Questo brano è dedicato ad Arikamuccia, nella speranza che i Candy e Terence che leggerete tra queste pagine possano sembrare anche a lei, come a me, la proiezione matura dei suoi adolescenti di "Match Point" che ho tanto amato
Casa di Pony,
La Porte, Indiana
07 maggio 1919Quella mattina, Candy saliva il pendio verso la collina di Pony con l’andatura leggera ma sicura di chi aveva già compiuto gli stessi passi milioni di volte. Il sole era particolarmente caldo e brillante: era una di quelle giornate che anticipavano l’estate piena di almeno un mese, non infrequenti in maggio nelle campagne dell’Indiana. Candy aveva legato i capelli in due basse code che le scendevano ai lati del viso, in una versione più matura dell’acconciatura che era stata solita portare da adolescente, ma alla cui tentazione non aveva resistito quel giorno, tra quelle vallate nelle quali, se non fosse stato per la consapevolezza che entro poche settimane sarebbe diventata la signora Granchester, tornava irrimediabilmente e immancabilmente bambina. Aveva anche riposto nei bauli gli abiti di Washington e New York, e appeso con cura nel proprio guardaroba l’abito da sera di Bergdorf Goodman’s che si fermava spesso a contemplare in silenzio, passando la mano delicatamente sul morbido tessuto e benedicendo con un sorriso estatico Mrs. Hungtington, al pensiero della notte in cui lo aveva indossato.
Aveva invece rispolverato la vecchia salopette di jeans e la camicia rossa, compagne di mille avventure e molto più adatte a quei luoghi delle scarpette a punta e degli impalpabili chiffon ai quali si era adeguata ma non si sarebbe mai affezionata. Annie, che era andata a trovarla il giorno stesso del suo ritorno alla casa di Pony, aveva presto capito che, se quei mesi appena trascorsi avevano riportato il sorriso e la felicità sul viso di Candy, non erano serviti a modificare le sue abitudini in fatto di abbigliamento, e aveva dovuto fare improbi sforzi per convincerla a raggiungerla a Chicago ed a recarsi insieme nel più importante atelier di moda della città per scegliere l’abito da sposa (il fatto che a poche settimane dalle nozze Candy non avesse ancora un abito da sposa le provocava raccapriccio e le toglieva il sonno dal giorno in cui aveva ricevuto il telegramma di Patty). Alla fine, Candy si era decisa solo di fronte al ricatto morale biecamente messo in atto dall’amica, la quale le aveva fatto notare con uno sguardo tagliente che Terence era un nobile d’Inghilterra, dopotutto, e che il padre avrebbe partecipato al matrimonio (“No, Candy! Il duca non alloggerà presso la pensione di La Porte dei signori Coutts! Prenoteremo la migliore
suite all’hotel
La Salle a Chicago!”) e lei di certo non voleva fare sfigurare Terence il giorno del suo matrimonio, non era così?
Se Candy si fosse confrontata con il suo fidanzato, si sarebbe sentita rispondere con voce noncurante e uno sguardo insinuante a scorrere la sua figura, che se anche avesse indossato un saio francescano il giorno delle nozze per lui non avrebbe fatto la minima differenza, visto che qualunque indumento avesse avuto indosso non lo avrebbe neanche guardato, per soffermarsi esclusivamente sulla paradisiaca vista del suo contenuto;per non parlare del fatto che l’idea di mettere in imbarazzo il padre presentandosi in abiti francescani probabilmente lo divertiva molto di più! Ad ogni modo, non lo aveva fatto, e aveva ceduto alle insistenze di Annie. Quindi l’indomani sarebbe andata a Chicago per trovare l’abito da sposa perfetto e quello per le sue due damigelle, non prima di essere andata alla stazione a prendere la seconda, che sarebbe giunta in treno per contribuire a sua volta all’eccitazione di quei giorni.
Quel mattino, però, i preparativi e la relativa frenesia erano lontane dalla mente di Candy, che non pensava ad altro che al biglietto che teneva in tasca e che Terence le aveva fatto scivolare in mano la sera prima, congedandosi per tornare a La Porte dopo una meravigliosa serata passata nella grande sala insieme a Candy e a tutti i bambini. Il ragazzo aveva letto per loro una vecchia copia dell’
Iliade, proveniente dalla biblioteca di Granchester Manor e dalla sua infanzia, durante la quale solo immergendosi nella lettura di quel mondo epico aveva trovato rifugio dal senso di devastante solitudine nel quale era cresciuto. Seduto sul tappeto e circondato da tutti gli ospiti della casa di Pony, sotto lo sguardo amorevole di Miss Pony e suor Maria impegnate nei loro rammendi poco distanti dal gruppo, Terence aveva interpretato Achille furioso di rabbia per l’onta subita da Agamennone; ed Ettore, nello straziante addio alla moglie ed al figlio prima di andare incontro a morte certa; Aiace, Odisseo, Menelao e Paride ma anche Zeus, Poseidone ed Ares erano volati fin dalla spianata di Troia e dalla vetta dell’Olimpo in quella sala caldamente e intimamente illuminata da lanterne a gas, dove le mille sfumature modulate dalla voce del grande attore shakespeariano avevano tenuto avvinti tutti i bambini della casa di Pony nello stesso incantesimo che da anni gettavano sul pubblico di Broadway. Alla fine i fanciulli si erano diretti a letto in fila indiana ed in assoluto silenzio, ancora immersi nel mondo magico che Terence aveva evocato per loro, tra lo stupore denso di meraviglia di Miss Pony e Suor Maria, abituate a guerre di cuscini e capricci senza fine ogni volta che arrivava l’ora di ritirarsi per la notte.
Poi, davanti alla soglia di casa per prendere congedo, Terence si era chinato su Candy, avvolta insieme a lui dall’argentea luce della luna, che in aperta campagna conferiva ad ogni cosa quell’affascinante e magico riflesso perlaceo la cui piena purezza sarebbe sempre stata negata ai paesaggi cittadini. La sua bocca aveva sfiorato quella di Candy con una carezza languida e sensuale. Sebbene in quella settimana le loro labbra avessero fatto l’abitudine le une all’insaziabile ricerca delle altre, gli stessi brividi e la stessa eccitazione si scatenavano immancabilmente in Candy un istante prima di avvertirne l’agognato calore su di sé.
Il desiderio, lungi dall’essersi saziato dei baci con i quali i due giovani avevano alacremente recuperato il tempo perduto, cresceva di intensità giorno dopo giorno e bacio dopo bacio, reclamando il tanto sospirato totale appagamento. Tuttavia, la consapevolezza che si stavano avvicinando rapidamente al momento di dare libero sfogo alla passione reciproca tanto a lungo repressa, rendeva quasi gradevole quella altrimenti esasperante attesa. Le loro mani e i loro corpi ingannavano l’attesa dando sfogo all’euforia che li attraversava, in uno sfiorarsi dei corpi sempre più audace e prolungato.
Quella sera le dita di Candy erano salite con lo stesso tocco lieve di una piuma su per le braccia di Terence che le avvolgevano la vita, precedute e seguite da piccoli brividi bollenti sulla pelle di lui. Il ragazzo aveva reagito al suo tocco facendo scivolare le sue braccia un po’ più in basso, stringendo a sé i fianchi ed la morbida curva in fondo alla schiena di lei, e provocandole un gemito ed un languore che rischiò di farle cedere le gambe.
- Ti voglio come non mai... – le sussurrò rocamente all’orecchio, facendole definitivamente mancare il terreno sotto i piedi e costringendola ad aggrapparsi completamente a lui, le mani ad artigliargli i capelli sulla nuca mentre lui si impadroniva di nuovo della sua bocca e della sua lingua.
Quando finalmente, mai sazi ma felici, i due giovani si erano separati e il respiro ansante di lei lentamente aveva recuperato un ritmo più normale, Terence le aveva messo in mano un foglio di carta e le aveva detto:
- A domani, Tuttelentiggini. Leggilo dopo che me ne sarò andato.
E, senza darle il tempo di replicare, era salito in macchina e si era allontanato sotto i raggi della luna, in un’aura quasi onirica.
Candy, ormai quasi completamente recuperata la sua lucidità, aprì il biglietto, composto di poche righe, come nello stile di Terence, e lo lesse sorridendo
Cara Tuttelentiggini,
domani verrò un po’ più tardi. Ho delle faccende da sbrigare a La Porte.
Ti aspetterò sulla collina di Pony a mezzogiorno in punto.
A domani!
T.G.
P.S. Ti amo (Prego, impara da me ad usare i tempi verbali nei post scriptum...)Candy era quasi arrivata in cima alla collina, ma ancora di Terence nessuna traccia. La ragazza si guardò intorno, chiedendosi se quello non potesse essere uno dei soliti scherzi del suo fidanzato e cosa aspettarsi, quando nell’aria cominciò a diffondersi la dolce melodia di un armonica.
- Annie Laurie... - mormorò Candy, che aveva riconosciuto la struggente ballata scozzese nell’attimo stesso in cui aveva distinto la prima nota.
La ragazza, cullata da quella musica così nota e così evocativa dei momenti più felici della sua vita, si voltò a destra e sinistra, cercando di capire dove si fosse nascosto l’autore di quel suono carezzevole e avvolgente, ma Terence sembrava non essere da nessuna parte. Alla fine, decise di godere delle sensazioni che il fluire stesso delle note risvegliava in lei, appoggiandosi al tronco dell’albero ad occhi chiusi ed abbandonandosi ad esse.
Quando la magia terminò lievemente come era iniziata, facendosi seguire per qualche secondo da un dolce silenzio, come se tutti i suoni della campagna avessero deciso di farsi da parte per lasciare spazio a quella malinconica colonna sonora, fu l’inconfondibile risata di Terence a rompere la magia e, alzando gli occhi verso la cima della grande quercia che da sempre identificava con la figura paterna, Candy lo scorse, plasticamente adagiato su un ramo a circa due metri da lei, una gamba pendente e l’altra allungata davanti a lui, mentre la fissava con gli occhi brillanti, facendo saltellare in una mano l’armonica:
- Candy, si può sapere perché sei rimasta lì imbambolata? Si direbbe che tu abbia visto un serpente!
Candy era combattuta tra l’amore che le scoppiava in petto per quell’indisponente ragazzo sopra di lei, al quale bastava suonare una vecchia armonica argentata per farla immediatamente fluttuare nell’aria, e la consueta tentazione di abboccare all’amo che lui le lanciava, rispondendo immediatamente tono su tono alle sue provocazioni. Esattamente come succedeva da sei anni a quella parte, nella dinamica che l’acuto giovane aveva messo in atto fin dal primo giorno per conquistare quella strepitosa ragazza lentigginosa. Dal loro primo incontro sul Mauretania, quella bionda creatura si era insinuata nel suo cuore e nella sua mente così a fondo che, non potendosene più liberare, aveva deciso di farla sua. D'altra parte, aveva immediatamente capito che lei non era tipo da crollare di fronte a parole d’amore appassionate, ma che il suo interesse doveva essere risvegliato in qualche altro, più sottile e arguto modo. Con la lucida e profonda intelligenza che lo contraddistingueva, Terence aveva intuito quale potesse essere la chiave di volta, ascoltandola pronunciare sul ponte del Mauretania la sua accorata arringa in difesa delle proprie efelidi, e così l’aveva incatenata a sé con quelle schermaglie verbali che all’inizio erano state il modo in cui il giovane aveva stimolato la curiosità e il senso di rivalsa di Candy, ma in breve, quando era ormai palese che i due non riuscivano a stare l’uno lontano dall’altra per più di poche ore, si erano trasformate nel catalizzatore della reciproca attrazione.
Anche allora, sulla collina di Pony, Terence dimostrò di conoscere fin troppo bene la sua donna, e quest’ultima di non essere in grado di resistergli, perché cadde immediatamente nella rete che lui le aveva abilmente teso, esattamente come avrebbe fatto anni prima sulla collina omonima a quella su cui si trovavano adesso, e come Terence si aspettava che avrebbe replicato:
- No, Terence, ma ho appena visto un mostro!
A quelle parole il ragazzo con un agile movimento si lasciò cadere dal ramo, atterrando lievemente proprio davanti a lei, e guardandola fissamente le mormorò con una voce vellutata e insinuante, che non aveva assolutamente nessun residuo dell’ironica derisione di poco prima:
- Ah sì? E non hai paura di questo mostro?
Prima che Candy potesse solo provare ad abbozzare una risposta nella sua mente improvvisamente fattasi nebulosa, l’aveva presa tra le braccia e, sotto le fronde del grande albero che lasciavano filtrare i caldi raggi del sole in giochi di luce e ombre, al ritmo tremolante delle foglie mosse lievemente dal vento, si impadronì ancora una volta della sua bocca per divorarla.
La secolare quercia, che l’aveva vista bambina giocare tra i suoi rami, assisteva adesso alla sua felicità di donna, allacciata strettamente con le braccia attorno al collo dell’uomo chino su di lei che la stringeva a sé. Ai consueti suoni della natura sulla collina di Pony si sommò il sensuale suono prodotto dall’incontro delle loro labbra che si muovevano le una sulle altre.
- No, direi che non hai paura! – confermò Terence quando finalmente decisero di separarsi.
- Terence, dì un po’: mi hai detto di venire fin qui per prenderti gioco di me?
- No, Tuttelentiggini, quello che volevo
prendere l’ho appena preso... – le rispose lui allegro, passandole un dito sulle labbra e facendola rabbrividire di nuovo.
Com’era possibile che gli bastasse sfiorarla per averla completamente in sua balia, si chiese Candy, non potendo immaginare che era esattamente la stessa domanda che Terence stesso poneva a se stesso ogni qual volta si faceva incatenare dallo sguardo verde smeraldo di Candy.
- Quindi... perché siamo qui? – gli chiese di nuovo lei, allungandosi su di lui per togliere una foglia che gli era rimasta tra i capelli e provocandogli un brivido di desiderio a quel semplice contatto.
- Ecco, Candy... a dire il vero, ti ho chiesto di venire qui perché ho un debito da saldare con te!
Candy era perplessa. Un debito? E adesso cosa si era inventato quel diabolico ragazzo? Con tutti i sensi all’erta, aspettandosi l’ennesimo scherzo o provocazione, la ragazza lo seguì guardinga con lo sguardo mentre si allontanava di qualche passo per avvicinarsi ad un cespuglio di mirto poco distante, sul quale si chinò per trarne un voluminoso cesto da pic-nic di vimini.
- Oh Terry! Non posso credere che tu te lo sia ricordato... – gli disse, commossa, portandosi le mani chiuse a pugno davanti alla bocca, in un misto di sorpresa ed eccitazione per quella rivelazione dolcissima.
- Ricordato? Tesoro, da sei anni aspetto questo momento... ce lo eravamo promessi, no? E un lord inglese non dimentica mai i suoi debiti... è una questione d’onore! – rispose Terence, sorridendole teneramente, felice della felicità che leggeva nei suoi occhi.
- E poi.... – riprese fissandola intensamente e spostandole una ciocca di riccioli biondi dietro l’orecchio con una tenerezza infinita – dobbiamo festeggiare il tuo compleanno, Tuttelentiggini! Tanti auguri, scimmietta: questo pic-nic è il mio regalo per te!
Candy lo guardava con amore e commozione. Era la seconda volta che trascorreva con Terence il giorno del suo compleanno, e non faceva fatica a dire quale fossero stati i due compleanni più felici della sua vita. La prima volta lui le aveva dato il suo primo bacio e oggi... oggi era un altro giorno che si preannunciava perfetto!
Stavolta però non ci sarebbe stato nessuno schiaffo a interrompere la magia, si ripromise Candy, trattenendo una risatina tra sé e sé.
- Oh, Terry! Grazie! Grazie! Grazie!
Candy gli gettò le braccia al collo, proprio come una bambina felice, e Terence la strinse a sé, assaporando quel momento perfetto.
Guardando quelle onde bionde ai due lati del capo e l’abbigliamento sbarazzino che lei sfoggiava quel giorno, e che gli conferivano l’aria di un’adolescente, faticava a credere che la sua Tuttelentiggini avesse ventun’anni, e gli sembrava davvero di essere tornato indietro nel tempo e di trovarsi con lei sulla seconda collina di Pony, a fantasticare liberamente di futuri giorni insieme, che allora sembravano possibili e meravigliosamente reali. Prima che la vita vera con i suoi inganni e le sue giravolte facesse loro dolorosamente comprendere quanto alto fosse il prezzo da pagare per raggiungere quella felicità che allora era sembrata invece così a portata di mano.
Quando finalmente si decisero con riluttanza a sciogliere quell’abbraccio, Terence cominciò a tirare fuori dal cesto una coperta di cotone candida che Candy stese immediatamente sotto di loro; quindi stoviglie, bicchieri e posate furono da lei disposte in bell’ordine. Poi fu il turno delle provviste: un’enorme ciotola di zuppa di pollo, una di insalata di patate, del formaggio e del pane fragrante, frutta in abbondanza e,
dulcis in fundo, il tocco che provocò infine l’esondazione delle lacrime di commozione che Candy era fino ad allora riuscita a trattenere: gli inconfondibili
marshmallow di Miss Pony.
- Oh, Terry... non è possibile che tu ti sia ricordato anche di questo! – esclamò lei, in ginocchio sulla coperta, gli occhi lucidi così sgranati dalla felicità da invadere praticamente tutto il suo dolcissimo viso e un’espressione così infantile e dolce che Terence dovette sforzarsi di non prenderla di nuovo tra le sue braccia e cominciare a cullarla come una bambina. Sì, lei era la sua dolce, meravigliosa, forte e allo stesso tempo fragile bambina e lui ne avrebbe avuto cura per sempre!
- Come avrei potuto dimenticarlo, Tuttelentiggini? Non c’è stato praticamente giorno da quando ci siamo conosciuti che tu non abbia evocato la delizia dei
marshmallow di Miss Pony. E’ giunto il momento di dare il mio parere, e lei è stata così gentile da prepararmeli, ieri, al posto della torta di compleanno!
- Quindi questo vuol dire che non avrò una torta di compleanno, quest’anno? – chiese Candy, improvvisamente in allarme.
Terence scoppiò a ridere di puro cuore.
- Candy sei un’incorreggibile golosa! Può darsi, e sottolineo
può darsi, che stasera ci sia una festa di compleanno per te alla casa di Pony. E, anche se non potrei certo giurarlo, non è escluso che Miss Pony in questo momento stia preparando l’impasto per una torta di crema e lamponi...
Candy batté le mani come una bambina e si passò la lingua attorno alla bocca, pregustando le delizie che la aspettavano a cena, e provocando un fremito di eccitazione in Terence con quel gesto apparentemente giocoso ma profondamente sensuale. Quindi, si sporse per posare un veloce bacio sulla punta del naso del ragazzo sorridente di fronte a lei prima di cominciare a dividere le cibarie nei loro piatti. Terence si sfilò il maglione rosso dalla testa e arrotolò le maniche della sua camicia fino a metà avambraccio, distendendosi su un fianco di fronte a lei e rimirandosela in grata contemplazione.
Mangiarono e chiacchierarono. Risero e si coccolarono teneramente. Terence apprezzò in dovuta misura i dolci della casa di Pony, affermando con sincerità che erano quanto di più buono il suo palato avesse mai provato prima, e Candy lasciò che il suo cuore si riscaldasse alla vista del suo bellissimo ragazzo, rilassato e sorridente disteso di fronte a lei, con i capelli accesi del riflesso cangiante del sole che filtrava tra le foglie e il sottofondo creato dal cinguettio dei passeri che saltellavano sui rami e tra le foglie della quercia sopra di loro, lieti della compagnia offerta dai due giovani innamorati.
Era un momento perfetto. Niente avrebbe potuto migliorarlo.
Mentre si chinava sopra la tovaglia per raccogliere i piatti e le posate usate, dalla tasca anteriore della salopette di Candy cadde una busta aperta che Terence raccolse, lanciando un’occhiata al mittente prima di restituirgliela.
- Cookie Portman... chi è Candy? – le chiese incuriosito.
Quanti personaggi, protagonisti e complementari, c’erano in quella fetta di passato di Candy che non aveva potuto condividere con lei?
Candy sorrise guardando la lettera che il signor Marsh le aveva portato quella mattina, spedita dal porto di Southampton dal suo vecchio amico, ormai avviato ad una brillante carriera nell’equipaggio del capitano Nieven.
- Sei geloso, mio futuro marito? – gli chiese maliziosamente Candy, annullando carponi la breve distanza che li separava sulla coperta per accoccolarsi al suo fianco nell’incavo del suo braccio, inebriandosi immediatamente del profumo muschiato e fresco della sua pelle.
Terence si sistemò più comodamente con la schiena appoggiata al tronco del grande albero che li sovrastava, allungando le gambe davanti a sé e stringendo con un braccio Candy, semidistesa con la testa appoggiata al suo petto e le braccia attorno alla sua vita. Non per la prima volta nelle ultime due settimane, il giovane si chiese se esistesse un modo per fermare il tempo.
- Assolutamente no, scimmietta! Ti ho già dimostrato di saper risolvere in modo semplice e diretto le grane che mi dai con i tuoi molteplici corteggiatori... – le mormorò parlando tra i suoi capelli morbidi e profumati di essenza di rose. Quel profumo era lo stesso che lei portava da sempre, lo collegava alla sua persona fin dal loro primo incontro sul piroscafo.
- Spero tu non ti stia riferendo ancora a quell’assurda faccenda del duello con Archie... – Candy si interruppe prima di tirarsi su per esclamare, in risposta al silenzio che aveva accolto la sua domanda – Oh mio Dio, Terry, non sarai ancora convinto che Archie avesse un debole per me, spero?
Terence allungo la mano sul capo di Candy, che lo fissava sbalordita e divertita e la attirò delicatamente di nuovo sul suo petto.
- Certo che sì, piccola ingenua! - affermò con decisione, fermandosi per baciarle il capo, del cui contatto il suo petto si era sentito così acutamente defraudato in quei pochi secondi di distacco – e il fatto che tu realmente non te ne sia mai neanche accorta credo sia stato per lui il vero smacco, addirittura più grave di sapere che non lo ricambiavi...
- Ter... – cominciò a protestare Candy, prima che lui la interrompesse, chiudendo a modo suo la faccenda:
- Ma d’altra parte ti capisco, Candy: perché uno dovrebbe accontentarsi di Christopher Marlowe, quando ha la fortuna di avere accanto Shakespeare in persona?
Candy non sapeva se scoppiare a ridere o prendere a schiaffi quell’impudente, esasperante, insopportabile, amatissimo viso, di cui poteva intuire il baluginio che in quel momento gli accendeva gli occhi, senza bisogno di fissarlo direttamente.
- Terence Graham Granchester, sei in assoluto il più presuntuoso e arrogante essere umano con il quale abbia avuto la ventura di avere a che fare nella mia vita! Non capisco proprio cosa io abbia potuto trovare in te, per accettare di sposarti! – sbuffò Candy e, mentre pronunciava quelle parole, alla sua mente si affacciarono contemporaneamente almeno un migliaio di risposte alla domanda che aveva appena formulato.
Terence ghignò, soddisfatto di aver provocato ancora una volta, la reazione desiderata.
- Riprenderemo questo discorso tra poco, Candy – le disse quindi – ma ti ricordo che stai eludendo la mia domanda: chi è Cookie?
- E’ un mio vecchio amico inglese, Terry. L’ho conosciuto durante il viaggio di ritorno dall’Inghilterra – rispose Candy, accoccolandosi ancora più stretta a lui, rievocando i giorni del suo viaggio clandestino sulla nave del capitano Nieven e stupendosi lei per prima, come ogni volta che rievocava quei giorni, dell’incoscienza che aveva dimostrato nell’affrontare da sola e senza mezzi quel viaggio infinito, senza nessuna certezza se non la propria determinazione nel voler tornare su quella collina dove ora stava distesa tra le braccia dell’uomo che amava e il cui pensiero, allora, le aveva dato la forza di compiere quella lunga traversata.
Lentamente, cullando entrambi con il flusso delle parole generate dall’onda dei suoi ricordi, Candy narrò a Terence, che non smetteva di accarezzarle i capelli senza perdersi nessun frammento del suo racconto, come avesse lasciato il collegio, finendo in casa della famiglia Carson. Di Sam, Jeff e Susie. Del signor Jaskin. E di Cookie. Dell’imbarco clandestino sulla
Seagull e di come fossero stati fortunati a trovare una persona eccezionale come il capitano Nieven che, invece di rispedirli a Southampton come avrebbe fatto chiunque altro al suo posto, aveva consentito loro di continuare il viaggio fino negli Stati Uniti per poi prendere Cookie sotto la sua ala, aiutandolo a realizzare il suo sogno di diventare marinaio.
Quando il suo racconto terminò, un attimo prima che la storia del suo viaggio di ritorno dall’Inghilterra confluisse in quella dolorosa e già più volte rievocata del loro ennesimo incontro mancato sulla collina di Pony, il silenzio calò sui due innamorati. Le risate che avevano accompagnato il racconto di Candy fino al momento in cui aveva narrato del suo arrivo al porto di Southampton si trasformarono in un silenzio assorto, mentre lei raccontava di come si fosse completamente affidata ad un gruppo di sconosciuti marinai, che per fortuna si erano dimostrate persone di buon cuore e onesti padri di famiglia, ma che avrebbero con la stessa facilità potuto essere dei bruti pericolosi. Il pensiero di ciò che sarebbe potuto accadere alla sua Candy in quelle circostanze fece fremere Terence di paura e rabbia represse.
Quando poi lei descrisse il suo imbarco sulla nave merci, chiusa dentro una cassa buia e poco ventilata che, se fosse finita al posto sbagliato nella stiva, si sarebbe potuta trasformare facilmente in una prigione mortale, Terence rabbrividì intensamente e fece fatica a trattenere la sua reazione fino alla fine del racconto della ragazza che, lieve e serena come sempre sapeva essere, terminò la sua narrazione con quella fiducia per il modo intero che non avrebbe mai smesso di divertirlo o, come in quel caso, esasperarlo. Possibile che davvero Candy ancora a distanza di tutto quel tempo, e fattasi donna, non si fosse ancora resa conto dei gravissimi pericoli ai quali era andata incontro, quindicenne ingenua e indifesa in giro per i porti di due continenti, e per di più viaggiando clandestinamente?
Terence si mise a sedere in posizione più eretta e, voltandosi verso la ragazza ancora languidamente avvolta attorno al suo fianco, le pose due mani sulle spalle per scostarla lievemente da sé e fissarla dritto negli occhi, con i suoi che fiammeggiavano lampi blu cobalto.
- Candy, ti rendi conto del pericolo che hai corso? Hai un’idea di quanto tu sia stata incosciente? – le chiese quindi, con la voce fremente di rabbia. L’idea dei rischi corsi da Candy era intollerabile.
- Io... certo! Ma non avevo altra scelta, allora. La mia priorità era tornare in America, qui alla casa di Pony – rispose lei, arrossendo in pari misura per l’agitazione provocatale dalle parole di Terence e per il disagio, perché in realtà lui stava dando voce alla sua stessa autocritica circa l’irrazionalità di quelle scelte.
- Allora ti sei comportata anche da bambina capricciosa oltre che da incosciente, Candy. Avevi altre opzioni! Potevi scrivere allo zio William che di certo avrebbe preferito metterti su un piroscafo insieme a George, piuttosto che saperti a zonzo per il porto di Southampton in cerca di un imbarco clandestino tra ubriachi e malfattori! – rispose Terence alzando la voce, mentre la sua rabbia montava.
- Certo, come no! Peccato che lo zio William in quel momento fosse in Africa, tra gazzelle e zebre! – rispose Candy, alzando a sua volta di più ottave la voce, non volendo cedere un punto nel quale in realtà non credeva totalmente neanche lei, ma non intendendo piegarsi. Lei stessa si rendeva conto dell’incoerenza di quella risposta, visto che allora lei non sapeva assolutamente che Albert e lo zio William fossero la stessa persona.
Invece di percorrere la strada fin troppo facile di metterla di fronte alle contraddizioni del suo ragionamento, Terence la incalzò implacabile e sempre più nervoso:
- E che mi dici di Miss Pony e Suor Maria? Di quel damerino di tuo cugino e delle tue amiche? Ma è possibile che tu non abbia pensato per un solo attimo alla preoccupazione che avresti dato a tutte le persone che ti volevano bene ed al dolore che avrebbero provato
tutti se ti fosse successo qualcosa? – In quel “tutti” Terence stava gridando a Candy il suo nome.
Quella ragazza che lo aveva stregato con i suoi occhi da gatta doveva rendersi conto che lui poteva anche sopravvivere, come aveva fatto, in un mondo in cui fosse stato separato da lei, ma con una speranza di saperla felice. Ma non in un mondo in cui le fosse successo qualcosa di terribile.
Candy era attonita per la preoccupazione e il terrore che vedeva fiammeggiare nei suoi occhi, addirittura a coprirne la rabbia, e che la indussero ad abbassare i toni ed a sussurrare con un tono adesso affranto:
- Possibile che tu non capisca, Terence? Io volevo solo annullare l’oceano che ci separava, proprio come avevo deciso sulla banchina di Southampton. mentre la tua nave si allontanava nella nebbia!
Il ricordo di quello che era successo quella notte, della corsa disperata di Candy per raggiungerlo e della sua disperazione nello scoprire di essere arrivata troppo tardi acuirono la furia e il senso di colpa di Terence, ma contribuirono ad indirizzarli verso altri soggetti. Se solo non avesse lasciato la St Paul School in quel modo; se avesse avuto il fegato di portarla via con lui, pur essendo entrambi praticamente adolescenti; se avesse fatto di più per proteggerla dall’odio dei Legan in collegio; se... se... se...! Il loro passato era pieno dei “se” che avrebbero potuto dare delle direzioni alla loro vita e invece li avevano spinti lontano l’uno dall’altra, costretti ad affrontare separazioni strazianti e pericoli inimmaginabili, come quelli che Candy aveva scansato miracolosamente nel suo viaggio verso l’America.
All’improvviso la tristezza prese il posto della rabbia. Terence strinse Candy tra le sue braccia, così forte da farle male, come se volesse tenerla al sicuro con sé per l’eternità, laddove nessuno avrebbe mai più potuto farle alcun male.
Candy lo strinse a sua volta, consapevole che il suo Terence in quel momento aveva altrettanto bisogno di essere rassicurato che di rassicurare; di sapere che non si sarebbero mai più dovuti separare nè affrontare oceani e Susanne Marlowe da soli, senza il calore ed il conforto l’uno dell’altra.
Silenziosamente stretti l’uno contro l’altra, guancia a guancia, Candy lasciò che il battito del suo cuore, esattamente sopra quello di lui, gli desse il conforto che in quel momento le parole non erano sufficienti a dare.
Dopo un lungo silenzio, Terence parve tornare quello di pochi minuti prima, in una delle sue giravolte umorali così caratteristiche ma dalle quali Candy non sarebbe mai riuscita a non farsi cogliere di sorpresa, e le disse con lo stesso tono che aveva preceduto il racconto delle sue avventure da clandestina:
- Dunque, Candy, c’è anche un’altra questione che abbiamo lasciato in sospeso oggi…
Candy, ancora una volta non riusciva a capire a cosa volesse alludere e aspettò in silenzio la spiegazione che non sarebbe tardata. Infatti lui continuò subito:
- In effetti, Tuttelentiggini, prima dicevi che non capisci cosa ti abbia spinto ad accettare di sposarmi!
- Lo credo bene, Terry, sei esasperante! Quando imparerai che il mio nome è Candy Andrew?
- Ho fatto bene a non impararlo in tutti questi anni, direi… a breve diventerai Candy Granchester, scimmietta!
Candy rabbrividì… si soffermò con la mente sui cambiamenti che il matrimonio con Terence avrebbe portato nella sua vita di lì a pochi giorni e di cui il nome era solo uno: si sarebbe trasferita a New York e avrebbe iniziato a lavorare come direttore del personale presso il
Roosevelt Children’s Asylum (sarebbe diventata il capo di Flanny, rifletté con un sorriso divertito…). Avrebbe vissuto a circa venti ore di treno dalla casa di Pony e da Chicago, dove c’erano tutti i suoi affetti più cari. Ovviamente non aveva avuto neanche un attimo di esitazione, ma era inevitabile che un velo di malinconia scendesse sul verde dei suoi occhi ogni volta che ci pensava.
Terence percepì lo stato d’animo di Candy, leggendole dentro come sempre con estrema facilità. Si posizionò esattamente di fronte a lei, adesso erano seduti ciascuno sulle proprie ginocchia che si sfioravano, fissandosi intensamente.
- Rimpianti? – le chiese quindi con voce tenera e profonda, trattenendo il respiro in attesa della sua risposta.
L’idea di causarle qualsiasi piccolo o grande dolore gli era insopportabile e, adesso che l’aveva vista nei luoghi ai quali apparteneva, con le persone che amava e che la amavano, capiva il profondo legame che Candy stava per spezzare per amor suo. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lenire la sua malinconia.
Candy non fece quello che una donna meno innamorata e rispettosa del suo uomo avrebbe fatto, rispondendogli d’impeto “Certo che no!” e nascondendo i suoi reali sentimenti, e si prese il tempo per riflettere sulla domanda di Terence, anche come giusto tributo al passato tanto felice che la legava alla casa di Pony.
Dopo alcuni secondi che a Terence parvero infiniti, Candy levò lo sguardo del suo più splendente verde sugli zaffiri che la scrutavano con preoccupazione, e aprì il viso al più dolce dei sorrisi, il cui calore avvolse il cuore di Terence, come un balsamo miracoloso.
- No, Terence! Non potrei, né mai avrò alcun rimpianto nella nostra vita insieme. Rimorsi sicuramente sì, perché so già che ci saranno volte in cui mi farai talmente arrabbiare che ti dirò cose di cui poi mi pentirò! – Terence fece un ghigno sardonico e Candy lo guardò in tralice prima di proseguire, tornando seria – Ma gli unici rimpianti che ho riguardo a noi due sono nel passato, per quello che avrei potuto fare e non ho fatto, che forse avrebbe dato una direzione meno dolorosa alle nostre vite. Mi dispiace non essermi guardata di più le spalle da Iriza e da suo fratello alla St. Paul School, e di essermi per questo fatta rubare dalle loro diaboliche macchinazioni altri preziosi mesi con te a Londra. Ma forse se tu non fossi stato costretto a lasciarmi così repentinamente, io non mi sarei scontrata faccia a faccia con i miei sentimenti per te ed avrei impiegato ancora chissà quanto tempo a realizzarli. Mi dispiace non aver capito subito di che stoffa era fatta Susanna, quando la vidi quella sera a Chicago e mi feci umiliare da lei, dandole il potere di farmi sentire totalmente inadeguata. Ho l’enorme rimpianto di avere preso la decisione più importante della mia vita su quelle scale senza darti modo di condividerla con me, anche se onestamente non credo che in quel momento avessimo alternative alla nostra separazione… Questi sono i miei rimpianti, Terence. Amo questi luoghi, lascio una parte del mio cuore alla casa di Pony ed a Lakewood, anche se adesso è perduta. Ma si tratta solo di un deposito, amore, perché il mio cuore appartiene interamente e completamente a te, fin da quella notte sul Mauretania!
Candy aveva parlato senza alcuna nota di esitazione, con una certezza serena e incrollabile che sgretolò ogni insicurezza dell’uomo di fronte a lei. Terence finalmente lasciò cadere le sue ultime incertezze che, striscianti ma difficili da estirpare, avevano continuato a pungolarlo da quando aveva ritrovato il suo amore. Adesso potevano andare incontro al loro futuro insieme, quel futuro che, come Candy stessa aveva appena detto, era iniziato proprio la notte di capodanno del 1913, in mezzo alla gelida nebbia dell’Oceano Atlantico.
Terence le accarezzò una guancia, commosso da quella ennesima e toccante dichiarazione d’amore.
- Candy, neanche in tutta la mia vita, neanche se potessi vivere mille vite, riuscirei ad esprimerti pienamente l’amore che provo per te! – le sussurrò.
Candy si appoggiò lievemente con la guancia alla sua mano, sorridendogli.
- E questo mi ricorda il secondo motivo per cui ti ho chiesto di salire qui oggi, Tuttelentiggini! – esclamò poi lui, quando si fu saziato, ma solo per il momento, di tenerla incatenata ai suoi occhi.
- Ecco, lo sapevo, Terence! Chissà cosa ti inventerai adess…
Le parole le si spezzarono mentre osservava Terence che, senza muoversi dal suo posto di fronte a lei allungava una mano verso il cesto, per trarne fuori non una mela o un
marshmallow, ma un astuccio di velluto candido con le insegne di Tiffany ricamate sopra a lettere d’oro.
La mano di Terence tremava leggermente mentre tornava verso di lei e si fermava con l’astuccio in grembo tra le mani, posando di nuovo lo sguardo sul suo viso e dicendole col tono più dolce:
- Candy, avevi notato che non ti ho dato un anello di fidanzamento?
- Beh, Terence – rispose lei titubante, spostando continuamente lo sguardo dal volto di lui e dal suo radioso sorriso, alla scatoletta che sembrava risplendere nelle sue mani. Il cinguettio degli uccelli e il canto delle cicale avvolgeva la scena e il sole, adesso più basso ma non per questo meno caldo, continuava a far piovere gocce di luce tutto attorno a loro attraverso il velo intessuto dalle foglie della grande quercia – a dire il vero sarebbe stato strano il contrario, visto che mi hai chiesto di sposarti su una panchina di Manhattan poche ore dopo esserci ritrovati… E poi… sai che per me i gioielli non hanno mai avuto grande importanza e quindi immaginavo che avessi deciso di soprassedere!
- Donna di poca fede! – esclamò lui, divertito – ci sono almeno cinquanta anelli di famiglia, appartenenti alle più disparate generazioni di Granchester che avrei potuto utilizzare a tale scopo. Ma… ecco, avevo in mente qualcosa di diverso. Qualcosa che avesse un significato per noi, e non per qualche manieroso duca del cinquecento che si fosse fatto onore sconfiggendo l’Invincibile
Armada di Filippo II sulle acque della Manica…
Candy sorrise e Terence concluse con voce che, nonostante tutte le sue raccomandazioni a se stesso, non poté fare a meno di tremare:
- Quindi, Candy, adesso te lo chiederò nella forma appropriata, tra l’altro sono già in ginocchio, e sappi che questa è la tua ultima occasione per rifiutare, dopo di che sarai definitivamente ed indissolubilmente legata a questo testardo, lunatico, arrogante, insolente essere umano che ti sta di fronte, nel quale solo tu hai creduto di scorgere chissà quali qualità dietro questa grezza superficie. Candy… vuoi sposarmi?
Parlando, Terence aveva aperto l’astuccio e Candy sussultò per lo stupore e la meraviglia quando all’interno, foderato di raso dello stesso candore del velluto esterno, rivelò la sua presenza un incredibile anello dalla foggia unica, composto da due sinuosi nastri formati da decine di minuscoli smeraldi, del medesimo colore di quelli incastonati nel viso di chi li stava adesso fissando sbalordita e che, insieme ad altrettanti brillanti, circondavano lo zaffiro che era stato al suo collo per tutti quegli anni, adesso splendente al centro di quel meraviglioso monile.
Quell’anello era la
summa delle loro vite, una rappresentazione dell’abbraccio delle loro anime, e non un semplice gioiello. Nell’idearlo, nel pensarlo fin dal momento in cui le aveva chiesto in prestito il suo pendente, Terence le aveva dato l’ennesima, meravigliosa e struggente dimostrazione d’amore vero.
Lacrime di pura felicità cominciarono a solcare le guance di Candy ed a caderle sulle mani che giacevano paralizzate sopra le sue ginocchia, mentre alzava il viso su Terence, non trovando le parole per esprimere ciò che provava.
Terence la guardava con occhi il cui scintillio blu rivaleggiava con quello della pietra trionfante dell’anello che stava estraendo dall’astuccio.
- Ho comprato questi smeraldi la mattina in cui ci siamo ritrovati. Camminavo come un invasato (tanto per cambiare) lungo la Fifth Avenue e ho rischiato di finire sotto le ruote di un’auto. Mi ero appena ripreso quando ho alzato lo sguardo e li ho visti lì, a fissarmi come se in quel frangente avessero vegliato su di me al posto dei tuoi occhi. Allora non sapevo se ti avrei mai più rivista, ma ho voluto acquistarli comunque, non essendo mai stato sorpreso prima di allora, se non in un’altra occasione sul Mauretania, da due smeraldi più luminosi di questi – le lacrime di Candy erano ormai irrefrenabili – Quando ho visto il tuo ciondolo ho capito che il solo posto per queste pietre era al fianco del tuo zaffiro. Vedi? Circondandolo con il loro abbraccio gli danno sostegno e protezione, esaltandone il bagliore cupo con il loro riflesso chiaro … proprio come tu hai fatto con me, Candy, strappandomi ai miei oscuri tormenti con la tua luce.
- Terence… - Candy non riusciva a smettere di piangere nell’ascoltare quelle parole che erano più che una dichiarazione d’amore: erano una dichiarazione di appartenenza. Lei e Terence si completavano a vicenda come la luce e il buio; il sole e la luna; gli smeraldi e lo zaffiro di quell’anello.
Terence le porse il gioiello, facendole leggere l’incisione che aveva fatto realizzare all’interno della fascia di oro bianco:
“C. e T. 31-12-1912”
- Il giorno in cui siamo nati… - mormorò lei.
- Sì, Candy, il giorno in cui siamo nati.
Terence le prese delicatamente la mano sinistra e si fermò con l’anello a pochi centimetri dalla sua mano; quindi, con una espressione rapita che non aveva neanche l’ombra della consueta insolenza, declamò:
-
E’ la mia donna. Oh, il mio amore! Ah, potesse saperlo lei che è così! Ecco: parla...ma senza parole. E com’è? Parlano i suoi occhi*- interrompendosi per fissarla intensamente e chiederle ancora una volta - Candy, sarai mia moglie?
- Oh Terry! Certo che sì, incredibile ragazzo che mi lasci ogni volta senza parole! Vorrei avere la potenza letteraria di mille Shakespeare per dirti il mio sì!
Terence sorrise e finalmente fece scorrere l’anello al dito di Candy, posizionandolo laddove intendeva ammirarlo ogni giorno della sua vita, di lì in avanti. Quindi aprì le braccia per ricevere la sua Giulietta che già si era lanciata per farsi accogliere nel caldo e palpitante abbraccio del suo ragazzo dagli occhi di zaffiro.
“Che contentezza potresti avere da me stanotte?”
“Lo scambio dei nostri voti di fedele amore”
“Ti ho dato il mio prima che tu me lo chiedessi,
e vorrei che fosse ancora da dare.”
“Te lo vorresti riprendere?
Per quale motivo, amore?”
“Per dartelo ancora e a piene mani.
Io desidero solo quello che ho:
una generosità sconfinata come il mare è la mia;
e profondo più del mare è il mio amore.
Più do a te, e più ho io,
perché sono inesauribili la mia generosità e il mio amore.”**
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Tornando a casa, quella sera, Terence sentiva rimbombargli nelle orecchie come un ritornello una frase che Candy aveva casualmente pronunciato quel pomeriggio.
Come illuminato da un’intuizione ancora impalpabile, che era però intenzionato a seguire, con la netta sensazione che si trattasse di qualcosa di importante, prima di ritirarsi nel suo appartamento temporaneo alla clinica Felice si diresse verso l’ufficio del telegrafo, dove chiese di poter utilizzare il telefono per fare due chiamate: la prima a villa Andrew a Chicago, dove risiedevano i Cornwell, e la seconda a New York.
Quando una voce rispose all’altro capo del filo, le si rivolse dicendo:
- Mrs. Greppi? Mi scusi se la disturbo a quest’ora... Ho bisogno di un’informazione urgente: suo figlio Francesco è un avvocato, non è vero?
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*Romeo e Giulietta, Atto II, Scena II.**Romeo e Giulietta, Atto II, Scena II....CONTINUA...
Edited by cerchi di fuoco - 17/8/2015, 22:36