Candy Candy

GLI SMERALDI E LO ZAFFIRO - FF completa

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Cerchi di Fuoco
view post Posted on 26/4/2013, 19:31 by: Cerchi di Fuoco     +5   +1   -1
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William Albert Andrew, il giovane leader di quel clan così in vista, era uno degli uomini più affascinanti di Chicago e dei dieci scapoli più ambiti degli Stati Uniti. Dal momento della rivelazione della sua identità quale zio William, Albert aveva dovuto dire addio alla propria indole selvaggia per prendere in mano le redini della famiglia e delle imprese, cosa che aveva fatto con impegno pari a quello che aveva messo nella sua scoperta del mondo negli anni della giovinezza, come se in tal modo avesse inteso saldare un debito con la famiglia che gli aveva consentito di dedicare gli anni migliori della sua vita alle proprie autentiche passioni: gli esseri viventi, la natura, la libertà. Lo spietato mondo degli affari, nel quale si muoveva ormai da tre anni con autorevolezza e disinvoltura da consumato businessman, grazie all’ottimo supporto dell’inseparabile amico e consigliere George Johnson, non aveva mai spento la luce che brillava nei suoi occhi azzurri come il cielo di primavera, né quella naturale empatia verso i deboli e i sofferenti che trovava sfogo nel proliferare di attività filantropiche finanziate dal patrimonio Andrew.
In quella mattina di gennaio il suo sguardo era velato dalla profonda tristezza che sentiva per la scomparsa dell’ultimo legame con il padre: quella zia Elroy che, dietro la rigidità derivante dall’età e dall’educazione, l’aveva prima amato profondamente come il prediletto tra i nipoti, e poi rispettato e accreditato di fronte al resto della famiglia quale capo unico degli Andrew.
Albert sentiva che con la morte della zia un pezzo della sua giovinezza era perduto per sempre, e sapeva che scelte nuove e svolte decisive erano dietro l’angolo: nuovi equilibri in seno alla famiglia conseguenti al cambio generazionale; scelte nelle quali lui avrebbe dovuto giocare un ruolo decisivo, come capo del clan.
Aveva smesso di piovere quando arrivarono alla macchina e Albert si voltò per guardare negli occhi la fanciulla dagli occhi verdi al suo fianco. Lei gli rivolse in risposta un dolce sorriso e gli strinse la mano, trasmettendogli senza parlare il suo messaggio di conforto, prima di precederlo in macchina.
George si mise silenziosamente alla guida e si avviarono verso villa Lakewood, il luogo in cui tutto aveva avuto inizio.
Albert guardava Candy, compostamente seduta accanto a lui, gli occhi lucidi delle lacrime che aveva versato per quella anziana zia portata via insieme a milioni di altre vittime dalla più grande epidemia di influenza che il mondo avesse mai conosciuto, e che in America aveva già causato più vittime della guerra. Il nero del semplice ma raffinato abito che indossava ne evidenziava l’incarnato eburneo sul quale spiccavano le sbarazzine lentiggini, da sempre fedeli compagne del suo viso. Gli indomabili ricci biondi erano gli stessi che avevano incorniciato il volto terrorizzato di una bambina salvata dalla furia delle acque proprio dal provvidenziale intervento di Albert, tanti anni prima. Adesso erano più corti e arrivavano a sfiorarle le spalle in morbide onde, pettinati in una dritta riga laterale che li faceva spiovere da un lato del volto, conferendole un aspetto molto semplice ma al contempo naturalmente raffinato. Gli occhi di un incredibile color verde brillante spiccavano come preziosi smeraldi, in contrasto col velluto scuro dell’abito e col semplice pizzo bianco del colletto. Quegli occhi che ancora oggi, dopo tanto tempo, gli presentavano l’immagine della sorella Rosemary ogni volta che li incrociava. La figura si era ulteriormente aggraziata e slanciata e, sulla soglia dei ventuno anni, Candy aveva l’aspetto e la leggiadria di una donna inconsapevole del fascino conferitole dalla sua semplice ed autentica bellezza, e non aveva d’altro canto perduto quell’aura magnetica conferitale dalla sua naturale empatia per gli altri.
La bambina dolce e deliziata dalle meraviglie del mondo, terrorizzata dai fratelli Legan, che aveva rischiato di annegare alla cascata di Lakewood, si era trasformata in una splendida giovane donna.
Candy guardava fuori dal finestrino il familiare paesaggio che conduceva al viale d’ingresso di Lakewood e al cancello delle rose. Albert la vide rabbrividire.
-Candy, hai freddo? – le chiese preoccupato
-No, Bert, va tutto bene – la ragazza gli rivolse un sorriso e tornò a guardare fuori.
Albert lanciò uno sguardo dal finestrino verso il cielo, che da plumbeo stava rapidamente volgendo al candore.
- Probabilmente nevicherà prima di sera
Candy rabbrividì, stavolta più visibilmente.
- Spero di no… detesto la neve… - e chiuse gli occhi, visualizzando una terrazza spazzata selvaggiamente dai candidi fiocchi, sulla quale la sua vita era finita ed era iniziato il resto della sua esistenza.
Albert la guardò, non aveva bisogno di chiedere nulla. Lui era l’unica persona al mondo a conoscere ogni dettaglio della separazione tra lei e Terence. Persino Miss Pony e suor Maria, le due mamme dalle quali Candy era tornata a vivere per aiutarle nella cura della casa di Pony, avevano un’idea sommaria di ciò che aveva diviso Candy dal suo Romeo, ma ignoravano i dettagli del doloroso rientro a Chicago e dei lunghi mesi di sofferenza e strazio che ne erano seguiti. Solo Albert era stato testimone della dolorosa battaglia per mettere a tacere il cuore che urlava la sua solitudine, e solo lui sapeva cosa rendeva ancora più lancinante la pena della sua piccola rosa, il tarlo che da quella lontana notte le agitava l’anima: il senso di colpa per non essere riuscita a mantenere il giuramento che lei stessa aveva strappato a Romeo su quella scalinata:
“Sii felice, Candy! Perché altrimenti non potrò mai perdonarti”.
Ogni promessa di felicità per Candy iniziava in una notte nebbiosa su un piroscafo in mezzo all’oceano Atlantico, e finiva rotolando giù per le scale dell’ospedale St. Jacob’s di New York, nel momento in cui le braccia di Terence avevano sciolto l’abbraccio con cui cercavano di trattenerla a lui ancora per un attimo. Un attimo solo. Per sempre.
Certo, da allora Candy era tornata a sorridere, a gioire delle felicità dei suoi amici e dei suoi cari, a piangere per la morte di Stear, a godere e a rallegrare con la sua luce naturale le vite di coloro che le stavano accanto. Ma Albert sapeva meglio di chiunque altro che ciò che si era spezzato quando quei due giovani avevano sciolto il loro disperato abbraccio non si era ancora ricomposto.

- La zia Elroy sarebbe stata contenta di vedere tutta la famiglia qui riunita per lei – disse Candy.
- Sì, lo sarebbe stata. Specialmente Sarah le mancava molto... è sempre stata la sua prediletta. Il suo più grande rimpianto è stato non poterla vedere più spesso negli ultimi anni.
- Non credo di poter dire altrettanto! – rispose Candy con un lampo di malizia negli occhi.
Nonostante la tristezza della giornata, Albert si fece strappare un sorriso. E dal posto guida, persino l’austero e imperscrutabile George si concesse di sollevare un infinitesimale angolo del labbro superiore, quale espressione della sua più grande ilarità per la soddisfazione, così genuinamente espressa da Candy, al pensiero delle migliaia di chilometri che tanto provvidenzialmente separavano l’Indiana dalla Florida e dalla Louisiana.
- Dopo il crollo seguito alla rottura del tuo fidanzamento con Neal direi che i tuoi rapporti con la zia non fossero poi così male, Candy!
- Certo, dal momento che erano assolutamente inesistenti! – esclamò la ragazza con un sorriso – il fatto che io sia tornata a vivere alla casa di Pony, liberando Lakewood dalla mia presenza, l’ha rasserenata. Avevamo trovato modo di evitarci reciprocamente, nei brevi periodi in cui io venivo a trovarti nelle pause dei tuoi viaggi, e ciò è stato sufficiente. Mi dispiace tanto non essere mai riuscita a vincere la sua diffidenza nei miei confronti. Per me invece lei resterà sempre legata al ricordo dei meravigliosi giorni in cui ho vissuto qui con lei Stear, Archie ed Anthony.
- Non ti capiva, Candy. E come tutte le persone anziane le era molto difficile accettare ciò che non comprendeva. Ai suoi occhi l’alterigia e la supponenza di Iriza erano molto più rassicuranti del tuo entusiasmo e della tua genuinità.
- Lo so. Anche tu e Rosemary avete dovuto faticare per farle accettare il vostro modo di essere.
- Rosemary è stata la prima persona in tutta la sua vita a sfidarla. Credo che il fatto che tu le somigli tanto abbia avuto un ruolo importante nella dinamica tra voi.
- Immagino di sì.
- Nel mio caso, alla fine non posso che ringraziarla per avermi consentito di dedicare una gran parte della mia vita alle mie passioni e alle mie aspirazioni, anche se mi aveva messo alle calcagna questo body-guard d’eccezione – scherzò Albert, sporgendosi in avanti per dare una pacca sulla spalla a George, che gli rivolse un sorriso fraterno attraverso lo specchietto retrovisore – credo che sia stato per effetto della morte di Rosemary… Comunque, ho sempre saputo, e anche lei, che il sangue alla fine avrebbe prevalso e sarei tornato a svolgere il mio dovere.
- Forse, quando ti ha visto comparire alla mia festa di fidanzamento con Neal, si sarà rammaricata che, avendo atteso tanti anni, tu non abbia deciso di aspettare ancora un giorno o due! – continuò Candy su quel tono leggero, ma reprimendo un brivido al pensiero di quella terribile vicenda, la più diabolica macchinazione dei Legan ai suoi danni, e di quali conseguenze avrebbe potuto avere se Albert non fosse intervenuto.
L’uomo scoppiò a ridere.
-Sì, hai ragione, Candy! – era strano riuscire a ridere in una giornata triste come quella, ma era quello il potere che Candy aveva sulle persone.
Stavano attraversando il cancello delle rose e Candy come sempre si sentì avvolgere da una sensazione di dolcezza e serenità confortanti. Era stupefacente come lo straziante dolore per la morte del suo Anthony si fosse mutato nel tempo in quel dolce abbraccio che le dava forza ogni volta che pensava a lui. Era lo stesso anche per Stear.
“Così come le rose una volta appassite rifioriscono più belle di prima, anche le persone una volta morte rivivono per sempre nel nostro cuore. Proprio come mi hai detto tu una volta, Anthony”.
Perché non poteva essere lo stesso anche per il ricordo di chi era perduto ma ancora in vita, che invece continuava a lacerarglielo, il cuore, con la stessa ferocia del primo giorno? Aveva imparato a proprie spese che ci sono persone che, anche se ancora vive, non si è destinati a incrociare più nel proprio cammino, per quanto doloroso fosse accettarlo.

Arrivati alla villa, dovettero sottoporsi allo strazio di un brunch di famiglia con la famiglia Legan.
Nella grande e familiare sala da pranzo della villa fu tutto molto imbarazzante: i Legan insieme al marito di Iriza da un lato della tavola e tutti gli altri di fronte, con Albert a capotavola.
Il silenzio carico di tensione, ostilità vecchie di anni, rancori mai sopiti, era tale da potersi tagliare con un coltello. Iriza lanciava lampi di fuoco dagli occhi, ma temeva troppo la collera dello zio William per lasciare fluire il veleno che la travolgeva in presenza di Candy; non si sarebbe mai rassegnata alla sua presenza in quella famiglia: fin dal primo giorno l’aveva combattuta come il simbolo di tutto ciò che lei disprezzava nella vita.
Era anche del tutto evidente che Neal stava bevendo troppo, probabilmente perché ritrovarsi a Lakewood gli richiamava alla mente il ricordo della più grande umiliazione mai patita in tutta la sua vita.
Albert ruppe l’imbarazzo rivolgendosi a Vincent Brown, seduto alla sua sinistra:
- Vincent, non ti sei ancora stancato del tuo ritiro dorato?
Il cognato alzò lo sguardo dal consommé che stava sorbendo, per rivolgergli uno sguardo interrogativo.
- Cosa intendi dire, William? – in famiglia, a parte Candy, tutti si rivolgevano ad Albert usando il nome di battesimo che era anche sinonimo di potere nel clan.
Albert scambiò uno sguardo d’intesa con Archie prima di proseguire:
- Mi chiedevo se non ti andrebbe di darci una mano con gli affari di famiglia – tutti i Legan, sotto un velo di apparente indifferenza, drizzarono immediatamente e simultaneamente le antenne – il direttore del settore commercio marittimo della Andrew Enterprises è andato in pensione dopo 35 anni di onorata carriera e io ho pensato che in famiglia c’è chi sarebbe più che all’altezza di ricoprire questo incarico e gode di tutta la mia fiducia.
Vincent rimase spiazzato di fronte a quella proposta. Per anni era stato ai margini della famiglia Andrew e sentirsi offrire dal leader un ruolo di primo piano nelle imprese era un inaspettato sviluppo. D’altra parte, fremeva per tornare in attività e lavorare con William e Archie, per di più nel settore che amava e di cui era tanto esperto, lo tentava moltissimo. Sarebbe potuto restare a Chicago, vicino a Rosemary e Anthony…
- Sei sicuro che la zia Elroy avrebbe approvato la tua scelta, William? – si intromise Sarah con voce melliflua.
- Cosa intendi dire, Sarah? – domandò Albert in tono apparentemente conciliante.
- Non mi pare che la zia abbia mai espresso particolare considerazione per il signor Brown, in passato, tutto qui.
- La zia Elroy non ha mai approvato l’ingresso in questa famiglia di persone non all’altezza del nostro nome – rafforzò il concetto Iriza, non riferendosi certo a Vincent Brown.
Candy e Annie si lanciarono uno sguardo e un sorriso. Avevano cessato da tempo di sentirsi toccate dalle malevolenze dei Legan, e Annie si concedeva finalmente il lusso di ridere di loro, dalla sua nuova posizione di forza quale moglie di un Cornwell.
- Credo che la domanda sia se a me sembri opportuna questa scelta, Sarah, dal momento che sono il Presidente della Andrew Enterprises, non trovi?
Sarah mosse rapidamente in ritirata. Da quando William Albert era assurto al rango di capofamiglia i fasti degli anni d’oro, in cui per decidere le sorti della famiglia bastava una sua velata allusione, fatta distrattamente cadere in qualche punto di una conversazione con la zia Elroy, erano per lei tristemente tramontati.
Vincent, ignorando quell’ultimo scambio, si rivolse ad Albert sorridendo e disse:
- La tua proposta mi interessa molto, William. Sarei molto felice di prenderla in considerazione.
- Molto bene, Vincent! Con Archie a capo della divisione immobiliare e te alla guida di quella mercantile, mi sentirei veramente con le spalle ben coperte su due dei fronti di attività più importanti delle nostre imprese, per affrontare i punti interrogativi che questo dopoguerra ci offre.
- Il mercato immobiliare non conoscerà mai crisi, Mr. Andrew – interloquì Louis De Francois Vouilleres.
- Lei pensa? – chiese Archie che si muoveva con esperienza e competenza nel settore.
- Certo. Siamo una nazione in espansione. Questo paese ha due grandi necessità: case popolari per le caterve di immigrati che arrivano incessantemente da due o tre decenni come ondate di marea sulle nostre coste, e che aumenteranno nei prossimi anni grazie alla crisi in cui versa l’Europa; ed edilizia di lusso, a beneficio di quei privilegiati che sapranno approfittare di questa ondata di immigrazione per mettere a frutto la propria imprenditorialità e fare affari d’oro. Io mi occupo di entrambe e può star certo che i miei affari non conosceranno recessione.
- Ma il costo delle materie prime è in costante crescita e il ritorno degli investimenti sempre più lungo, per chi opera in questo settore – rispose Archie – non siamo più ai tempi in cui nelle città in espansione si costruivano case fatiscenti con prodotti scadenti. L’incendio di San Francisco che dodici anni fa ha cancellato quasi l’intera città dovrebbe essere un monito per noi costruttori.
Louis si lasciò sfuggire un sorrisino:
- Mio caro amico, il terremoto e l’incendio a cui lei fa riferimento hanno raso al suolo in massima parte stamberghe di poveracci che possono essere tirate su nello stesso tempo che il terremoto e il fuoco ci hanno messo a distruggerle. Non vale la pena investire in materie prime in quel settore. Sono i resort di lusso e le ville per la nuova aristocrazia del denaro la gallina dalle uova d’oro per noi costruttori.
Ad Albert e Archie non piacque il tono avido e arrogante con cui il marito di Iriza aveva espresso quel cinico punto di vista, ma non volendo impelagarsi in una discussione in una giornata come quella, Albert intervenne precedendo Archie che stava per interloquire:
- Credo che alle signore non interessi entrare nei dettagli sull’argomento, magari più tardi davanti a un buon cognac potremo approfondire le sue idee, Louis.
Iriza mandò lampi all’indirizzo dello zio William. Si permetteva di trattare con condiscendenza anche il suo aristocratico marito, dopo averli estromessi dalla famiglia e praticamente costretti all’esilio! Non vedeva l’ora di andarsene da quella odiata casa che portava con sé solo tristi ricordi, per tornare a spadroneggiare nella sua villa di New Orleans.
Quando il pranzo volgeva ormai al termine, George entrò nella sala da pranzo per annunciare:
- L’avvocato Courtney è arrivato, William.
- Bene, George. Fallo accomodare nello studio, lo raggiungiamo subito.
L’avvocato doveva eseguire le formalità relative alla lettura del testamento della zia Elroy. Albert, Archie, in rappresentanza del ramo Cornwell, e il sig. Legan lo raggiunsero nello studio.
Louis e Neal si ritirarono immediatamente nella sala da fumo e Vincent uscì, diretto al giardino delle rose, luogo della memoria delle persone più importanti della sua vita. Prima che Sarah e Iriza potessero dare fuoco alle polveri, Annie si alzò e rivolgendosi all’amica disse:
- Candy, vado a vedere se i gemelli si sono svegliati, vuoi venire con me?
Le due ragazze si alzarono, lasciando madre e figlia in sala da pranzo, immerse nella loro attività preferita: commentare la toletta delle dame intervenute al funerale di quella mattina.

- Oh mio Dio… mi ero dimenticata quanto potesse essere difficile stare in loro compagnia! Come ho fatto a sopravvivere in casa loro? – sbuffò Candy sprofondando nella sedia a dondolo della nursery di Polly e Stear.
- Infatti pur di non stare con loro hai preferito andare a dormire nelle stalle, Candy! – rispose Annie, e le due ragazze scoppiarono a ridere.
Il tempo aveva esorcizzato in parte i tristi ricordi dell’infanzia in casa Legan e Candy riusciva a guardare a quella parte del suo passato con disincanto adesso, come ad un pezzo della sua esistenza che era servita a fare di lei ciò che era diventata.
- Candy, come stanno Miss Pony e Suor Maria? Non le vedo da Natale.
I lineamenti di Candy si ammorbidirono in un’espressione di profonda dolcezza, come ogni volta che pensava alle sue due mamme e alla vita serena e rassicurante che conduceva con loro alla casa di Pony.
- Bene Annie, sono sempre uguali a loro stesse. All’inizio dell’anno abbiamo ricevuto in affidamento un bambino molto piccolo, ha solo pochi mesi. Lo abbiamo chiamato Simon ed è diventato la mascotte della casa. Adesso ci sono 18 bambini di varie età. Suor Maria dirige come un vero colonnello asburgico le squadre che stanno ristrutturando l’ala est e la cappella, dovresti vederla! Miss Pony finge come sempre di mantenere la disciplina a suon di ramanzine, ma in realtà è talmente facile ottenere il suo perdono… come è sempre stato!
- Per te, Candy, che non avevi mai paura di niente! A me bastava che mi guardasse al di sopra dei suoi occhiali per sciogliermi come neve al sole.
Candy chiuse gli occhi e sorrise, rivedendo due bambine di sei anni correre sui prati della collina di Pony, e un gruppo di anatroccoli legati l’uno all’altro con lo spago insieme alla loro mamma.
- Sai Annie, se chiudo gli occhi mi rivedo ancora lì insieme a te e Tom…
- A proposito di Tom – la interruppe Annie con tono preoccupato – si sa niente di lui? La guerra è finita ormai da due mesi.
Le due ragazze avevano sempre considerato Tom come un fratello maggiore, anche se era stato il primo a lasciare la casa di Pony, adottato da uno dei maggiori allevatori di bestiame della zona, il signor Stevenson. Tom era partito per il fronte nel 1917, proprio all’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto, e si era distinto nelle ultime battaglie sulla Marna e sulla Somme, tanto da aver meritato la promozione a sergente e una medaglia al valore. Si era sempre tenuto in contatto con il padre e con la casa di Pony, il cui legame per quei ragazzi che vi erano cresciuti, accuditi dalle amorevoli cure di Miss Pony e Suor Maria, era impossibile da spezzare.
- Sì, Annie. Abbiamo ricevuto una sua lettera a capodanno. Sarà congedato e di ritorno entro la primavera!
- Sia ringraziato il cielo. Non avrei sopportato un’altra perdita per colpa di questa guerra tremenda – esclamò Annie ed entrambe si ammutolirono nel ricordo del loro amato Stear, una ferita ancora sanguinante nel cuore di tutti. Il flusso dei pensieri fu lineare ed identico per le due amiche e le portò immediatamente a pensare a Patty.
Con grande fatica e coraggio, Patty si era ripresa lentamente dalla disperazione senza luce in cui era piombata dopo la morte di Stear. Trascorso un periodo in Florida che le aveva consentito di riprendere le forze e raccogliere i frammenti della sua vita andata in pezzi con la morte del ragazzo che amava con tutta se stessa, si era trasferita a New York, dove aveva completato gli studi brillantemente compiuti alla St. Paul School, frequentando un master in sociologia. Era quindi entrata nell’entourage di una delle famiglie più impegnate politicamente e socialmente degli Stati Uniti. Era infatti stata assunta nel gruppo delle più strette collaboratrici di Eleanor Roosevelt, moglie di uno dei leader del partito democratico, Franklin Delano Roosevelt, l'attuale vicesegretario alla Marina nel governo del presidente Wilson. Eleanor era una delle più impegnate attiviste per i diritti umani del paese, a capo di moltissime associazioni sparse in tutta la nazione, e i suoi interessi spaziavano dal voto alle donne alle politiche sociali a favore dei meno abbienti.
- Si è trasferita a Washington – disse Annie e non ci fu bisogno di fare il nome della comune amica, a cui le legava un filo invisibile fin dai tempi della Royal St. Paul School.
- Sì, pare che il suo lavoro le piaccia molto e le sue lettere trasudano ammirazione per Eleanor Roosevelt e per suo marito. Sapevamo che la nostra Patty, tra noi tre, sarebbe stata quella che avrebbe fatto grandi cose nella vita!
- Ma anche tu, Candy… chi avrebbe mai potuto pensare, vedendoti declamare balbettando i versi di Molière nella nostra aula di francese, che un giorno saresti stata un'insegnante! – sorrise Annie.
- Annie, ti prego, io non sono un’insegnante! I bambini della casa di Pony dovranno avere dei veri istitutori un giorno, quando i lavori saranno terminati e potremo inaugurare la scuola!
- Ma intanto hai fatto e stai facendo uno splendido lavoro con loro, Candy, davvero! Sono molto orgogliosa di te… anche se questo ha significato seppellirti viva tra i campi dell’Indiana.
Candy represse un sorriso divertito. Era una discussione che avevano fatto molte volte. Di solito Annie la prendeva alla larga, come in quel caso, per arrivare regolarmente a cercare di convincere Candy a tornare a Chicago e vivere la vita di una normale ventenne, anziché il volontario eremitaggio a cui si era votata negli ultimi due anni e mezzo.
- Annie…
- No Candy, lasciami parlare, ti prego. Stavolta non ti dirò nulla circa le gioie della vita sociale di Chicago e sulla necessità di aggiungere qualche capo ai ben tre abiti che tieni orgogliosamente appesi nel tuo guardaroba, traboccante invece maglioni e pantaloni…
Annie trasse un respiro e si fece forza per affrontare l’argomento che aveva cercato invano l’occasione giusta per aprire nell’ultimo anno. In passato aveva osato accennarne solo una volta e solo per lettera, avendo sempre rispettato la discrezione dell’amica e la sua scelta di vivere in solitudine il proprio dolore
- Candy, non darmi dell’impicciona, ti prego, ma… ti voglio troppo bene e da troppo tempo ti vedo soffrire, anche se hai sviluppato una particolare abilità nel nasconderlo a tutti noi. E’ passato più di un anno, ormai. Non credi che potresti provare a metterti in contatto con lui? Ciò che vi ha tenuto separati in questi anni, oltre alla tua cocciuta volontà di non riconoscere che per voi potessero esservi possibilità alternative alla vostra separazione, oggi non esiste più. A differenza dei tuoi sentimenti per lui, che vedo ancora farti star male come il primo giorno. Perché? Perché non torni da lui e non provate a ricominciare da dove vi siete interrotti? C’è un’alternativa a tutto questo dolore, Candy. C’è! Devi solo avere la forza di vederla e il coraggio di cogliere la seconda opportunità che la vita ti offre! A te il coraggio non è mai mancato…
Candy fissava Annie negli occhi e, nonostante il turbamento per le parole che l’amica le rivolgeva, e che toccavano i nervi più scoperti della sua anima, non poté fare a meno di provare stima e ammirazione per la donna forte e matura che era diventata la sua pavida compagna di giochi dell’infanzia, terrorizzata dalla propria ombra. Meritava una risposta sincera, anche se dargliela significava scavare nei più profondi recessi del proprio dolore.
- Il coraggio non mi è mai mancato, Annie? Certo, se parli del coraggio necessario ad arrampicarmi su un albero o ad imbarcarmi clandestinamente su una nave per tornare in America! Il coraggio quando si tratta di mettere a repentaglio la mia incolumità fisica o di aiutare gli altri a trovare il proprio. Ma la mia incolumità emotiva? Dov’era il mio coraggio quando è morto Anthony e ho vissuto per mesi paralizzata da un terrore sordo che solo grazie all’intervento di… Terry… sono riuscita a superare tanto tempo dopo? - Candy faceva ancora grande fatica a dare voce a quel nome che per lei significava amore perduto e speranze infrante. Dai giorni della separazione si contavano sulle dita di una mano le occasioni in cui ne aveva parlato, esclusivamente con Albert o Miss Pony e Suor Maria - E dov’era il mio coraggio quando tremavo di freddo e di paura dentro una cella di isolamento alla St. Paul School, e solo il suono di un’armonica dall’esterno mi ha dato la forza di andare avanti? O credi forse che fosse coraggio quello che ho dimostrato quella notte a New York? Oh, Annie, io non lo so più! Non so se è stato coraggio. In quel momento sentii di non poter fare differentemente e ho dovuto scegliere per tutti, ma la verità è che il peso di quella scelta mi sta uccidendo!
La voce di Candy era salita di intensità, accompagnando in perfetta sintonia l’escalation emotiva di quelle strazianti rievocazioni dei momenti più dolorosi della sua vita, fino a spezzarsi nel momento in cui ne riviveva il culmine, la separazione dall’uomo che per lei significava tutto. Candy distolse lo sguardo, passandosi una mano sul viso, in un gesto che faceva sin da bambina, per asciugare le lacrime che avevano cominciato a scorrerle sul volto.
Annie si precipitò da lei e si inginocchiò davanti alla sua sedia, prendendole le mani tra le sue.
- Candy! Oh come avrei voluto che mi tu mi avessi consentito di starti vicina in questo dolore quando sei tornata da New York!
- Avevo Albert a prendersi cura di me, cara. E non volevo gravare su di voi anche con i miei problemi in un momento così difficile. Stear si era appena arruolato, lo sai!
- Candy! Non esistono dolori di serie A e dolori di serie B! Noi avremmo voluto e dovuto starti accanto senza per questo nulla togliere alla preoccupazione per la partenza di Stear. Ma adesso che finalmente mi apri il tuo cuore, amica mia, posso dirti ciò che penso e che ti scrissi anche in quella lettera. Cara, sai bene che non condivido la tua rinuncia. Tu e Terence siete due anime gemelle, chiunque abbia respirato la magia che vibrava nell’aria quando eravate insieme non può avere dubbi su questo. Susanna ha fatto un grande dono a Terence, il dono della vita. Ma proprio per rispetto a ciò che vi era stato donato voi avreste dovuto celebrarla quella vita, quel dono, rendendola felice e appagata, degna di essere vissuta!
Annie stava dando voce alle peggiori paure di Candy. Non era il sacrificio della rinuncia all’uomo che amava con tutta se stessa a tormentare le sue notti e a rendere infiniti i suoi giorni, ma il terrore sepolto in fondo al cuore che la ragione principale per la quale aveva compiuto quel sacrificio, la felicità di Terence, non si fosse realizzata.
Alla sua, aveva rinunciato da tempo.
Aveva cominciato a nutrire i primi dubbi quando aveva letto il necrologio di Susanna su quel giornale poco più di un anno prima e aveva scoperto che, negli anni che erano seguiti al ritorno di Terence sulle scene, lui e Susanna avevano vissuto insieme ed erano stati lungamente fidanzati ma mai sposati… Possibile che una coppia felice non provasse il desiderio di coronare la propria unione con le nozze? Perché? Perché Terence non l’aveva sposata? Possibile che…?
- Terence ti amava, Candy. E sono assolutamente certa che se ha rinunciato a te, l’ha fatto in primo luogo perché è un uomo d’onore e in secondo luogo perché tu glielo hai chiesto. Non credi che forse lui stia solo aspettando che tu lo sciolga dalla promessa che gli hai strappato a New York?
- Da quella promessa l’ha sciolto la morte di Susanna, Annie. Non pensi anche tu che, se lui mi amasse ancora, in qualche modo sarebbe riuscito a mettersi in contatto con me, da allora? Che avrebbe trovato il modo di farmi sapere… se ancora ci apparteniamo?
Candy fissò Annie con gli occhi spalancati, simili a due enormi pozzi di giada, implorando in silenzio l’amica perché le fornisse le risposte che da quattordici mesi cercava dentro di lei.
- E tu non pensi, Candy, che forse in tutto questo tempo anche Terence può essersi posto le stesse domande che tu stai facendo a te stessa e a me? Tu gli hai chiesto, per la sua felicità, di restare accanto a Susanna. Lui l’ha fatto, e io spero sinceramente che non sia stato infelice in tutto questo tempo. Ma tu sai cosa è stato di lui in questi anni. Hai potuto seguire la sua carriera e quella di Susanna tramite i giornali. Lui cosa ha di te, se non il ricordo che gli hai lasciato quella notte e mille dubbi su ciò che può esserti accaduto in questi anni?
- Lui ha il mio cuore – rispose con foga Candy, mentre calde lacrime tornavano a solcarle il volto.
- Datevi una possibilità, Candy. Solo un’altra possibilità… lo devi a te stessa. Non voglio che continui a tormentarti in questa agonia senza fine e ormai priva di senso!
- Ho paura, Annie. Voltargli le spalle e andarmene quella notte è stata la cosa più difficile e dolorosa che abbia mai dovuto fare. E ciò che tu non sai è che ho dovuto rifarlo un’altra volta, un anno dopo, e in circostanze ancora più traumatiche.
Annie ascoltò senza fiato il racconto di come Candy avesse trovato Terence sul fondo del baratro nel quale era precipitato, e di come avesse assistito alla sua rinascita sulle travi scalcinate del teatro di Rocktown, scricchiolanti e scardinate esattamente come il suo cuore nel momento in cui aveva scelto di tenere fede alla parola data e di voltarsi senza avergli nemmeno parlato.
- …Senza potergli dire quel “ti amo” che mi urlava dentro, Annie! Per due volte ho avuto quella forza, ma non osare chiamarlo coraggio! E credo che la mia riserva si sia semplicemente esaurita. Se dovessi cercarlo solo per trovare un uomo diverso da quello che ho lasciato, o per vedergli voltarmi le spalle come io ho fatto con lui, ne morirei Annie. E ciò che peggio è che dentro di me sono convinta di non meritare niente di diverso!
Candy nascose il volto tra le mani, esausta, singhiozzando tutte le sue lacrime per il suo amore perduto, per il senso di colpa che la attanagliava da allora, per la solitudine a cui aveva condannato se stessa e per l’infelicità a cui forse aveva destinato l’uomo che amava più di ogni altra cosa.
Annie la abbracciò forte, straziata dal dolore di colei che amava come una sorella. Era come se confidarsi con lei avesse aperto una diga, attraverso la quale adesso fluivano le emozioni accuratamente tenute sotto chiave per anni.
-Ti prego, Candy, non fare così! Cerca di calmarti, ti prego. Andrà tutto bene! Non devi decidere adesso. Devi solo promettere a me, ma soprattutto a te stessa, che penserai a ciò che è successo e alla possibilità di cercare una seconda occasione di felicità!
Candy annuì, lievemente più calma ed enormemente alleggerita dall’avere condiviso il suo peso con l’amica del cuore.
Le due ragazze si fissarono finché il silenzio non fu rotto dal piccolo Stear che si svegliava dal pisolino e reclamava la sua mamma, singhiozzando disperatamente dalla sua culla. I suoi strepiti naturalmente svegliarono anche Polly, e Candy e Annie si precipitarono dai gemelli, rivolgendo loro tutta la loro attenzione. Candy si chinò sulla culla di Polly per prenderla in braccio e, nel farlo, urtò lievemente con la fronte un carillon appeso sopra il lettino. Alla base circolare dell’oggetto dalla artigianale fattura erano appesi pendagli di legno a colori vivaci, raffiguranti diversi animali. Candy osservò quello che aveva urtato. Raffigurava una buffa tigre stilizzata.
“Tigre. T-G.”
E improvvisamente fu alla St Paul School, intenta a scrivere con le dita su un vetro appannato dalla pioggia le iniziali di quel ragazzo che non riusciva a togliersi dalla mente e che già le era entrato nel cuore senza che lo sapesse, per non uscirne mai più. Patty l’aveva trovata così assorta nei suoi pensieri che aveva dovuto trovare una scusa per quelle iniziali tracciate sul vetro. Imbarazzata, le aveva detto la prima cosa che le era venuta in mente: che stava scrivendo la parola “tigre”. Ma Patty doveva aver capito tutto, perché l’aveva guardata con uno sguardo strano e si era allontanata sorridendo. Ancora adesso, a distanza di tutti quegli anni, provava la stessa sensazione di sbigottimento di fronte all’intensità delle emozioni che Terence aveva risvegliato con quella dolcezza solo a lei dedicata. Come quando le aveva letto brani di Shakespeare in riva a un lago; o quando aveva suonato per lei al pianoforte una ballata composta da lui stesso, dopo che avevano trascorso insieme davanti al camino ore di intimità sconosciute prima; o quando le aveva fatto compagnia e dato conforto tutta la notte suonando Annie Laurie con la sua armonica, scacciando la paura che l’attanagliava, separati da solide mura ma uniti dal loro filo invisibile. Ma lui sapeva anche ruggire come una tigre dal fascino pericoloso, come quando l’aveva trascinata a cavallo contro la sua volontà e le sue paure per farle superare il trauma della morte di Anthony, o quando aveva lottato disperatamente contro il mondo per salvarla dall’espulsione. Il suo Romeo. La sua tigre.
Il suo amore.
Dov’era adesso? Annie aveva ragione, poteva esserci ancora una possibilità per loro, nonostante il tempo e tutti gli errori che lei aveva commesso? Sarebbe mai riuscita a sussurrargli quel “ti amo” racchiuso finora solo nel suo cuore e tra le pagine del suo diario?


Oh, avere la voce di un falconiere
per richiamare a me quel mio falchetto reale!
Roca è la voce della clausura e non può farsi sentire,
se no saprei ben io forzar l’antro dove Eco riposa
e far la sua voce aerea più fioca della mia
a forza di ripetere il nome del mio Romeo!*



* Romeo e Giulietta, Atto II, Scena II.

...CONTINUA...

Edited by cerchi di fuoco - 6/5/2013, 16:58
 
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