza di sé, la giovane si meravigliò nuovamente di far parte della sua vita. Candy sapeva di essere l’unica a godere del privilegio di ascoltare quella stessa voce, solitamente così fredda e distaccata, trasformarsi in tenera e dolce tra le sue braccia. Guardò ancora una volta gli anelli che portava alla mano sinistra, come per avere conferma che non si trattasse solo di un sogno.

Una volta terminata la presentazione degli spettacoli e del cast in programma per la stagione, Robert Hathaway annunciò ufficialmente il suo imminente ritiro. Come previsto, quest’ultima notizia scatenò una serie di domande riguardo alle motivazioni di un così precoce allontanamento dalle scene ed al futuro della compagnia. Candy pensò che Hathaway fosse piuttosto disinvolto nel gestire le domande dei giornalisti. Da una parte, la giovane aveva trovato particolarmente commovente il modo in cui aveva spiegato che la sua unica priorità era la salute di sua moglie. Dall’altra, essendo un abile uomo d’affari, Hathaway aveva rivelato solo alcuni dettagli rispetto all’intenzione di vendere la compagnia, senza accennare ai nomi dei potenziali acquirenti. Tuttavia, aveva promesso di convocare un’altra conferenza stampa, unitamente al nuovo proprietario, non appena fossero state disponibili informazioni di prima mano sulla questione.

Infine, giunse il momento di concludere la conferenza con l’ultima serie di domande. Candy si portò una mano al petto per accarezzare il suo vecchio crocifisso e farsi coraggio.

"Ora, signore e signori, a conclusione della nostra conferenza, il Sig. Graham soddisferà la vostra curiosità relativamente alle voci di cui siamo tutti a conoscenza. Mi permetto solo di ricordarvi che saranno concesse solo alcune domande e che non sarà possibile condurre interviste successivamente alla conclusione della conferenza. Gradiremmo che rispettaste queste condizioni. La parola al Sig. Graham, prego".


"Certamente. In realtà non vi è molto da dire sulla questione, pertanto sarò breve”, esordì Terence con la stessa serietà e padronanza di sé dimostrata nel corso dell’intera conferenza, "In relazione alle voce secondo cui mi sarei recentemente sposato, sono lieto di annunciarvi che le informazioni in vostro possesso corrispondono a verità. Io e l’incantevole dama che ora è mia moglie ci siamo sposati un paio di settimane fa".

A questa dichiarazione fece seguito un brusio generale. Dimenticando per un attimo il protocollo, alcuni giornalisti iniziarono a porre domande a raffica, finché non furono richiamati all’ordine dal moderatore.

"Signore e signori, vi prego. Vi ricordo la necessità di alzare la mano prima di porre le vostre domande”, sottolineò l’uomo, dopodiché, rivolgendosi ad uno dei giornalisti presenti, disse: "Sig. Callaway, del Daily News".

"Quando sarà possibile conoscere Sua moglie, signore?" chiese il giornalista, reagendo alle parole del moderatore.


"Cosa ne direbbe se Le dicessi adesso, Sig. Callaway?" rispose Terence, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la porta comunicante con la stanza adiacente.

Un attimo dopo, la porta si aprì ed una giovane bionda in un tubino nero di Jean Patou con colletto di pizzo fece il suo ingresso. La donna fu inondata dai flash delle fotocamere, mentre suo marito la conduceva verso il posto vuoto accanto a sé. Una volta accomodatisi, il giovane si rivolse nuovamente agli astanti.

"Signore e Signori, credo di non esagerare affatto dicendovi che sono fiero ed onorato di presentarvi mia moglie, la Sig.ra Graham".

"Il nome della Sua signora?", gridò una voce non meglio identificata.

"Immagino che possa darvi questa informazione lei stessa", disse Terence passandole il microfono.

"Beh, innanzitutto buon pomeriggio a tutti", esordì la giovane, sorridendo nervosamente, "Il mio nome è Candice White e prima di sposarmi con il Sig. Graham il mio cognome era Andrew".

Diversi giornalisti alzarono nuovamente la mano.

"Sig. Rodgers, del New York Post", disse il moderatore.

"Sig.ra Graham, sarebbe così gentile da fornirci qualche informazione in più? Ad esempio, è forse imparentata con gli Andrew di Chicago?"

"Volentieri, Sig. . ." iniziò Candy con una certa esitazione.

"Samuel Rodgers", rispose il giornalista.

"La ringrazio, Sig. Rodgers, molto gentile", replicò la giovane con un sorriso. "La risposta è sì, sono un membro della famiglia Andrew; tuttavia, solo in conseguenza della mia adozione. Il Sig. William Albert è il mio padre adottivo. Sono entrata a far parte della famiglia quando avevo quattordici anni. Sono infatti cresciuta in un orfanotrofio dell’Indiana. Non ho mai conosciuto i miei veri genitori".

Una tale rivelazione, condivisa con estrema sincerità e modestia, le valse immediatamente la simpatia dei presenti. Dopodiché, un altro giornalista alzò la mano.

"Sig. Norton, del Chicago Tribune", disse il moderatore e Candy si ripromise di ricordarne il nome, questa volta.

"Sig.ra Graham, sono venuto sin qui da Chicago perché girava voce che Lei fosse di quelle parti. I miei lettori conoscono molto bene la Sua importante famiglia e saranno sicuramente interessati a sapere come è stata accolta dagli Andrew la notizia del Suo matrimonio con un attore".

"La ringrazio per il Suo interesse, Sig. Norton", rispose Candy e Terence notò come stesse acquisendo sicurezza ad ogni minuto che passava, "Ho la fortuna di avere un ottimo rapporto con il mio padre adottivo. Essendo di Chicago, Lei saprà sicuramente che egli è piuttosto giovane per essere il padre di una donna della mia età. In virtù di ciò, l’ho sempre considerato come un fratello maggiore e come qualsiasi buon fratello mi ha sempre sostenuta in ogni mia decisione. Sia lui che i membri più anziani della nostra famiglia conoscono mio marito e ci hanno dato la loro benedizione. E non avrebbero potuto fare altrimenti, perché sono stata fortunata ad aver sposato l’uomo migliore al mondo. Beh, immagino che in effetti il mio giudizio sia alquanto di parte”, concluse poi, lanciando un amorevole sguardo in direzione di suo marito.

Quest’ultimo commento scatenò l’ilarità dei presenti e subito dopo un altro giornalista fu invitato a porre la sua domanda.


"Signora, posso chiederLe come vi siete conosciuti Lei ed il Sig. Graham?"

"Ci siamo conosciuti molto tempo fa. Vede, frequentavamo la stessa scuola; ma ci siamo persi di vista con il passare degli anni, come spesso accade fra compagni di scuola. Ho avuto la fortuna di rincontrarlo durante uno dei miei viaggi lo scorso novembre", disse interrompendosi per un attimo per lanciargli uno sguardo, seguito da un fugace sorriso, per poi proseguire. "Il Sig. Graham era in tournée ed io ero impegnata con la mia raccolta fondi. Negli ultimi cinque anni ho seguito personalmente le iniziative benefiche a favore dei bambini orfani dell’Indiana. Possiamo dire che si sia trattato di una coincidenza".

"Lei ed il Sig. Graham eravate fidanzati ai tempi della scuola?" chiese una donna, senza essersi presentata.

"No, signora. Eravamo solo buoni amici, ma non ci sentivamo da tempo", rispose Candy con un enigmatico sorriso.

"Signore e signori", intervenne il moderatore, "c’è tempo solo per un’ultima domanda. Bene, Sig.ra Steel, del New York Times”.

"La domanda è per il Sig. Graham", disse la giornalista interpellata, alla cui affermazione Terence annuì. "Signore, il Suo improvviso matrimonio ha spinto tutti a domandarsi come fosse possibile chiedere la mano di una donna e sposarla nel giro di un paio di mesi, dopo essere stato fidanzato per sei anni con un’altra senza averla mai condotta all’altare. Posso chiedergliene la ragione?"

Terence sapeva che gli sarebbe stata posta una domanda del genere prima o poi. Tuttavia, indipendentemente da ciò che si aspettava, la malignità della sottostante intenzione lo disgustò.

"Ebbene, Signorina Steel", esordì con tono ancor più serio di prima, che non intaccava tuttavia il suo disinvolto contegno, "essendo un uomo di teatro, credo fermamente nel destino. Ovvero, credo che a volte, a prescindere dalla nostra volontà e dalle nostre più sincere intenzioni, gli eventi volgano in una direzione inaspettata, guidandoci verso esiti del tutto sorprendenti. La mia relazione con la Signorina Marlowe è stata segnata da imprevedibili sciagure. Il suo incidente, gli alti e bassi della mia carriera – di cui tutti voi siete a conoscenza – la fatale malattia che l’ha colpita durante il fidanzamento, rendendo impossibile il nostro matrimonio. Tutto ciò non aveva nulla a che vedere con la serietà dell’impegno da me preso nei suoi confronti e con la solidità della mia parola d’onore. Credo semplicemente che non fosse destino. Dopo questa terribile prova, ho rincontrato Candice ed una grande verità mi è apparsa chiara come il sole: saggio è colui che coglie l’opportunità quando il destino gli spalanca le porte della felicità. Oltre a ciò, non posso che esprimere al meglio i miei sentimenti prendendo in prestito le parole del Bardo: “ora l'inverno del “mio” scontento è reso estate gloriosa da questo sole di York, e tutte le nuvole che incombevano minacciose sulla “mia” casa sono sepolte nel petto profondo dell’oceano”. (1)

E con queste parole, Terence si alzò in piedi, aiutando sua moglie ad uscire dalla sala. Il moderatore concluse la conferenza e, come preventivamente concordato, non furono concesse altre domande od interviste.

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Più tardi quella sera i Graham stavano terminando di cenare nel loro appartamento. La Sig.ra O'Malley ed il Sig. Barbera erano già stati congedati, pertanto i due sposini godevano della reciproca compagnia mentre sparecchiavano la tavola.

"Dimmi la verità, Terence. Come sono andata?" gli chiese Candy, mentre indossava un grembiule accingendosi a lavare i piatti.

"Molto bene, direi; specialmente considerate tutte le storie che hai fatto sulla tua incapacità di parlare in pubblico”, rispose lui con naturalezza, mentre depositava i piatti nel lavandino.

"Sul serio? Mentre eravamo lì, ho pensato che stessi combinando un pasticcio dietro l’altro. Sono solo felice che sia finita".

"Non pensarci più. Sicuramente insisteranno un po’ per un’intervista, ma se non dovessero ottenere quello che vogliono, troveranno presto qualcos’altro che possa interessare ai loro lettori e si dimenticheranno di noi. Ti prometto che non dovrai più affrontare nulla del genere, signorina tuttelentiggini", concluse lui, dandole un fugace buffetto sulla punta del naso sbarazzino.

"Lo spero vivamente. Fa davvero uno strano effetto sentirsi interrogare sulla propria vita privata da un perfetto estraneo. Ma ora che è finita possiamo buttarci tutto alle spalle, giusto?"

Terence lanciò uno sguardo a sua moglie e, per tutta risposta, sollevò d’istinto il sopracciglio sinistro. Lei comprese immediatamente che non aveva ancora voglia di lasciar cadere l’argomento.

"In verità, prima di chiudere la questione, avrei una lamentela da fare", le disse, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi al bancone della cucina.

"Davvero?" gli chiese lei, con un tono che lo invitava a spiegarsi meglio.

"Sì, hai mentito ben due volte in risposta alle domande che ti sono state poste e se non erro eravamo d’accordo di attenerci alla verità senza rivelare particolari troppo personali”, la rimproverò scherzosamente lui.

Tra sé e sé Candy si domandò ancora una volta come riuscisse ad apparire talmente affascinante ed irritante allo stesso tempo.

"Che vuoi dire? Non ho mentito affatto!" reagì infine lei, mettendosi sulla difensiva.

"Oh sì, l’hai fatto eccome”, la contraddisse lui con enfasi.

"Provalo!" lo sfidò lei, lasciando perdere i piatti e chiudendo il rubinetto.

"Innanzitutto hai detto che sarei il migliore degli uomini e sappiamo bene entrambi che non è vero".

"Per amor di Dio, Terence. Sei insopportabile!" rispose lei con un mezzo sorriso, "ribadisco che sei il migliore degli uomini per me! L’ho detto molto chiaramente e non si tratta certo di una bugia".

A quella risposta, il giovane non tentò neppure di nascondere un sorriso insolente.

"Sul serio?" osservò Terence con un cenno del capo dopo un secondo di silenzio, "Non posso dire che la cosa non mi lusinghi, ma la tua seconda bugia mi brucia ancora. Quindi, non ti perdonerò tanto facilmente", concluse mettendole il broncio.

"Posso sapere quale sarebbe la seconda bugia di cui mi accusi?"

"Hai detto che non eri la mia fidanzata a scuola. Intendi forse negarlo?" le chiese con tono accusatorio. A quella seconda recriminazione, Candy trasalì.

“Certo che no!" rispose lei con aria spavalda, "L’ho detto perché è la verità; non eravamo fidanzati alla Saint Paul School", concluse con convinzione.

"Come puoi dire una cosa del genere, Sig.ra Graham? Tu eri la mia ragazza a scuola!" insistette lui con decisione.

"Assolutamente no! Non me l’hai mai chiesto", ribatté lei, appoggiando entrambe le mani sui fianchi.

"Non c’era bisogno di parole. I fatti parlavano da sé. Ci vedevamo molto spesso, uscivamo insieme da soli, abbiamo ballato insieme alla Festa di Maggio e, se occorre che te lo ricordi, sono stato anche il primo uomo a baciarti. . ." enunciò lui con tono scherzoso.

"Tutto ciò non rendeva comunque la cosa ufficiale!" insistette lei, non avendo alcuna intenzione di cedere. Dopodiché, riprese a lavare i piatti, come se intendesse chiudere lì la discussione. Eppure, lui non aveva alcuna voglia di mettere da parte la questione.

"Beh, forse non per te, ma era chiaro come il sole per il resto del mondo. Tutti a scuola sapevano che eri la mia ragazza. Persino il Damerino aveva finito per accettarlo”, si vantò lui.

"D’accordo! Ammetto che i nostri amici sapessero che in un certo senso fossimo…coinvolti emotivamente. Ma appena quattro persone non significa di certo tutti a scuola", replicò lei, facendo valere le proprie ragioni, anche se doveva ammettere che c’era una certa dose di verità nelle parole di Terence.

"E credi che mi stessi riferendo solo ai tuoi cugini ed alle tue due amiche?"

"Non è così?"

"Assolutamente no. Quando ho detto tutti, intendevo dire proprio tutti", disse lui con forza e poi, lanciandole uno sguardo malizioso, aggiunse: "Quantomeno nel dormitorio dei ragazzi era un fatto assodato che tu fossi la mia ragazza. Non hai mai riflettuto sul perché nessun ragazzo ci avesse provato con te?"

Quando si rese conto di cosa stesse insinuando, Candy spalancò gli occhi per la sorpresa.

"E posso chiederti chi avrebbe messo in giro queste voci del tutto infondate?" gli domandò risentita, lasciando da parte i piatti e voltandosi a guardarlo con fare minaccioso.

"Come faccio a saperlo? Le informazioni trapelano in qualche modo. Passaparola, presumo", rispose lui, alzando le mani con finta innocenza.

"Passaparola? Sicuramente partito da una disonesta boccaccia", lo sfidò lei, "Sei stato tu, Terence Graham Grandchester! Non posso credere che tu abbia detto a tutti che ero la tua ragazza! Come hai osato?" lo accusò Candy puntandogli contro il dito e iniziando ad arrabbiarsi davvero.

"Non ho mai detto nulla del genere. Ero solo un ragazzo, ma cresciuto come un gentiluomo, non avrei mai osato tanto. Può essere che…forse…abbia agito in modo un po’ protettivo una volta…o due", aggiunse lui rimirandosi le unghie con aria disinvolta.

"Cosa intendi per ‘protettivo’?"

"Voglio dire che i ragazzi sono soliti parlare delle ragazze. Può essere che abbia udito per caso una conversazione in cui veniva fatto il tuo nome, in quanto ragazza carina da corteggiare, e. . ."

"E?" gli chiese lei, ormai del tutto furiosa.

"Non ricordo con esattezza. . . è tutto alquanto confuso ormai. . ." rispose lui, alzando gli occhi al cielo, "può essere che una volta…o forse due sia intervenuto e…abbia messo in guardia i presenti dal rischio che avrebbe potuto correre il ragazzo che avesse osato avvicinarti. Giusto come consiglio che avrebbe dato un qualunque buon amico. Credo che abbiano colto perfettamente cosa intendessi dire", concluse con un sorriso compiaciuto.

"Li hai minacciati! Sei un tale prepotente! Come hai potuto?"

"Come? In questo modo, madame!"

Ed a questa affermazione, le si avvicinò con movimento felino e l’abbracciò con l’intenzione di stamparle un bacio sulle labbra. Tuttavia, lei distolse il volto e le labbra di lui finirono per atterrare sulla sua guancia.

"Toglimi le mani di dosso! Sono arrabbiata con te!"

"Lo so, il che rende tutto ancora più provocante!" le sussurrò, mentre si voltava improvvisamente per congiungere finalmente le sue labbra con quelle di lei, dandole un bacio profondo a cui non poté resistere.

"Terence. . .!" obiettò lei, ma così debolmente da fargli capire che era ormai in procinto di cedere.

"Sshhhh, ragazza", le disse, prima che entrambi si dimenticassero definitivamente dei piatti per il resto della serata.

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Con l’avvicinarsi della fine di gennaio, Candy era totalmente presa dal pensiero di cosa avrebbe dovuto regalare a suo marito per il suo ventottesimo compleanno. Il compito – per quanto potesse sembrare semplice – era in realtà estremamente arduo, perché la sua mente era affollata di troppe idee, senza soffermarsi su nessuna in particolare.

Quel pomeriggio la giovane aveva passato tre ore a guardare le vetrine di Lower Manhattan senza tuttavia decidersi su nulla. Piuttosto delusa, aveva deciso di fare ritorno a casa in tutta fretta, dato che doveva ancora terminare di preparare la cena. Inaspettatamente, quando la sua auto svoltò l’angolo della sua strada, notò due uomini in lontananza. Gli sconosciuti sostavano sul marciapiede proprio di fronte al suo palazzo, osservandolo con interesse.

Fu solo quando il Sig. Barbera fermò l’auto di fronte alle scale che conducevano all’ingresso e Candy poté scendere dal veicolo che notò l’imponente Bentley grigia parcheggiata accanto ai due uomini. Quella macchina costosa e l’abbigliamento elegante degli sconosciuti la spinse ad osservare la scena con maggiore attenzione. Nel momento in cui riconobbe quell’uomo distinto che non vedeva da anni, il suo cuore saltò un battito. (2)

"Sua Grazia! È proprio Lei?" disse la giovane, rivolgendosi rispettosamente all’uomo, nonostante la sua sorpresa.

Un uomo alto si voltò verso di lei con un gesto tanto altezzoso quanto familiare. Vagamente confuso, posò lo sguardo su quella giovane bionda in soprabito nero e basco alla francese che gli aveva rivolto la parola. C’era qualcosa in quei grandi occhi verdi che gli risultava familiare; eppure, non riusciva ad identificare l’origine di quel ricordo.

"Sono così sorpresa di vederLa a New York, Sua Signoria", continuò la giovane, il cui iniziale choc aveva lasciato spazio ad un solare sorriso che le illuminava il volto.
L’uomo continuava a fissarla da dietro al suo cappello di feltro e Candy comprese che non l’aveva ancora riconosciuta.

"Si ricorda di me, Signore? Sono Candy . . . della Saint Paul School", spiegò la giovane, facendo un breve inchino.

Nel momento in cui il Duca capì in quale angolo della sua mente si fosse annidato il ricordo di quegli occhi, l’uomo accanto a lui gli sussurrò qualcosa all’orecchio.

"Credo si tratti della Marchesa, Signore", disse l’uomo, senza che Candy fosse in grado di udire le sue parole.

A quest’ultima osservazione, l’uomo più anziano sollevò un sopracciglio. Improvvisamente, tutti i pezzi del puzzle andarono al loro posto e si rese conto non solo di chi fosse la persona che si era rivolta a lui, ma anche di cosa fosse accaduto negli ultimi dodici anni.

"Mi ricordo di Lei, signorina", ammise finalmente il Duca, facendo un lieve cenno con il capo.

"Sono davvero felice di rivederLa, Signore. Che sorpresa! Terence non mi ha detto che sarebbe venuto".

"Probabilmente perché mio figlio non ne sa nulla. Di fatto, non ho ancora deciso se sia il caso di vederlo", rispose l’uomo apparentemente senza alcuna emozione, sebbene a Candy non fosse sfuggito il fugace velo di tristezza che gli aveva adombrato lo sguardo.

"Oh. . . Capisco", disse Candy, ancora più perplessa di prima. Conoscendo la natura di Terence, facile al risentimento, immaginò subito che il giovane non sarebbe stato ben disposto nei confronti di una visita inattesa da parte di suo padre.

"Credo che rimanderò ad un altro giorno", commentò Richard Grandchester con la sua consueta flemmaticità.

"Beh, Signore, se posso permettermi", disse Candy cercando di farsi coraggio, "Terence non sarà di ritorno a breve, pertanto sarei onorata se accettasse di prendere una tazza di the insieme a me. Ovviamente, se Le fa piacere".

Il Duca osservò la giovane e sentì nel profondo del suo cuore che avrebbe potuto aiutarlo nel suo intento.

"Mi farebbe molto piacere", rispose dunque.

Candy ed il Duca entrarono nell’edificio, mentre l’altro uomo rimase nell’auto con l’autista. Quando la giovane aprì la porta, non le sfuggì lo sguardo furtivo che l’uomo aveva lanciato alla dimora di suo figlio. Tuttavia, si comportò come se nulla fosse, chiedendo al suo ospite di accomodarsi, mentre si recava in cucina a dare istruzioni alla Sig.ra O'Malley.

Una volta servito il the, la giovane si accomodò di fronte a suo suocero, facendo del proprio meglio per comportarsi in modo raffinato. Notò che Richard Grandchester sembrava esattamente lo stesso, rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. L’unica differenza visibile erano i capelli, ormai completamente bianchi, e qualche ruga un po’ più marcata sul suo volto. Interiormente, anche l’uomo era intento a prendere nota dell’aspetto di Candy, rendendosi conto di come il tempo l’avesse trasformata in una vera bellezza, caratterizzata da una perfetta ma insolita commistione di dolcezza e sicurezza.

"Almeno Terence ha buon gusto", pensò.

"Non Le ruberò troppo tempo, Vostra Grazia”, esordì Candy dopo che la Sig.ra O’Malley si era allontanata per continuare le proprie faccende, “Si ricorderà certamente dell’unica occasione in cui ci siamo incontrati prima d’ora e delle cose che ci eravamo detti riguardo al futuro di Terence”.

"Certamente", rispose l’uomo, incuriosito dalla piega che la giovane aveva impresso alla conversazione.

"Sento di doverLe esprimere la mia gratitudine per aver preso in considerazione le mie parole quel giorno. Non è stato facile per Suo figlio trovare la propria strada, ma credo che la libertà che Lei gli ha concesso gli abbia giovato molto".

"Mi sembra di capire che se la passi piuttosto bene, malgrado se ne sia andato di casa senza un soldo”, ammise il Duca, non senza una certa riluttanza.

"Sì, è così, ma c’è un limite alla libertà ed al distacco, signore. Per quanto Terence avesse bisogno di prendere le distanze da entrambi i suoi genitori per diventare un uomo, nessuno desidererebbe alienarsi per sempre il proprio padre; nemmeno lo spirito più libero al mondo”, osò dire la giovane e forse l’implicito biasimo nelle sue parole fu addolcito soltanto dalla dolcezza del suo tono.

"Per quasi dodici anni Terence non ha manifestato alcun interesse ad avere un padre", sostenne il Duca, con un bagliore nello sguardo che ricordava per intensità quello di suo figlio quando assumeva un atteggiamento di difesa.

"Essendo suo padre, saprà certamente che Terence sa essere particolarmente orgoglioso e testardo”, ribatté lei, strappando un sorriso al Duca.

"È un Grandchester, anche se ha cambiato nome per rinnegare qualsiasi legame”.

"Non proprio, signore", intervenne lei, "ha deciso di adottare il suo secondo nome come cognome solo come facciata per il pubblico. In tutti questi anni non ha mai ufficializzato il cambio di nome. Lo sapeva?"

Il Duca rimase in silenzio per un secondo.

"E questo cosa vorrebbe dire?" controbatté.

"Non lo so, signore. Non ho mai sollevato la questione con lui, perché siamo sposati da meno di un mese. Ma credo che, quantomeno a livello inconscio, non voglia tagliare i ponti del tutto".

"Lei crede?" le chiese alquanto scettico, picchiettandosi la tempia con l’indice.

"Diciamo che seguo il mio istinto di moglie, Signore. Credo che Terence abbia bisogno di suo padre tanto quanto abbia bisogno di sua madre. Ricordo che diceva sempre che non gli importava nulla di lei, ma il tempo l’ha aiutato a capire che mentiva a sé stesso. È molto probabile che neghi anche di sentire la Sua mancanza. Forse, se ne aveste l’opportunità, potreste sistemare le cose, anche se l’eccessivo orgoglio è un tratto di famiglia".

Il Duca sorrise tra sé e sé di fronte a quella giovane che si rivolgeva a lui con una franchezza a cui poche persone osavano far ricorso al suo cospetto.

"Potrebbe essere più difficile di quel che crede, signorina", rispose l’uomo dopo un momento di pausa, "A giudicare dalla sua espressione sorpresa di poco fa, immagino che Terence non Le abbia mai detto che ho scritto a sua madre qualche mese addietro".

"No, non me l’ha detto", rispose Candy aggrottando la fronte, “ma se Lei fosse così gentile da illuminarmi in merito, gliene sarei oltremodo grata".

"Ho scritto ad Eleanor esprimendole il mio desiderio di riconciliarmi con mio figlio. Nella lettera, le chiedevo di sondare il terreno con Terence per sapere se sarebbe stato quantomeno disposto ad ascoltarmi. All’epoca era in tournée, ma Eleanor gli scrisse per manifestargli le mie intenzioni. Successivamente, mi informò che lui non aveva mai risposto né affrontato l’argomento con lei".

Candy restò senza parole. Sapeva che c’era voluta una bella dose di coraggio per spingere il fiero Richard Grandchester a ricorrere all’aiuto di Eleanor. Si commosse davanti alla prova d’amore nei confronti di suo figlio rappresentata da quel gesto.
"Forse non ha mai risposto perché era preso da altre questioni, Signore. Devo confessarLe che io potrei aver contribuito alla sua distrazione in tal senso, perché è stato subito dopo la tournée che è venuto da me per chiedermi in moglie. Ci siamo sposati tre settimane dopo. Temo di aver monopolizzato la sua attenzione ultimamente. Dunque, questo non vuol dire che non tenga a Lei".

"Oh, non ne avevo idea. . . . Crede dunque che dovrei aspettarlo e parlargli oggi?"

Candy inclinò il capo come se stesse riflettendo sulla risposta da dargli.

"Ecco, credo che le cose non andrebbero per il meglio se fosse colto di sorpresa", concluse finalmente, "Mi concede di parlargliene prima?. . . Potrebbero volerci alcuni giorni per convincerlo e potrei anche non riuscirci. Le dispiacerebbe aspettare per vedere se ci riesco?"

"Quando tempo Le serve?"

"Mi dia una settimana", gli propose con decisione.

"Facciamo due. Resterò a New York per i prossimi quindici giorni, nel caso decidesse di contattarmi. Qualora si rifiutasse, Le sarei grato se me lo facesse sapere".

"Siamo d’accordo allora, Signore", concluse la giovane, tendendo la mano a suo suocero.

"Assolutamente!" rispose l’uomo, stringendo la mano minuta di Candy.

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Terence e Candy erano diversi sotto molti punti di vista, ma avevano alcuni tratti del carattere in comune. La testardaggine era uno di questi. Due persone volitive e caparbie sotto lo stesso tetto non possono che fare scintille, indipendentemente da quanto amore ci sia tra di loro. Per questo motivo, sebbene Candy fosse animata dalle migliori intenzioni e desiderasse incoraggiare una riconciliazione tra suo marito ed il Duca, il rischio che correva era decisamente grande.

Quella sera, dopo che suo marito era rientrato dal lavoro, si decise ad affrontare l’argomento ed a fare del proprio meglio per persuaderlo. Ma essendo una moglie alle prime armi, non aveva considerato l’opportunità di sondare l’umore di suo marito prima di sollevare la questione.

Quel giorno avevano iniziato le prove di Riccardo III e Terence si era completamente immerso nel difficile processo di introspezione del suo personaggio. Aveva avvertito sua moglie che nel corso delle settimane a venire avrebbe avuto necessità di dedicare diverse ore allo studio senza essere disturbato, interferendo decisamente con la routine a cui si erano abituati fino a quel momento. Pertanto, temendo che si sarebbe presto eclissato in biblioteca per almeno un paio d’ore di intenso studio, Candy aveva deciso di affrontare la questione subito dopo cena.

"Terence, pensi mai a tuo padre?" osò chiedergli mentre sorseggiavano il the, dopo che la Sig.ra O'Malley si era congedata.

"No. Mai", fu la secca risposta di Terence. Di tutti gli argomenti che avrebbe desiderato affrontare quella sera, suo padre era decisamente l’ultimo; soprattutto in considerazione del fatto che si sentiva ancora turbato dalle difficoltà tipicamente associate ad una prima prova.

Candy percepì la sua tensione, ma non volendo ascoltare quella voce dentro di sé che le diceva di rimandare ad un altro momento, decise di attenersi al piano originale e continuare:
"Davvero? Non ti sembra che siano passati molti anni dall’ultima volta che vi siete visti?" insistette, prendendo pigramente un paio di zollette di zucchero per il suo the.

"Esattamente, non ci vediamo né sentiamo da troppo tempo per preoccuparci l’uno dell’altro".

Dopo questa risposta, il giovane si concentrò sul suo the. Senza accorgersene, iniziò a tamburellare con le dita sul tavolo.

"Quanto tempo esattamente?" insistette lei, non essendo intenzionata a gettare la spugna.

"Da quando ho lasciato la Saint Paul School, ovviamente. Sono passati più di undici anni”, rispose lui, sentendo questa volta montare la collera dentro di sé di fronte all’insistenza di Candy sull’argomento.

"Quindi più o meno tanto quanto la nostra separazione. Se noi siamo riusciti a sistemare le cose dopo così tanto tempo, non vedo perché tu e tuo padre. . ."

"Non sono due cose paragonabili!" la interruppe lui con evidente indignazione nella voce, stroncando sul nascere qualsiasi sua argomentazione. "Tra me e mio padre sono accadute delle cose che non sono disposto a dimenticare né a perdonare. Mi ha preso con sé solo per abbandonarmi quand’ero appena un bambino! Nessun padre degno di questo nome avrebbe mai fatto una cosa del genere!"

"Tu mi hai lasciata in Inghilterra pressoché senza alcuna spiegazione e poi sono stata io a lasciarti qui a New York. Eppure, siamo comunque riusciti a sistemare tutto", ribatté lei con pari veemenza.

"Accidenti, Candy!" sbottò lui, alzando la voce e gettando il tovagliolo sul tavolo, "la sola idea di paragonare il nostro rapporto a quello tra me e mio padre è ridicola! Quando tu ed io ci siamo lasciati credevamo che fosse la cosa migliore l’uno per l’altra. Per quanto fossimo in errore, l’abbiamo fatto per generosità. Mentre mio padre non aveva alcuna scusa per abbandonare suo figlio, ad eccezione del fatto che fossi il figlio della donna che odiava".

"Come fai ad essere certo di quali fossero le sue ragioni? Se ti concedessi l’opportunità di parlargli. . ."

"Smettila, tuttelentiggini", esclamò Terence, ormai di pessimo umore. "So dove vuoi andare a parare. Hai parlato con mio madre, non è vero?" le chiese con tono accusatorio.

"No, tua madre ed io non abbiamo mai parlato di questa questione", gli rispose lei, sentendo che il suo amor proprio aveva subito fin troppi colpi per indurla a mantenere la calma.

"Allora che cosa ti è preso? Non abbiamo mai parlato di mio padre prima d’ora e non vedo il motivo di farlo adesso. L’argomento è chiuso", concluse lui, alzandosi da tavola e accingendosi a rinchiudersi nella solitudine del suo studio. Sentiva di essere sul punto di esplodere. In tali circostanze, era preferibile restare solo per sbollire la rabbia. Tuttavia, Candy non era dello stesso avviso.

"Terence, e se ti dicessi che tuo padre è qui a New York e vorrebbe vederti? Considereresti comunque chiuso l’argomento?" azzardò lei, come ultimo tentativo di fargli considerare la questione.

"Allora è questo il punto!" finì per esplodere lui. "Mio padre è venuto qui durante la mia assenza ed ha convinto mia moglie a perorare la sua causa. Vuole usarti per ricattarmi! È proprio una mossa sleale tipica di Richard Grandchester. Non è cambiato affatto! Ti probisco di rivolgergli nuovamente la parola, Candice".

"Perché devi sempre travisare le cose e farle apparire losche e perverse?" ribatté lei, alzandosi a sua volta dalla sedia, arrossendo visibilmente in conseguenza della rabbia che sentiva crescere dentro di sé in risposta alla reazione di suo marito, "Quell’uomo ha attraversato l’Atlantico solo per vederti ed è disposto a mettere da parte il suo orgoglio e tu riesci solo a pensare che voglia ricattarti? . . . E non puoi proibirmi un bel niente!"

"Sei sempre la stessa ragazzina ficcanaso. Non hai la minima idea di quello che abbia fatto quell’uomo a mia madre ed a me. . . e di cosa avrebbe fatto a noi due, se gliel’avessi permesso. Non ho alcuna intenzione di accoglierlo nuovamente nella mia vita. Non immischiarti in cose che non capisci, Candice!"

"Pensi che sia così sciocca da non capire che ti abbia ferito con la sua assenza privandoti del suo affetto? Credi che non sappia che si è comportato da vero mascalzone con tua madre?"

"Aha!" urlò lui, puntandole contro un dito accusatorio, "Hai parlato con mia madre e l’hai negato!"

"D’accordo, mi ha raccontato della sua storia con tuo padre, della tua nascita e di come tuo padre ti avesse preso con sé come erede della famiglia Grandchester, ma non mi ha mai detto che tuo padre le aveva mandato una lettera".

"Ma sicuramente Sua Grazia ti ha aggiornato per bene, non è vero, tuttelentiggini?" sbottò il giovane in tutta la sua imponenza, come se il movimento del suo corpo lo aiutasse ad assestare meglio il colpo infertole dalle sue parole.

"Non capisco perché mi parli come se ti avessi tradito, Terence", lo rimproverò lei con tono pungente, "Ti stai comportando in modo del tutto irragionevole. Tuo padre non riprenderà certo il controllo della tua vita. Santo cielo! Di cosa hai paura? Vuole soltanto parlarti. Potresti almeno considerare l’eventualità di ascoltare quello che ha da dirti?"

"Quella irragionevole qui sei tu, Candy. Dato che sai abbastanza di questa storia, sappi che ho riflettuto attentamente su quest’idea sin dallo scorso novembre ed ho deciso di non considerarla. Sapevo che avresti cercato di immischiarti come è tuo solito, ma ti pregherei di smetterla, tuttelentiggini. Non te lo consentirò. Non questa volta. Non su questa questione. Scordatelo!"

"Scordarmelo?"

"Sì!"

"Beh, allora, mio caro signore, Lei può scordarsi del mio letto".

A quest’ultima infiammata minaccia, Terence trasalì.

"Non puoi farmi questo, Candy. Sei mia moglie!" urlò, ormai ferito ed infuriato.

"Ma questo non significa che debba essere a tua disposizione anche quando sono in collera con te!" ribatté lei con acrimonia.

"Dunque è la tua ultima parola?" le chiese lui, come se le stesse dando un ultimatum, "Bene, Sig.ra Graham, so stare al gioco. Stanotte dormirò nel mio camerino in teatro. E credimi, non sarà la prima volta che lo faccio!"

Candy rimase senza parole, ma anziché fare un passo indietro, la sua ira crebbe in modo esponenziale.

"Benissimo, faccia pure come vuole signore, ma se crede che io venga lì ad implorarla di tornare a casa, si sbaglia di grosso".

"Vedremo, madame, vedremo".

E con queste parole, Terence si voltò, prese il suo soprabito e si precipitò fuori dall’appartamento. Sua moglie, invece, restò a casa a fare i conti con le dolorose conseguenze della loro prima lite coniugale.

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Quando esplode la collera, non v’è spazio per la ragione. La rabbia annebbia il senno e nella nostra mente alberga solo la convinzione di aver subito un torto. In questi casi, il sapore amaro dell’autodifesa finisce per inquinare qualsiasi forma di altruismo ispirata nei nostri cuori dall’amore. Dopo il loro litigio, Terence e Candice si erano entrambi abbandonati all’indignazione ed all’orgoglio ferito. Avevano passato tutta la notte a rimuginare su quello che si erano detti, giungendo ognuno alla conclusione di essere la parte lesa e che l’altro fosse nel torto e pertanto in dovere di chiedere perdono.

Nulla ferisce un uomo più dell’essere espulso dal letto coniugale e, in egual misura, nulla offende una moglie maggiormente che l’aspettarsi da lei che indulga in intimità malgrado vi siano delle questioni irrisolte. In un certo senso, entrambi avevano ragione a sentirsi offesi, ma la giovane età e l’inesperienza avevano loro impedito di riconoscere la rispettiva incapacità di esprimere il proprio dolore.

Quindi, per tutto il weekend, Candy era rimasta trincerata in casa, senza avere alcuna notizia di suo marito. Dapprima si era sentita montare la rabbia per la testardaggine di lui, che gli impediva di ammettere che lei avesse ragione. Poi, si era risentita del modo in cui lui l’aveva trattata. Non riusciva a credere che si fosse rifiutato di renderla partecipe di un aspetto così importante della sua vita, aspettandosi tuttavia che lei lo accogliesse nel suo letto. Successivamente, si era adirata davanti al suo silenzio ed alla sua assenza, per poi, qualche ora più tardi, iniziare a preoccuparsi per lui ed infine sentirne profondamente la mancanza. Giunta a questo punto, aveva iniziato a ripensare al loro litigio, realizzando, con orrore, di quanto fosse stata sfrontata in alcuni momenti. Questa consapevolezza finì per essere ben più virulenta della rabbia.

A lui era successa più o meno la stessa cosa. Era stato irriconoscibile per tutto il weekend. Negli ultimi due anni gli era capitato spesso di passare una notte e persino l’intero weekend in teatro, totalmente immerso nel suo lavoro di introspezione di un personaggio. Ma questa volta la sua inquietudine non gli aveva consentito di trovare la serenità necessaria per concentrarsi sullo studio. Aveva passato ore e ore nel suo camerino come un leone in gabbia, esasperato dalla sua stessa indignazione e dall’effetto che la mancanza di nicotina aveva sul suo cervello. In preda alla collera, non era riuscito a distinguere la vera natura della sua rabbia. Non faceva che ripensare alla stessa cosa, ritornando sempre al momento in cui lei si era rifiutata di accoglierlo nel suo letto. Il suo orgoglio maschile ne era risultato talmente ferito che per tre giorni non si era reso conto di quale fosse il reale motivo della sua furia: il risentimento nei confronti di suo padre.

Tuttavia, la mattina del ventotto gennaio, Terence si era svegliato tremendamente infelice esattamente come in tutti i suoi precedenti compleanni. E forse persino di più, considerato che aveva dormito per ben quattro notti sul divano del suo camerino. Cupo e scontroso, era andato al country club per una cavalcata ed una doccia prima delle prove, trattandosi di un mercoledì. Purtroppo, però, neppure l’esercizio fisico lo aveva aiutato a sentirsi meglio, specialmente quando alcuni conoscenti che aveva incontrato negli spogliatoi avevano colto l’occasione per congratularsi con lui per le sue recenti nozze. Ovunque andasse, non riusciva a togliersi Candy dalla testa.
Ripercorse mentalmente tutti gli eventi, mentre cercava, con scarsi risultati, di buttar giù qualcosa per colazione, e per la prima volta da giorni, forse mosso dal suo crescente bisogno di lei, iniziò a vedere le proprie colpe. Tuttavia, per gran parte della giornata le pressioni del suo lavoro non gli consentirono di concentrarsi sulle sue riflessioni. Fu solo dopo cena, quando fece ritorno in un teatro ormai vuoto, che sentì gravare sulle proprie spalle l’enorme peso della colpa. Poi, improvvisamente, si ricordò del momento in cui aveva urlato a Candy di ‘scordarsi’ della storia di suo padre. Come in un incubo, ripensò all’indignazione ed al dolore dipinti sul suo volto. Sembrava che l’avessero schiaffeggiata. Come se si fosse sentito pugnalato da quel ricordo, Terence schizzò in piedi, prese giacca e soprabito e lasciò il camerino diretto al suo appartamento. Era pronto a riconoscere di aver sbagliato.

Sfortunatamente, quando arrivò a casa, trovò soltanto la Sig.ra O'Malley che si accingeva ad andarsene dopo aver sbrigato le sue faccende. La donna informò il suo datore di lavoro che la signora non era in casa e che aveva chiamato appena qualche minuto prima per dirle che non sarebbe rientrata per cena, dato che aveva deciso di raggiungere suo marito in teatro.

Com’era prevedibile, quest’ultima informazione significò tutto per Terence. Per poco non strangolò il tassista per spingerlo ad andare più veloce sulla via del teatro. Quando finalmente arrivò, notò la sua macchina parcheggiata di fronte all’ingresso e Roberto che leggeva comodamente il giornale al suo interno. Immaginando che lui e sua moglie avrebbero avuto bisogno di una lunga chiacchierata prima di essere pronti a tornare a casa, Terence lo congedò. Un attimo dopo si diresse verso il suo camerino con il cuore che batteva talmente forte da rimbombargli nelle tempie.
Quando aprì la porta, sgranò gli occhi alla vista dell’esile figura di Candy fasciata in un abito verde. Era in piedi al centro della stanza con il soprabito ancora tra le braccia e gli occhi cerchiati, segno evidente della mancanza di sonno. Eppure, quando lo vide, il suo volto si illuminò.

"Perdonami!" dissero entrambi all’unisono, un attimo prima che lui la travolgesse in un bacio appassionato che sapeva di desiderio e rimpianto. Con labbra fameliche, la sua bocca prese possesso di quella di lei, ancora e ancora, mentre il sapore del bacio si mescolava al gusto salato delle loro lacrime. Candy, che aveva pensato tutto il giorno a quello che avrebbe detto a Terence, dimenticò ogni parola, mentre le labbra di lui accarezzavano le sue ripetutamente e con crescente intensità. Proprio quella mattina si era svegliata da un sogno in cui lui la baciava con pari ardore; tuttavia, in quel sogno non tremavano come stava accadendo in quel momento.

Era come se il dolore dei lunghi anni di separazione si fosse decuplicato e dovesse essere cancellato dalla vigorosa fusione dei loro corpi. Spinti da un desiderio che non avevano mai sentito prima, acconsentirono tacitamente a perseguire inequivocabilmente lo stesso obiettivo. Lì, l’uno di fronte all’altra, con il corpo di lei stretto tra la parete e l’imponente figura di lui, con i vestiti ancora addosso e con le gambe tremanti aperte per accoglierlo, fecero di nuovo l’amore, appassionatamente ed inaspettatamente. Riversando l’angoscia dei rispettivi sentimenti in ogni loro movimento, esorcizzarono ancora una volta i loro demoni; la carne che lenisce e risana il dolore dell’anima.

Fu chiaro a entrambi che in quel preciso momento stavano oltrepassando un limite. Non si trattava semplicemente di una resa fisica, bensì di un tacito accordo secondo cui le loro rispettive volontà erano state messe da parte intenzionalmente per il bene della loro unione. Infine, mentre giacevano sul divano aspettando che il battito dei loro cuori tornasse alla normalità, la passione lasciò il passo alla tenerezza.

"Ero andato a casa per implorare il tuo perdono", fu la prima cosa che disse lui, ancora avvolto nella deliziosa nebbia della passione.

"Io ero venuta qui per fare altrettanto”, ammise lei sorridendo, mentre con un dito accarezzava delicatamente la fossetta sul suo mento.

"Ma, tu non avevi colpa. . . so che le tue intenzioni erano buone".

"Le intenzioni era senz’altro delle migliori, amore mio, ma i miei metodi di persuasione sono alquanto imperfetti”, ammise Candy con un triste sorriso.

"Se solo non avessi reagito mettendomi così sulla difensiva, avrei compreso la ragionevolezza delle tue parole".

Candy lo guardò intensamente, cercando di elaborare quello che aveva appena detto. Il suo unico obiettivo quella sera era stato quello di riprendersi suo marito. Riusciva a stento a credere che lui avesse ammesso che lei aveva ragione. Tuttavia, nella solitudine delle passate notti, Candy aveva imparato che avere ragione non è importante tanto quanto essere amati.

"Credo sia meglio mettere da parte la questione di tuo padre per adesso. È meglio che tu la risolva per conto tuo".

"E se ti dicessi che non voglio tenerti fuori da questa storia? Che ho bisogno del tuo aiuto perché non ho idea di come comportarmi?"

"In quel caso ti risponderei che sarei felice di starti accanto e sostenerti. Ma se dovesse capitare di nuovo che il mio aiuto non fosse bene accetto, ti pregherei di dirmi che preferisci gestire le cose da solo".

"Lo farò. Credi che riusciresti ad accettarlo?"

"Purché tu me lo dica in un modo che non mi faccia sentire improvvisamente esclusa dalla tua vita, credo che ci riuscirei”, accennò lei.

"Ti ho ferito quando ti ho detto di ‘scordarti’ della storia di mio padre, non è vero?" azzardò lui.

Lei annuì in silenzio, accoccolandosi sulla sua spalla.

"Sì, ma non pensarci più, Terence. Io, del resto, ho reagito nel peggior modo possibile. Anche io ti ho ferito, non è così?"

"Lo sai che ho bisogno di te. . . al mio fianco. . . nel mio letto. . . dentro di me, ogni notte. In questi ultimi giorni sono stato tremendamente infelice senza di te".

A questa confessione Candy si sentì stringere il cuore. Improvvisamente, fu assalita ancora una volta da un’ondata di rimpianto.

"E oggi era il tuo compleanno. . ." disse con una forte delusione nella voce, "Volevo che fosse tutto diverso. . . che passassimo la giornata insieme, felici. Se solo non fossi stata così sciocca da dire che. . . "

"Dimentica quello che è stato detto, amore mio", la interruppe lui, dandole un bacio sulla fronte, "Ricordiamoci solo di quello che possiamo imparare da questo assurdo litigio".

Dopo un secondo di esitazione, Terence, resosi conto che lei era ancora triste, decise di aggiungere: "Tra l’altro, questo compleanno non è stato poi così male".

"Come puoi dire una cosa del genere? È andato tutto storto! Esattamente come a Capodanno", gli disse lei mettendo il broncio.

"Tutt’altro, mia cara, quest’ultimo Capodanno sarà per sempre scolpito nella mia mente come la più bella notte della mia vita, perché sei diventata mia. E stanotte, proprio nel giorno del mio compleanno, mi hai concesso di tramutare in realtà uno dei miei sogni più antichi".

Lei corrugò la fronte, domandandogli una spiegazione. Lui esitò nuovamente per un attimo, chiedendosi se per caso non avesse toccato un argomento che lei non era ancora pronta ad affrontare. Ma poi, convinto che si fossero già addentrati abbastanza nelle profondità della sensualità, decise di parlare liberamente.

"Per molti anni ho fantasticato di fare l’amore con te qui in questa stanza, che è il mio tempio. Ti ho già detto di aver dormito qui in passato e non mentivo affatto. Ogni volta che credevo di non riuscir più a sopportare la mia vita, venivo a passare la notte qui e – nel silenzio più totale – ripensavo a te e immaginavo di possederti, anima e corpo. A volte con dolcezza e profondità, altre con intensità e passione, come stasera".

"Hai un’immaginazione davvero bizzarra, Terence", gli disse lei, incapace di contenere il suo rossore davanti alla sua audace confessione.

"Né più né meno di qualsiasi altro povero diavolo là fuori, tesoro", rispose lui, scoppiando a ridere al suo commento. "Sin da ragazzi, la maggior parte degli uomini pensano alle ragazze in quel modo".

Candy batté le palpebre sbalordita.

"Sin da ragazzi?. . . Pensavi a me in quel modo. . . a scuola?" gli chiese scioccata.

"Oh sì! Di continuo, mia cara tuttelentiggini!" rispose lui con un malizioso sorriso ad illuminargli il volto, "Credimi, Candy, il mio amore per te non è mai stato platonico".

Lei restò in silenzio per un po’, mezzo sbigottita e mezzo lusingata. Questo inatteso scorcio della psiche maschile fu un importante passo in avanti nella sua comprensione degli uomini. Improvvisamente, considerando le sue precedenti esperienze con l’amore fisico, un’inimmaginabile domanda affiorò dalla sua mente. E con sua grande sorpresa, trovò il coraggio di porla ad alta voce.

"Quali altre fantasie del genere avevi?"

Lui riusciva a stento a credere che lei stesse mostrando interesse per l’argomento, ma colse l’opportunità di aprire un’altra porta sulla loro intimità.

"Potrei scriverci un libro. Vuoi davvero saperne di più?" le chiese lui con evidente sfrontatezza.

"Oh beh . . . Io . . . sono . . . curiosa", ammise lei, mordendosi il labbro.

"Ecco! Questo non dovresti farlo così a cuor leggero", osservò lui, indicando la sua bocca.

"Cosa?"

"Morderti il labbro in quel modo. Non hai idea di cosa scateni nella mente di un uomo!" disse lui sfrontatamente, mentre con le dita tracciava il contorno delle sue labbra. "Forse potrei iniziare da lì il racconto approfondito delle mie fantasie perverse. Ma prima devi promettermi una cosa".

"Come mai ho l’impressione che tu voglia qualcosa in cambio della rivelazione?" gli chiese lei con un’impertinenza che uguagliava il tono sfacciato di lui.

"Ovviamente, ogni cosa ha un prezzo a questo mondo, madame".

"D’accordo, dimmi, quale sarebbe il prezzo da pagare per un’anteprima sulle tue fantasie?", lo sfidò sarcasticamente lei.

"Che tu mi permetta di trasformarle in realtà”.

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Come da accordi, una settimana dopo Richard Grandchester fece finalmente visita a suo figlio. I Grandchester avevano deciso di organizzare l’incontro a casa loro subito dopo cena. Per garantire la privacy, i domestici erano stati congedati prima dell’arrivo del Duca. Pertanto, fu la Sig.ra Graham in persona ad aprire la porta per accogliere suo suocero, conducendolo, dopo i consueti convenevoli, nello studio dove Terence lo attendeva.

Lasciati soli i due uomini, Candice corse alla finestra del salotto e la aprì per guardare giù in strada. Come immaginava, l’autista ed il segretario del Duca erano rimasti in macchina, come nella precedente occasione. Questa volta, però, la temperatura era decisamente più rigida ed il sole era già scomparso dietro l’orizzonte. Fedele al suo buon cuore, la giovane scese giù, attraversò la strada ed invitò i due uomini a prendere una tazza di the.

Dapprima i due uomini rimasero sconcertati dall’invito e prima che il segretario riuscisse a formulare una qualche risposta, si scambiarono un fugace sguardo carico di sorpresa.

"Vossignoria, non credo che sarebbe appropriato".

"Beh, forse se prima facessimo le dovute presentazioni, non ci sarebbe tutto questo imbarazzo. Signori, vi dispiacerebbe scendere dall’auto?"

Ancora piuttosto incerti e sorpresi dell’appellativo “signori” ad essi rivolto, i due uomini obbedirono prontamente.

"Bene", esordì Candy tendendo la mano, una volta che furono tutti e tre faccia a faccia, "la maggior parte della gente crede che il mio nome sia Candice Graham, ma penso di potermi tranquillamente presentare a voi con il mio vero nome, ovvero Candice White Grandchester".

"Edward Perkins, Vossignoria", disse il segretario, ancora sorpreso dalla cordiale stretta di mano della giovane.

"John Samuels, Vossignoria", disse l’autista, egualmente confuso dalla situazione.

Candy, divertita dalla cerimoniosità dei due uomini, decise di ignorare il modo in cui le si rivolgevano. Dopo la prima stretta di mano, fece loro strada verso l’appartamento. Una volta all’interno, li invitò ad accomodarsi in salotto e, come promesso, servì loro il the.

Essere invitati da un membro della famiglia Grandchester a prendere un the in un luogo che non fossero gli alloggi del personale era del tutto insolito per i due uomini. Ma addirittura potersi godere il suddetto the accanto a un membro della famiglia era un evento assolutamente eccezionale.

"Allora, Sig. Perkins, da quanto lavora per Sua Grazia?" chiese Candy con naturalezza, una volta accomodatasi di fronte ai due uomini, così da dare inizio alla conversazione.

Perkins, un uomo robusto sulla cinquantina ormai quasi del tutto calvo, le rivolse uno sguardo incredulo. I membri della famiglia non si rivolgevano mai a lui definendolo “Signore”, limitandosi a chiamarlo per cognome.

"Vent’anni, signora", rispose timidamente, ritenendo che forse in America fosse normale rivolgersi al personale di servizio in quel modo, "Gli americani sono una strana razza", pensò.

"È decisamente un bel po’ di tempo, Sig. Perkins. E Lei, Sig. Samuels, da quanto è al servizio della famiglia?" chiese Candy, proseguendo con la conversazione.

"Venticinque anni, signora", rispose Samuels, che doveva avere poco meno di cinquant’anni ed i cui occhi scuri erano profondamente espressivi.

"Dunque immagino che entrambi conosciate mio marito da quand’era piccolo. Era un bambino cattivo?" chiese curiosa.

"Il Marchese?" chiese Perkins, sentendosi più a suo agio grazie al tepore del the, in netto contrasto con il gelo della strada. "Beh, signora, non lo vedevo spesso perché si trovava già alla Saint Paul School quando ho iniziato a lavorare per Sua Grazia. Ma nelle poche occasioni in cui ho potuto interagire con lui, mi era sempre sembrato un bambino molto tranquillo".

Candy fu sorpresa dall’appellativo con cui l’uomo si era rivolto a Terence, ma decise di soprassedere e di parlarne con suo marito più tardi.

"Lei se lo ricorderà certamente meglio, Sig. Samuels?" chiese dunque all’autista.

"Oh, sì. Sua Grazia mi ha assunto l’anno in cui fece ritorno in Inghilterra dopo la morte del padre. Ricordo che da piccolo Sua Signoria era un bambino normalissimo. Con il passare degli anni divenne più taciturno. Immagino fosse a causa della rigide regole della scuola che frequentava".

"Interessante", rispose lei, continuando a conversare, mentre il Duca e suo figlio parlavano nello studio.

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