Candy Candy

GLI SMERALDI E LO ZAFFIRO - FF completa

« Older   Newer »
  Share  
Cerchi di Fuoco
view post Posted on 23/4/2013, 20:20 by: Cerchi di Fuoco     +7   +1   -1
Avatar

Group:
Special friend
Posts:
9,725

Status:


Capitolo 2°: Cambiamenti



2cambiamenti



Lakewood, Illinois,
22 gennaio 1919


Nuvole plumbee si specchiavano sulle acque del lago Michigan, conferendo a tutto il paesaggio circostante il tetro colore della malinconia. I rami spogli degli alberi ai due lati del viale ricamavano su quello sfondo grigio delle linee intrecciate, simili a scuri e netti tratti di pennello schizzati da un artista visionario direttamente sul cielo. L’aria gelida nelle campagne attorno al lago sembrava cristallizzare la profonda tristezza di un eterogeneo gruppo di persone che incedeva gravemente, allontanandosi dal cimitero a passo lento e sotto grandi ombrelli neri che li riparavano dalla pioggia che cadeva incessante da giorni. Era come se dal cielo stessero scendendo nuove lacrime, in aggiunta a quelle che erano state appena versate alle esequie della zia Elroy.
La famiglia Andrew si era riunita compatta, come sempre avveniva in occasione di matrimoni e funerali in quella grande e ramificata famiglia, sparsa ormai in tutto il mondo.
Gli unici assenti erano i coniugi Cornwell, i genitori di Archie e Stear. Sarebbe stato impossibile aspettare il loro rientro dall’Africa per celebrare il funerale, in considerazione del caos che ancora regnava in Europa dopo la fine della guerra e degli sconvolgimenti che l’avevano seguita. Germania e Italia sembravano sull’orlo del collasso istituzionale, rivolte e insurrezioni operaie erano all’ordine del giorno e nessuno sembrava in grado di prevedere come si sarebbero assestati i nuovi ordini politici interni. Intanto, tutti gli occhi erano puntati sulla Russia, teatro da più di un anno di una sanguinosa guerra civile tra restauratori “Bianchi” e comunisti “Rossi”, seguita alla Rivoluzione Bolscevica.
Al funerale della zia Elroy era invece intervenuto Vincent Brown, il vedovo di Rosemary Andrew e padre di Anthony. L’uomo, dopo essersi ritirato a vita privata e aver posto fine ai suoi pellegrinaggi per mare, si era trasferito in un tranquillo cottage sulle rive del lago Michigan nei pressi del confine tra l’Indiana e l’Illinois, nel quale conduceva una ritirata esistenza, non mancando di far visita frequentemente alle tombe della moglie e del figlio adorati. Nonostante i suoi rapporti con la zia Elroy non fossero mai stati dei migliori, essendosi la matriarca opposta strenuamente alle nozze dell’amata nipote con quel “marinaio”, come da lei definito, dalle origini non considerate all’altezza del blasone degli Andrew, Vincent non aveva voluto mancare all’ultimo saluto verso una figura così importante nella vita della donna che aveva amato con tutto se stesso. Adesso, al riparo di un grande ombrello scuro che sembrava coprirne la profonda malinconia, l’uomo incedeva dignitosamente e solitariamente dal cimitero verso la villa di Lakewood, col capo chino e immerso nei ricordi di un passato troppo costellato dalle morti di coloro che gli erano stati più cari per poter essere condiviso con alcuno.
La famiglia Legan era appositamente rientrata da Miami, dove si era ormai definitivamente stabilita per concentrarsi sul business dei resort di lusso, settore in quel periodo in forte espansione negli Stati Uniti. L’aristocrazia del denaro dell’intera costa orientale stava scoprendo la Florida e il suo clima costantemente mite quale luogo ideale in cui trascorrere una serena e privilegiata vecchiaia, o dove trovare rifugio dalla grande epidemia di influenza che divampava in tutto il paese, con particolare virulenza nelle città come Boston e New York, più cosmopolite e meglio collegate al resto del mondo.
Il signore e la signora Legan si erano ritagliati in quegli anni un ruolo di primo piano nell’elite di Miami e avevano moltiplicato le ricchezze di quel ramo della famiglia, anche se qualcuno sussurrava che ad avere ingrossato gli svariati conti bancari della famiglia non fossero stati soltanto introiti totalmente limpidi. Ma in un paese che stava facendo dell’imprenditorialità, della legge del più forte e dell’assenza di scrupoli il fondamento del “sogno americano” queste voci non avevano intaccato la reputazione della famiglia, che continuava a offrire sfoggio di ricchezza nei più sontuosi e sfarzosi ricevimenti di Miami. Era stato in occasione di una festa di capodanno due anni prima che Neal aveva conosciuto Clelia, la figlia del governatore della Florida Sidney Johnston Catts. Dopo una breve frequentazione, il loro fidanzamento ufficiale era stato annunciato da una Sarah Legan in visibilio, felice di avere finalmente lavato via l’onta della rottura tra il figlio e quella orribile trovatella che li aveva umiliati pubblicamente davanti a tutta Chicago. Clelia era la classica bellezza del sud dai lunghi boccoli biondi, le gote rosate e modi ossequiosi e remissivi; ma soprattutto possedeva una dote equamente divisa tra ricchezze e solida reputazione familiare, che ne facevano la sposa ideale per quella avida e superficiale famiglia, nonché per un Neal che l’età aveva reso ancora più scontroso e più arrabbiato col mondo e con la perenne sensazione di essere in credito con un destino avverso. La sua educazione si era fermata agli anni della St. Paul School, e i tentativi del padre di assegnargli un impiego di facciata nell’azienda di famiglia, da cui non provocasse troppi danni, erano falliti di fronte alla sua sempiterna indolenza. Il matrimonio con Clelia Johnston Catts sarebbe stato quindi il degno coronamento di una esistenza vacua e improduttiva, la cui conclusione giustamente non avrebbe potuto avere scenario più adatto di una delle grandi residenze di campagna della Florida, sotto un portico verniciato di bianco e tra alberi di magnolia. Di quella aristocratica nullafacenza i grandi proprietari terrieri degli Stati del sud si facevano tuttora un vanto, e continuavano orgogliosamente ad esibirla come proprio tratto culturale distintivo a distanza di più di cinquant’anni dalla fine della guerra civile.
Iriza aveva seguito le orme della madre ed era diventata una delle regine dei salotti di Miami, nonché una delle più corteggiate signorine della buona società cittadina. Eppure, nonostante i molti ammiratori, aveva ricevuto ben poche proposte di matrimonio, con grande sconcerto dei genitori. Quella sua attitudine malevola, nonché l’indole egoistica e autoreferenziale che continuavano ad essere i tratti dominanti della sua personalità, emergevano immancabilmente con chiunque scavasse oltre la superficie nel rapporto con lei, determinando la fuga repentina di coloro che erano dotati di carattere limpido, o l’emergere degli istinti meno onorevoli in quegli spiriti torbidi e più affini al suo.
A preservare la sua virtù dagli attacchi di questi ultimi aveva provveduto il più forte dei suoi moventi: l’ambizione a fare un ottimo matrimonio, per il quale l’illibatezza costituiva il miglior viatico.
Alla fine, aveva ceduto alla corte di un socio in affari del padre, Louis De Francois Vouilleres, un mercante e imprenditore immobiliare, vedovo di mezz’età piuttosto affascinante e dalle sconfinate quanto oscure ricchezze, che a suo dire vantava tra i propri avi una famiglia giunta in Louisiana insieme ai primi colonizzatori francesi nel XVII secolo.
Di fronte alla scelta tra il buon nome e il denaro, Iriza aveva optato per il secondo, certa che le sarebbe stato poi sempre possibile comprare il primo. E tale analisi era stata la più profonda che la sua mente, per il resto esclusivamente dedita a valutare il colore più alla moda e le pettinature più in voga per la stagione in corso, avesse elaborato fin dall’infanzia.
La coppia si era sposata nell’estate precedente e da allora Iriza si era trasferita a New Orleans nella residenza di famiglia del marito dove, colti finalmente col matrimonio i frutti degli anni di forzata virtù, si era immediatamente calata nella sfrenata ed eccitante vita della capitale del divertimento, proprio negli anni d’oro della nascita del jazz e della stella di Louis Armstrong, dandosi a una serie di promiscue relazioni nei lunghi periodi di assenza del consorte per affari. Si chiacchierava che il marito, a sua volta, avesse almeno un altro paio di famiglie clandestine sparse tra la Louisiana e il Mississippi.
I contatti della nuova signora De Francois Vouilleres con la famiglia d’origine, eccezion fatta per la madre con la quale manteneva una stretta corrispondenza epistolare, erano ridotti al minimo dopo lo smacco costituito dal rifiuto di tutti gli Andrew di Chicago di partecipare alle sue nozze nel luglio precedente, e di ammirare così lo scandaloso e volgare sfoggio di opulenza che ne aveva costituito la pacchiana cornice.
I coniugi Archibald ed Annie Cornwell avevano avuto ottimi motivi per declinare l’invito: Annie all’epoca non poteva affrontare il lungo viaggio, essendo proprio a metà della gravidanza da cui sarebbero nati i gemelli Pauline e Alistear, primi esponenti di una nuova generazione di Andrew. La zia Elroy aveva avuto una delle ultime gioie della sua vita nel tenere tra le braccia i suoi pronipoti. Aveva però causato sconcerto la scelta del nome della piccola, non legato alle storie familiari né degli Andrew né dei Brighton, anche se in pochi avevano potuto cogliere il riferimento alla madre del cuore di Annie, Pauline Giddings, alias Miss Pony. La signora Brighton aveva reagito nel peggiore dei modi alla scelta della figlia, e in pochi nella cerchia dei familiari avrebbero saputo dire se a sconvolgerla di più fosse il fatto che la fanciulla avesse voluto così rendere omaggio alla donna che l’aveva allevata negli anni dell’infanzia, o il timore che la verità sulle oscure origini della figlia adottiva potessero venire alla luce, terrore che ancora turbava le sue notti.
Nessuno aveva invece trovato alcunché da ridire, o aveva avuto il minimo dubbio, sull’origine del nome del piccolo Alistear, giacché la ferita apertasi con la morte del fratello non si era mai rimarginata nel cuore di Archie, al quale da allora sembrava di aver perso una parte di sé. Era come se il giovane fosse maturato improvvisamente in un giorno in cui aveva suonato la cornamusa in solitudine sulla tomba del fratello e del cugino Anthony, dicendo così addio alla sua fanciullezza. Abbandonati i vezzi da dandy, Archie si era rivelato un giovane uomo maturo, assennato e con la testa sulle spalle, con un talento spiccato per gli affari e la volontà di metterlo al servizio dell’azienda di famiglia. All’inizio del 1918 era stato inserito dallo zio William nel consiglio d’amministrazione della Andrew Enterprises, il consorzio di ramificate attività che toccavano tutti i settori del business e che ponevano la famiglia Andrew nell’elite finanziaria ed economica degli Stati Uniti, insieme agli Astor, ai Vanderbilt e ai Rockefeller. Subito dopo, a coronamento di un lungo fidanzamento, aveva sposato Annie Brighton, la dolce e fedele compagna devotamente al suo fianco fin dai tempi della scuola, sebbene fino alla fine la zia Elroy, istigata dai Legan, avesse fatto di tutto per ostacolare il matrimonio e si fosse piegata solo di fronte all’endorsement verso la coppia del capofamiglia William.
Tutti i convenuti alle nozze avevano unanimemente affermato che non si era mai vista in tutta la storia di Chicago una sposa più radiosa e bella di Annie; e quando la giovane, con gli occhi lucidi di gioia aveva sussurrato il suo “lo voglio”, con una voce tremante che esprimeva tutto il profondo amore per l’uomo di fronte a lei, Archie non era stato l’unico a essere percorso da un brivido nella grande Holy Name Cathedral di Chicago.
Annie era maturata molto dagli anni dell’infanzia e dell’adolescenza ed era sbocciata in una splendida, matura e consapevole giovane donna grazie alla certezza dell’amore di Archie, del quale in passato aveva avuto più di un’occasione per dubitare. Sapeva bene che era stato solo il disinteresse di Candy a un legame sentimentale con il cugino adottivo a spingere il marito tra le sue braccia, ai tempi della scuola. Ma la sua devozione, la sua dolcezza e il suo amore, uniti alla nuova maturità di Archie stimolata dal dolore per la morte dell’amato fratello, avevano fatto dissolvere il velo che fino a quel momento aveva impedito al giovane Cornwell di rendersi conto di quale prezioso tesoro avesse al fianco silenziosamente da anni.
Il giorno in cui si era inginocchiato di fronte a lei, porgendole il più meraviglioso dei brillanti e chiedendole con voce spezzata se volesse trascorrere tutto il resto della sua vita con lui, Annie aveva visto negli occhi di Archie tutto l’amore che aveva sempre sognato di scorgervi, e aveva capito che il suo lungo viaggio era terminato. Si era gettata felice tra le sue braccia e aveva sussurrato il “sì” più convinto della sua vita, nel porto sicuro tra le braccia dell’uomo che aveva sempre amato e dal quale adesso si sentiva parimenti riamata.
Questa nuova consapevolezza di sé si era rafforzata con la repentina maternità e con la nascita dei gemelli, e i coniugi Cornwell conducevano adesso un’esistenza appagata e felice nella villa degli Andrew di Chicago, inseriti nella vita sociale della città come si conveniva al loro rango, ma senza ostentazioni di sorta. Annie, impegnata tra l’altro in varie attività benefiche in favore dei familiari dei soldati caduti in guerra, traeva tutta la sua gioia dal riempire d’amore e attenzioni i suoi figli, in un tentativo di esorcizzare il trauma dell’abbandono da parte dei genitori naturali da lei stessa patito, seppure riscattato dal grande amore di cui l’aveva circondata la famiglia adottiva e in particolare il padre, il sig. Brighton, nonno orgoglioso e completamente asservito ai due gemelli.
Sotto la pioggia di gennaio, Annie si era rifugiata in macchina e attendeva pazientemente il marito, il quale aveva manifestato il desiderio di trattenersi per qualche minuto da solo in raccoglimento sulla tomba del fratello, adiacente a quella della zia Elroy nel mausoleo degli Andrew.
Il triste corteo era chiuso da due figure bionde vestite di nero che procedevano sotto la pioggia, riparandosi sotto lo stesso ombrello, l’una al braccio dell’altro a scambiarsi come sempre il conforto che avevano dato e ricevuto reciprocamente l’uno dall’altro in tutte le altalenanti vicende della loro vita, sempre certi della rispettiva presenza nel momento del bisogno.
Come due piante rampicanti che traggono forza l’una dall’altra, intrecciandosi in corrispondenza degli snodi più difficili del proprio cammino, i cui fusti in certi tratti si separano ma restano sempre vicini, pronti a sostenersi l’un l’altro di fronte alle asperità della superficie su cui crescono.

...CONTINUA...

Edited by cerchi di fuoco - 27/4/2013, 00:43
 
Top
36 replies since 12/4/2013, 13:40   53553 views
  Share