Candy Candy

GLI SMERALDI E LO ZAFFIRO - FF completa

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Cerchi di Fuoco
view post Posted on 2/5/2013, 19:52 by: Cerchi di Fuoco     +5   +1   -1
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A casa quella sera, dopo aver passato il pomeriggio alla Community of Hope, Candy fece una doccia e scese a cena con Albert, al quale aveva raccontato le meravigliose novità su Patty, che si sarebbe sposata il successivo autunno. Albert, a sua volta, le aveva raccontato lo stato di avanzamento dei suoi progetti a Washington.
- Franklin D. è veramente il miglior partner in questa avventura, Candy. E’ un uomo dal carisma eccezionale. Sta già cominciando a muovere le sue leve per raccogliere al Congresso la maggioranza che ci serve. La mia idea di “Stato Sociale” lo ha affascinato e incuriosito ed è completamente al mio fianco, anche con idee originali e personali per ampliare il progetto e farne un programma politico forte... Lui pensa a un vero e proprio “Patto” con la nazione!
Candy era abbastanza estranea ai meccanismi della politica e le sembrava che una cosa talmente etica come dare assistenza ai più deboli non dovesse nemmeno essere oggetto di discussione e contrattazione. Ma era affascinata dall’entusiasmo che leggeva negli occhi del suo caro Albert, un fuoco che non vi vedeva dai tempi dei suoi vagabondaggi erranti alla scoperta del mondo. Adesso aveva intrapreso un nuovo viaggio, ma lo spirito era quello del giovane che assisteva uomini e animali in quella clinica in Kenia, tanto tempo prima…
- Sai Candy, sabato prossimo andremo a un ricevimento presso la residenza dei Lansing. Devi cominciare a fare la tua parte e lasciarti sfoggiare come mia dama alle occasioni ufficiali, non credere che me ne sia dimenticato!
Da quando erano arrivati a Washington, Candy aveva accompagnato Albert a un paio di cocktail poco impegnativi, ma quella era la prima occasione in cui avrebbe presenziato ad un ricevimento vero e proprio. Sebbene la prospettiva non l’allettasse, sapeva di non potersi sottrarre.
- Oh, accidenti! – esclamò in tono fintamente esasperato – speravo di averla fatta franca! Sinceramente, Bert, mi auguravo che in breve tempo dal nostro arrivo qui, avresti conosciuto la figlia di qualche importante pezzo grosso del Governo e che saresti stato già fidanzato a quest’ora, sciogliendomi dai miei obblighi mondani!
- Mia cara – rispose Albert, sulla stessa falsariga scherzosa – non ho ancora trovato quella con le giuste parentele per favorire la mia ascesa politica. Purtroppo le figlie di Woodrow sono già tutte impegnate!
- Bert!
- Ah Ah Ah! - Albert scoppiò nella sua fragorosa e coinvolgente risata - Piccola, dovresti vedere la tua faccia!

Quel sabato, Candy e Albert si recarono al ricevimento in casa del Segretario di Stato, che avrebbe costituito il vero debutto di Candy nella rutilante alta società di Washington.
In passato Candy aveva già partecipato a diversi ricevimenti a Chicago insieme ad Albert, in occasione delle sue visite in città nelle pause tra un viaggio di lavoro e l’altro dell’amico. Sebbene non fosse una party addict, saltuariamente non le dispiaceva prendervi parte, avendo ormai una certa dimestichezza con l’aristocrazia del denaro della capitale dell’Illinois. Era tuttavia piuttosto preoccupata da quel “debutto” nella capitale, immaginando un mondo completamente diverso, ed avendo raccolto da Albert e da Patty diversi pettegolezzi sulle guerre di potere sotterranee tra i politici di mestiere e le loro ambiziosissime mogli. Si sentiva spesso dire che a Washington faceva fare più progressi a una carriera avere la consorte inserita nei giusti circoli mondani, che una maggioranza in Senato.
Per l’occasione Candy aveva scelto dal suo guardaroba (adeguatamente rifornito da Annie di una serie di vestiti da sera all’ultima moda) un semplice abito di impalpabile e lucida seta azzurra, morbido e drappeggiato, le pieghe elegantemente fermate da una spilla di perline su un fianco, e lungo fino alle caviglie, ma morbidamente aperto su un lato dal ginocchio in giù. La moderata scollatura terminava in due maniche corte e leggere, che si muovevano in morbide onde sulle sue spalle ad ogni movimento. Le gambe erano avvolte in calze di seta color crema, e ai piedi aveva delle scarpette col cinturino dello stesso colore del vestito. Aveva lasciato i capelli sciolti, guarniti solo da un cerchietto di perline all’ultima moda, ma molto semplice se paragonato ai vezzi di piume e lamé che molte signore avevano iniziato a sfoggiare in quegli anni, in cui sembrava stessero scoprendo per la prima volta la propria femminilità, di pari passo con il proprio seno, svelato da scollature vertiginose che facevano arrossire Candy al solo pensiero. L’unico gioiello che guarniva la sua pelle candida era il piccolo ciondolo di zaffiro, dal quale non si separava mai. Non portava guanti, una vera sfida alle convenzioni, in verità lanciata più per tenere alta la bandiera della comodità che quella dell’anticonformismo.
Albert, splendido nel suo frac con la camicia candida, in contrasto con la quale gli occhi azzurri spiccavano come splendide acquemarine, aspettava Candy in fondo alla scala e quando la vide scendere non poté nascondere un profondo moto d’orgoglio. La sua piccolina era diventata una meravigliosa donna!
- Candy, con te al mio fianco questa sera mi sarà molto difficile andare a caccia di doti!
- Peggio per te! Mi hai messo tu in questo guaio! Non so neanche come abbia avuto il coraggio di indossare questo abito, Bert! Non ho mai visto uno spacco del genere, è semplicemente indecente. Annie deve essere impazzita!
- Candy! Sei davvero una puritana! – sorrise Albert strizzandole un occhio.
Candy ricordò che quella era stata un’accusa rivoltale molte volte scherzosamente anche da Terence, e sulle labbra le aleggiò un dolce e malinconico sorriso, che Albert colse immediatamente. Pur non sapendo cosa nello specifico lo avesse causato, poteva facilmente immaginare chi fosse il soggetto dei pensieri della sua dolce piccolina, adesso diventata inequivocabilmente una donna, ma purtroppo non una donna felice. L’unico dettaglio che mancava per rendere perfetta l’elegante figura che Albert aveva dinanzi a sé era infatti quel particolare sfavillio di smeraldo negli occhi, che vi aveva visto brillare per l’ultima volta in un gelido mattino invernale, salutandola dalla finestra mentre lei si precipitava verso la stazione di Chicago, correndo incontro al suo amore che la aspettava a New York. Quel giorno lui aveva tremato all’idea di non vederla tornare indietro su quel viale dove stava saltellando di gioia, con il cuore già a New York insieme al suo uomo. Immaginava che Terence le avrebbe chiesto di restare con lui per sempre, se la disgrazia di Susanna non fosse stato il modo scelto dal destino per scatenarsi con tutta la sua violenza su quei due giovani. Allora era terrorizzato all’idea di perdere Candy. Non aveva ancora riacquistato la memoria e lei rappresentava tutto per lui: famiglia, affetto, cura, calore... Eppure quando l’aveva vista tornare da New York, così prostrata e vinta dal peso della scelta che aveva compiuto, aveva rimpianto mille volte quell’egoistico pensiero formulato alla finestra.
Nonostante avesse cercato più volte di mettere a posto ciò che il destino aveva disfatto, non ultimo facendo sì che Candy ritrovasse a Rocktown il suo Romeo disperato, aveva capito che non c’era forza che potesse opporre non tanto al fato, ma al peso che quelle due anime tormentate dal loro stesso altruismo avevano dato alle promesse che si erano scambiate. In un certo senso li ammirava molto, ma nel suo cuore non si rassegnava al sacrificio al quale si erano votati in un intreccio di onore, senso di colpa, pietà, pressioni esterne, generosità e sogni infranti del quale, ancora oggi a distanza di più di un anno dalla morte di Susanna, sembravano non riuscire a ritrovare il bandolo.
Più volte si era chiesto se non avrebbe dovuto far qualcosa per contattare Terence, ma alla fine aveva sempre desistito. Ne conosceva l’orgoglio e la fierezza che, provenienti dai geni paterni, si erano sposati con la raffinatezza e l’eleganza della madre, creando il più straordinario uomo che avesse mai incontrato, la cui potenzialità ruggiva già in quel vicolo del West End in cui si erano conosciuti anni prima. E conosceva anche la cocciutaggine di Candy e la sua risolutezza nel tener fede alla parola data. Ne aveva avuto una chiara dimostrazione quando il suo espediente di mandarla a Rocktown era fallito a metà dall’intento originario: riunire i due giovani e salvare Terence dal baratro di commiserazione bagnata nell’alcol nel quale era precipitato. Aveva ottenuto solo di rinnovare il dolore di Candy, la quale si era forzata a tenere fede all’impegno preso di rinunciare a Terence, ritenendo di donargli così l’unica sua speranza di felicità. Era ancora convinta che con Susanna in quelle condizioni per lei e Terence non potesse esserci legame possibile. Ma almeno grazie alla sua sola presenza e alla forza che gli aveva istillato, Terence era risorto ed era tornato alla vita.
E così da allora Albert aveva solo osservato, era rimasto vicino a Candy cercando di trasmetterle forza e aveva aspettato pazientemente che i fili delle vite di quelle due anime gemelle si intrecciassero di nuovo, certo che la trama delle loro esistenze li avrebbe guidati nuovamente e inevitabilmente l’uno verso l’altra, come un fiume trova sempre il modo di sfociare nel mare dopo lunghi e tortuosi tragitti, vincendo tutti i tentativi dell’uomo di deviarne artificialmente il corso.

Villa Costanza, la residenza del Segretario di Stato Robert Lansing, era una villa neoclassica dall’eleganza e dal lusso indiscutibili ma discreti. Tutta la Washington che contava era presente nel grande salone affrescato e illuminato a giorno. La musica di un’orchestra posizionata su un basso piedistallo ai margini della sala riempiva piacevolmente l’atmosfera.
Come Albert aveva anticipato a Candy, gli uomini politici, tra cui i massimi rappresentanti del governo e del Congresso, si raggruppavano a intervalli regolari in capannelli nei vari angoli della sala, inframmezzando opportunamente tali scambi alle danze con le proprie dame, in modo da dar tempo agli accordi appena stipulati davanti a un buon cognac di sedimentare, prima di passare ai successivi abboccamenti. Era come un consumato e studiato minuetto, in cui ogni soggetto recitava la sua parte: tutti sapevano di essere lì per stringere o disfare relazioni politiche, e fingevano invece di trovarvisi per divertirsi trascorrendo una piacevole serata danzante.
Albert la presentò a tutti i membri dello staff del Presidente, assente in quanto ancora a Parigi impegnato nella sua battaglia diplomatica per promuovere la Società delle Nazioni, e Candy incantò tutti indistintamente con la sua grazia elegante e semplice allo stesso tempo.
C’era anche Patty, giunta insieme all’entourage dei Roosevelt, dei quali grazie al fidanzamento con Harold, già ripartito per Boston, era divenuta una parente più che una dipendente. Candy era entusiasta di venire presentata a quella coppia di cui tanto aveva sentito parlare dall’amica e da Albert, e fu veramente sorpresa quando Mr. Roosevelt si rivolse a lei con tono amichevole dicendole:
- E così lei è la famosa Candice di cui Albert non fa altro che parlare, nei pochi momenti in cui non è concentrato sul lavoro. Credo che lei, signorina, sia l’unico bipede sul quale l’abbia sentito esprimersi con vero affetto. Tutti gli altri destinatari della sua ammirazione appartengono al mondo animale, tra cui anche una puzzola devo dire!
Questo commento, accolto tra le risate generali, stemperò la tensione di Candy e le fece capire il livello di intimità e amicizia raggiunto dai due uomini; allo stesso tempo le fece guardare con simpatia a quell’uomo così diretto e simpatico, a dispetto del ruolo istituzionale che rivestiva e dall’appartenenza ad una delle più importanti famiglie politiche d’America. Nonostante i modi schietti e amichevoli, brillava però nei suoi occhi la luce di un’intelligenza fuori dal comune e di una determinazione inossidabile.
- Sono veramente molto lieta di fare la sua conoscenza, Mr. Roosevelt. Posso dirle che anche lei è uno dei bipedi preferiti da Albert?
A quel commento irriverente le risate aumentarono d’intensità, in un clima piacevole e amichevole. Patty a quel punto si rivolse alla sua amica presentandole la donna che aveva a fianco:
- Candy, ti presento Mrs. Roosevelt, il mio capo.
- Mia cara, stiamo per diventare cugine, gradirei farla finita con questi formalismi – intervenne sbrigativamente Eleanor Roosevelt, rivolgendosi a Patty con un sorriso e stringendo con decisione una mano a Candy, che le rivolse un breve inchino.
- Sono onorata di fare la sua conoscenza, Mrs. Roosevelt.
Candy studiò affascinata la donna di circa trentacinque anni che aveva di fronte.
Non poteva essere definita una bellezza, ma si poteva essere assolutamente certi che, in qualunque stanza e alla presenza di qualunque compagnia, sarebbe sempre e comunque stata notata come la personalità più spiccata, in grado di mettere in ombra qualunque altra donna, anche la più radiosa delle bellezze, con la semplice forza del suo carisma naturale. Aveva capelli scuri pettinati all’indietro in uno chignon sulla nuca e il tratto dominante del suo viso era la bocca, dalla linea dura e decisa che si accompagnava ad uno sguardo tra i più espressivi che Candy avesse mai visto, in grado di attraversare tutto lo spettro delle emozioni: dalla più vivida simpatia all’odio più implacabile. Candy notò che Mrs. Roosevelt era l’unica donna presente nella sala a non vestire seguendo la moda ma ad indossare un abito nero dalla vecchia linea rigida e ampia, lunga fino ai piedi, retaggio di prima della guerra. Tuttavia, lo faceva con una disinvoltura e una noncuranza tali da fare invidia a tutte le regine della haute couture.
Candy ne fu immediatamente e totalmente conquistata, così come non poté fare a meno di notare gli sguardi carichi di orgoglio e amore che le rivolgeva il marito, assolutamente stregato da lei.
Eleanor si informò sulla sua attività di volontariato alla Community of Hope e parlarono a lungo degli effetti dell’epidemia di influenza, soprattutto sulla mortalità infantile. Eleanor e il marito furono anche molto colpiti dal’impegno di Candy nell’Indiana presso la casa di Pony.
- E’ veramente meraviglioso che Albert e lei, Candice, sebbene appartenenti a una delle più ricche famiglie di Chicago, dedichiate tante energie ai meno fortunati. E’ questo che dovrebbe fare il Capitale nel nostro paese: creare occasioni di sviluppo di cui tutta la società possa arricchirsi, anziché prodursi in mero accumulo personale.
Candy era affascinata.
La serata andò avanti piacevolmente, nonostante gli iniziali timori di Candy, la quale venne invitata a ballare oltre che da Albert da diversi brillanti giovani neolaureati presso le più prestigiose università degli Stati Uniti e d’Europa, già pronti ad occupare il proprio posto al sole negli assetti politici del dopoguerra.
In un momento di pausa tra un ballo e l’altro, mentre beveva un bicchiere di champagne per rinfrescarsi, la sua attenzione venne attratta da un uomo bruno sulla quarantina, molto elegante e affascinante nel suo impeccabile smoking di sartoria, che teneva banco, con la disinvoltura conferita da una chiara dimestichezza e dall’abitudine ad essere al centro dell’attenzione, in un capannello composto in massima parte da donne dallo sguardo estasiato.
Candy era certa che le fattezze di quell’uomo le fossero note, e cercò di mettere a fuoco dove potesse averlo conosciuto. Aveva una sensazione strana, come se quel volto fosse collegato a un ricordo dolce-amaro, e la sensazione si trasformò in certezza quando l’identità dell’uomo emerse dai suoi ricordi con la violenza di un gong suonato proprio al centro della sua mente. Quello era Robert Hathaway, il primo attore della compagnia Stratford, che aveva visto recitare nel Re Lear a Chicago tanti anni prima insieme a Terence.
Sì, non aveva alcun dubbio: si trattava proprio della sua figura elegante e del suo sguardo magnetico. Quello era il volto affascinante al quale aveva visto assumere le mille espressioni della tragica figura shakespeariana, mentre sprofondava lentamente e inesorabilmente nel buio della sua solitaria follia. Se anche non avesse riconosciuto in lui l’attore sul palcoscenico (cosa comprensibile dal momento che in quel frangente la sua attenzione e tutto il suo essere erano invece attratti inesorabilmente verso il re di Francia, intento a declamare con le mille vellutate sfumature della sua meravigliosa voce il proprio amore per Cordelia) ricordava però perfettamente di averlo visto dopo, in borghese, uscire insieme a tutti gli attori della compagnia dall’ingresso degli artisti, ricevendo il tributo della folla in delirio che le aveva impedito di farsi scorgere da Terence.
Robert Hathaway era lì a Washington, al suo stesso ricevimento. Forse la sua compagnia stava recitando in città. Sì, non c’era altra spiegazione e quindi forse…
In preda all’improvviso di un panico crescente, misto ad un’aspettativa tanto forte da essere dolorosa, Candy si voltò più volte a destra e a sinistra, scorrendo la sala freneticamente e ad occhi sgranati, cercando di scorgere tra gli uomini in tenuta da sera una lucente chioma castana e due brillanti zaffiri. Ma no, si disse prendendo un respiro con una mano sul cuore, Terence non poteva essere lì: lo avrebbe avvertito nel momento stesso in cui fosse entrata in quella stanza. Quel brivido e quell’ondata di marea interiore, che sempre la attraversavano quando si trovavano vicini, non le avevano annunciato la sua presenza con tutti gli altri suoi sensi, prima ancora che con la vista.
Tornò a fissare Robert Hathaway, cercando di regolarizzare il respiro accelerato dalla gamma di emozioni che aveva attraversato in pochi secondi.
Come spesso avviene quando si è osservati con estrema intensità, lo sguardo di Candy a Robert calamitò l’attenzione dell’uomo, mettendone in allerta i sensi senza che ne sapesse il perché. Il grande regista, nel bel mezzo di una banale conversazione con un gruppo di ammiratrici, si ritrovò ad alzare lo sguardo come se fosse stato telecomandato, e ad incrociare quello di smeraldo che gli veniva rivolto con tanta enfasi dall’altro lato del salone.
Robert non aveva mai visto prima quella ragazza vestita d’azzurro, dritta accanto a un tavolino con una mano che reggeva un flute di champagne e l’altra posata sul petto in una posa aggraziata, un’eleganza naturale che riluceva come un faro in quella stanza piena di gente. Ma ad attrarlo particolarmente fu lo sguardo, acceso di un tale fuoco da non potere evitare di esserne irresistibilmente attratto. Gli sembrava che nella stanza tutti fossero caduti nell’ombra, ad eccezione di quella fanciulla alla quale sentiva di essere unito da un legame ancora ignoto.
Si scusò educatamente con il gruppo di interlocutori e posò su un vassoio il bicchiere vuoto che aveva in mano; quindi si diresse con andatura elegante verso quella attrattiva creatura, ancora immobile, che ne seguiva l’incedere con gli occhi incollati ai suoi.
Quando la raggiunse le fece un breve inchino e disse:
- Buonasera, Miss. Sono Robert Hathaway. Mi scuso per la mia impudenza e spero che non troverà banali le mie parole, ma avendola scorta da lontano ho avuto come la sensazione che ci conoscessimo, anche se non saprei dire in quale occasione potrei aver avuto l’onore di averla già incontrata.
A Candy girava la testa per l’ansia.
- Buonasera, Mr. Hathaway. Io mi chiamo Candice Andrew. Ecco... non credo che lei possa avermi già visto prima. Io l’ho veduta una sera di circa cinque anni fa a Chicago, in occasione di una rappresentazione di beneficienza del re Lear…
No, non era semplicemente una delle tante fans che avevano incrociato il suo cammino professionale, Robert ne era certo. C’era in quello sguardo un richiamo e un’urgenza che lo distinguevano da tutti gli altri, che esprimevano solo pura e vuota adorazione e che aveva già visto migliaia di volte, in decine e decine di diverse città, sempre uguale.
- …Io…Io sono una conoscente di Terry Graham, Mr. Hathaway – si decise ad aggiungere Candy, sussultando nel pronunciare quel nome che non aveva più citato in pubblico, se non con le persone a lei più care.
A Robert non era nuovo quell’approccio: di tutti gli attori della compagnia, Terence era di certo il più ricercato dalle ammiratrici. E se durante e dopo la morte di Susanna, il suo giovane pupillo non aveva mai intessuto storie con nessuna di loro, non era stato certo per mancanza di opportunità, visto che lui stesso aveva assistito a scene a dir poco imbarazzanti in occasione dei pochi party ai quali l’amico partecipava (e solo se costretto da obblighi professionali). Non era quindi infrequente che qualche ammiratrice particolarmente zelante cercasse di arrivare a Terence tramite i colleghi, simulando una frequentazione personale del tutto inesistente.
Ma in quella ragazza c’era qualcosa di diverso.
Non fu l’espressione intrisa di profonda dolcezza e malinconia del suo sguardo, tanto diverso dalla malizia delle dozzinali ammiratrici cui era abituato. E neppure il fatto (che non gli era sfuggito) che avesse fatto riferimento a Terence usando con naturalezza la versione del suo nome con la quale lo aveva sentito chiamare solo dalla madre, Eleanor Baker. Dettaglio che, ne era certo, nessuno che non fosse in stretta intimità con il suo riservato amico poteva conoscere. No, c’era anche qualcos’altro, ed ebbe bisogno di qualche istante prima di rendersi conto che si trattava di quello sguardo, quello sguardo rilucente di ansia e di una scintilla che Robert aveva già visto nella sua variante color zaffiro solo in altri due occhi, quando Terence gli aveva parlato della sua salvatrice.
- Lei è un’amica di Terence, Miss Andrew? Posso chiederle come vi siete conosciuti?
- Io… e Terry ci siamo conosciuti a Londra, molto tempo fa, nel collegio dove studiavamo – che modo riduttivo di descrivere l’incontro che le aveva cambiato la vita, pensò Candy fugacemente… ma com’era possibile sintetizzare in poche parole (o milioni di parole, se per questo) ciò che rappresentava Terence per lei? – ma ci siamo… persi di vista da alcuni anni, in verità.
- Capisco, Miss Andrew – sì, adesso di fronte a quello sguardo e con la sua profonda sensibilità d’artista, Robert capiva tutto. Capiva come Terence, dopo essersi specchiato nella profondità di quei laghi di un verde trasparente e brillante, avesse rifiutato per sempre di accontentarsi di abbeverarsi a semplice acqua di fonte. Dopo essersi bruciato con quel fuoco ardente, qualsiasi altro calore sarebbe risultato ghiaccio. Lei doveva essere la donna che, come una volta gli aveva detto Terence, lo aveva salvato da se stesso. Robert non ebbe difficoltà a capire cosa l’amico avesse voluto dire, trovandosela adesso davanti.
- Lui… Terry è a Washington con lei, Mr. Hathaway? – Candy trattenne il fiato, in attesa di quella risposta che per lei significava tutto.
- No, Miss Andrew – era un sospiro di sollievo o di disperata delusione che vide sfuggire dalle labbra di quella incredibile creatura? – La mia compagnia è in città da una settimana per inscenare al teatro Ford l’Otello. Ma Terence non è con noi in questa occasione. Da circa tre mesi è dovuto partire per la Scozia ed è stato sostituito nel ruolo di protagonista per questa seconda parte della stagione. Pare che abbia ricevuto notizie poco confortanti da parte della sua famiglia, e che la sua presenza sia stata richiesta lì dal padre.
Terence era in Scozia... Candy riusciva ad immaginare solo una ragione talmente grave da avergli fatto interrompere la stagione teatrale.
- Terry… ha forse subito un lutto, Mr. Hathaway? – chiese con il cuore in gola.
- No, Miss Andrew – la rassicurò subito lui - Pare che il padre abbia subito un grave malore qualche mese fa e che la convalescenza si stia rivelando più difficile del previsto, per cui Terence ha deciso di fermarsi lì fino a quando non si sarà ristabilito almeno in gran parte.
Candy sospirò dal sollievo. Sapeva che nel groviglio inestricabile di contrastanti sentimenti che legava Terence al padre, la morte del duca avrebbe lasciato nel suo cuore un vuoto incolmabile e un rimpianto senza lenimento, se prima non fossero riusciti a chiarire le differenti posizioni che avevano portato alla loro definitiva rottura tanti anni prima. Il muro di silenzio e ostilità che avevano eretto tra loro era cresciuto nel tempo, e scardinarlo avrebbe riportato alla luce, costringendolo ad affrontarle, tutte le paure di un bambino che si era sentito dolorosamente rifiutato dal padre. E lei non avrebbe potuto in alcun modo essergli vicina stavolta, come invece aveva fatto in occasione della sua sofferta riappacificazione con la madre…
- Capisco Mr. Hathaway. La ringrazio.
- C’è… c’è qualcosa che posso dire a Terence da parte sua? Ci teniamo in frequente contatto epistolare, Miss Andrew. Desidera mandargli un messaggio? – Robert non riusciva a immaginare qualcosa che avrebbe potuto fare più piacere a Terence, nei difficili frangenti che stava attraversando.
- Io… no, Mr. Hathaway, la ringrazio. Io... credo di no. Spero che torni presto a recitare, perché ciò significherà che il padre sta meglio.
- Certo, Miss Andrew. E’ davvero sicura di non …
- Ne sono sicura! – gli occhi di Candy, fino a quel momento velati di amore e di rimpianto si accesero di determinazione.
Terence aveva un doloroso passato e la presente malattia da affrontare con il padre. Riportare alla luce altri fantasmi non lo avrebbe aiutato in alcun modo.
Qualunque dovesse essere la mossa successiva della partita a scacchi che il destino aveva iniziato a giocare con loro fin da quella notte di Capodanno sul Mauretania, adesso non toccava a lei muovere. La morte della regina nera non si era rivelata la mossa determinante, a quanto sembrava. Toccava ai due re affrontarsi adesso, il bianco e il nero, l’uno di fronte all’altro al centro della scacchiera, senza più difese.

Amore, dammi tu la forza,
ché solo di forza ora avrò bisogno! *



*Romeo e Giulietta, Atto IV, Scena I.

FINE CAPITOLO SECONDO



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Franklin D. Roosevelt e la moglie Eleanor in una foto più o meno contemporanea agli eventi narrati



Edited by cerchi di fuoco - 22/5/2013, 08:18
 
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