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GLI SMERALDI E LO ZAFFIRO - FF completa

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Cerchi di Fuoco
view post Posted on 14/4/2013, 14:27 by: Cerchi di Fuoco     +9   +1   -1
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New York,
11 novembre 1917


Robert Hathaway si trovava a teatro quella sera, intento a dirigere le prove dell’Amleto che aveva definitivamente sancito il fulgido ritorno alle scene di Terence Graham, la sua rinascita dal baratro dell’alcol nel quale era precipitato due anni prima, sparendo per mesi da New York senza lasciare alcuna traccia. Hathaway, al suo primo impegno da regista proprio con una rappresentazione che, prima di quell’allestimento, era stata assente per diversi anni dal cartellone del teatro Stratford, ascoltava rapito i versi del monologo del principe di Danimarca, modulati in una mescolanza di toni stentorei e vellutati dal suo giovane allievo.
Per vent’anni Robert era stato il primo attore della compagnia Stratford, finché aveva deciso di abbandonare le scene per passare dietro le quinte e cimentarsi nell’arduo ruolo di regista. Quella scelta era stata la consacrazione di una delle più fulgide e brillanti carriere shakespeariane che Broadway ricordasse dai tempi di Edwin Booth, la cui fama quale fratello dell’uomo che aveva sparato al presidente Lincoln ne aveva parzialmente ed ingiustamente oscurato la brillante carriera di eccelso interprete shakespeariano.
Ad Hathaway piaceva anche definirsi un pigmalione: amava prendere azzardi e far crescere sotto la sua ala giovani promesse. Aveva infatti raccolto nella sua compagnia alcuni dei giovani più interessanti dell’ambiente teatrale newyorkese degli anni ’10, tra cui una giovane Susanna Marlowe in boccio; ed era stato sempre lui a scommettere su quel giovane bruno appena diciassettenne che si era presentato alla sua porta nell’inverno del 1913, armato solo del suo sguardo ardente e di un’edizione consunta e sottolineata molte volte del First Folio shakespeariano. Robert era stato il primo a credere nelle potenzialità di quel taciturno ragazzo maniacalmente dedito all’approfondimento dei suoi personaggi, e ad intravedere in lui l’esplosività di un talento senza precedenti che, come una bomba ad orologeria, sarebbe potuto sfociare tanto nella più sfavillante delle carriere di successo quanto nella più cupa autodistruzione.
E infatti il maturo attore non era rimasto sorpreso dall’enorme impressione che il giovane Terence Graham aveva suscitato al suo esordio nel 1914, interpretando nel Re Lear un ruolo minore ma con il quale aveva messo in ombra interpreti ben più centrali ed esperti.
Quando Terence aveva declamato con quella splendida e calda voce dalle mille sfumature, che calavano sui sensi degli spettatori come miele fuso e che il pubblico di Broadway avrebbe presto imparato a riconoscere dalla prima battuta:

“O Dèi, o Dèi, è prodigioso
come la fredda noncuranza di costoro
abbia acceso l’amore in me,
fino all’ardore dell’adorazione.
La tua figlia reietta, o re,
che il caso mi getta tra le braccia,
è regina di me e dei miei sudditi
e della bella Francia.” *



tutti nel teatro avevano trattenuto il respiro, facendosi morbidamente avvolgere dall’onda creata dai versi melodiosamente declamati da Terence. Hathaway, ripresosi dall’incantesimo che l’attore aveva gettato su di lui come su ciascuna delle persone presenti nel teatro, aveva recitato la sua battuta di risposta e capito che stava assistendo alla nascita di una rara stella nel firmamento shakespeariano.
Robert aveva accompagnato la parabola di Terence verso la fama, gli aveva fatto da mentore nei mesi successivi e aveva visto l’acerbo attore trasformarsi settimana dopo settimana in un intenso interprete, ed il giovane taciturno maturare nell’uomo serio e riservato.
Ed era stato proprio da uomo dotato di profondo senso dell’onore che aveva visto il suo pupillo affrontare il dramma dell’incidente e dell’inabilità di Susanna, lanciatasi per spingerlo via da un riflettore che stava precipitando su di lui, salvandogli la vita ma perdendo così una gamba. E da uomo, con le sue tremendamente umane fragilità, lo aveva visto precipitare in un abisso di disperazione che ne aveva compromesso la recitazione e decretato l’esilio dal mondo teatrale, nel 1915. Un mondo che sapeva celebrare solo divi in ascesa e non sopportava di confrontarsi con l’umana imperfezione. Robert, sotto le pressioni dei produttori e dei finanziatori della compagnia, aizzati da una sequela di critiche stroncanti verso quell’ex-enfant prodige adesso frettolosamente congedato quale sopravvalutata meteora nell’universo shakespeariano, aveva dovuto comunicare a Terence la sua sospensione dalla compagnia, guardandolo dritto negli occhi blu, torbidi per i fumi dell’alcol nel quale il giovane stava annegando la sua disperazione.
E come avrebbe potuto dargli torto? Quale giovane della sua età non sarebbe crollato sotto quel peso che il destino gli aveva scaraventato addosso senza alcun riguardo?
Eppure Robert era certo che Terence avrebbe vinto i suoi demoni e ripercorso a ritroso la sua discesa agli inferi passo dopo passo, per tornare a splendere.
Nessuno aveva mai saputo se Terence avesse trovato solo in se stesso la forza di rialzarsi, o se fosse stato sorretto e aiutato da qualcun altro. Forse dalla madre, la grande attrice Eleonor Baker, il cui rapporto con Terence non era più un segreto da quando per lui era arrivata la notorietà. Ma Robert riteneva che un tale influsso, una tale forza, potesse essere giunta solo da un’altra fonte: dalla donna alla quale una volta Terence gli aveva accennato, senza farne il nome, ma che certo non poteva essere Susanna.
No, gli occhi di Terence restavano vuoti quando parlava della fidanzata; non si accendevano di quel fuoco vibrante che invece immediatamente li aveva fatti splendere di mille riflessi blu nel parlargli di quella ragazza, gelosamente custodita tra i ricordi di un passato lontano, che gli aveva dato la spinta e la forza di inseguire i suoi sogni, in quella fase della sua giovinezza in cui sarebbe potuto con pari probabilità diventare tutto, o perdersi nel niente di una sterile ribellione alla vita.
Quale che fosse stata la ragione, dopo lunghi mesi trascorsi nel suo inferno personale, del quale non avrebbe mai parlato con nessuno, Terence era tornato alla vita e Robert non aveva esitato a ridargli fiducia, pur facendolo ripartire da ruoli minori. Non per punirlo della sua defezione, ma per preservarlo dalla prematura pressione di un ruolo da protagonista, timoroso che potesse ricadere tra gli artigli della dipendenza dall’alcol.
Terence aveva accettato la sfida, grato al suo mentore.
Il 1916 era così stato per il giovane un anno di risalita dal punto di vista professionale, fino all’apoteosi dell’Amleto, che continuava a tenere il cartellone a grande richiesta di pubblico e critica ancora a distanza di un anno. In tutti quei mesi, Robert lo aveva visto calcare giorno dopo giorno le assi del teatro Stratford, caricando ogni gesto con tutta la rabbia e la frustrazione accumulata in una vita nella quale non si riconosceva più. Paradossalmente, gli unici frammenti di verità per Terence erano diventati i momenti in cui declamava i versi dei suoi personaggi immaginari, mentre la sua recita si svolgeva fuori dalle pareti del teatro, nella vita reale. Ma al fianco della protagonista femminile sbagliata.
Quel pomeriggio, dunque, Robert stava operando insieme a Terence le poche limature di cui la sua interpretazione necessitasse, guidandolo mentre incedeva con il passo felino e il fascino magnetico di una tigre che si impadroniva del palcoscenico con la pura forza del suo carisma. Della tigre Terence possedeva la naturale e inconsapevole eleganza. E come il regale felino il giovane riusciva ad ipnotizzare chiunque ne incrociasse lo sguardo, che spaziava attraverso le più diverse gradazioni di colore: dal nero della più oscura collera, passando per il blu profondo che esprimeva il suo gelido disprezzo; dal blu-verde della sconfinata tristezza, fino allo splendente blu zaffiro, che però Robert era riuscito a scorgere solo in quell’unica occasione in cui Terence gli aveva parlato di colei che lo aveva salvato da se stesso. L’andatura e la postura erano quelle di chi dominava lo spazio anziché esserne dominato, e non erano né la sua altezza né la corporatura slanciata e tonica a conquistare tutti, ma lo straordinario fascino che emanava dalla sua persona ancor prima che parlasse. Quando però infine lo faceva (sempre con moderazione e centellinando le frasi) la sua voce sembrava colorarsi delle stesse multiformi sfumature dei suoi occhi, raccordandosi a loro in perfetta armonia e lanciando su qualsiasi interlocutore un incantesimo impossibile da sciogliere...
Quella sera, proprio mentre si abbandonava per l’ennesima volta a tale magia, l’attenzione di Robert fu però distolta dal palcoscenico: gli sembrava ci fosse un tafferuglio in fondo alla sala. Ansioso di ristabilire la calma che gli avrebbe consentito di tornare a concentrarsi sugli attori e sulle scene, si alzò dal suo posto al centro della platea e si diresse verso l’origine di tutto quel bailamme.
Si trattava di un ragazzino di circa 12 anni, pulito ma disordinato come se avesse corso per parecchi isolati, che cercava di forzare la resistenza di due inservienti, i quali lo trattenevano a stento dall’irrompere in platea.
- Ragazzino, basta così! Ti abbiamo già detto almeno un milione di volte che non è possibile interrompere le prove!
- Per favore signori, ho un messaggio urgentissimo da riferire… - piagnucolò quasi il ragazzo.
- Riferiscilo a noi.
- Mi è stato raccomandato di parlare solo al signor Terence Graham!
- Cosa succede? – il tono di Robert Hathaway era esasperato, detestava interrompere le prove.
- Signore, vengo dall’ospedale St. Jacob’s. Mi hanno mandato a chiamare il Sig. Graham.
Nell’udire il nome dell’ospedale, Hathaway si mise immediatamente in allarme: quello era l’ospedale nel quale avevano portato Susanna dopo l’incidente di tre anni prima, che aveva cambiato il corso di molte vite oltre a quella della sfortunata attrice.
- Di che si tratta ragazzo? Riferisci a me, sono il regista!
Il ragazzino rimase in dubbio ancora per qualche momento. Ma il tono autorevole ma rassicurante di Robert, unito al sorriso che lo accompagnava, vinse le sue resistenze. La signora che gli aveva dato l’ambasciata per Graham era tanto alterata e sgarbata, che tornare indietro con un fallimento era un’ipotesi da scartare senza pensarci due volte!
- Vengo da parte della signora Marlowe, signore – Hathaway fece un sospiro: proprio come aveva temuto! – La signora desidera che il signor Graham mi segua subito all’ospedale St. Jacob’s. Mi ha detto di riferirvi che la figlia è stata ricoverata lì un’ora fa.
“Desidera” non era il termine esatto, pensò il giovane inserviente che rispondeva al nome di Matt: la signora che lo aveva intercettato in corridoio era in preda ad una vera crisi isterica, ed eseguire le sue indicazioni era sembrato soprattutto un buon modo per liberarsi dalla presa con cui gli aveva artigliato le braccia davanti alla camera della figlia.
Hathaway sgranò gli occhi, addolorato. Non era la prima volta che Susanna aveva delle ricadute. Ma gli sembrava che dall’anno precedente, precisamente da quando era stata baciata dal successo nelle nuove vesti di autrice teatrale, non se ne fossero più verificate.
- Parlo io al sig. Graham, figliolo. Lo avverto subito, non temere. Così potrete, anzi, potremo, correre subito in ospedale.
Matt fece un sonoro sospiro di sollievo e si accinse di buon grado ad aspettare nel foyer.
Hathaway si volse verso il palcoscenico dove Terence, totalmente disconnesso dalla realtà circostante, come ogni volta che calcava le scene sia in prova che di fronte al pubblico, era in quel momento silenziosamente raccolto e concentrato sulla sfida di far sua ogni sfumatura della contrastante personalità del principe di Danimarca. Robert salì sul palco e silenziosamente attese che Terence riaprisse gli occhi.
Si guardarono mentre l’affetto di lunga data faceva correre un messaggio silenzioso tra loro.
- Cosa è accaduto, Robert? – il primo pensiero di Terence andò alla madre. Dio non volesse le fosse successo qualcosa!
E poi, inspiegabilmente ma ineluttabilmente, sebbene la ragione gli suggerisse l’impossibilità che Robert gli recasse notizie di lei, davanti ai suoi occhi e al suo cuore presero forma due luminosi occhi verde acqua.
- Susanna – disse invece Robert.
- Cosa le è successo? – chiese Terence, mentre la luce verde che aveva acceso il suo mondo per quei pochi istanti si spegneva repentinamente come si era accesa, facendo di nuovo piombare tutto ciò che lo circondava nell’opacità delle consuete sfumature di grigio a cui la vita lo aveva condannato negli ultimi anni.
- Non so molto, solo che è ricoverata all’ospedale St. Jacob’s, e che la madre ti ha mandato a chiamare con una certa urgenza.
Questo poteva significare tutto e niente, considerò Terence: col tempo aveva imparato a proprie spese che gli attacchi di panico e le crisi isteriche della signora Marlowe potevano essere causati indistintamente (e con la medesima teatralità) da un suo tacco rotto come dalla notizia di un attacco di sommergibili tedeschi direttamente contro le coste di Manhattan.
- Capisco Robert. Mi reco subito lì – il tono era rassegnato.
- Vengo con te – Robert cercò di trasmettergli la sua vicinanza con lo sguardo e con la mano con la quale gli strinse la spalla.
Aveva imparato a voler bene a quel giovane come ad un figlio, e per Terence era lo stesso. Il significato che attribuiva alla parola “padre” aveva per lui l’immagine del volto di quell’uomo al quale doveva tanto, piuttosto che la maschera inflessibile dai bellissimi lineamenti scolpiti nel granito del duca di Granchester.
I due uomini raccolsero rapidamente soprabiti e cappelli dalla poltrona della prima fila su cui erano adagiati e si avviarono a passo veloce verso l’ingresso del teatro, dove Matt li aspettava impaziente saltellando sugli scalini del teatro.
- Andiamo ragazzo, sono pronto – gli disse Terence, che aveva sul viso un sorriso stanco che però non arrivava agli occhi, mentre Hathaway fermava un taxi.
- Grazie a Dio, Mr. Graham! Il cielo lo sa che cosa mi avrebbe fatto la signora Marlowe se non l’avessi trovata!
A queste parole Matt poté apprezzare un fugace lampo di comprensione su quegli occhi blu così intensi.
- Sì, ragazzo, so perfettamente cosa intendi – gli rispose Terence, prima di spingerlo delicatamente per una spalla e salire dietro di lui sul taxi che si avviò rombando lungo la Broadway, in direzione sud.

Un brivido, che non aveva niente a che vedere con il freddo intenso della giornata invernale, percorse tutto il corpo di Terence quando scese dalla vettura davanti all’ingresso principale del St. Jacob’s Hospital e in un lampo si sentì riportare indietro di tre anni, alla notte in cui aveva chinato il capo al destino e perso tutto. Lo sguardo, senza che gli sembrasse di averlo guidato consapevolmente, si sollevò lentamente verso la terrazza che occupava per intero il tetto dell’edificio. La prospettiva e l’altezza gli impedivano di scorgerla, eccezion fatta per una piccola porzione di ringhiera e per il fumo che si levava dai comignoli sullo sfondo del plumbeo cielo autunnale. Ma gli occhi della sua mente erano lassù, e potevano agevolmente contare uno per uno i milioni di piccoli frammenti del suo cuore sparsi da allora su quel pavimento. Mancava solo la neve perché il dejavù fosse completo, pensò con un brivido prima di distogliere lo sguardo e correre insieme a Matt e a Robert all’interno.
Grazie al cielo il destino, di solito così beffardo nei suoi confronti, si era fatto sfuggire una ghiotta occasione di infierire sulla sua anima provata, poiché la stanza in cui era stata ricoverata Susanna stavolta si trovava in un’ala dell’ospedale differente da quella notte, cosicché Terence riuscì ad allentare in parte la tensione che lo attanagliava al pensiero di salire per quelle scale.
Dopo aver seguito Matt per corridoi e atri, la stanza di Susanna gli venne annunciata da lontano dallo sgradevole suono dei singhiozzi della signora Marlowe.
- No…No…NOOOO!!!!
Terence sospirò e si avvicinò chiedendosi, non per la prima volta, quanto del suo fardello fosse stato aggravato dall’aver consentito a quella donna di ascendere a un posto tanto invadente nella sua vita. Dalla notte fatale in cui si era consegnato a Susanna, si era consegnato anche a sua madre.
Al ritorno di Terence da Rocktown era stato proprio su pressione della signora Marlowe che la figlia gli aveva posto quell’ultimatum: se non voleva decidersi a sposarla, quanto meno avrebbero dovuto andare a vivere insieme. Glielo doveva, in cambio delle pene dell’inferno che aveva passato in quegli ultimi mesi, a causa della sua scomparsa!
Anche se sui giornali Susanna si era mostrata ottimista e serena riguardo al ritorno di Terence, recitando la parte della fidanzata fiduciosa nel suo uomo, dentro di lei il terrore dell’abbandono aveva scavato ferite profonde, che poi gli erano state quasi orgogliosamente esibite, insieme a tutto il desiderio di rivalsa fomentato dalla madre. Guardandolo con occhi parimenti pieni di rabbia e frustrazione gli aveva urlato:
- Non vuoi amarmi, Terence? Non PUOI amarmi? Lo so e l’ho accettato molto tempo fa!
Dio, come faceva Susanna a rivoltare la questione in un modo tanto enorme? Si sentiva veramente la vittima di quel dramma? L’unica vittima? Terence non era mai riuscito a decidere se fosse realmente così, o se si trattasse solo dell’ultima interpretazione di quella dotata attrice, ex-promessa dei palcoscenici di Broadway.
E poi non aveva importanza. Alla fine aveva ceduto. Cosa contava in fondo? Aveva già abdicato alla sua vita, cosa poteva significare rinunciare a quella piccola porzione di inutilizzabile libertà costituita dal suo appartamento?
E così, mentre Susanna si trasferiva da lui, la signora Marlowe aveva chiuso la seconda parte di quella manovra a tenaglia, cominciando a premere per le nozze, dal momento che lui e sua figlia a suo dire “vivevano già nel peccato”.
Ma quello era stato un passo sul quale Terence si era mostrato inflessibile per la prima volta dall’inizio di quell’assurda tragedia. Non che gli importasse qualcosa di pronunciare i voti nuziali, non essendo mai stato particolarmente arso dal fuoco della religione, fin dall’adolescenza; d’altra parte sentiva di aver già assunto l’impegno di restare accanto a Susanna e prendersi cura di lei di fronte al più implacabile giudice della sua condotta, un giudice dagli occhi verdi che mai e per nessun motivo al mondo avrebbe deluso. Il vincolo matrimoniale non avrebbe aggiunto nulla, né tolto nulla, alla sacralità del giuramento fatto su quelle scale…
No, il vero motivo era che, per quanto fosse diventato particolarmente abile nel recitare il copione della sua vita, sapeva che non sarebbe mai riuscito a costringere le sue labbra a pronunciare una promessa d’amore dedicandola a chiunque non fosse la sua dolce ragazza, il suo ricordo di felicità, la sua vera vita contrapposta al patetico canovaccio recitato ogni giorno.
E così erano andati avanti in quella convivenza fredda e artefatta. Lui e Susanna erano due anime che la vicinanza e la coabitazione in uno spazio limitato aveva allontanato, anziché unito; come sempre avviene a coloro che non si sono scelti a vicenda e con pari sentimento. L’unico spazio inviolabile che quella nuova regina della sua casa, oltre che della sua esistenza, non era mai riuscita a conquistare era il suo studio. Il suo rifugio.
- Terence! Sei qui finalmente.. Susanna… Susanna è… – Terence fissò inorridito la Signora Marlowe lanciarsi per gettarsi tra le sue braccia, ma per fortuna Robert fu più rapido ed evitò il peggio, scattando verso di lei per intercettarne il movimento e accompagnarla delicatamente su una delle poltrone del corridoio riservate ai visitatori.
La donna si fece docilmente condurre e, secondo il suo costume, iniziò a piangere e singhiozzare rumorosamente con le mani sul volto, del tutto incapace di governare le proprie emozioni.
Terence la ignorò, voltandosi verso la coppia di dottori che, quando lui e Robert erano arrivati, stavano parlando con la madre di Susanna. Uno dei due gli era noto: aveva una quarantina d’anni e capelli rossi che denotavano una chiara origine irlandese. Si trattava dello psichiatra che aveva in cura Susanna fin dall’incidente alla gamba. L’altro invece sembrava avere in mano le redini della situazione ed emanava una forte autorevolezza. Terence si rivolse a quest’ultimo:
- Buonasera, dottore. Sono il fidanzato di Miss Marlowe. Può dirmi cosa è accaduto?
- Buonasera, Mr. Graham. Sono il dottor Frank, primario di medicina generale – il dottor Frank, un distinto medico di circa 50 anni, dall’aria affidabile e rassicurante, strinse la mano a Terence, provando un istintivo apprezzamento per quell’uomo dai lineamenti aristocratici, così giovane eppure così dignitoso - Mr. Graham, sarò sincero con lei. La situazione è molto seria e il quadro clinico gravemente compromesso.
- Dottore, io non capisco. Susanna stava bene ultimamente. Nelle ultime settimane aveva anche presenziato a delle rappresentazioni delle sue opere… – Terence si interruppe.
Ebbe un breve flash della prima de La principessa sbagliata, la commedia sceneggiata da Susanna che aveva avuto un grande successo nell’ultima stagione teatrale ed alla quale lui, per la prima volta, si era rifiutato categoricamente di accompagnarla, dopo uno dei loro rari veri litigi. Adesso visualizzava Susanna uscire di casa per recarsi al teatro New Amsterdam di Broadway, mentre lui la osservava dalla penombra dello studio, avvolto nella sua nuvola di fumo. Lei indossava abiti estivi… sì, era giugno, quasi sei mesi prima. E da allora lui era stato talmente preso dalle prove e dalle rappresentazioni dell’Amleto, che il tempo era passato senza che quasi se ne accorgesse, tra le prove in teatro e le sue notti solitarie. Cosa era accaduto a Susanna in tutti quei mesi? L’aveva salutata ogni mattina lasciando l’appartamento e le aveva dedicato l’unico casto bacio sulla guancia che si sforzava di darle ogni giorno, rientrando dal teatro e trovandola immancabilmente sorridente allo scrittoio della sua stanza, intenta a leggere o scrivere in una solitudine da cui aveva saputo far scaturire un testo teatrale di successo. Si sforzava di consumare i pasti con lei e l’accompagnava diligentemente alle visite di controllo prescritte. Ma non c’era alcuna reale intimità tra loro, nessuna condivisione. Il tempo trascorreva in una routine di fredda cordialità, nella quale Terence cercava di narcotizzare la sua rabbia fino al momento di chiudersi dentro il suo studio, accingendosi a fronteggiare l’ennesima tormentata veglia.
Quindi con quale cognizione di causa poteva affermare che tutto stesse andando bene negli ultimi tempi? Probabilmente la sua governante, Mrs. Greppi, ne sapeva più di lui, e di certo era stata più attivamente presente nella vita di Susanna di quanto non avesse fatto lui.
- Miss Marlowe ha attraversato un periodo di grave depressione negli ultimi mesi, Mr. Graham. Il mio collega dottor Collins, che come sa l’ha assistita da un punto di vista psichiatrico, potrà spiegarle quali sono state le condizioni che hanno fatto da cornice a quanto accaduto oggi.

* Re Lear, Atto I, Scena I


...CONTINUA...

Edited by cerchi di fuoco - 3/8/2013, 22:10
 
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