Candy Candy

GLI SMERALDI E LO ZAFFIRO - FF completa

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Cerchi di Fuoco
view post Posted on 11/5/2013, 19:04 by: Cerchi di Fuoco     +7   +1   -1
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Care amiche, questo brano è accompagnato da un video che ne costituisce la colonna sonora.
Se vi va, avviatelo quando lo incontrate e andate avanti nella lettura ascoltando le sue note.


Aberfoyle, Loch Lomond,
Scozia

02 aprile 1919


Fu la luce del mattino a svegliare Terence.
Disteso sul divano di fronte al camino il cui fuoco si era ormai esaurito, lasciando al suo posto un cumulo di cenere fumante, teneva la regina bianca ancora stretta nella mano.
Era già giorno fatto: aveva dormito tutta la notte, notò aprendo gli occhi mentre le nebbie di un sonno ristoratore si diradavano attorno a lui e prendeva coscienza con gratitudine del fatto che sul suo volto aleggiava un sorriso appagato. Si voltò alla sua sinistra, verso la grande finestra nello spazio tra i cui pesanti tendaggi si faceva strada con decisione una netta lama di luce, e si alzò per aprire le cortine che impedivano al sole di penetrare pienamente nella stanza. Per un attimo rimase completamente abbagliato e strinse d’istinto gli occhi, per riaprirli però subito e lasciarsi inondare dalla meravigliosa vista della lussureggiante campagna attorno al castello, splendente nella luce abbacinante di uno spettacolare e radioso mattino di sole.
La primavera era ormai davvero alle porte, e quell’angolo di mondo si mostrava in tutta la gioia della propria orgogliosa rinascita al termine di un lungo inverno. L’erba del prato digradante era di un verde brillante, inframmezzato da stille di diamanti che vi giacevano come dimenticate dalla pioggia della sera prima, ed ai lati della casa si allargavano dei vialetti costeggiati da arbusti d’erica sempreverde, che ondeggiavano dolcemente nella lieve brezza del mattino. Il bosco in lontananza sembrava tracciato dalle pennellate di un pittore impressionista, con le sue macchie di marrone e di verde in decine di tonalità diverse, ciascuna esaltata dai raggi dorati del sole che filtravano guizzando attraverso le fronde. E, quasi per magia, sullo sfondo di tutto, tra due macchie di regali faggi, faceva imprevedibilmente capolino un frammento di azzurro trasparente e sfavillante, sul quale il riverbero dei raggi del sole accendeva simultaneamente milioni di scintille di platino. Era il lago di Loch Lomond, il più grande della Scozia, che bagnava tra le altre la contea di Stirling, dominata da Granchester Manor.
A Stirling nel XIII secolo, sotto la guida dell’eroe nazionale ancora oggi venerato da ogni cittadino scozzese, il condottiero e martire William Wallace, un esercito di indomiti e coraggiosi fanti armati solo del proprio coraggio aveva strappato agli inglesi una delle più memorabili ed epiche vittorie nella storia delle guerre di indipendenza scozzesi. Terence aveva sempre ammirato la tempra scozzese, che gli inglesi non erano mai riusciti a piegare nonostante secoli di oppressione tra le più feroci che la storia ricordasse, e la loro straordinaria capacità di aggregarsi attorno all’icona della propria libertà e identità nazionale. Sentiva molto forte in sé il retaggio di tali antenati, che gli avevano fatto dono, attraverso secoli e secoli di storia, di quell’istinto alla ribellione di fronte a ogni autorità non riconosciuta. Quell’istinto che lo aveva acceso contro suo padre e la sua matrigna, prima, e negli anni della scuola contro l’ipocrita Suor Grey; e da adulto quell’istinto lo aveva portato alla più vile e abietta delle ribellioni, quella contro il suo destino. Anche se in quel caso nel peggiore dei modi, che lo aveva fatto precipitare, col passo reso sempre più incerto dai fumi dell’alcol, fino a Rocktown…
Si riscosse dai suoi pensieri. Quella giornata era troppo bella per non approfittarne…
Fece colazione in cucina con Mrs. Gouz, bevendo del tè con latte e zucchero e mangiando di gusto delle ottime uova strapazzate accompagnate da soffici pancake allo sciroppo d’acero, amorosamente preparati dalla materna governante in omaggio alle abitudini yankee assunte negli ultimi anni dal Marchese. Quindi, dopo essere passato a salutare suo padre, Terence indossò la tenuta d’equitazione, prese dal comodino della sua stanza l’armonica donatagli da Candy, da sei anni il più sacro dei suoi tesori, la ripose con gesti intrisi di delicatezza nel taschino interno della giacca e si recò alle scuderie.
In quelle settimane Terence e il padre avevano trascorso lungo tempo insieme, parlando e ripercorrendo quel passato di cui a poco a poco stavano tentando di dissipare le ombre; giocando a scacchi, attività nella quale il duca eccelleva, ma rispetto alla quale aveva trovato nel figlio un rivale ben più temibile e ostico rispetto al bambino di dieci anni al quale aveva svogliatamente insegnato con l’unico intento di placarne per brevi periodi le ribellioni; leggendo brani di Shakespeare che Terence declamava in intime serate in camera del padre, davanti al camino acceso. Il duca di Granchester, vibrante d’orgoglio, restava in quei momenti immobile, gli occhi incollati agli eleganti e armoniosi gesti del figlio intento a interpretare gli immortali versi del bardo, che sapeva accendere con la sua voce di un calore simile a fuoco liquido nel rivolgersi a Desdemona folle di gelosia o, in un solo istante, trasformare in raggelante acciaio capace di trapassare con facilità l’anima dello spettatore, incarnandosi nell’anima oscura e tenebrosa di Macbeth.
Sir Augustus Pritchard aveva rassicurato Terence sulle possibilità di ripresa di Sua Grazia: passati i primi due o tre mesi di osservazione, se il decorso fosse continuato serenamente come le attuali condizioni lasciavano sperare, le probabilità che il duca potesse tornare a una vita pressoché piena erano molto alte. Certo, avrebbe dovuto seguire un regime regolare e scandito da riposo, alimentazione controllata e la messa al bando del suo scotch e dei suoi tanto amati sigari, ma, a parte questo, probabilmente pochi strascichi avrebbero ricordato a Sua Grazia di avere guardato la morte in faccia così da vicino.
Terence aveva quindi deciso di restare al suo fianco in quelle prime settimane di riabilitazione, tanto più che con Robert avevano stabilito che sarebbe stato sostituito fino al termine della tournée negli stati orientali. Sarebbe rientrato in tempo per l’inizio delle prove della nuova stagione che lo avrebbe visto in palcoscenico, per la prima volta da quell’inverno fatale di tanti anni prima, nei panni di Romeo.
Quando non era col padre, che lentamente cominciava a muovere qualche passo con l’aiuto di un bastone, Terence trascorreva le sue giornate leggendo nella grande biblioteca, o facendo lunghe passeggiate a cavallo nel parco e nei dintorni del castello, nonostante il tempo inclemente. Ma, qualunque fosse l’attività alla quale si dedicava, era costantemente immerso nei propri malinconici pensieri e intrappolato nella rete da cui si sentiva ancora avviluppato, senza riuscire a sciogliere del tutto i nodi che la serravano. Nonostante Candy gli mancasse come manca l’aria a colui che stesse annegando e la luce a chi fosse rinchiuso da troppo tempo in una cella senza spiraglio alcuno, non riusciva ancora a decidersi a spezzare quel silenzio che era calato tra loro dopo la notte in cui si erano separati.
Sì, il giorno in cui la guerra era finita, in quella festosa euforia che preludeva a un futuro meraviglioso, aveva sentito dentro di sé che era giunto il momento di rompere gli indugi e tornare da lei, supplicandola - se necessario - di perdonare la sua vigliaccheria per non averla fermata, e la sua cecità nel non avere riconosciuto in tempo la semplice verità: che lasciandolo lei si stava portando via quella stessa vita di cui Susanna gli aveva fatto dono col suo sacrificio. In quella euforica mattina di novembre aveva davvero sperato che potesse non essere troppo tardi per cancellare tutto ciò che li aveva divisi da quando lei aveva girato l’angolo di quella piazza spazzata dalla neve, scomparendo alla sua vista e spegnendo la luce del sole sugli infiniti e tormentati giorni, mesi e anni che erano seguiti.
Ma da quando era tornato in Scozia la paura era tornata a bloccare la sua volontà.
Ritrovarsi nei luoghi in cui aveva vissuto il suo amore e donato il proprio cuore alla sua dolce Giulietta gli aveva fatto sentire con ancora maggiore intensità il rimorso per tutto il dolore che le aveva causato amandola. Quando l’aveva conosciuta, lei gli aveva restituito la vita che allora lui stava buttando al vento, cieco e smarrito nei suoi labirinti di rancore. E lui con cosa aveva ricambiato quel miracolo che lei aveva saputo compiere con la sua dolcezza ed il suo amore? Solo con lacrime e sofferenze. Dal momento in cui aveva rischiato l’espulsione dal collegio fino all’epilogo su quelle scale, il suo amore le aveva causato solo lacrime. Come poteva tornare da lei?
Eppure…
Eppure: dirle che l’amava ancora! Dirle che l’aveva sempre amata e che il suo cuore sarebbe sempre appartenuto solo a lei, come uno scrigno di cui solo lei possedeva la chiave. Almeno quello: dirle le parole che da sei anni urlavano nel silenzio e rimbombavano nel vuoto del suo cuore, che non aveva mai potuto confessarle e che da allora aveva cercato invano di sublimare migliaia di volte sul palco rivolgendole a Cordelia, a Desdemona, a Ofelia, a Viola, ma in realtà desiderando solo sussurrarle alla sua unica Giulietta.
Almeno quello! Che lei sapesse che era da sempre e per sempre al centro del suo cuore e del suo universo...
Terence spronò al galoppo lo stallone dal lucente manto nero che aveva preso il posto dell’anziana Teodora, fedele compagna della sua gioventù, e si lanciò a velocità folle verso la riva del lago, col vento a scompigliargli selvaggiamente i lunghi capelli scuri, allo stesso modo in cui l’immagine della sua dolce ragazza agitava i pensieri nella sua mente.
Giunto sulla riva del lago Terence rallentò l’andatura e mise il cavallo al passo, seguendo il corso dello specchio d’acqua per qualche centinaio di metri, fino ad arrivare alla radura cui era diretto.
Era un largo spiazzo erboso circondato da alti faggi che guardava a strapiombo da un altezza di circa dieci metri sull’acqua. Dopo aver legato il cavallo, Terence si diresse verso uno degli alberi più alti, si sedette sull’erba appoggiando la schiena all’ampio tronco, con lo sguardo rivolto verso il riverbero accecante del sole sulle acque del lago, e trasse dalla tasca l’armonica scintillante che aveva ricevuto quale pegno, in cambio della promessa di non fumare più su una collina considerata sacra.
“Ti ho reso la vita difficile, con le mie intemperanze da sbruffone, Tuttelentiggini!” sorrise teneramente il ragazzo a quel ricordo, i lineamenti immediatamente addolciti e rilassati, come ogni volta che due occhi di smeraldo prendevano possesso di lui con la forza possente dei ricordi .
Era incredibile che le immagini di un tempo così lontano fossero ancora tanto vividamente scolpite nella sua mente.
Portò l’armonica alla bocca, chiuse gli occhi, e lasciò che i ricordi fluissero ancora, accompagnati da una dolce melodia originaria proprio di quei luoghi, la ballata di un amore perduto...



Candy è distesa sull’erba alta, lucente e serica, e i morbidi capelli biondi sono sparsi attorno a lei creando uno straordinario contrasto con il verde intenso del prato. Le sue lentiggini spiccano con più evidenza che mai sul colorito color miele del quale il sole ha fatto omaggio al suo incarnato solitamente tanto candido. Il silenzio è rotto solo dal canto ritmico e ossessivo delle cicale.
Terence la stava aspettando da diversi giorni: sapeva perfettamente che lei sarebbe giunta per trascorrere l’estate presso la scuola estiva di Aberfoyle, poco distante da Granchester Manor, e in realtà deve confessare che è proprio Candy il motivo per cui lui stesso ha scelto di trascorrere l’estate in quei luoghi, nei quali non tornava da tanto tempo.
Freme per rivederla.
Quella ragazza gli ha rubato il cuore, gli è entrata nel sangue, e la quotidiana abitudine alle loro schermaglie, di cui si servono per mascherare il reciproco desiderio di stare insieme, gli è terribilmente mancata da quando ha lasciato la St. Paul School. Ha atteso il momento opportuno per trovarla da sola, senza i suoi importuni amici che in quel momento si stanno divertendo in barca sul lago.
Si avvicina a lei silenziosamente e si sente mancare il fiato nel rivederla dopo quei pochi giorni che gli sono sembrati infiniti. Prende atto della sensazione improvvisa di vuoto allo stomaco che accoglie l’ingresso di quei capelli color del grano nel suo campo visivo, sensazione che ha imparato ad attendersi ogni volta che sta per rivederla. Ma stavolta ha un’intensità diversa. Possibile che gli sia mancata tanto? Ormai il sole per lui sembra sorgere e tramontare con lei. Vorrebbe baciarla ancora, prova lo stesso travolgente desiderio che gliel’ha fatta attirare al petto alla festa di Maggio, lasciando cadere ogni prudenza, ma sa che lei non glielo perdonerebbe, non ancora… Resta lì a fissarla per un po’, un sorriso inconsapevole e struggente nella sua dolcezza che non vuole saperne di abbandonare le sue labbra. Sembra che lei stia dormendo o pensando intensamente a qualcosa… o a qualcuno…

Qualcosa le sfiora il viso e Candy sussulta e si solleva a sedere di scatto, allarmata, guardandosi a destra e a sinistra ma senza scorgerlo, perché lui sta alle sue spalle.
- Un serpente potrebbe salirti addosso se stai distesa nell’erba, non lo sai Tuttelentiggini?
Candy si gira e vede Terence che le sorride guardandola dall’alto, in mano un lungo rametto di erica con cui le ha accarezzato il volto. Arrossisce, pensando che Terence si è materializzato proprio nel momento in cui stava pensando intensamente a quanto lui le mancasse. Le sembra di averlo evocato con l’intensità stessa del suo desiderio.
- Terry, riesci sempre a sorprendermi! E smettila di tormentarmi con questo ramo! – esclama con un tono fintamente risentito che ha imparato con l’esperienza a sfoderare, per mascherare l’incontenibile gioia di rivederlo che puntualmente la coglie quando lo spazio attorno a lei si accende del riflesso blu dei suoi occhi.
Si rende conto con la forza di una certezza di quanto le sia mancato. Capisce di non essere più la stessa, da quando Terence è entrato nella sua vita, da quella nebbiosa notte di capodanno sul Mauretania.
- Se qualcuno deve sorprendersi sono io! Cosa ci fai qui da sola, Tuttelentiggini? Dunque non hai paura dei serpenti? No, hai ragione, sono loro che dovrebbero spaventarsi all’idea di avvicinarsi a te. Sei manesca, se ben ricordo… - le dice Terence ironico, con un sorriso irresistibile sulle labbra che si trasmette fino agli occhi, illuminando ancora di più, se mai fosse stato possibile, quella scintillante giornata estiva.
Quell’accenno allo schiaffo seguito al bacio che si sono scambiati fa arrossire Candy, esattamente come era nelle intenzioni di Terence, e il ragazzo ne approfitta per metterla ancora più in imbarazzo:
- Mi stavi forse aspettando? – le chiede sempre sorridendo, ma stavolta con una straordinaria dolcezza negli occhi.
Si fissano in silenzio, due smeraldi che si specchiano dentro due zaffiri; entrambi sorridono e Candy gode della semplice e straordinaria felicità di essere di nuovo vicina a lui. Anche lei sta pensando a quel bacio. Il cuore le batte all’impazzata da quando è apparso Terence, e un calore piacevole le attraversa il corpo, repentino e intenso come un fulmine. Si sente bene come non mai. Ha paura di ciò che sente, ma non vuole più negarlo. E’ quello l’amore? Non prova quella piacevole e rassicurante serenità che sentiva sempre vicino ad Anthony. Quando è con Terence si sente precipitare dal più alto dei burroni, ma non c’è niente a cui aneli di più: insieme a lui sa di poter volare…
- Cosa stai leggendo, Terry? – chiede, indicando il libro che Terence ha tra le mani, per spezzare quel silenzio che le dà le vertigini.
Lui si siede accanto a lei, così vicino che le loro braccia si sfiorano, e un fremito di desiderio li percorre entrambi, passando dall’uno all’altra attraverso il lieve contatto dei loro corpi.
- Non sono affari tuoi, Tarzan! – le nasconde il libro dal lato a lei più lontano e Candy si sporge sopra di lui per afferrarlo. Lottano per un po’, finché lei riesce a prendere il libro, cioè finché Terence lascia che lei lo raggiunga. Si immobilizzano così: i loro corpi che si toccano adesso, anziché sfiorarsi soltanto.
Un brivido.
Candy si sente invadere dalla consapevolezza che se Terence la baciasse in quel momento, stavolta non lo respingerebbe. Adesso non c’è niente al mondo che desideri di più che sentire di nuovo il sapore e il contatto di quelle labbra sulle sue. Terence la guarda e sembra esitare, ma poi la allontana con dolcezza, fissandola negli occhi e tenendole le mani sulle spalle. Non vuole sbagliare ancora: quei momenti sono un dono troppo prezioso.
- E’ Shakespeare! – esclama lei, abbassando lo sguardo verso la copertina del libro, nel tentativo di spezzare la palpabile tensione di quel momento – non sapevo che ti interessassi di teatro, Terry!
- Non lo faccio – si schernisce lui, imbarazzato.
- Non mentire, questo libro è sottolineato mille volte! Lo hai letto e riletto, scommetto che vorresti recitare questi drammi! – lei lo guarda con quello sguardo limpido che immancabilmente gli fa battere più forte il cuore. Quanto vorrebbe essere l’unico destinatario degli sguardi di quegli occhi dal riflesso di giada – ...ed io potrei interpretare la protagonista femminile!
Terence scoppia in una risata di cuore. Quanto è raro sentirlo ridere! A Candy si apre il cuore per la felicità…
- Così questi drammi diventerebbero farse, Tuttelentiggini!
Lei lo schiaffeggia delicatamente ed atteggia il viso a un finto broncio per quella insolenza.
E poi, lui comincia a raccontarle della propria passione per il teatro e del suo sogno di calcare il palcoscenico, un giorno.
- Lo farai, Terence. Sarai un grande attore, lo so! Tu sei intelligente, carismatico, coraggioso, orgoglioso ma anche onesto, generoso e… potrai diventare qualsiasi cosa tu vorrai, nella vita. Devi solo decidere quello che vuoi, veramente!
Terence, incantato da quelle parole che scendono come un balsamo ristoratore sul suo cuore di figlio rifiutato e schernito, la fissa intensamente:
- Io so esattamente quello che voglio, Candy…
Candy ha gli occhi incatenati ai suoi, rapita dal riflesso color fiordaliso che fa impallidire quello del Loch Lomond sotto di loro.
Senza bisogno di leggerli dalle pagine del suo libro, e senza staccare gli occhi dai suoi, Terence inizia a recitare con la sua voce musicale:

“E se fossero i suoi occhi, lassù, e loro, le stelle, in fronte a lei?
Allora la luce del suo viso farebbe impallidire di mortificazione
le due stelle come lampade in pieno sole;
e di lassù i suoi occhi versano per i campi dell’etere
un tal fiume di luce che gli uccelli,
credendo finita la notte, tutti insieme si mettono a cantare.” *



Il tempo sembra fermarsi, i loro sguardi sono incatenati… tutto può succedere….
E, all’improvviso, le urla di Iriza che precipita in acqua rompono l’incantesimo…


Il suono dell’armonica cominciò la sua parabola di chiusura in un accordo sempre più sofferto, che esprimeva tutto lo strazio dell’amore perduto, fino a che la radura non fu di nuovo completamente avvolta nel silenzio. Terence allontanò lo strumento dalla bocca e alzò lo sguardo a fissare il lago, tornando al presente. Sebbene fosse già aprile e splendesse il sole, all’ombra degli alberi la brezza era ancora pungente. Con un brivido che poteva essere provocato dal freddo, oppure causato dalla rimembranza appena vissuta, Terence raggiunse il cavallo e, lanciando dietro di sé un’ultima occhiata alle acque trasparenti del lago, diede l’addio a quei luoghi e spronò l’animale al galoppo verso casa.

*Romeo e Giulietta, Atto II, Scena II.

...CONTINUA...

Edited by cerchi di fuoco - 20/5/2013, 19:39
 
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