Candy Candy

GLI SMERALDI E LO ZAFFIRO - FF completa

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Cerchi di Fuoco
view post Posted on 29/4/2013, 19:07 by: Cerchi di Fuoco     +3   +1   -1
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Quando Candy ed Annie tornarono al piano di sotto si accorsero immediatamente che doveva essere accaduto qualcosa di molto grave. Ovviamente c’era una spaccatura: da un lato della stanza i Legan parlavano concitatamente tra loro e sembrava che Louis De Francois Vouilleres tenesse banco. Iriza aveva gli occhi brillanti e lo sguardo eccitato che fin da bambina era sempre stato possibile scorgerle sul volto quando dava sfogo ai suoi più malevoli istinti.
Dal lato opposto del grande salone, Archie aveva uno sguardo fiammeggiante e parlava con Albert e George, i quali lo ascoltavano in silenzio, annuendo con aria grave. Vincent era appoggiato al camino con una mano sulla fronte e sembrava affranto.
Candy non riusciva proprio a farsi un’idea di ciò che fosse potuto accadere. Si avvicinò ad Albert molto preoccupata e gli sussurrò:
- Cosa è successo?
Archie alzò lo sguardo angosciato e cercò con gli occhi la moglie, che immediatamente si precipitò al suo fianco.
Albert si volse verso Candy, gli occhi azzurri dolci come sempre, ma velati di tristezza… una tristezza diversa rispetto a quella che avevano dal giorno della morte della zia.
- Candy… Abbiamo dato lettura al testamento della zia Elroy e… si è verificato un fatto inaspettato.
- Inaspettato e rivoltante! – intervenne Archie. Annie gli strinse la mano, preoccupatissima.
- Cosa? Cosa è successo? Per favore, Bert, sto morendo dalla preoccupazione! - Lo supplicò Candy.
- Ti dico io cosa è successo, Candy. Voglio avere questo piacere per me! – Iriza intervenne con la sua voce sgradevolmente acuta dall’altro lato della stanza, avvicinandosi con movenze feline, come un gatto che stesse chiudendo nell’angolo il topo al termine di una lunga caccia.
Candy si voltò verso di lei e, prima che Albert potesse intervenire, Iriza sibilò con tutto l’odio accumulato in anni e anni nei confronti della ragazza che aveva scelto di disprezzare:
- Lakewood è nostra! La zia Elroy l’ha lasciata a mia madre e adesso è nostra. Questa non è più casa tua, come non lo è mai stata! E finalmente avrò il piacere di sbatterti fuori da qui personalmente!
Dritta al centro della stanza, gli occhi fiammeggianti per la rivalsa tanto agognata, Iriza scoppiò in una risata orribilmente sconcia, tanto più in considerazione del triste avvenimento di morte che faceva da cornice a quella riunione dall’esito talmente imprevisto.

- Ma com’è possibile, Bert? Lakewood non fa parte del patrimonio Andrew? Non dovresti esserne tu il titolare? Come è possibile che la zia Elroy abbia potuto disporne a suo piacimento?
Albert e Candy, avvolti nei loro caldi cappotti erano uno di fronte all’altro nel giardino delle rose, circondati dalle sfumature ramate di un tramonto che accendeva l’orizzonte con mille riflessi dal barbaglio dorato.
Candy era paralizzata dal terrore e dall’angoscia al pensiero che la villa di Lakewood, il luogo elettivo della sua infanzia, dei giorni felici con Anthony, Archie e Stear, delle rose Dolce Candy, della rivelazione dello zio William, fosse perduto. Il luogo presso il quale Rosemary, Anthony e Stear riposavano per sempre era caduto in mano alle persone che più la odiavano al mondo e, ciò che era peggio, sarebbe stato ceduto al ributtante marito di Iriza il quale, dopo la scioccante rivelazione della moglie di poco prima nella sala da pranzo, aveva palesato l’intenzione di trasformarlo in un resort di lusso!
- Purtroppo Lakewood faceva parte dei beni personali della zia, Candy, e non del patrimonio di famiglia. E’ il luogo in cui la zia è nata e sempre vissuta e mio padre alla sua morte ha voluto fargliene dono, certo che non l’avrebbe mai fatto uscire dai possedimenti di famiglia. E in un certo senso aveva ragione: lei l’ha lasciato a Sarah, la sua parente prediletta, forse pensando di attenuare in tal modo la delusione per avere assegnato l’interezza del patrimonio azionario a me, consolidando la mia leadership in seno alle aziende di famiglia. Di certo la zia non pensava che i Legan avrebbero anteposto meschini istinti di rivalsa personali allo spirito degli Andrew, e che Lakewood potesse così andare perduta… Purtroppo la sua incapacità di giudicare Sarah e la sua disgustosa famiglia l’ha accompagnata in tutti gli errori della sua vita fino a quest’ultimo, quello fatale.
- Oh Bert, è terribile! Lakewood, la nostra Lakewood, in mano a quegli individui che non l’hanno mai amata… No, peggio, in mano a quell’avventuriero che vuole trarne osceni guadagni, violentandola e facendola diventare un albergo! Non posso credere che la zia Elroy avrebbe potuto volere questo! – Candy era un fiume in piena e non capiva se la animasse più la forza della rabbia o quella delle lacrime di angoscia trattenute a stento.
- No di certo, Candy! Lei era legata a questi luoghi più di tutti noi, non avrebbe mai immaginato un simile epilogo.
- Ma non possiamo fare nulla? Non possiamo ricomprarla? Sono certa che quel bieco individuo dal nome impronunciabile non direbbe di no ad un buon guadagno! Per lui è solo un investimento.
- Per lui è solo un investimento, Candy, ma per Iriza e la sua famiglia rappresenta la vendetta per i torti che ritengono di avere subito da me in qualità di capofamiglia. Non me la rivenderanno mai! – disse Albert, più provato ancora di Candy al pensiero della profanazione che attendeva i luoghi della sua infanzia, di Rosemary, di tutto ciò che per lui avesse un senso di famiglia.
- E’ colpa mia! E’ solo colpa dell’odio di Iriza nei miei confronti!
- Piccola, non dire sciocchezze. E’ colpa dell’oscura deviazione del sangue che scorre nelle vene di Sarah e di ciò che ha causato in lei e nei suoi figli, purtroppo. Per quanto abbia cercato di comprenderli e perdonarli più volte, non c’è speranza per loro e forse avrei dovuto essere più duro fin dall’inizio. Ma ciò non avrebbe cambiato nulla riguardo a Lakewood e alle decisioni della zia. A suo modo probabilmente ha ritenuto di essere stata equa, e in un certo senso lo è stata.
Caro Albert, sempre pronto a capire, a perdonare, a trovare un bandolo alle matasse più aggrovigliate. Candy si sentì avvolgere dalla dolcezza che sempre sapeva trasmetterle, anche se non riusciva a liberarsi da quella morsa di malinconia che la attanagliava al pensiero di dire addio a quei luoghi.
- Tutto cambia, lo so. E bisogna dire addio ai posti ai quali siamo stati legati, oltre che alle persone. Bert, cosa avverrà del personale di servizio? Stewart, il signor Whitman e tutti gli altri? Resteranno a lavorare qui, nel resort di Louis? – Candy pronunciò la parola “resort” mettendoci dentro tutto il disprezzo per quel progetto che avrebbe distrutto tutte le sue memorie di quei luoghi.
- Credo che i Legan abbiano intenzione di portarli con loro in Florida per lavorare laggiù nelle loro strutture. Pare che abbiano difficoltà a trovare personale fidato.
- Chissà come mai… - commentò Candy con disgusto.
Albert la guardò e si chiese se fosse il momento giusto per affrontare l’argomento che gli stava a cuore.
- Piccola, perché non proviamo a guardare a quello che è successo come ad un segno? – le chiese con il suo straordinario, rassicurante sorriso.
Candy si chiese, non per la prima volta, se c’era mai stato un periodo della sua vita in cui non aveva confidato nel sostegno di quel sorriso.
- Cosa vuoi dire, Bert? – la ragazza alzò lo sguardo verso gli occhi trasparenti di lui, incuriosita dalle sue parole.
- Ecco, è da un po’ che volevo parlarti di un mio progetto, ma prima voglio sapere se ti senti pronta a lasciare la casa di Pony e la clinica del dottor Martin per un certo periodo.
- Anche tu come Annie non vedi l’ora che io mi tuffi nella vibrante vita sociale di Chicago, facendo il mio tardivo debutto in società? – chiese Candy perplessa. Albert aveva sempre rispettato la sua scelta e non le aveva mai fatto pressioni per tornare a Chicago, era molto stupita da quella premessa.
- No, Candy, non stavo pensando a Chicago. Ma non ho potuto fare a meno di notare che nell’ultimo anno la tua apparente quiete a La Porte è stata messa a dura prova da pensieri e ricordi che sempre più spesso producono questa rughetta al centro della fronte quando l’aggrotti, come in questo momento! - Albert le sfiorò con dolcezza il viso, in una carezza delicata tra le sopracciglia, e Candy sorrise.
Albert si era accorto che qualcosa non andava, come sempre. Sapeva cosa lei provasse senza bisogno di chiedere nulla.
- Un cambiamento..
- Sì, piccola! Che ne diresti di venire a Washington con me?

_______________________



Washington D.C.
8 marzo 1919.


La cosa che più elettrizzava Candy di Washington era viaggiare in tram!
La deliziava salire alla fermata davanti alla loro villetta di Logan Circle e girovagare per la città sopra quegli sferraglianti trenini che, per stabilità e simpatia, gli ricordavano le automobili costruite da Stear. Non rischiava certo di perdersi, visto che la città aveva una rigida pianta a reticolato divisa in quadranti che partivano dal Campidoglio. E grazie ai suoi pellegrinaggi senza meta stava imparando a conoscere quella capitale in grandissima espansione, anche se era lì soltanto da tre settimane.
Proprio in quegli anni Washington attraversava il City beautiful movement, la grande opera di ampliamento che in breve tempo l’avrebbe portata ad avere un aspetto più grande, moderno e scintillante. Candy era molto incuriosita dal fatto che la capitale degli Stati Uniti, a differenza di New York e Chicago che in quegli anni avevano iniziato ad espandersi verso l’alto con i loro grattacieli, avesse invece scelto un profilo urbano differente, con palazzine e villette di altezza limitata. Albert le aveva spiegato che si trattava di una precisa scelta della municipalità e che per legge lo skyline di Washington non poteva superare un certo limite. La cosa le dava un senso di familiarità, ricordandole l’amata La Porte. Questo almeno finché non levava lo sguardo verso il palazzo del Campidoglio, naturalmente, o al monumento a George Washington piuttosto che alla maestosa Casa Bianca, o all’incredibile Lincoln Memorial, in costruzione proprio in quegli anni e che prometteva di diventare l’ennesimo simbolo di una città e di una nazione che rivendicavano con orgoglio la propria grandezza e la propria vocazione alla libertà e alla “ricerca della felicità”, come avevano affermato i visionari Padri Fondatori.
Candy era rimasta molto sorpresa quando Albert le aveva raccontato di come, durante gli anni della guerra, la Andrew Enterprises avesse stretto rapporti di fornitura sempre più stretti con il governo americano. Niente armi, l’aveva rassicurata, ma la maggior parte delle divise dell’esercito statunitense erano prodotte nelle industrie tessili degli Andrew sparse tra l’Illinois e l’Indiana; e soprattutto, la stragrande maggioranza di forniture alimentari di mais per i vettovagliamenti delle truppe provenivano dalle coltivazioni degli Andrew in Messico. Albert in quei mesi si era quindi recato molto spesso a Washington per discutere dei suoi legami imprenditoriali con il governo federale, ed aveva avuto modo di stringere rapporti con il presidente e alcuni dei suoi più stretti collaboratori, come il Segretario di stato Robert Lansing e il sottosegretario alla marina Franklin Delano Roosevelt. Nel dicembre precedente, prima di partire per Parigi per partecipare alla conferenza di pace di Versailles, Woodrow Wilson aveva contattato diversi giovani imprenditori particolarmente brillanti, tra cui William Albert Andrew, per chiedere loro di collaborare al programma federale di ripresa post-bellica con vari incarichi in agenzie governative.
Quando aveva deciso di accettare, Albert aveva subito pensato che era proprio il cambiamento di cui Candy aveva bisogno …e inoltre lui aveva assoluta necessità di una dama che lo accompagnasse nelle sfavillanti occasioni mondane della prossima season nella capitale, lei non voleva certo lasciarlo da solo alla mercé delle cacciatrici di dote, no?
Candy aveva esitato solo per qualche giorno. La morte della zia Elroy, la chiacchierata con Annie e la dirompente notizia della perdita di Lakewood avevano gettato dentro di lei le radici di un fermento interiore, come se sentisse giunto il momento di andare incontro al suo destino, anziché attenderlo alla casa di Pony. Tre anni prima il suo cuore sanguinante e la sua anima provata avevano trovato tra le familiari alture della casa di Pony e nel dolce abbraccio delle sue due madri il balsamo che anelavano. Ma i suoi sentimenti urlavano ancora dentro di lei e non poteva più ignorarli. Aveva bisogno di riflettere e capire cosa fare, come aveva promesso a Annie, e un cambiamento era ciò che le serviva nel frattempo. Soprattutto, sentiva la necessità di andare lontano da Lakewood per non assistere allo scempio di tutti i suoi ricordi d’infanzia.
Come aveva previsto Albert, i Legan avevano costretto la servitù in forza alla villa a trasferirsi in Florida con loro, sotto minaccia di licenziare in tronco chi si fosse rifiutato.
Prima di partire il sig. Whitman, con le lacrime agli occhi, aveva fatto tutta la strada fino alla casa di Pony per consegnare a Candy le piantine delle rose Dolce Candy, amorosamente tratte dal giardino di Anthony, affinché potessero continuare a vivere sulla collina, anziché perire in ciò che sarebbe diventata Lakewood. Con le lacrime agli occhi e il cuore straziato, Candy lo aveva aiutato a trapiantarli nel giardino dell’orfanotrofio, promettendo nel suo cuore ad Anthony che ne avrebbe fatto il nuovo “giardino delle rose”.
Il dottor Martin aveva immediatamente confermato che si sarebbe organizzato per l’assenza di Candy e, nonostante quest’ultima lo avesse più volte rassicurato che dopo l’estate sarebbe tornata a casa, aveva già iniziato una proficua collaborazione con Molly Ridgeway, piacente vedova sui cinquant’anni con un diploma da infermiera e, probabilmente, qualche attrattiva in più oltre a quelle strettamente curriculari, che aveva indotto il dottor Martin ad assumerla subito.
Miss Pony e Suor Maria, che avevano visto giorno dopo giorno nell’ultimo anno intensificarsi quella vena di malinconia che Candy celava dentro di sé fin dal suo ritorno tra loro, e che ne conoscevano perfettamente l’origine, erano state entusiaste e grate ad Albert per l’occasione che si era presentata e avevano facilmente vinto uno per uno tutti i dubbi che Candy aveva saputo tirar fuori in successione: sì, erano sicure di riuscire a cavarsela da sole, come avevano fatto negli ultimi 18 anni prima del ritorno di Candy e no, non avrebbero avuto nessun problema ad occuparsi loro dell’istruzione dei più grandicelli finché non avessero trovato una vera maestra disponibile a prestare servizio da loro. Certo, avrebbero scritto frequentemente e se ci fosse stato qualunque problema glielo avrebbero fatto sapere subito e, assolutamente, non pensavano che fosse egoista da parte sua andarsene mentre la casa era in ristrutturazione.
E così Candy era partita, stringendo tra le mani la croce della felicità di Miss Pony, alla cui catenina da qualche anno aveva aggiunto un minuscolo ciondolo di zaffiro, acquistato a Chicago al suo ritorno da Rocktown e che portava sempre con sé, quale simbolo di tutte le parole non dette e sepolte nel petto su cui poggiava, parole che non aveva mai potuto pronunciare guardando nella profondità di due occhi dello stesso colore di quella pietra preziosa e luminescente.
Albert aveva affidato la guida dei suoi affari a Chicago ad Archie ed a George e, una volta giunto a Washington, si era tuffato in un fitta serie di colloqui e incontri preliminari con i collaboratori del presidente Wilson, personalmente invece impegnato in quelle settimane sul fronte della politica estera nella sua battaglia per la fondazione della Società delle Nazioni.
Era intenzione di Albert sviluppare una rete di assistenza per il reinserimento dei reduci dalla guerra, che ne favorisse il reintegro nel mondo del lavoro e della società. Poteva contare sulla sua vasta esperienza filantropica e sulla rete di associazioni patrocinate dagli Andrew sparse in tutta la nazione come base. Albert credeva fortemente che la sua idea potesse diventare un modello da proporre come base per la realizzazione di uno “stato sociale” come gli piaceva definirlo, un canale di supporto che però non fosse semplicemente assistenzialistico, bensì finalizzato a rendere produttivi milioni e milioni di persone che, altrimenti, sarebbero state solo un peso per la società. In seno alla cerchia dei più stretti collaboratori di Wilson aveva trovato appoggio e comunanza di interessi e intenti nel giovane sottosegretario alla Marina, ed ex senatore dello stato di New York, Franklin Delano Roosevelt, un ambizioso trentasettenne, appartenente ad una delle più eminenti famiglie politiche degli Stati Uniti, che vantava già un Presidente nel proprio albero genealogico e che rappresentava l’ala più radicale in seno al governo Wilson. Si incontravano spesso per discutere dei loro progetti e stavano saldando un rapporto di amicizia che andava oltre gli interessi professionali.
Candy seguiva poco i dettagli dell’impegno politico di Albert, più preoccupata dal fronte sanitario del dopoguerra che, con il rientro di ondate di soldati feriti e mutilati dal fronte e la coda della devastante epidemia di influenza, stava avviandosi a diventare la vera emergenza del paese.
Si teneva in contatto con il comitato della Croce Rossa Locale e due pomeriggi alla settimana prestava opera di volontariato come infermiera in un centro di assistenza medica per indigenti, la Community of Hope.
A Washington Candy aveva poi ritrovato Patty, ed era proprio per pranzare con lei in quella assolata mattina non ancora primaverile, ma che lasciava presagirne l’arrivo non troppo lontano, che si trovava al National Mall, uno dei suoi luoghi preferiti in quella elettrizzante città, dove si erano date appuntamento di fronte al monumento a George Washington. Dietro suggerimenti conditi da urla e strepiti di Annie, Candy era stata costretta ad ampliare il suo ridotto guardaroba e, lasciati nell’Indiana maglioni over-size e pantaloni di lana, prima della partenza aveva subito un vero e proprio sequestro di persona che l’aveva vista insieme all’amica razziare le boutiques più alla moda di Chicago, alla ricerca di abiti e accessori adeguati alla vita nell’elettrizzante centro della Nazione, nota per i salotti ricercati e i ricevimenti sfarzosi, nei quali venivano passati sotto la lente d’ingrandimento tanto le righe piccole dei trattati internazionali in discussione a Versailles, quanto la conformità all’ultima moda dell’abbigliamento sfoggiato dalle signore. Candy aveva adottato uno stile sobrio e raffinato, e quel giorno indossava un classico abito dalle tipiche linee sciolte che avevano sostituito le elaborate impalcature di fine ottocento, con l’orlo che le sfiorava i polpacci in una morbida serica carezza. Era di un delicato color pesca, arricchito solo da una fusciacca bassa in vita di raso color crema, morbidamente annodata e con le code svolazzanti da un lato. La tenuta era completata da un soprabito leggero, dello stesso colore dell’abito, da scarpette décolleté di vernice con il cinturino, e da un cappellino a cloche dello stesso colore della cintura, calato fino agli occhi sui capelli biondi, come imponeva la moda del momento e come le aveva insegnato Annie durante pomeriggi interi di lezioni sul tema: “l’importanza degli accessori”.
- Candy!!!
Candy si voltò nella direzione da cui proveniva la voce che l’aveva chiamata e sorrise vedendo avvicinarsi a lei a passo veloce la sua amica Patty, in versione perfetta flapper girl.
Il cambiamento di Patty dai giorni bui della morte di Stear era stupefacente. Patty aveva attraversato l’inferno e ne era venuta fuori con la forza di un carattere e di una personalità che negli anni dell’adolescenza erano dentro di lei, ma che avevano avuto purtroppo bisogno di scontrarsi con l’immane disgrazia che l’aveva colpita per venire alla luce.
Giorno dopo giorno in Florida aveva risalito la china del dolore e, pur senza mai rassegnarsi al destino che le aveva strappato Stear, era riuscita a scendere a patti con esso. Di fronte alla scelta se affondare o riemergere, Patty aveva scelto la vita e l’aveva scelta con una forza e una determinazione nelle quali i suoi più cari amici avevano visto un tributo alla memoria del suo dolce ragazzo.
Aveva ripreso gli studi nei quali aveva sempre eccelso e, da quando aveva cominciato a lavorare alle dipendenze di Eleanor Roosevelt, aveva scoperto la gratificazione di svolgere un’attività appagante e per la quale essere stimate.
Ma il cambiamento più rivoluzionario era nell’aspetto. Abbandonate la goffaggine, gli occhiali enormi, e quella patina di timidezza che ne appesantiva le movenze e la faceva sentire fuori posto in ogni circostanza, Patty era sbocciata in una meravigliosa giovane donna. I capelli erano tagliati in un tributo alla moda, un caschetto corto e con una frangia sbarazzina, sottolineato da una cloche blu pavone. Indossava un abito all’ultimo grido in stile marinaro bianco e blu, ingentilito da un nastro sulla scollatura quadrata e da un soprabito in tinta. Aveva tra le braccia una cartella con dei documenti di lavoro e una borsetta blu. Ma soprattutto, aveva una scintillante luce negli occhi, esaltati anziché coperti da occhiali piccoli e discreti, che nulla toglievano alla sua grazia. Luce che costituiva il più prezioso degli accessori, come avrebbe detto Annie a conclusione di una delle sue lezioni.
Candy era orgogliosa di ciò che l’amica era riuscita a realizzare, partendo dal suo dolore. Le sembrava che riuscire a sbocciare in tal modo fosse il più grande atto d’amore che avrebbe mai potuto compiere per la memoria del suo amato Stear.
- Patty, ciao! – Candy agitò una mano in direzione dell’amica e si precipitò verso di lei, abbracciandola con l’impeto e la spontaneità degli anni dell’adolescenza che avevano condiviso.
Le due ragazze si abbracciarono e poi cominciarono a passeggiare lungo i viali del parco, dirette a un chiosco di bevande presso una panchina, dove si sedettero, bevendo del succo di mela e chiacchierando serratamente, godendo della semplice compagnia dell’altra, come avviene solo tra persone che hanno un intenso passato condiviso.
- Meno male, ce l’ho fatta, Candy! Temevo che le lettere da trascrivere per Mrs. Roosevelt non terminassero mai… Devo andar via prima della chiusura dell’ufficio postale, se voglio fare in tempo a spedirle - gli occhi di Patty, in netto contrasto con le sue parole, esprimevano eccitazione e entusiasmo.
- Patty, tu adori il tuo lavoro, ammettilo!
Patty aprì il volto in un sorriso che la illuminò e rispose:
- Oh Candy, tu non hai idea di che donna meravigliosa lei sia… così energica e appassionata! Pare che non vi sia causa civile per la quale non si batta, dal voto alle donne alla lotta all’indigenza, fino alle campagne per l’alfabetizzazione! E’ nata in una famiglia privilegiata, eppure è capace di guardare sempre verso il basso a chi sta peggio, anziché chiudersi nel suo castello dorato. E sai, Candy? non ho mai visto una tale devozione come quella del marito per lei. Non si tratta solo di amore, ma di vera stima reciproca e di condivisione di ideali! Un giorno spero anch’io di provare la stessa comunione totale con il mio compagno di vita!
Qualcosa nel tono di Patty fece accendere una lampadina nella mente di Candy. Era la prima volta, sia nelle sue lettere sia nelle frequenti conversazioni che avevano avuto dal suo arrivo a Washington, che Patty le accennava alla possibilità di un legame affettivo dopo Stear. Sembrava che quel capitolo della sua vita fosse chiuso e che tutte le sue energie fossero state dedicate allo studio, prima, e al lavoro poi. Con un’intuizione repentina, Candy fece correre lo sguardo alla mano sinistra di Patty, e non fu sorpresa di scorgere all’anulare un anello d’oro bianco impreziosito da un solitario discreto ma elegante.
- Patty! – urlò entusiasta Candy, lanciandosi verso di lei e facendo così traboccare dal bicchiere il succo di mele, che si sparse dappertutto sul suo bel vestito e su quello di Patty. Incurante del disastro, agguantò il polso all’amica e le sollevò la mano per mettere in mostra l’anello.
Patty arrossì di colpo e sembrò per un attimo di vedere riaffiorare la timida fanciulla della St. Paul School.
- Oh Candy, sei impossibile! Avrei voluto dirtelo io!
- E allora dimmelo, Patty, cosa aspettavi? Oh mio Dio, come sono eccitata… chi è? Lo conosco? Avete fissato la data delle nozze? Cielo! Dobbiamo scrivere immediatamente ad Annie, impazzirà all’idea di non essere qui. Patty, insomma, vuoi parlare? Chi è? - Candy era un fiume in piena e si tratteneva a stento dal saltellare per l’eccitazione attorno alla panchina su cui erano sedute, richiamando l’attenzione dei visitatori del parco, in gran parte balie con le carrozzine e giovani coppie composte da ambiziosi impiegati governativi e segretarie dall’aspetto civettuolo che, in pausa dal proprio lavoro, approfittavano di quella giornata che prometteva primavera per abbandonarsi alla deliziosa arte del corteggiamento. La luce e l’entusiasmo della vecchia Candy erano tornati a splendere, riportati alla vita dall’immensa gioia per l’amica.
- Candy – rispose Patty timidamente – se mi lasci parlare ti spiego tutto!
Le due ragazze sorrisero, e quindi Candy si accinse ad ascoltare il racconto di Patty.
- Si chiama Harold T. Clement ed è un lontano cugino dei Roosevelt. Ci siamo conosciuti l’estate scorsa: venne qui a Washington per un tirocinio estivo presso Mr. Roosevelt. Sai, studia giurisprudenza ad Harvard e desidera intraprendere la carriera politica… Beh, ci siamo frequentati durante la sua permanenza ed è stato il mio cavaliere ad alcuni balli nella scorsa stagione, abbiamo conversato a lungo e di tante cose: dei suoi studi, del mio lavoro, dei nostri progetti per il futuro… Quando è tornato ad Harvard in autunno abbiamo preso a scriverci frequentemente. E’ un ragazzo così… buono, Candy – nel parlare di lui, Patty aveva uno sguardo felice ma serio e composto, dal quale trasparivano solidi sentimenti per il ragazzo di cui si era innamorata, piuttosto che una passione bruciante ed effimera. Usò il semplice aggettivo “buono” riempiendolo di tutti i significati più profondi e puri che potesse contenere una parola. Candy ne fu affascinata – E’ composto e quieto, ma con le idee molto chiare sul suo futuro. Entrerà nello staff di Mr. Roosevelt, dopo la laurea, e collaborerà con lui; è convinto che suo zio diventerà presidente un giorno, e ne sono convinta anch’io, Candy, perché è un uomo talmente straordinario! Insomma, Harold da una settimana è qui da noi per le vacanze di primavera e…oh Candy ieri sera mi ha chiesto di sposarlo!
Patty abbassò lo sguardo sognante all’anello che brillava al suo anulare e Candy si sentì piena di gioia pura per la sua amica. Era così felice e gli occhi le splendevano d’amore mentre parlava del suo Harold. La stessa luce che vi era brillata in passato per Stear.
“Si può andare avanti. Si può tornare ad amare. Anch’io dopo la morte di Anthony pensavo che non sarei mai più riuscita ad aprire il mio cuore. E invece è giunto il mio Terry e lo ha spalancato di nuovo, con la potenza di una tigre e l’armonia di una melodia d’armonica, inondandomi con la sua luce e il suo calore… Facendomi capire il vero significato della parola amore.”
- Patty, sei impossibile! – esclamò, cercando di ricacciare indietro le lacrime e di non rovinare con la sua malinconia quel momento di immensa felicità - Perché non ci hai scritto nulla di questo corteggiatore nelle tue lettere? Parlavi solo di lavoro e dei Roosevelt e… insomma di tutto tranne che di lui!
Patty abbasso lo sguardo, improvvisamente pensierosa, e sospirò lievemente prima di rispondere a quella domanda che faceva leva sui nervi più scoperti del suo essere.
- Oh Candy. All’inizio non pensavo che fosse nient’altro che una simpatia. Sai, non sono abituata ad avere quel genere di attenzioni da parte dei ragazzi…
“Una volta forse” pensò Candy “prima di sbocciare in quel modo straordinario!”
– E poi – riprese Patty - quando divenne evidente che tra me e Harold stava nascendo qualcosa di più dell’amicizia, sono stata tanto confusa. Io… io non ho mai dimenticato Stear, Candy. In qualche modo è ancora qui, nella parte più nascosta del mio cuore. E’ lui che mi ha fatto conoscere l’amore. Grazie a lui sono uscita dal guscio di paure in cui mi ero barricata, esattamente come Julie nella sua corazza. Il dolore per la sua morte è stato devastante, lo sai… temevo davvero di non poter sopravvivere senza di lui: la mia roccia, il mio porto. La persona che aveva portato una perenne allegria nella mia vita, prima così solitaria e malinconica. Mi sembrava che non avrei mai più potuto sorridere. E invece Harold.. – continuò Patty, seguendo il filo dei pensieri ai quali dava voce per la prima volta con l’unica persona al mondo che sapeva avrebbe capito senza alcuna esitazione – non inventa strani e meravigliosi macchinari per far ridere le persone, ma ha lo stesso idealismo che ha portato il nostro Stear in quel maledetto campo di battaglia… e il senso di serenità e amore che mi trasmette con la sua personalità equilibrata e onesta è esattamente quello che provavo vicino a Stear. Non credo che potrebbe essere così se ci fosse qualcosa di sbagliato, non pensi, Candy?
- Patty – Candy guardò l’amica e le prese le mani, commossa fino alle lacrime per quelle emozioni che stava condividendo con lei in modo tanto sentito – non devi pensare neanche per un momento che vi sia qualcosa di sbagliato nel farsi abbracciare di nuovo dall’amore. Stear ti ha amato moltissimo e tu lo hai amato altrettanto. E’ stato un grande amore, che vi ha fatto crescere e che ha reso meravigliosa la sua vita. Adesso lui non c’è più, ma l’amore che avete condiviso vivrà per sempre dentro di te. Proprio come ha detto il mio Anthony…
“Come le rose una volta appassite rifioriscono più belle di prima, anche le persone una volta morte rivivono per sempre nel nostro cuore…”
Patty piangeva, adesso. Lacrime di gioia perché la sua amica capiva. Lacrime di tristezza per il suo amore perduto. Lacrime di speranza per il suo amore futuro.
- Patty, vivi il tuo amore e sii felice. Le seconde opportunità sono preziose, non sempre il destino ce le offre… - Candy si interruppe.
Patty fissò Candy, sentendo come se li provasse lei stessa la malinconia e il rimpianto della sua amica, alla quale voleva bene come ad una sorella, essendo stata la prima persona nella sua vita ad offrirle amicizia sincera ed a farle cominciare a vivere veramente la sua vita.
- Sì, Candy. Le seconde opportunità sono preziose. A volte arrivano in modo inaspettato – Candy capì che Patty adesso non parlava più di se stessa – e a volte la cosa più difficile è riconoscerle…

...CONTINUA...

Edited by cerchi di fuoco - 5/5/2013, 17:28
 
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