Candy Candy

ROUND ROBIN IN ATTESA DI TITOLO!, Fan Fiction a più mani

« Older   Newer »
  Share  
icon1  view post Posted on 6/2/2016, 15:53     +6   +1   -1
Avatar

Group:
Special friend
Posts:
9,727

Status:


ATTENZIONE. QUESTA PUBBLICAZONE E' INTERROTTA E RESTERA' PRIVA DI FINALE. CHI INIZIA LA LETTURA SIA CONSAPEVOLE DI QUANTO SOPRA.


Era una notte buia e tempestosa...
Tutte le storie iniziano così, no?
Io non ricordo se era una notte buia e tempestosa, ma ricordo esattamente quando è stato che tutto ha avuto inizio...
Era il lontano dicembre 2012 ed io ero appena arrivata su questo forum. Non sapevo che, tra una chiacchiera e l'altra, di topic in topic e di post in post, stava nascendo e consolidandosi uno di quei legami che sarebbero durati tutta la vita, di quelle amicizie rare e preziose che sbocciano dove e quando meno te l'aspetti, ma creano nodi indissolubili: una famiglia d'elezione.
Una sera (forse buia e tempestosa, o forse no...) in cui stavamo, ovviamente, parlando di Candy Candy, mi nasce un'idea folle e la butto lì:
"Perchè non proviamo a scrivere una nostra storia? Un round robin su Candy a più mani?"
Sono passati più di tre anni da allora; nuove amiche si sono aggiunte; qualcuna non vive più nella stessa città, qualcun'altra ha cambiato casa; figli sono nati e sono cresciuti; altre storie sono state scritte, nel frattempo; ci sono state gioie, dolori piccoli e grandi... ma soprattutto: tante, tante risate per tutte noi, come in ogni vita.
Ma una costante è rimasta: quell'amicizia nata un po' per caso e un po' per fortuna è cresciuta e si è consolidata, resitendo agli urti e alle carezze della vita.
E, a distanza di più di tre anni, possiamo finalmente dire: "Siamo ancora qui, più unite che mai!"
Ma soprattutto, possiamo dire: "Il nostro Round Robin è realtà!"

Questa premessa, che probabilmente vi avrà annoiato a morte, serve a dirvi che la storia che io e le mie meravigliose amiche-sorelle stiamo andando a condividere con tutti voi non è solo una Fan Fiction. In un certo senso è stato un filo rosso attorno al quale siamo cresciute in questi tre anni. Vi voglio bene, amiche mie!


E ora, qualche doverosa nota chiarificatrice per tutti/e coloro che si avvicineranno a questa storia per leggerla:
Anche se abbiamo aspettato a pubblicarla che fosse terminata (o quasi... :auri: ), questa storia è stata scritta nella più pura tradizione dei Round Robin: ciascuna di noi ha scritto uno o più capitoli, senza che vi fosse un'ordine ben preciso. Ogni volta che un capitolo veniva scritto, veniva letto da tutte e poi una volontaria si offriva per proseguirla. Come scoprirete, tra di noi ci sono terenciane di ferro e albertiane appassionate, quindi nessuna di noi sapeva dove alla fine ci avrebbe portato questa storia. E' stato bello scoprirlo assieme, di volta in volta, di capitolo in capitolo, come una tela il cui ricamo compare a poco a poco sotto le mani di chi tesse.
Non vi diremo di quanti capitoli si compone in tutto la storia, nè quanti capitoli ha scritto ciascuna di noi. Scopritelo con noi, se vorrete: a partire da oggi, posteremo un capitolo ogni settimana, a cura dell'autrice del capitolo stesso.
Comincio io, che ho dato il via a questa splendida avventura e con orgoglio e molta emozione vi presento la primissima cosa che ho scritto nella mia vita. Prima di Smeraldi e Zaffiro, prima delle Uàn Sciòt, prima di ogni altra cosa c'è stato il Round Robin, gelosamente custodito nel mio PC per anni...

Ecco quindi che vi aprono i loro cuori:

Candy75
Cerchi di Fuoco
Italia74
Lady Oscar
Piccoletta 76
Piricandy
Poing Poing
Sciara

(ovviamente tutte citate in mero ordine alfabetico... :sorrisone: )


Un'ultima cosa: in tre anni non siamo riuscite a trovare un titolo, quindi abbiamo pensato che saranno proprio le lettrici a sceglierlo, con un contest che apriremo quando la parola "fine" sarà stata messa a questa splendida avventura.
Quella con cui tutto è cominciato.

Buona lettura da tutte noi a chiunque passerà tra queste pagine!
:giusy:
CdF


Edited by Cerchi di Fuoco - 17/8/2023, 17:44
 
Top
view post Posted on 6/2/2016, 18:03     +2   +1   -1

Group:
FANatic
Posts:
966
Location:
WonderLand

Status:


Mamma mia, ho quasi paura a postare un commento, primo perchè sarebbe trai primi (se non il primo) e questo non è da me vista la mia proverbiale lumachezza qui sul forum, ma soprattutto perchè manco da queste pagine da un'infinità di tempo, troppo tempo. Ma spesso la vita ci conduce altrove, lontano da dove vorremmo davvero essere, però il mio cuore non si è mai allontanato da qui e dalle meravigliose persone che proprio qui ho conosciuto e che sono diventate parte di me. :love6.gif:
Ed è con queste amiche meravigliose che, come ha detto Cerchiuzzi, è nata questa follia del RR. Già, perchè per me è stata proprio una follia, io che amo leggere e non scrivere, ma ne è venuto fuori qualcosa di inaspettato che spero piaccia a tutte.
Quindi ringrazio Cerchiolina per aver avuto questa idea e ringrazio le compagne di viaggio che si sono via via imbarcate in questa avventura che non si sa ancora dove ci porterà. :odyssea: Se volete saperlo, salite a bordo.
Baci a tutte e buona lettura. :giusy: :giusy: :giusy: :giusy:
:1311thumbnailij2.gif:

P.S. ora vado a leggere anch'io il capitolo perchè non me lo ricordo più :auri:
 
Top
view post Posted on 8/2/2016, 23:50     +1   -1
Avatar

Group:
Member
Posts:
1,778
Location:
Salerno

Status:


:love3.gif: :love3.gif: :love3.gif:
CITAZIONE (cerchi di fuoco @ 6/2/2016, 15:53) 
[color=blue]Era una notte buia e tempestosa...
Tutte le storie iniziano così, no?
Io non ricordo se era una notte buia e tempestosa, ma ricordo esattamente quando è stato che tutto ha avuto inizio...
Era il lontano dicembre 2012 ed io ero appena arrivata su questo forum. Non sapevo che, tra una chiacchiera e l'altra, di topic in topic e di post in post, stava nascendo e consolidandosi uno di quei legami che sarebbero durati tutta la vita, di quelle amicizie rare e preziose che sbocciano dove e quando meno te l'aspetti, ma creano nodi indissolubili: una famiglia d'elezione.
Una sera (forse buia e tempestosa, o forse no...) in cui stavamo, ovviamente, parlando di Candy Candy, mi nasce un'idea folle e la butto lì:
"Perchè non proviamo a scrivere una nostra storia? Un round robin su Candy a più mani?"
Sono passati più di tre anni da allora; nuove amiche si sono aggiunte; qualcuna non vive più nella stessa città, qualcun'altra ha cambiato casa; figli sono nati e sono cresciuti; altre storie sono state scritte, nel frattempo; ci sono state gioie, dolori piccoli e grandi... ma soprattutto: tante, tante risate per tutte noi, come in ogni vita.
Ma una costante è rimasta: quell'amicizia nata un po' per caso e un po' per fortuna è cresciuta e si è consolidata, resitendo agli urti e alle carezze della vita.
E, a distanza di più di tre anni, possiamo finalmente dire: "Siamo ancora qui, più unite che mai!"
Ma soprattutto, possiamo dire: "Il nostro Round Robin è realtà!"

Questa premessa, che probabilmente vi avrà annoiato a morte, serve a dirvi che la storia che io e le mie meravigliose amiche-sorelle stiamo andando a condividere con tutti voi non è solo una Fan Fiction. In un certo senso è stato un filo rosso attorno al quale siamo cresciute in questi tre anni. Vi voglio bene, amiche mie!

Cerchiolina mi hai fatto commuovere :triste4.gif: Oramai ero quasi convinta che questa nostra avventura insieme non avrebbe mai visto la luce. E invece eccoci qui, dove tutto è cominciato, a continuare a sognare con la nostra eroina e i suoi amici. Ad immaginare quella lunga storia che Nagita non ha voluto raccontarci e di cui ci ha delineato solo dei piccoli scorci. E noi ce la siamo scritta da sole e dandoci la nostra impronta. Grazie amiche mie per esserci e per continuare ad amare e sognare insieme su questa meravigliosa storia.
Ora vado a leggere anch'io il capitolo perché non mi ricordo più niente :sorrisone:
 
Top
view post Posted on 9/2/2016, 19:02     +1   -1
Avatar

Group:
Fan
Posts:
159

Status:


Wouuu
Splendida idea
Il primo capitolo mi ha già entusiasmato
 
Top
view post Posted on 9/2/2016, 23:20     +1   -1

Group:
Member
Posts:
18

Status:


Bello ed emozionante il primo capitolo... Non vedo l'ora di leggere il seguito!!!
 
Top
view post Posted on 10/2/2016, 08:53     +1   -1
Avatar

Group:
Special friend
Posts:
9,727

Status:


Grazie mille, Sanlu e Seguimi per il vostro apprezzamento!
Buon proseguimento.
:giusy:
CdF
 
Top
luna71
view post Posted on 10/2/2016, 15:09     +1   -1




Ma che bella sorpresa, questa storia a più mani è un regalone.
Già leggendo il primo capitolo, dove Candy torna in Inghilterra, dove lavora al collegio, dove grazie ai luoghi e ad alcuni personaggi fa riaffiorare emozioni forti, mi viene il magone.
Il distaccarsi dal gruppo delle compagne al porto, la chiacchierata con Suor Margaret, il ricovero di Marc una porta spalancata sui ricordi.
La determinazione di Albert, la coerenza del suo personaggio.
Non vedo l'ora di leggere il resto
 
Top
view post Posted on 10/2/2016, 19:47     +1   -1

Group:
Fan
Posts:
140

Status:


Davvero brillante e originale l'idea del Round Robin, sono curiosa ma non mi resta che aspettare dove porterà la vostra fantasia, ma un pò già vi conosco e siete tutte bravissime, sono sicura che sarà un capolavoro.
Brava, brava cerchi un inizio interessante e avvincente, sei riuscita a trasmettere entusiasmo già nel primo coinvolgente ed emozionante capitolo, davvero molto molto bello e se il buongiorno si vede dal mattino........ impaziente di leggere anche le altre sarò una sfegatata lettrice e sostenitrice.
Un abbraccio e un in bocca al lupo a tutte !!!!
Sarà interessante e divertente dare un titolo alla storia.
 
Top
view post Posted on 10/2/2016, 22:55     +1   -1
Avatar

Group:
Special friend
Posts:
9,727

Status:


Luna, Camilla..
Felice di avervi a bordo!
Buona lettura, ne vedrete delle belle!
:giusy:
CdF
 
Top
view post Posted on 12/2/2016, 13:59     +4   +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
1,127
Location:
Roma

Status:


Era un mattino caldo e soleggiato ( almeno mi sembra ) il giorno in cui il mio telefono iniziò a squillare con la scritta "Cerchi" sul display.
Come ogni volta che accade, anche allora alzai gli occhi al cielo pensando " e mo che vole sta scassam..."
Combattendo ogni reticenza, sempre perché sono troppo buona, anche quella volta risposi.
La scassa di cui sopra iniziò a parlare a manetta di una storia da portare avanti insieme ad altre scassam... come lei, di finali doppi, di intrecci amorosi e di sto benedetto Round Robin, termine che, perdonate l'ignoranza, non avevo mai sentito...Credevo essere l'amico di Round Batman. :risata::risata::risata:
Accettai, sempre perché sono troppo buona e non mi andava di rifilarle un due di picche....
Ed è così che è nato questo capolavoro!
:risata::risata::risata::risata::risata::risata::risata::risata::risata::risata::risata::risata:
Ok, ok, ok, sto mentendo!!!
La verità è che mi sono emozionata a leggere l'introduzione di Cerchi e non trovo le parole adatte ad esprimere quello che vorrei.
Ricominciamo.
Era un mattino caldo e soleggiato, e fin qui direi che combacia.
Ero in autobus ed effettivamente squillò il mio telefono con la scritta Cerchi.
Senza alzare gli occhi al cielo, ma anzi, estremamente felice si sentire un'AMICA, risposi.
Lei iniziò effettivamente a parlare a manetta di tutto quello che ho detto, ed io, che davvero non conoscevo il termine Round Robin feci probabilmente anche la squallida battuta sul Round Batman, ma, quando compresi sul serio di cosa mi stava parlando, quando capii che mi voleva a bordo della sua nave come marinaio, accettai e lo feci con immenso piacere.
Mi sentii onorata di entrare a far parte di questo bellissimo progetto, avrei fatto anche il mozzo, pulito il ponte le cabine e i bagni se me lo avesse chiesto, ma lei mi voleva marinaio, come le altre.
In tempi record lessi tutto quanto era già stato scritto e scrissi di getto il mio capitolo.
Ed ora che questo sogno visionario di Cerchi sta trovando spazio qui sul forum, ora che tutte le parole, i pensieri e le fantasie di questo gruppo folle composto da me e le mie amiche-sorelle stanno per essere davvero messe nero su bianco, io mi sento ancora più onorata e felice di far parte di questa famiglia d'elezione.
Quindi il mio primo ringraziamento va a voi ragazze, Candy75, Cerchi di Fuoco, Italia74, Piccoletta 76, Piricandy, Poing Poing e Sciara per esserci, sempre.
Non potrei più immaginare la mia vita senza di voi.
Il secondo va a tutte coloro che avranno voglia e pazienza di leggerci. Spero saranno in tante e spero si divertiranno nel leggerlo come noi ci siamo divertite e ci stiamo tuttora divertendo nel portarlo avanti.

ora che ho fatto la mia porca figura con questa premessa passiamo ai fatti.

Che dire del primo capito... parla da solo! È MERAVIGLIOSO
Che Cerchi scriva benissimo è risaputo, che sappia amalgamare in modo impeccabile luoghi storie e situazioni intrecciando la realtà con la fantasia, pure!
Io l'ho amato dalla prima all'ultima lettera.
Menomale che il mio capitolo dista un bel po' dal suo, senno si sarebbe notata troppo la differenza :sorrisone:
Non che le altre siano da meno, intendiamoci!!
Qui in mezzo la più zappa sono io quindi tranquille, a parte i miei capitoli, il resto sarà un capolavoro!
Per ora : BRAVA CERCHIUZZA!!!!
 
Top
view post Posted on 12/2/2016, 19:35     +1   -1

Group:
FANatic
Posts:
966
Location:
WonderLand

Status:


:risata: :risata: :risata: :risata: :risata: :risata: :risata:
Ladyna mi hai fatto morire!!!!!
Comunque su una cosa concordo: che Cerchiuzzola è una grandissima scassam..... ehm....scrittrice :sorrisone: :sorrisone: :diavoletto.gif:
E sarò io a sfigurare visto che il prossimo capitolo è il mio :triste4.gif: :triste4.gif: :triste4.gif:
Vabbè intanto ringrazio le forumelle che hanno cominciato a leggere, spero di non farvi passare io la voglia omg-shocked
Vi assicuro che dopo rimigliora :auri:

:love3.gif: :love3.gif: :love3.gif: :love3.gif:
 
Top
view post Posted on 12/2/2016, 20:40     +1   -1
Avatar

Group:
Special friend
Posts:
9,727

Status:


Ma quanto siete sceme? :risata: :risata: :risata: :risata:
Ma la cosa più bella è che io sono memorizzata come "Cerchi" nel telefono di LAdyna... :risata: :risata: :risata: :risata:

LAdyna, tu lo sai quanto ti adoro. Questa avventura non poteva andare da nessuna parte, senza di te!
E candyna, smettila subito, che il prossimo capitolo è magistrale! Non vedo l'ora di rileggerlo!

Adesso scusate, ma me ne torno nella Bat Round Caverna! :sorrisone:
:giusy:
CdF
 
Top
view post Posted on 14/2/2016, 11:58     +1   -1

Group:
FANatic
Posts:
966
Location:
WonderLand

Status:


Buongiorno a tutte Bat Forumelle!!!! :risata:
Eccomi qui con il secondo capitolo di questo Bat Round Robin :risata:
Spero vi piaccia, ci sono un pò tutti i nostri amati :ok2.gif: (e anche quelli odiati :arrabbiato2.gif: ) personaggi, ognuno con le sue ansie e le sue speranze (da qui il titolo del capitolo) e qualcuno anche con le sue ossessioni (malate).
Ma basta non vi anticipo più nulla se no vi rovino la sorpresa :odyssea:
Andate a leggere!!!! :doll: :doll:
Buona lettura e a presto.
Baciiiiiiiii :giusy: :giusy: :giusy: :giusy:


CAPITOLO II
Ansie e Speranze

Iriza Legan si sedette accanto al fratello, nella grande sala da pranzo della loro residenza di Chicago, e si versò un'abbondante tazza di caffè. Era ancora assonnata e aveva il viso segnato da profonde occhiaie scure, che quella mattina la facevano assomigliare ad un panda. Prese un giornale dal mucchio appoggiato sulla tavola apparecchiata per la colazione, e cominciò a leggere distrattamente. Suo fratello Neal non la degnò di uno sguardo, apparentemente immerso nella lettura di un altro quotidiano, e intento a sorseggiare il suo caffè.
"Fantastico!! Ora siamo in guerra anche noi!!!" la voce petulante di Iriza quella mattina sembrava più stridula del solito, probabilmente per le poche ore di sonno che si era potuta concedere. Come spesso accadeva, anche la sera prima si era ritirata a tarda ora, o forse sarebbe stato meglio dire che si era ritirata presto quella mattina. In ogni caso, negli ultimi tempi, la sua occupazione preferita era diventata quella di passare da una festa all'altra, a caccia di marito, anche se lei non avrebbe mai ammesso che fosse quello il suo obiettivo principale.
"Ci mancava solo la guerra! Ora la gente si sentirà in colpa e non avrà più voglia di divertirsi. Già ieri sera, alla festa dei Bolton, non si parlava d'altro. A proposito sai chi c'era alla festa?" Iriza quella mattina era un fiume in piena e, senza nemmeno dare il tempo a Neal di rispondere nulla, continuò il suo monologo.
"C'erano il cugino Archie e quella Annie Brighton! Gli è stata incollata per tutta la sera. Queste sporche orfanelle sono solo a caccia di un ricco marito, con cui sistemarsi e sfornare un mucchio di mocciosi ingrati e opportunisti come loro. Annie, sotto quell'apparenza dimessa, non è tanto diversa da quella ladra della nostra stalliera!"
Neal, a quel punto, sollevò lo sguardo dal giornale e fissò sua sorella che, impegnata ad imburrarsi un toast scuoteva la testa indignata e proseguiva nel suo sproloquio mattutino.
"E la cosa più scandalosa è stato il modo in cui ha osato trattarmi nostro cugino! Quando mi sono avvicinata per salutarli, si è messo in mezzo tra me e la Brighton, minacciandomi e dicendomi di stare lontana dalla sua fidanzata e di lasciarla in pace! Come se io avessi interesse a stringere un qualche tipo di rapporto con un'orfana! La zia Elroy non è affatto felice di questo fidanzamento; il problema è che hanno la protezione dello zio William, che, tra parentesi, sarebbe stato meglio avesse continuato a fare il vagabondo, piuttosto che occuparsi dei nostri affari! La nostra famiglia non è mai caduta così in basso: prima l'adozione di Candy e ora il fidanzamento di Archie!"
Al solo sentire pronunciare il nome di Candy, Neal ebbe un leggero sussulto, che non sfuggì alla sorella, la quale lo fissò sospettosa con i suoi perfidi occhi scuri.
"Insomma, vuoi dire qualcosa o no? Come mai questa mattina sei così silenzioso?" lo punzecchiò, pronta a sferrare un ulteriore attacco, incurante del fatto che era come gettare sale sulla ferita ancora aperta di suo fratello.
"Sorellina” cominciò Neal in tono sarcastico e tagliente, “detto fra noi, di quello che fa o non fa nostro cugino Archie con Annie, non me ne frega un accidente!"
"La verità è che fa tutte queste moine ad Annie, solo perché Candy non c'è! E se siamo fortunati potrebbe pure rimanere sotto una bomba e non tornare più, quella lurida arrivista senza scrupoli! Che liberazione sarebbe!" esclamò Iriza trionfante e grondante di disprezzo, esibendo il suo solito sorrisetto soddisfatto per avere inferto un’altra stoccata alla odiata Candy, e per averlo fatto davanti a suo fratello, evidentemente ancora incomprensibilmente ferito dall’essere stato scaricato così impunemente da quell’orfana irriconoscente. Neal avrebbe dovuto reagire, invece di piangersi addosso e, soprattutto, avrebbe dovuto smettere di pensare a lei una volta per tutte. Almeno fino a quando non avrebbero escogitato qualcosa per mettere finalmente le mani sul patrimonio degli Andrew, una fetta del quale spettava loro di diritto.
Neal si alzò di scatto e, senza dire una parola, si mise sotto braccio il giornale che stava leggendo e se ne andò, lasciando Iriza da sola al suo delirio di onnipotenza, senza più nessuno con cui condividere la sua acida loquacità mattutina.
Entrò nello studio di suo padre, si sedette alla scrivania e si accese una sigaretta. Mentre inalava il fumo, sentì i suoi nervi rilassarsi; se fosse rimasto ancora due minuti con sua sorella avrebbe finito per gettarle il caffè bollente sulla faccia. Non capiva nemmeno lui perché si sentiva così infastidito a sentirla parlare di Candy. Del resto avrebbe dovuto essere abituato al tono sprezzante che aveva usato Iriza, ma negli ultimi tempi qualcosa era cambiato. Certo, gli bruciavano ancora la delusione e la rabbia per essere stato rifiutato da Candy ed essere stato umiliato da lei e dal suo tutore, davanti a tutta la famiglia Andrew. Su una cosa Iriza aveva certamente ragione: se quel vagabondo di Albert non si fosse presentato come lo zio William, ora probabilmente Candy sarebbe sua moglie e di certo non l’avrebbe lasciata partire per la guerra, come invece aveva fatto quel guastafeste. Aveva sperato che non vederla più e saperla lontana gli avrebbe fatto passare la sua infatuazione, ma da quando era partita si era ritrovato a origliare le conversazioni dei domestici, per cercare di carpire informazioni e notizie provenienti da casa Andrew, a farsi mandare i giornali dall’Inghilterra, sebbene gli arrivassero in ritardo di un mese, e, cosa ancora più preoccupante, non riusciva a smettere di pensare a lei neanche un minuto. Da quando il loro fidanzamento era stato così platealmente annullato un anno prima, le occasioni per vederla erano state molto poche. Albert la teneva a debita distanza da tutti loro e le stava addosso come un falco; era evidente che il suo interesse andava ben al di là del semplice legame familiare. Grazie al suo intervento, inoltre, Candy aveva ripreso a lavorare come infermiera all’ospedale Santa Johanna. Quando Iriza, scandalizzata, glielo aveva detto, lui si era spesso ritrovato ad aspettarla fuori dall’ospedale, dall’altra parte del marciapiede, nascosto da uno degli alberi del viale per non farsi vedere. Non aveva mai tentato di avvicinarla, anche perché era spesso in compagnia di qualche collega infermiera, e quando usciva tardi dopo il turno serale c’era sempre George ad aspettarla per riaccompagnarla a casa in auto. Poi, il gennaio precedente, aveva appreso della sua improvvisa partenza per Londra. E la gelosia nei confronti di Albert era stata rimpiazzata da una rabbia cieca: come aveva potuto acconsentire a farla partire per un posto così pericoloso? In realtà, più della paura per l’incolumità di Candy, quello che lo infastidiva maggiormente era non poterla più spiare e nutrire quella che ormai per lui era diventata una vera e propria ossessione. Quando tornava a casa dopo averla vista fuori dall’ospedale, fantasticava su di lei, su loro due insieme. Ed ora che l’oggetto del suo desiderio era al di là dell’oceano, si sentiva derubato dell’unica cosa che gli era rimasta dopo la rottura del fidanzamento: le sue fantasie.
Spiegò il giornale sulla pagina che stava leggendo, prima che Iriza iniziasse a tormentarlo con i suoi discorsi. Era un giornale inglese, di un paio di mesi prima, e in seconda pagina si parlava ancora della tremenda esplosione avvenuta a Londra alla fabbrica di munizioni. Quello che lo aveva interessato, non era tanto il fatto in sé, ma l'articolo parlava del coraggio e della competenza di un gruppo di infermiere americane che, in quell'occasione, avevano curato i feriti più gravi dell'incidente e contribuito a salvare numerose vite, meritando un encomio ufficiale da parte delle autorità londinesi. Al centro della foto che accompagnava l'articolo, un'infermiera bionda nella sua uniforme immacolata sorrideva, attorniata dalle sue colleghe, e stringeva la mano al sindaco di Londra, Charles Hanson, che le aveva appena appuntato una medaglia al petto.
Neal prese un paio di forbici dal cassetto della scrivania e ritagliò l'articolo, continuando a fissare intensamente la foto, come se il suo sguardo potesse far materializzare il soggetto fotografato, davanti a lui. Quanto aveva desiderato andare a Londra, nelle settimane passate, per vederla, anche solo da lontano, come era solito fare davanti al Santa Johanna. E ora, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, forse avrebbe avuto una lodevole scusa per farlo. Ma doveva muoversi in fretta, se sua sorella avesse scoperto quello che aveva in mente, lo avrebbe detto ai loro genitori e quest’ultimi alla zia Elroy, obbligandolo a rinunciare ai suoi propositi. Voleva poter stare vicino a Candy e c’era un solo modo per farlo senza che lei sospettasse le sue vere intenzioni e i suoi veri sentimenti. Con le conoscenze di suo padre, non sarebbe stato difficile farsi mandare a Londra con un tranquillo incarico d’ufficio; non aveva nessuna intenzione di ritrovarsi su un campo di battaglia o peggio sepolto in una fangosa trincea francese, non voleva certo fare la fine di suo cugino Stear. Che imbecille! Arruolarsi volontario in un paese straniero e combattere in prima linea! Lui non era così stupido, ci teneva alla pelle, l’unica cosa che voleva era fare colpo su Candy e la divisa lo avrebbe certamente aiutato, poco importava se il suo arruolamento nell’esercito non fosse motivato da alti ideali patriottici. E questa volta, con un oceano di distanza, non ci sarebbe stato nessuno zio William a mettersi in mezzo, Candy non avrebbe rifiutato la compagnia di un amico, praticamente uno della sua stessa famiglia, da sola in un paese straniero e in guerra; questa volta sarebbe caduta tra le sue braccia, l’avrebbe sedotta, sarebbe ritornato a casa con lei e l’avrebbe sposata, e nessuno si sarebbe potuto opporre, soprattutto se Candy fosse tornata a casa in attesa di un bambino, il suo bambino. Deliziato da questi pensieri, si alzò dalla poltrona, si mise nella tasca della giacca l’articolo ritagliato e buttò il resto del giornale nel cestino. Aspirò l'ultima boccata dalla sigaretta e, dopo averla spenta, uscì dallo studio, deciso a mettere subito in pratica i suoi sciagurati propositi.


*****

Chicago, 23 aprile 1917
Mia adorata Candy,
solo un animo puro come il tuo è in grado di riconoscere la sincerità di un giovane amore, di gioire della bellezza di un fiore e di anelare a trovare speranza anche quando questa è messa a dura prova dall’egoismo e dalla cattiveria dell’uomo, di cui questa guerra è la triste dimostrazione.
Ti ammiro per quello che hai scelto di fare e so che il tuo cuore non perderà mai la sua forza e la sua voglia di lottare contro tutta questa sofferenza.
Da poche settimane il nostro Presidente ha dato il triste annuncio del coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto e puoi immaginare il peso che questa decisione avrà nelle vite di milioni di persone. Non posso fare a meno di pensare a tutti quei ragazzi che partiranno per l’Europa, alle loro famiglie in attesa del loro ritorno, e non posso fare a meno di pensare al nostro Stear, che non rivedremo più a causa di questa guerra.
So che starai attenta, ma non posso nasconderti la mia sempre più crescente preoccupazione; non sarò tranquillo finché non ti avrò di nuovo qui con me, finché non potrò nuovamente stringerti tra le mie braccia. Non vedo l’ora che arrivi quel giorno.
Sono grato del fatto che il lavoro mi tenga sempre molto occupato, solo così riesco a non essere sopraffatto dalle mie paure per la tua salute e la tua incolumità. Scusami, so che queste mie parole potrebbero farti sentire in colpa, ma non devi preoccuparti per me e per tutti noi qui. Preoccupati solo di te stessa, noi stiamo tutti bene.
Prima di lasciarti devo darti una notizia, che ha gettato nello sconforto più totale la zia Elroy: Neal ha deciso di arruolarsi. La cugina Sarah ha avuto un malore quando l’ha saputo e non si è ancora ripresa, ma siamo stati messi tutti davanti al fatto compiuto e c’era ben poco che potessimo fare per impedirlo. La zia Elroy, come puoi immaginare, è molto addolorata, non si era ancora ripresa dalla scomparsa di Stear, che ora un altro nipote mette a rischio la propria vita. Spero che tu non rimanga turbata da questa notizia. Neal ha fatto la sua scelta che, per quanto sciagurata e, francamente inaspettata, va comunque rispettata. In ogni caso, per ora si trova ancora al sicuro nel nostro Paese. Grazie ad un conoscente dei Legan, è stato inviato all’Ufficio Reclutamento di New York, dove si occupa delle pratiche per lo smistamento dei soldati. Dubito che partirà per il fronte, ma come puoi immaginare la sua famiglia non si capacita di questo suo ennesimo colpo di testa e la zia Elroy mi ha già chiesto di tenerlo d’occhio e di scongiurare, attraverso i miei contatti, un suo eventuale invio in Europa.
Ora ti devo salutare, il dovere mi chiama, non prima però di averti augurato buon compleanno, in anticipo per me che scrivo, ma in ritardo per te quando leggerai. C’è un regalo che ti aspetta per quando tornerai.
Ti mando i saluti e gli auguri anche di Archie, Annie e Patty, che ti abbracciano caramente, e naturalmente quelli di George.
Abbi cura di te, piccola.
Con tutto il mio affetto,
Bert

La solita grigia nebbia londinese quella mattina si era dissolta presto e un cielo azzurro e limpido, appena screziato da qualche bianca nuvola passeggera, incorniciava i palazzi della città.
Appoggiata con la schiena al grande albero in cima alla seconda collina di Pony, Candy si godeva la vista su Londra e la fresca brezza primaverile. Aveva letto per l'ennesima volta la lettera di Albert appena arrivata con la posta del mattino, non riusciva a credere che Neal si fosse arruolato volontario, ma capiva perfettamente lo stato d’animo della zia Elroy. E le mancava terribilmente Albert, il suo sorriso dolce e il suo abbraccio rassicurante; era il suo porto sicuro, la sua oasi di serenità, lo era sempre stato in tutta la sua vita e non era mai stato così doloroso, come in quel momento, dover stare lontana da lui.
Il rintocco della campana l’avvertì che era ora di rientrare; nonostante avesse la mattinata libera, c’erano diverse cose di cui occuparsi e alcune commissioni da sbrigare in città, per conto dell’ospedale, nonché spedire le lettere che aveva scritto la sera prima ad Annie e a Patty. Ripose la lettera di Albert nella tasca del suo grembiule e si alzò, incamminandosi verso l'ala del collegio adibita ad ospedale. Percorse il lungo corridoio del secondo piano fino alla porta dell'ufficio del dott. Cox e bussò energicamente. Il dottore la fece accomodare e dopo aver discusso per una mezz'ora dei pazienti, dei turni del personale, di forniture mediche e di vari altri problemi legati alla gestione dell'ospedale, le mise davanti i documenti da portare al commissariato della Croce Rossa.
"So che ha la mattinata libera, signorina Andrew, e mi rincresce farla andare in città, ma è importante che Mistress Alice Thornton abbia questi documenti il prima possibile, in modo che possa telegrafare le informazioni e le nostre richieste di approvvigionamento negli Stati Uniti".
"Non c’è nessun problema, dott. Cox, sarei andata in città comunque" rispose Candy sorridendo.
La giovane ammirava molto il dott. Cox, era un medico competente e umano, affabile ma nello stesso tempo intransigente, sia con i pazienti che con il personale. Aveva subito preso in simpatia Candy, fin dal suo arrivo, e la loro stima reciproca era andata via via crescendo, soprattutto dopo l’incidente nella fabbrica di munizioni di tre mesi prima.
“Posso chiederle un altro favore? Se non le dispiace, ho della corrispondenza importante da inviare negli Stati Uniti.” e dicendo questo, le consegnò un fascio di lettere. “Sarebbe così gentile da passare anche all’Ufficio Postale?”
“Non c’è nessun problema dottore. Ci sarei passata comunque, devo spedire anch’io delle lettere” gli rispose sorridente Candy, prendendo in consegna anche le lettere del medico. Uno strano formicolio le attraversò la mano mentre prendeva quelle buste, come se le avessero trasmesso la scossa elettrica, ma non se ne curò, le mise nella cartella insieme ai documenti e infilò tutto nella borsa che aveva a tracolla. Quando era già sulla porta, pronta a uscire, il medico la fermò.
"Le ho già detto, signorina Andrew, quanto le sono grato per il lavoro che lei e le sue colleghe state facendo qui?"
“Sì, dott. Cox. E per noi è un piacere poterci rendere utili. Anche se spero con tutto il cuore che questa guerra finisca presto” rispose Candy.
Il dottore la guardò da sotto i folti baffi con aria paterna. “Figliola, il peggio deve ancora venire”. Formulò la frase nella sua mente, ma non la pronunciò ad alta voce, tenendosi per sé le sue preoccupazioni e le sue ansie. Congedò Candy, lasciandola andare a sbrigare le sue commissioni.

Quando Candy, di ritorno dal suo giro in città, arrivò davanti all’ingresso principale della Saint Paul School, era quasi mezzogiorno. Una lussuosa e fiammante automobile bianca con i cerchioni delle ruote e i sedili interni di un rosso acceso, era parcheggiata proprio davanti al cancello.

Al posto di guida era seduto un uomo, in livrea scura, evidentemente l’autista. A chi poteva appartenere quell’automobile? Certo il collegio era frequentato dai rampolli delle più facoltose e nobili famiglie inglesi, quindi certamente era un genitore o un parente in visita. Candy rimase a fissare a bocca aperta la Rolls Royce; sul cofano svettava l’argentea figura femminile, lucida e imponente, con le braccia allargate pronta a spiccare il volo, simbolo della già rinomata casa automobilistica inglese, che forniva le automobili perfino alla famiglia reale. Candy non aveva mai visto un’auto così elegante, le ci volle un attimo per tornare in sé, distogliere lo sguardo e varcare il cancello, lasciandosi l’auto alle spalle.
Percorse il lungo corridoio del primo piano del collegio, diretta all’ufficio di suor Margaret; doveva consegnarle dei moduli che le avevano dato al distretto militare e che la direttrice del collegio avrebbe dovuto compilare e firmare. Inoltre, desiderava salutare anche Rosemary, visto che era qualche giorno che non la vedeva e non scambiava qualche parola con lei. Da quando Mark era stato dimesso, la ragazza passava molto meno tempo in ospedale e loro due riuscivano ad incontrarsi solo nel parco della scuola, nei rari momenti di pausa dal lavoro. Sapeva, perché gliel’aveva detto Rosemary stessa, che lei e Mark si scrivevano lunghe lettere, che la ragazza andava a leggere sulla seconda collina di Pony, esattamente come era solita fare lei ai tempi del collegio. E pregava in cuor suo che quell’amore innocente, sbocciato tra le corsie e i corridoi di un ospedale, avesse un epilogo più felice di quello che era toccato a lei. Mark era partito per la Scozia per far visita alla sua famiglia, preoccupata per quello che gli era capitato, ma sarebbe ritornato a breve a Londra per riprendere a lavorare. Prima sarebbe dovuto passare in ospedale per farsi visitare dal dott. Cox e controllare che tutte le ferite e la frattura fossero guarite completamente. Rosemary contava i giorni che la separavano dal rivedere il suo giovane amore e Candy non poteva fare a meno di rivedere la se stessa di molti anni prima in quei dolci sospiri e in quella trepidante attesa.
Assorta nei suoi pensieri e in balia della sue malinconie, percorreva distrattamente il lungo corridoio in direzione dell’ufficio della direttrice. Mentre si avvicinava alla porta, cominciò a frugare nella sua borsa a tracolla per cercare i documenti che avrebbe dovuto consegnare a suor Margaret e non si accorse dell’uomo che le veniva incontro. Andò a sbattergli addosso e i fogli che aveva in mano caddero per terra, sparpagliandosi ai suoi piedi.
“Mi scusi… ero distratta… non guardavo dove camminavo…” ma alzando il viso, ebbe un tuffo al cuore, mentre il suo sguardo si fissava in un paio di occhi scuri come l’oceano più profondo.
“Stia più attenta a dove cammina, signorina” le rispose l’uomo, non sapendo se fosse più divertito o infastidito dalla sbadataggine di quella ragazza bionda e lentigginosa. Ma dove l’aveva già vista? Quegli occhi verdi li aveva già incontrati da qualche parte, era sicuro. Ma dove?
Candy era rimasta ammutolita e incapace di muovere un dito, mentre fissava con gli occhi sgranati Richard Grandchester che si era gentilmente chinato per aiutarla a raccogliere i fogli che le erano caduti e ora glieli porgeva con uno sguardo profondo e penetrante, lo stesso sguardo che tanto aveva amato in suo figlio, e un’aria interrogativa.
Candy allungò la mano tremante per prendere i documenti, continuando a guardare il Duca.
“Ci conosciamo?” le chiese alla fine il padre di Terence.
“Credo di sì, signore” rispose Candy timidamente, sopraffatta dall’ondata di emozioni e di ricordi che quell’incontro con il Duca, stava scatenando in lei. Con la mente tornò indietro di quattro anni, a quando, in quello stesso corridoio, si era scontrata in modo analogo con lui. Allora non sapeva chi fosse, l’aveva capito dopo. A quel ricordo Candy sorrise, pensando a quanto era buffo il fatto che gli unici due incontri, o sarebbe stato meglio dire scontri, che aveva avuto con il Duca di Grandchester fossero avvenuti nello stesso posto e con le stesse identiche modalità. Sembrava proprio che in sua presenza la sua sbadataggine venisse fuori tutta in una volta. Richard Grandchester la guardava con espressione stupita da sotto i curatissimi baffi, non cogliendo il lato divertente della situazione, visto che non rammentava assolutamente la precedente occasione in cui si erano incontrati, anche se aveva la strana e inspiegabile sensazione di essere, in qualche modo e per qualche oscuro motivo, legato a quella ragazza.
Candy cercò di ricomporsi e, schiarendosi la voce, disse semplicemente:
“Credo che ci siamo incontrati qui, qualche anno fa, quando anch’io studiavo in questo collegio”.
Sperava ardentemente che il Duca non indagasse oltre, non voleva dirgli che conosceva Terence; molto probabilmente padre e figlio non avevano più avuto nessun tipo di rapporto o contatto e non voleva essere lei a riaprire vecchie ferite, probabilmente mai del tutto rimarginate, nel cuore del Duca e anche nel suo. Meno pensava a Terence e parlava di lui, meglio era per il suo animo ancora straziato.
“Allora sicuramente sarà così, signorina…?” rispose diplomaticamente il Duca, alzando un sopracciglio, in quella stessa tipica espressione che apparteneva anche a Terence.
“Andrew,… signore” gli rispose Candy, continuando a fissarlo negli occhi, incapace di distogliere lo sguardo.
Il Duca trasalì sentendo quel nome, ma non lo diede a vedere e subito si ricompose tornando ad indossare la sua maschera impassibile.
“Richard Grandchester” le rispose educatamente, porgendole la mano. E così era lei la ragione per cui suo figlio quattro anni prima aveva lasciato la scuola e rinnegato la sua famiglia; la ragione per cui Terence era tornato in America da sua madre per diventare un attore e rinunciare al suo futuro di Lord. Cosa ci faceva lì a Londra, nella sua vecchia scuola, questa ragazza? Era ancora in stretti rapporti con suo figlio? Mille domande affollavano la mente del Duca, avrebbe voluto sapere tante cose, ma non osò chiedere nulla. Dopo la fuga di Terence, quando Suor Grey gli aveva raccontato cosa era successo, in cuor suo aveva disprezzato profondamente la ragazza che ora gli stava davanti, e l’aveva incolpata di avergli portato via suo figlio. La verità però era che aveva dolorosamente rivissuto la sua triste storia con Eleonor Baker; non riusciva a credere che anche Terence avesse commesso il suo stesso identico errore: innamorarsi della persona sbagliata, per giunta americana, e rinunciare a tutto per lei. Ma lui aveva capito ed era tornato sui suoi passi, Terence non lo aveva fatto. Ed ora, guardando in quegli occhi verdi, credette di capire perché.
Candy, ignara della tempesta che aveva scatenato nella mente e nel cuore del Duca, gli strinse la mano; aveva una stretta energica che le trasmise un calore inaspettato e non si sentì a disagio come aveva creduto in un primo momento, dopo il loro scontro. Forse Terence era sempre stato troppo duro, forse non si era mai sforzato abbastanza di capire le ragioni di quest’uomo e di perdonare i suoi errori. Probabilmente anche lei stessa lo aveva inconsapevolmente incolpato del fatto che Terence se ne fosse andato dal collegio quattro anni prima senza di lei, lasciandola sola tra quelle quattro mura grigie e fredde. Ma ora che se lo ritrovava davanti riusciva solo a vedere un uomo più vecchio di quanto ricordasse, e forse più solo. E ciò che li accomunava era che entrambi, per motivi diversi, avevano perso la stessa persona. Per questo motivo Candy non riusciva a provare nessun tipo di rancore o risentimento nei confronti del Duca , per quanto Terence avesse sofferto a causa di suo padre. Era come se sentisse una sorta di legame con lui; era un altro filo invisibile che la ricongiungeva inevitabilmente e inesorabilmente a quell’amore che avrebbe voluto lasciarsi alle spalle una volta per tutte, ma che invece riaffiorava ogni volta con sempre più prepotenza, senza che lei potesse far nulla per evitarlo. Del resto lo aveva sempre saputo, da quando aveva varcato il cancello della Saint Paul School, qualche mese prima, che tutto, intorno a lei, le avrebbe parlato di Terence, che ovunque si fosse voltata, ogni singola pietra, albero, fiore, profumo, suono l’avrebbe riportata indietro nel tempo e le avrebbe dolorosamente ricordato ciò che era stato, che aveva perduto, ma che continuava a mancarle terribilmente.
“E’ stato un vero piacere incontrarla, signorina Andrew. Arrivederci”.
La voce di Richard Grandchester la distolse dai suoi pensieri e si affrettò a salutarlo, prima di entrare, ancora scossa, nell’ufficio di suor Margaret.


*****

Il fragoroso applauso risuonò nel teatro gremito di spettatori estasiati, davanti al sipario abbassato, che subito si riaprì per l'ennesimo inchino degli attori. Tutti in fila, tenendosi per mano ringraziarono il pubblico in piedi. Robert Hathaway al centro del palcoscenico strinse più forte la mano al suo primo attore accanto a lui e lo spinse un po' più avanti perché godesse appieno della meritata standing ovation prima che il sipario si chiudesse davanti a loro per l'ultima volta.
Era stato l'ennesimo successo e, nonostante il Paese fosse ormai ufficialmente in guerra da diverse settimane, avevano comunque chiuso in bellezza e trionfalmente la stagione. Ma ora, con l'America impegnata nel conflitto, l'apertura autunnale sarebbe stata incerta, così come la tournée estiva.
La città di New York era profondamente cambiata nell'arco di poco più di un mese e mezzo, dall'annuncio del presidente Wilson; il colore dominante era diventato il verde delle divise militari dei soldati che giungevano da ogni parte del Paese e si riversavano sempre più numerosi per le strade, in attesa di partire per l'Europa sulle grosse navi ormeggiate nel porto.

Le locandine degli spettacoli teatrali di Broadway erano state via via sostituite dai manifesti di reclutamento dell’esercito, raffiguranti lo zio Sam con il dito indice puntato, che sembrava quasi fuoriuscire minaccioso dalla carta.
Terence rimase da solo sul palcoscenico, mentre i suoi colleghi prendevano la via dei camerini per svestirsi degli abiti di scena, tra strette di mano, abbracci e pacche sulle spalle. Gli piaceva ascoltare, da dietro i pesanti tendoni di velluto scuro, i rumori che venivano dalla platea, mentre il pubblico lasciava il teatro, e assaporare ancora l'eco degli applausi, ai quali non si sarebbe mai davvero abituato. Raccolse da terra una delle rose piovute sul palcoscenico alla fine della rappresentazione e se la portò al viso inspirandone il profumo. Quanti ricordi quella fragranza era in grado di rievocare nella sua mente! Troppi, che il suo cuore fosse in grado di sopportare. Ricordi di colline, di armoniche, di Giuliette, di valzer, di baci, di schiaffi e di lettere, di treni, di abbracci, di scale. Tutto ciò che aveva avuto e che aveva perso era così vivo nella sua memoria, il suo quotidiano tormento, il prezzo da pagare per aver lasciato andare l'unica cosa vera e sincera e bella che avesse mai avuto dalla vita. Perché lo aveva fatto? Perché non aveva lottato? Non c'era giorno in cui non si svegliava con quelle domande nella mente e nessuna risposta, solo il grande, immenso vuoto della sua esistenza. Lasciò cadere la rosa per terra in mezzo alle altre, abbandonate sulle assi ormai consunte di quel palcoscenico, che lo avevano visto ogni sera dare tutto se stesso per l’unica cosa che ancora gli rimaneva: la recitazione. E poco importava se lei non lo avrebbe mai visto, non sarebbe mai stata tra il pubblico e non gli avrebbe mai gettato una rosa. Era per lei che era lì, per lei aveva cercato di raccogliere i cocci e ricostruirsi una carriera, perché fosse fiera e non si sentisse in colpa. E ce l’aveva fatta; grazie a lei, ce l’aveva fatta.
Mentre si avviava lungo il corridoio che portava ai camerini, fu fermato da uno degli attori della compagnia.
“Ah, sei qui Terence! Ti stavo cercando, Robert vuole parlarti. Quando hai finito di cambiarti, passa nel suo ufficio”.
Terence sapeva di cosa avrebbero discusso. Dubitavano tutti seriamente che la successiva stagione teatrale sarebbe partita e c’era da fare il punto sugli inevitabili licenziamenti che questo avrebbe comportato. Alcuni degli attori e dei ragazzi che lavoravano nel teatro, quelli che avevano già compiuto ventun’anni, probabilmente avrebbero comunque ricevuto la chiamata al fronte, per cui difficilmente si sarebbe riusciti ad allestire un nuovo spettacolo.
Terence si cambiò velocemente e si diresse verso l’ufficio di Robert Hathaway. Sul vetro opaco e ambrato della porta, le lettere delle parole “Stage Director - Stratford Company” apparivano ormai sbiadite, come se ormai non fosse più necessario far sapere chi occupava quella stanza. Robert Hathaway era una celebrità, famoso non solo per le sue eccelse doti recitative e la sua grandissima presenza scenica , che ne facevano uno dei migliori interpreti shakespeariani di Broadway, ma anche e soprattutto per essere un abilissimo regista, capace di mettere in scena e dirigere ogni volta spettacoli memorabili. E il suo fiuto nello scoprire nuovi talenti era pari alla sua fama, negli ambienti teatrali. Terence Graham era uno dei suoi maggiori successi in questo senso, e la considerazione che aveva del suo pupillo era nota a tutti.
Dal canto suo Terence provava un’infinita ammirazione per il suo mentore: sul piano professionale gli doveva tutto, la sua carriera era iniziata grazie a lui e quando si era bruscamente interrotta per i suoi problemi con l’alcol, al suo ritorno a New York era stato Robert a spronarlo, a credere ancora nelle sue capacità, a dargli una seconda opportunità e il ritorno sulle scene gli aveva regalato un nuovo, inaspettato e crescente successo.
Ma la stima di Terence per Robert Hathaway non si fermava lì. Il regista era una delle poche persone che lo conoscevano bene. A parte sua madre, con nessun altro era in così stretti rapporti, tanto da essersi lasciato andare, in più di una occasione, a qualche confidenza, di quelle che si fanno solitamente a un padre più ancora che ad un semplice amico. Ed era così che Terence considerava Robert: quasi un padre, diverso da quello vero, quel Richard Grandchester che non aveva mai avuto la possibilità di conoscere fino in fondo, di cui mai aveva sentito la vicinanza e a cui mai avrebbe confidato qualcosa della sua vita, lontano anni luce da quel mondo a cui aveva scelto di appartenere, quando diciassettenne era sbarcato in quella città dalle mille luci, senza un soldo in tasca e con tanti sogni nel cuore, e lasciando indietro l’unica cosa bella che avesse mai conosciuto in diciassette anni.
Fermo fuori dalla porta, Terence fece un profondo respiro, cercando di scacciare quell’ansia che gli cresceva nel petto ogni volta che il pensiero di lei gli sfiorava la mente, e bussò. La voce profonda e baritonale di Hathaway lo invitò ad entrare.
“Vieni Terence, accomodati. Sposta quella roba e siediti” gli disse indicando con la mano una poltrona davanti alla scrivania, su cui erano accatastati alla rinfusa diversi numeri della rivista Variety. Sulla pagina aperta di quello in cima alla pila, campeggiava una foto di Terence in abiti di scena, scattata qualche settimana prima durante una delle rappresentazioni della stagione appena conclusasi.

Terence prese i giornali e li appoggiò su un tavolino al centro della stanza su cui ne erano ammucchiati altri. L’ufficio di Robert Hathaway straripava di materiale cartaceo di varia natura: sulla destra una enorme libreria di legno scuro conteneva centinaia di libri rilegati in pelle dalle copertine ormai consunte, per lo più erano opere di Shakespeare, ma erano presenti anche altri autori, tra cui diversi contemporanei. La scrivania, anch’essa di legno scuro, era ingombra di copioni, cartelle, giornali, lettere e documenti vari; al centro di essa era appoggiata una Underwood 5, con un foglio inserito nel carrello. Un appendiabiti di ferro battuto, accanto alla porta, il tavolino basso, pieno di riviste, e due poltrone di pelle verde scuro completavano l’arredamento del piccolo ufficio.
Terence si sedette e, imitando Robert, si accese una sigaretta prendendola dal portasigarette sopra la scrivania.
“So di cosa vuoi parlarmi, Robert. O, perlomeno, lo immagino. L’entrata in guerra del Paese e le sue conseguenze non ci consentiranno di riaprire la prossima stagione, vero?” esordì il giovane senza tanti preamboli e senza giri di parole, come nel suo stile.
“Francamente, non so cosa aspettarmi da tutta questa situazione. Per ora la città sembra ancora piuttosto tranquilla, ma dovremo fare i conti a breve con le inevitabili partenze di alcuni dei nostri ragazzi. Staremo a vedere. Ma per la verità non era di questo che volevo parlarti” rispose Robert, facendo un ultimo tiro dalla sigaretta e cercando il posacenere sulla scrivania, trovandolo poi sepolto sotto alcuni fogli. Dopo aver spento la sigaretta, aprì un cassetto e ne tirò fuori una busta che porse a Terence, il quale la prese alzando un sopracciglio all’indirizzo del regista, con aria interrogativa.
“Ricordi che ti avevo parlato di quel mio amico medico di Dublino, che avevo conosciuto diversi anni fa durante una tournée in Irlanda e con cui, da allora, sono rimasto in contatto? E’ specializzato nell’applicazione di protesi ortopediche”.
“Sì, ricordo che mi avevi accennato alla possibilità di chiedergli un consulto per il caso di Susanna e mi avevi detto che gli avresti scritto”.
Terence ricordava benissimo la conversazione dell’inverno precedente con il regista, in cui gli aveva rivelato la sua crescente preoccupazione per le condizioni di Susanna e le enormi difficoltà della ragazza a deambulare con le stampelle, costretta perciò a lunghi periodi sulla sedia a rotelle, con il rischio di compromettere la funzionalità anche della gamba sana, per la troppa immobilità. In quell’occasione Robert gli aveva parlato di questo medico, di cui aveva grande stima, che aveva compiuto diversi studi in Svizzera riguardo appunto alla creazione e alla applicazione delle protesi.
“Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera del dottor Cox, in risposta alla mia richiesta di visionare le cartelle cliniche di Susanna. Non ha potuto rispondermi subito perché non si trova più in Irlanda e dal vecchio ospedale gli hanno recapitato la mia lettera solo recentemente. Ora lavora a Londra in un ospedale militare, ma ha acconsentito a prendere in considerazione il caso di Susanna.”
A sentir pronunciare il nome della sua città, Terence ebbe un leggero sussulto: troppi i ricordi legati alla sua adolescenza, agli anni del collegio, alla sua Tuttelentiggini, quando ancora non si era scontrato con quel destino beffardo e crudele che gli aveva portato via per sempre il suo unico amore. La voce di Robert Hathaway lo riportò alla realtà, una realtà di solitudine e disperazione, dove i problemi di salute di Susanna ultimamente lo prosciugavano di ogni energia.
“Naturalmente, come puoi ben capire, il dottor Cox non potrà allontanarsi da Londra almeno fino a quando questa guerra non sarà finita, e non sappiamo quanto ci vorrà. Potrebbe finire tra un mese, tra un anno o tra dieci. Leggi la lettera che ti ha indirizzato e prendi in considerazione di andare a Londra di persona per conoscerlo. La stagione è finita e Dio solo sa se riusciremo a riaprire in autunno. Approfitta di questo periodo, in cui sarai lontano dalle scene, per occuparti di Susanna. Se le sue condizioni di salute migliorassero, sarebbe di aiuto a tutti e due”.
Le parole di Hathaway, così chiare e decise, gli vorticavano ancora nella mente, quando Terence uscì dal teatro per tornare a casa. Tornare a Londra: non riusciva a pensare ad altro. Da un lato si era ripromesso di non mettere più piede in quella città con cui aveva tagliato i ponti definitivamente e reciso ogni legame familiare, quando se ne era andato quasi quattro anni prima, finché non fosse stato davvero pronto ad affrontare i demoni del suo passato. Ma ora inspiegabilmente sentiva una sorta di attrazione, come se una forza interiore lo stesse spingendo ad intraprendere questo viaggio. Perché? Cosa ci poteva essere al di là dell’oceano ad attenderlo? Cosa aveva in serbo per lui il destino, tanto da spingerlo in questo modo a voler partire? Non avrebbe potuto saperlo finché non fosse sbarcato in Inghilterra e con questa sensazione di inspiegabile inquietudine nel cuore, decise che sarebbe partito.


*****

Era l’ultima domenica di giugno e la giornata volgeva al termine. Il sole, ormai basso all’orizzonte, spandeva la sua calda luce sulla rigogliosa campagna e donava al cielo straordinarie sfumature arancioni, rosa e violacee, in un ultimo slancio prima di sparire dietro le verdi colline e lasciare che la notte prendesse il posto di quel crepuscolo, che sembrava quasi dipinto da un pittore impressionista.
Albert guidava incontro al tramonto, diretto a Chicago, dopo aver passato la giornata alla Casa di Pony. Era andato all’orfanotrofio di Candy a trovare Miss Pony e Suor Maria, per accertarsi delle condizioni di salute di quest’ultima che non era stata bene e per verificare l’andamento di alcuni lavori di ampliamento che aveva finanziato. Era stato bene, come sempre tra quelle colline, dimenticando per un attimo l’ansia e la preoccupazione per la lontananza di Candy e per gli innumerevoli e crescenti impegni di lavoro. Il giorno dopo avrebbe dovuto presenziare una riunione del War Industries Board, l’ente federale appena istituito dal governo per coordinare la produzione industriale del Paese e massimizzarne l’efficienza, dopo l’entrata in guerra. Le priorità erano rapidamente mutate nel giro di pochissimi mesi e le necessità a cui far fronte aumentate enormemente; l’industria americana doveva non solo soddisfare i bisogni interni, ma anche esportare una gran quantità di prodotti, soprattutto alimentari, verso le nazioni alleate, impegnate in prima linea nella guerra e carenti anche dei beni di prima necessità. Lo sforzo che gli Stati Uniti stavano compiendo era immane e l’unica speranza era che servisse ad accelerare la fine della guerra in Europa.
Con questi pensieri nella testa Albert percorreva le polverose strade dell’Indiana in sella alla sua nuova Harley Davidson rossa.

Non aveva mai nutrito molto interesse per le moto finché, qualche anno prima, ad una cena d’affari non aveva conosciuto William Harley, giovane ingegnere meccanico di Milwaukee con la passione per le due ruote, che nel garage di casa sua aveva costruito il primo modello di moto e poi creato un’industria di successo. Era rimasto colpito dal grande entusiasmo dell’uomo per il suo lavoro e le sue “creature” e aveva deciso di acquistarne una. Quella su cui stava viaggiando era l’ultimo modello, una versione meno appariscente della quale sarebbe stata fornita anche alle truppe alleate come mezzo militare.
Non avrebbe mai immaginato che gli sarebbe piaciuto così tanto guidare una moto, più ancora dell’automobile. Il senso di libertà che gli trasmettevano le due ruote era quasi pari a quello che provava in sella al suo cavallo; amava sentire il vento sul viso mentre correva e il costante e ripetitivo suono del motore aveva qualcosa di quasi confortante. Se solo Candy fosse stata lì con lui a condividere quella, per lei nuova, esperienza!
Quasi senza accorgersene si ritrovò a varcare il cancello della residenza degli Andrew e a percorrere il lungo viale di ghiaia fino all’imponente edificio. Per fortuna la zia Elroy si trovava a Lakewood, così sarebbe stato da solo; non aveva voglia di avere intorno nessuno della sua famiglia quella sera, a parte George. Ma davanti all’ingresso era parcheggiata l’auto dei Legan; Albert imprecò dentro di sé: l’ultima cosa che voleva quella sera era vedere uno dei membri di quella odiosa famiglia. Era appena sceso dalla moto e si stava togliendo il casco di pelle, appoggiandolo alla sella, quando il portone di casa si aprì e la voce acuta di Iriza gli arrivò stridula e fastidiosa alle orecchie.
“Ah eccoti qui, zio William! Ero proprio venuta a parlare con te, ma qui nessuno sembrava sapere dove fossi e quando saresti tornato!”. Iriza incrociò le braccia al petto, chiaramente infastidita di non essere riuscita a estorcere l’informazione a nessuno dei domestici o a George. Quest’ultimo, che la seguiva con la sua solita aria apparentemente impassibile, alzò gli occhi al cielo e salutò Albert.
“Bentornato signor William. Spero abbia trascorso una buona giornata e fatto un buon viaggio”.
“Si, ottima. Grazie George. E questa moto va che è una meraviglia!”
“Beh, se la voleste finire con tutti questi convenevoli, io avrei delle cose importanti di cui discutere con lo zio William. Sono venuta qui apposta!” Iriza cominciava a spazientirsi e a dare sfoggio della sua solita maleducazione.
“Buonasera Iriza! Come vedi sono appena arrivato e se davvero la questione era così urgente avresti potuto benissimo parlarne con George” le rispose Albert in modo glaciale.
“Io ne voglio parlare con te, perché è una cosa che riguarda la nostra famiglia. Lui non c’entra nulla” disse in tono sprezzante, indicando George.
“George non farà parte della tua famiglia ma della mia sì!” ribadì fermamente Albert, rimarcando i due aggettivi possessivi, come a tracciare una linea netta di separazione tra gli Andrew e i Legan, cosa che non sfuggì ad una sempre più spazientita Iriza.
La ragazza fece un respiro e decise di trattenersi; l’avrebbe pagata prima o poi tutta quella arroganza lo zio William, lui e quella sgualdrina della sua protetta, ma non era quello il momento. Ora aveva bisogno di lui e del suo intervento per scongiurare una tragedia.
“Ti prego zio William, si tratta di Neal” la voce di Iriza era diventata quasi stucchevole nel tentativo di addolcirsi.
Albert, che non aveva nessuna voglia di invitarla a rientrare in casa, sperò che venisse subito al punto e poi se ne andasse. Sicuramente era un’altra lamentela di quello smidollato di suo fratello circa la pesantezza dei turni di lavoro o le dimensioni troppo piccole dell’ufficio dove lavorava. Da quando si era arruolato ne aveva già sentite di tutti i colori; per uno come lui non abituato a lavorare sul serio e capace solo di bighellonare e sperperare soldi, turni di otto ore in ufficio erano davvero massacranti! Albert cercò di tenere a bada la rabbia che gli montava ogni volta, pensando a Candy impegnata in prima linea, a Stear che era morto coraggiosamente e a tutti quei ragazzi che rischiavano ogni giorno la vita in trincea, mentre un codardo fannullone come lui se ne stava al sicuro dietro una scrivania a lamentarsi tutto il tempo.
“Che succede stavolta? Si è bucato un dito con la spillatrice mentre ciclostilava moduli?”
“Non scherzare! La situazione è seria. Devi costringere Candy a tornare, perché Neal ha deciso di farsi mandare a Londra”.
Le parole di Iriza investirono Albert come una doccia fredda. Ora cominciava a capire e i pezzi del puzzle stavano andando al loro posto. Era quello lo scopo di Neal, andare a Londra da Candy? Come aveva fatto a non capirlo subito? Non si era fermato a pensare a quale motivo avesse quella mente bacata di Neal per arruolarsi, era troppo preso da altre preoccupazioni per occuparsi veramente di quello che a tutti era sembrato solo l’ennesimo colpo di testa di un ricco, viziato e annoiato rampollo di buona famiglia.
“Hai capito cosa ho detto? Candy deve assolutamente smettere di giocare a fare l’eroina di guerra e tornarsene subito a casa! Se no dirò tutto alla zia Elroy! Non vuoi mica che a nostra zia venga un colpo sapendo che un altro nipote rischia la vita, dopo che ha perso Stear?” Iriza cercò di fare leva sul senso di colpa di Albert per convincerlo a fare qualcosa per evitare che Neal partisse. In realtà, più che la paura per l’incolumità di suo fratello, quello che la infastidiva maggiormente era che lui potesse ritrovarsi da solo con Candy, lontano da tutti loro e dalla sua vista. Non sopportava l’idea di quello che Neal avrebbe potuto fare con Candy a sua insaputa. Era evidente che voleva andare a Londra per riconquistarla, ma temeva che potesse ricevere un’ulteriore umiliazione, soprattutto se non c’era lei a compensare l’eccessivo buonismo di suo fratello. A volte Neal si comportava come una femminuccia quando si trattava di Candy.
Albert intanto era rimasto per un attimo interdetto, ma subito sentì crescere la rabbia dentro di sé a sentire pronunciare il nome di Stear da parte di Iriza. Come osava paragonarlo a suo fratello? Stear si era sacrificato per una causa in cui credeva, Neal cercava solo un tornaconto personale, nella fattispecie ritrovarsi da solo a Londra con Candy. Non sapeva se gli dava più fastidio quest’ultima circostanza o lo scarso rispetto nei confronti della memoria di suo nipote. Cosa poteva fare? Non poteva chiedere a Candy di tornare, le aveva promesso che non l’avrebbe ostacolata e che l’avrebbe lasciata libera di fare le sue scelte, per quanto per lui dolorose e per lei pericolose. Intanto doveva liberarsi al più presto di Iriza, non sopportava più di averla davanti, con la sua solita arroganza petulante.
“D’accordo Iriza. Vedrò cosa posso fare per scongiurare la cosa, ma non ti prometto niente. Non posso costringere Candy a tornare e non so da quanto tempo sia stato deciso il trasferimento di tuo fratello a Londra. Se l’ordine non è effettivo forse possiamo ancora impedirlo” le disse Albert simulando una calma che in quel momento non gli apparteneva.
“Bene” Iriza non era del tutto soddisfatta, ma aveva capito che quella sera non avrebbe ottenuto di più, quindi preferì battere in ritirata, sperando che il chiaro fastidio che si era dipinto sul viso di Albert alla notizia che Neal avrebbe potuto essere, di lì a breve, nella stessa città in cui si trovava Candy, lo avrebbe spinto a scongiurare la partenza di suo fratello. Era palese che Albert era interessato a Candy e forse la gelosia era la chiave per spingerlo a fare quello che gli aveva chiesto.
“Ora se non ti dispiace, ho parecchie cose da fare e avrei bisogno di una doccia” le disse Albert salendo i gradini verso la porta d’ingresso.
Iriza con un sorriso sprezzante sulle labbra lo salutò e salì sulla sua auto, diretta, anche quella sera, all’ennesima festa, a caccia di un ricco marito.


*****

L'uomo vestito di scuro si sollevò il bavero del soprabito e cercò riparo dalla pioggia battente addossandosi ancora di più al muro, sotto al cornicione dell'edificio, probabilmente disabitato, proprio al centro del vicolo. Era buio pesto e l'unico rumore che si sentiva era quello della pioggia che cadeva sulla strada. Da un lato era positivo quel tempaccio: in giro non aveva incontrato anima viva e, cosa ancora più positiva, scoraggiava anche le ronde dei soldati tedeschi. Così era riuscito facilmente, e senza essere fermato da nessuno, ad arrivare al luogo dell'appuntamento in quel vicolo buio e sperduto di Mannheim, proprio alle spalle della Badische Anilin und Soda Fabrik. Ora attendeva che il suo informatore gli consegnasse le formule di cui aveva bisogno, fumando l'ennesima sigaretta e calandosi ancora di più sugli occhi il cappello, ormai fradicio.
D'un tratto sentì un rimbombo di passi provenire da uno degli imbocchi del vicolo; spense velocemente la sigaretta e portò istintivamente la mano alla tasca dell'impermeabile dove strinse l'impugnatura della rivoltella. Sperò che fosse l'informatore, ma il buio non gli permetteva di distinguere la scura figura che si stava avvicinando. Quando i due uomini furono abbastanza vicini, l'ultimo arrivato tirò fuori dall'impermeabile una grossa busta gialla e la passò all'uomo in attesa. Questi la prese e la soppesò.
"C'è tutto?" domandò.
"Tutto quello che avete chiesto" rispose l'informatore, dopo di che girò sui tacchi e tornò indietro da dove era arrivato.
L'uomo, rimasto nuovamente solo, si infilò la busta all'interno dell'impermeabile perché non si bagnasse, non c’era tempo di controllare se erano i documenti che aspettava, doveva muoversi in fretta, lo attendeva un viaggio di ritorno lungo e pericoloso. Rimase in ascolto un momento e quando non sentì altro rumore se non la pioggia scrosciante, si incamminò nella direzione opposta a quella da cui era venuto l'informatore. Percorse diversi vicoli, camminando rasente i muri e fermandosi di tanto in tanto per controllare che non fosse seguito. Non incontrò nessuno e dopo aver percorso un lungo tratto in quel labirinto buio, battuto solo dalla pioggia, uscì su una strada più ampia dove un'auto scura lo attendeva con il motore acceso. Si infilò velocemente all'interno della vettura e questa partì immediatamente prima ancora che lui avesse chiuso la portiera. L'auto si diresse a velocità non troppo sostenuta per non dare nell'occhio, verso la periferia della città. Usciti da Mannheim si ritrovarono in aperta campagna; cominciava ad albeggiare e la pioggia aveva cessato di cadere. Mentre l'autista guidava attraverso stradine secondarie diretto al confine francese, l'uomo, dopo essersi cambiato gli abiti, aveva tirato fuori dalla busta i documenti consegnatigli dall'informatore e li stava controllando.
"Charles sarà molto soddisfatto. Il nostro infiltrato all'interno della fabbrica ha fatto un ottimo lavoro. Questi rapporti sono completi e particolareggiati. Sono sicuro che Dominique riuscirà a tirarci fuori qualcosa di utile" pensò compiaciuto.
L'autista non disse niente, limitandosi ad osservare l’espressione soddisfatta del suo passeggero dallo specchietto retrovisore, e continuando a guidare.
Un quartier generale dei servizi segreti francesi si trovava nelle campagne nel nord della Francia al confine franco-belga, in una vecchia cascina abbandonata. Charles Lucieto ne era il capo; spesso lui stesso partecipava alle missioni, ma di solito rimaneva a Parigi dove coordinava le diverse unità del controspionaggio, il cui scopo principale era quello di intercettare, in collaborazione con i servizi di intelligence inglesi, i messaggi radio nemici, decodificarli e trasmetterli a sua volta alle altre forze alleate. Ma ora si trovava nel nord della Francia, per una missione di fondamentale importanza. I nemici tedeschi stavano avendo la meglio nella guerra grazie all'utilizzo di diversi gas tossici, come l'iprite, che stavano letteralmente sterminando i loro soldati all'interno delle trincee. Grazie ad un informatore all'interno di una delle principali fabbriche chimiche tedesche, dove si producevano quelle sostanze mortali, Charles voleva mettere le mani sulle formule chimiche dei gas asfissianti e dei loro antidoti, per poter mettere a punto delle maschere protettive da dare ai soldati in trincea. Era assolutamente necessario riuscire a costruire delle maschere antigas efficaci, non potevano sperare di vincere la guerra senza avere la possibilità di proteggersi dalle micidiali armi chimiche tedesche.
Charles Lucieto stava fumando nervosamente nel suo ufficio improvvisato all'interno della cascina, quando un giovane agente irruppe nella stanza:
"Sono arrivati, capo!"
Lucieto si alzò e seguì il ragazzo fuori, proprio nel momento in cui il furgoncino carico di legna si fermava e l'agente, vestito da boscaiolo, reduce dall'incursione in terra tedesca ne scendeva sorridente e con in mano i documenti. Dopo essere stato lasciato dall’auto sul confine, lo aveva oltrepassato a piedi, attraverso i boschi. Si era cambiato gli abiti, nascondendo i documenti sotto la pesante camicia a quadri, ed era riuscito a rientrare in territorio francese senza essere scoperto. Qui lo attendeva un altro agente con il furgone, che lo aveva riportato al campo base. Charles lo abbracciò stringendogli le spalle.
"Ottimo lavoro, ragazzo". Prese la busta e tirò fuori i documenti; dopo averli controllati, si diresse a grandi falcate verso il fienile sul retro della cascina.
"Dov'è Dominique?" chiese prima di entrare.
"Laggiù" gli fece cenno un agente col dito.
Il fienile era una stanza enorme che era stata adibita a officina. Vi erano diversi robusti tavoli di legno, pieni di attrezzi vari, e diversi ragazzi stavano lavorando. Perlopiù si riparavano i motori dei mezzi militari o quelli degli aerei, e si ripulivano e sistemavano le armi, sia le proprie sia quelle rubate ai nemici.
Chino su un tavolo in fondo allo stanzone, un ragazzo stava riparando con una piccola saldatrice una parte del motore di un aereo. Non sentì e non vide arrivare il capo finché questi non gli si parò davanti sventolandogli, entusiasta, sotto il naso, i documenti rubati.
"Ottime notizie Dominique!"
Il ragazzo spense la saldatrice e sollevò la maschera protettiva che aveva sul viso. Due occhi scuri e vivaci si fissarono in quelli di Lucieto che gli porse i documenti e rimase in attesa, con le braccia incrociate sul petto, mentre Dominique inforcava un paio di occhiali da vista e li leggeva.
"Allora?" chiese impaziente il capo. "Possiamo ricavarci qualcosa? Era quello che volevi? Ti bastano per andare avanti col lavoro?"
Charles era impaziente di avere delle risposte da Dominique, la vita dei loro soldati era nelle sue mani. Se non fosse riuscito a brevettare e a costruire una maschera antigas efficace avrebbero di sicuro perso la guerra. Ma aveva grande fiducia in quel ragazzo, era in assoluto il suo tecnico migliore: era straordinariamente bravo con i motori, soprattutto quelli aerei, aveva una manualità eccezionale, sapeva modificare le armi e riparare praticamente ogni cosa. Inoltre riusciva a decodificare con estrema facilità i messaggi criptati nemici e aveva ottime conoscenze in campo chimico, cosa che gli aveva fatto ben sperare per la messa a punto del brevetto della maschera antigas, a cui stavano lavorando da diverso tempo, senza risultati soddisfacenti, finché non era arrivato appunto Dominique.
Charles Lucieto non sapeva molto di lui, tranne il fatto che era stato trovato ferito nelle campagne francesi, non lontano da lì. All'inizio era stato molto diffidente e non aveva detto loro niente, se non che era un soldato francese e che si chiamava Dominique Roven. Parlava perfettamente francese, ma Charles aveva il sospetto che in realtà fosse inglese e che quello che aveva dato non fosse il suo vero nome. In ogni caso, lo avevano soccorso e trasportato al loro quartier generale, dove lo avevano curato finché non era guarito. Si era subito reso utile all'interno dell'officina ed ora non potevano più fare a meno di lui. Ormai erano quasi due anni che viveva lì e lavorava per loro e Charles aveva ormai smesso di farsi domande sulla sua vera identità, fidandosi ciecamente di lui.
"Ok, mi metto subito al lavoro" la risposta di Dominique distolse dai suoi pensieri Lucieto, che lo guardò con orgoglio e gli diede una affettuosa pacca sulla spalla.
"Bene, ragazzo mio. Siamo nelle tue mani" e dicendo questo si allontanò lasciando solo Dominique, che si rimise la maschera sul viso, tornando al motore e ai dolci pensieri, da cui era stato distolto dall'arrivo del capo. La sua mente volò nuovamente ad una festa, dove ballava con una bella brunetta, stringendola forte a sé, e si lasciò andare, come sempre quando lavorava o era solo, alla nostalgia dei suoi ricordi lontani.


FINE CAPITOLO SECONDO


*Alcuni fatti e persone sono realmente accaduti ed esistiti. Le mie conoscenze storiche non sono accurate e precise come quelle di Cerchiolina, anzi sono praticamente inesistenti, ma su alcune cose mi sono voluta documentare per rendere più credibile la storia e non vi nascondo che mi sono anche divertita a farlo. Così il sindaco di Londra nel periodo della I Guerra Mondiale era davvero Charles Hanson, Charles Lucieto era davvero un agente dell'Intelligence francese e nella fabbrica di Mannheim in Germania si producevano davvero i terribili gas tossici usati dai tedeschi per sterminare i soldati nemici. Così come davvero il governo americano aveva istituito il War Industries Board per adattare la produzione industriale alle richieste belliche e la Harley Davidson cominciò proprio in quegli anni a produrre motociclette e fornì le sue moto all'esercito come mezzi militari.
 
Top
view post Posted on 14/2/2016, 13:58     +1   -1
Avatar

Group:
Fan
Posts:
159

Status:


Complimenti anche a te candy75
La storia scorre benissimo ...
Brave brave
 
Top
view post Posted on 15/2/2016, 20:12     +1   -1
Avatar

Group:
Member
Posts:
1,778
Location:
Salerno

Status:


Eccomi finalmente arrivata sulla spiaggia a godermi questa bella storia con le mie amiche del cuore.
emoticonspiaggia Chi porta da bere?
CITAZIONE (cerchi di fuoco @ 6/2/2016, 15:53) 
Candy aveva la sensazione che ad ogni passo che percorreva il cuore le si dilatasse un po’ di più nel petto e che il battito aumentasse via via di intensità, fino a diventare un rimbombo assordante che la pervase, coprendo ogni altro suono. Percorse il tragitto verso quel luogo dove tutto era iniziato a passo lento e regolare, come fosse parte di un cerimoniale lungamente atteso che, ineluttabile come l’istinto di sopravvivenza, solo sulla loro collina si sarebbe compiuto.
Era come una rinascita e nello stesso tempo un richiamo alla memoria di qualcosa che è morto.
Fu un cammino di pochi minuti eppure eterno.
Negli ultimi tre anni aveva cercato di cancellare ogni traccia di quel passato. Aveva proibito dolcemente ma recisamente a se stessa e a tutti i suoi cari di ricordare, pronunciare quel nome, socchiudere un qualsiasi cassetto di quel passato che adesso invece, percorso quel breve eppure infinito sentiero verso la cima della collina, sembrava urlarle con forza centuplicata dall’ostinazione con cui aveva cercato di farla tacere:
“Terence!”
Con un sospiro assaporò quel nome e, nel farlo, lasciò vagare uno sguardo circolare intorno. Al paesaggio in lontananza di una Londra avvolta in un’aura ramata, limpida e improvvisamente priva di nebbia. Al grande albero che aveva creduto essere solo il suo conforto, prima di scoprire che anche lui vi si recava per trovarvi rifugio dal mondo da cui si sentiva respinto. Al prato sul quale tra pochi mesi sarebbero sbocciati dei meravigliosi narcisi e dove aveva danzato tra le sue braccia. Ai cespugli che avevano nascosto dei costumi di Giulietta e Romeo in un giorno di maggio. Alla radura attraverso la quale lui si era lanciato, stringendola al suo petto, in una folle corsa a cavallo per restituirle la vita alla quale lei aveva abdicato. Più in lontananza, all’edificio in cui si trovavano le camere di punizione, davanti al quale una notte aveva vegliato con lei, in un ultimo tentativo di trasmetterle coraggio con la forza del suo amore. A ogni piccolo pezzo di quell’angolo di mondo, testimone di quell’unico bacio, il cui calore, adesso, riacceso dopo tanto tempo, tornava a riscaldare il gelo del suo cuore con la forza di un incendio.
“Terence!”
Non esisteva più nulla che fosse venuto dopo quella collina: non esisteva la fuga e la lunga separazione, non esisteva il rincorrersi disperato e frustrante a Chicago la sera del “Re Lear”, non esisteva New York, “Romeo e Giulietta”, Susanna … soprattutto non esisteva nessuna terrazza spazzata dalla neve e nessuna scalinata di ospedale in una gelida notte di inverno. Non esistevano gli ultimi tre anni.
Nulla che fosse venuto dopo e al di fuori di quella collina esisteva più, nulla era mai esistito oltre quel perimetro.
Lui era lì, poteva sentirne la presenza e, come rispondendo a un richiamo ineludibile, Candy mormorò le parole che su quella collina non erano mai state pronunciate, se non tra due cuori che se le erano dette senza proferirle ad alta voce:
-Amore mio …
Come risvegliato dal suo lungo letargo da quelle due uniche parole, il vento passò attraverso le fronde del grande albero e si levò un suono simile a un lunghissimo sospiro. Era il richiamo malinconico a un’anima adesso assente su quell’altura, una delle due anime che un tempo vi avevano compiuto il miracolo dell’amore e che la collina sembrava richiamare a sé, affinché tornasse per ripetervi ancora una volta il suo incantesimo, riannodandosi alla sua gemella.

:triste4.gif: :triste4.gif: :triste4.gif: :triste4.gif: :triste4.gif: ho sofferto insieme a lei e ho provato le forti emozioni che il povero cuore di Candy, duramente provato, sente nel ritrovarsi nel luogo dove tutto è nato... :ok.gif: Chapeau mon ami! Come sempre arrivi direttamente al cuore :love6.gif:


CITAZIONE (cerchi di fuoco @ 6/2/2016, 15:53) 
Chicago, 28 Febbraio 1917
Mia dolce Candy,
io, Archie, Annie e Patty siamo rimasti colpiti e angosciati dalla tua lettera in cui ci descrivi l’esplosione di Silvertown e le sue terribili conseguenze. E’ doloroso pensare che la guerra abbia indirettamente causato queste vittime e questi dolori anche lontano dal fronte e che abbia chiesto un tributo anche a donne e bambini.
Sono molto preoccupato per te, Candy. E anche se ti ho promesso di non fare o dire nulla per cercare di dissuaderti, spero sempre che ogni giorno sia quello in cui capirai di avere trovato ciò che sei andata a cercare a Londra e che tu decida di tornare a casa … da me.
Mi manchi molto, Candy.
Sebbene i miei affari mi portino continuamente via da casa, adesso capisco meglio che mai quanto fosse importante per me trovare ad accogliermi il tuo dolce sorriso al rientro da ogni viaggio. Capisco ora che quel sorriso per me significa “casa” fin da quando condividevamo l’intimità del piccolo appartamento di Chicago, giorni gloriosi e paradossalmente i più felici della mia vita, nel difficile percorso alla ricerca della mia memoria perduta.
Sento il bisogno di riaverti con me, non solo per saperti al sicuro dai pericoli a cui sei esposta in Europa, ma perché mi sto rendendo conto, con una consapevolezza nuova, che nemmeno io mi sento al sicuro lontano da te.
Mia cara, non leggere queste mie parole come una pressione ad affrettare il tuo rientro, se non sei pronta, ma come un’anticipazione della felicità immensa che proverò quando ti rivedrò.
E sappi che non sono certo che ti lascerò di nuovo andar via!
Abbi, nei pericoli che affronterai, la stessa cura di te che avrei io, e torna al più presto quando sarai pronta.
Con tutto il mio cuore,
Bert.


Londra, 30 Marzo 1917
Mio caro Albert
Finalmente un attimo tutto per me da dedicare a chi è caro al mio cuore. E chi più caro di te?
La vita qui ha preso le sembianze di una routine regolare, ma la cosa che suona incredibile e inconcepibile al mio cuore è che la guerra fa parte di questa routine, attraverso i feriti che hanno cominciato ad affluire dal fronte, giovani agli albori della propria vita e distrutti nell’anima e nel fisico da incommensurabili sofferenze
Eppure, nonostante tutto, la vita torna a chiamarci a sé.
La vita sta risorgendo, Albert, è ovunque attorno a me. E’ nel lento rinascere dei prati, nel sole che splende su di me ogni giorno più caldo e ogni giorno di più, nei boccioli che vedo sugli alberi di melo.
Ma soprattutto, mio caro Albert, è nel dolce fiorire di un tenero sentimento che sto vedendo sbocciare sotto i miei occhi, giorno dopo giorno. E’ una forza meravigliosa e travolgente che non conosce freno possibile e che mi sento imbarazzata a osservare dall’esterno, tanto è di esclusivo possesso di chi lo prova.
E’ meraviglioso pensare che l’amore sia una forza così dirompente.
Ho davanti agli occhi contemporaneamente gli effetti della guerra e quelli dell’amore e ora posso dirti di non nutrire più alcun dubbio su quale sia tra queste la forza più grande, quella che alla fine di tutto prevarrà sempre sull’altra.
Mi sento grata e felice di aver provato quell’amore.
E adesso sento, con una sicurezza che non provavo da tanto tempo, che anch’io tornerò a vivere e ad amare. Il mio cuore è vivo e risplende di speranza … e forse è questo che ero venuta a cercare proprio qui, in mezzo alla guerra: la speranza.
Ti penso sempre e le tue lettere sono il mio più grande conforto.
A presto, con tutto il mio affetto,
Candy.

Brava la mia Cerchiolina, sei stata molto ma molto più esplicita della Mizuki a far scrivere ad Albert quelli che sono i suoi veri sentimenti :sorrisone: So bene quanto ti sia costato, ma hai seminato la possibilità che il rapporto tra i due possa evolvere verso lidi più amorevoli. Staremo a vedere :odyssea:


CITAZIONE (cerchi di fuoco @ 6/2/2016, 15:53) 
Il 6 aprile 1917 il presidente Wilson ruppe finalmente gli indugi e dichiarò guerra alla Germania, giungendo in soccorso di Francia, Inghilterra, Russia e Italia, stremate dopo quasi tre anni di sanguinoso conflitto contro gli Imperi Centrali. Gli Stati Uniti entravano ufficialmente in guerra e in tutto il paese iniziava la massiccia mobilitazione della più grande macchina bellica che la storia avesse mai conosciuto.

Candy apprese la notizia durante il giro di visite del pomeriggio. Due dottori di origine americana irruppero nell’edificio, recando una copia della dichiarazione di guerra che già circolava da qualche ora in città.
Ormai allenata, grazie alla guerra contro il suo fato che per lei durava da sempre, a ricevere colpi terribili e ad affrontare dolori e perdite, Candy apprese la notizia senza lasciarsi andare a scene di panico, ma continuò il suo giro e, solo al termine delle sue consuete attività, si recò sulla seconda collina di Pony.
Lì finalmente lasciò fluire tutta l’ansia e la preoccupazione per quella novità ormai attesa da tutti, eppure sconvolgente.
Gli Stati Uniti erano in guerra. Non c’era più modo di evitarla, adesso: era andata lei stessa a prendersi questo nuovo tributo.
Candy pensò immediatamente ai suoi cari. Archie sarebbe stato certamente esonerato dalla leva, in quanto studiava all’università, ma cosa ne sarebbe stato dei suoi cari Tom e Jimmie?

Di' la verità sei preoccupata che Tom non riesca più a sposare la sua bella fidanzata :risata: :risata: :risata: :risata: :risata: :risata:
Complimenti Cerchiolina, avevo dimenticato quanto è emozionante e coinvolgente leggerti. Dopo di te sarà dura, ma quel che conta è lo spirito con cui tutte insieme ci siamo cimentate nel realizzare questa nostra storia: l'amore per Candy e la stima e l'affetto che ci lega. :love3.gif:
 
Top
80 replies since 6/2/2016, 15:51   4445 views
  Share