Candy Candy

La tormenta - Aleksandr Sergeevič Puškin

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 17/3/2014, 21:15     +2   +1   -1
Avatar

Group:
FANatic
Posts:
2,960
Location:
Toscana

Status:


Cari forumelli, un po' di tempo fa mi sono imbattuta in questo racconto, che mi ha deliziata... Ho pensato di condividerlo con voi, sperando di fare cosa gradita a chi lo leggerà per la prima volta e di offrire un piacevole "ritorno" a chi lo conosce già. :) :mizia:


Aleksandr Sergeevič Puškin

La tormenta


Alla fine del 1812, un’epoca per noi memorabile, viveva nella sua proprietà di Nenaràdovo il buon Gavrila Gavrilovic. Era famoso in tutto il circondario per la sua cordiale ospitalità; i vicini andavano continuamente da lui a mangiare, a bere, a giocare cinque copechi a boston con sua moglie Praskovja Petrovna, e alcuni per vedere la loro figliola Marja Gavrilovna, una pallida e snella fanciulla diciassettenne. Era considerata un ricco partito, e molti aspiravano a lei per sé o per i propri figli.
Marja Gavrilovna era stata educata sui romanzi francesi e, per conseguenza, era innamorata. L’oggetto del suo amore era un povero alfiere dell’esercito che si trovava in licenza nel proprio villaggio. Va da sé, si capisce, che il giovanotto ardeva di uguale passione e che i genitori della sua innamorata, notata la loro reciproca inclinazione, avevano proibito alla figlia perfino di pensare a lui e lo ricevevano peggio che un assessore a riposo.
I nostri innamorati erano in corrispondenza, e ogni giorno si vedevano o nel boschetto di pini o presso la vecchia cappelletta. Là si giuravano a vicenda eterno amore, si lamentavano della loro sorte e facevano progetti di ogni genere. Scrivendosi e penando in questo modo, essi (cosa naturalissima) giunsero alla seguente conclusione: se non possiamo vivere l’uno senza l’altra, e la volontà di crudeli genitori impedisce la nostra felicità, non è possibile farne a meno? Si capisce che questa idea felice venne prima in testa al giovane e che piacque assai alla romantica fantasia di Marja Gavrilovna.
Giunse l’inverno che interruppe i loro convegni, ma la corrispondenza continuò più attiva che mai. In ogni lettera Vladimir Nilolaevic supplicava la fanciulla di darsi a lui, di sposarsi segretamente, di nascondersi per qualche tempo e poi di andare a gettarsi ai piedi dei genitori che, senza dubbio commossi finalmente dall’eroica costanza e dall’infelicità degli innamorati, avrebbero detto loro: <<ragazzi, venite nelle nostre braccia!»
Marja Gavrilovna esitò a lungo; numerosi piani di fuga vennero da lei respinti. Finalmente acconsentì: il giorno fissato, ella doveva non cenare e ritirarsi in camera sua con il pretesto di un mal di capo. La sua cameriera faceva parte del complotto; dovevano entrambe uscire dal giardino dalla porta di servizio, trovare dietro il giardino la slitta pronta, salirvi e arrivare a cinque miglia da Nenaràdovo, al villaggio di Zadrino, direttamente in chiesa, dove Vladimir si sarebbe trovato ad attendere.
La vigilia del giorno fissato, Marja Gavrilovna non dormì tutta la notte; preparò le sue cose, avvolse gli abiti e la biancheria, scrisse una lunga lettera a una sentimentale signorina sua amica e un’altra ai genitori. Si accomiatava da loro con le più commosse espressioni, giustificava il proprio gesto con l’invidiabile forza della passione e concludeva con il dire che avrebbe considerato il momento più felice della loro vita quello nel quale le sarebbe stato permesso di gettarsi ai piedi dei suoi amatissimi genitori. Sigillate le due lettere con un piccolo sigillo di Tula, sul quale erano impressi due cuori fiammeggianti con un’ iscrizione adatta, ella si gettò sul letto poco prima dell’alba e si assopì; ma anche allora orribili fantasticherie la destavano continuamente. Ora le pareva che, proprio nel momento in cui essa saliva nella slitta per andare a sposarsi, il padre la fermasse, la trascinasse per la neve con tormentosa rapidità e la buttasse in un oscuro sotterraneo, senza fondo… ed ella volava giù a capofitto con un inspiegabile struggimento di cuore; ora vedeva Vladimir che giaceva sull’erba, pallido e coperto di sangue. Egli, morendo, la supplicava con voce penetrante di affrettarsi a sposarlo. Altre assurde mostruose visioni le passavano davanti, una dopo l’altra… Finalmente ella si alzò, più pallida del consueto e con un non finto mal di capo. Il padre e la madre notarono la sua inquietudine: la loro affettuosa preoccupazione e le insistenti domande:” Che hai, Masa? Sei malata, Masa?” le straziavano il cuore. Ella cercava di tranquillizzarli, di farsi vedere allegra, ma non ci riusciva. Giunse la sera. Il pensiero che per l’ultima volta aveva passato una giornata in seno alla sua famiglia le stringeva il cuore. Ella era più morta che viva; in segreto si accomiatava da tutte le persone, da tutte le cose che la circondava
Fu servita la cena; il cuore le batteva forte. Con voce tremante dichiarò che non aveva voglia di mangiare e cominciò a salutare il padre e la madre. Essi la baciarono e, come sempre, le diedero la loro benedizione. Poco mancò che la fanciulla non scoppiasse in pianto. Ritiratasi nella sua camera, si gettò su una poltrona e versò calde lacrime. La cameriera cercava di calmarla e di farle coraggio. Tutto era pronto. Mezz’ora dopo Masa doveva abbandonare per sempre la casa paterna, la sua stanza, la serena vita di fanciulla... Fuori imperversava la tormenta: il vento ululava, le imposte tremavano o sbattevano; tutto le pareva un minaccioso o triste presagio. Ben presto nella casa ogni rumore tacque e si addormentò. Masa si avvolse in uno scialle, indossò una calda vestaglia, prese in mano una cassettina e uscì sulla scala dalla porta di servizio. La cameriera la seguiva portando due fagotti. Uscirono in giardino. La tormenta non si calmava: il vento soffiava contro, come se volesse fermare la giovane delinquente. Con fatica giunsero in fondo al giardino. Sulla strada lo attendeva la slitta. I cavalli, intirizziti, non stavano fermi; il cocchiere di Vladimir passeggiava davanti allo stanghe, trattenendo i focosi animali. Aiutò la signorina e la cameriera a sedersi e a sistemare i fagotti e la cassettina, e i cavalli partirono al galoppo. Affidata così la signorina alla tutela della sorte e all’arte del cocchiere Tereska, rivolgiamo ora la nostra attenzione al giovane innamorato.
Vladimir per tutto il giorno era stato in giro. La mattina si era recato dal prete di Zadrino; a fatica era riuscito ad accordarsi con lui; poi era andato a cercare i testimoni fra i possidenti vicini. Il primo al quale si presentò, il quarantenne cornetta a riposo Dravin, acconsentì volentieri. Quell’avventura, diceva, gli ricordava i tempi passati e le scappatelle degli ussari. Egli convinse Vladimir a trattenersi a pranzo da lui e lo assicurò che non sarebbe stato difficile trovare gli altri due testimoni. Infatti, subito dopo pranzo, comparvero il geometra Smidt, con baffi e speroni, e il figlio del capitano capo della polizia, un giovano sui sedici anni, entrato da poco negli ulani. Costoro non solo accolsero la proposta di Vladimir, ma gli giurarono anche di essere pronti a sacrificare per lui la vita. Vladimir li abbracciò con entusiasmo e andò a casa a prepararsi.
Da un pezzo era sceso il crepuscolo. Egli mandò il fido Tereska a Nenaradovo con la sua trojka con preciso, particolareggiate istruzioni; fece attaccare per sé alla piccola slitta un solo cavallo e, senza cocchiere, si diresse a Zadrino dove, dopo circa due ore, sarebbe dovuta giungere Marja Gavrilovna. La strada la conosceva bene, e il percorso era di soli venti minuti.
Ma, non appena Vladimir si trovò in aperta campagna, si alzò il vento e si scatenò una tale tormenta che egli non vide più nulla. In un momento la svolta alla strada fu coperta; i dintorni scomparvero in un’oscurità torbida e giallognola, attraverso la quale volavano candidi fiocchi di neve: il cielo si era fuso con la terra. […]
Andava, andava, e Zadrino non si vedeva; il boschetto non finiva mai. Con terrore Vladimir si accorse di essere entrato in un bosco sconosciuto. La disperazione si impadronì di lui. Percosse il cavallo; la povera bestia prese il trotto, ma presto cominciò a rallentare e, dopo un quarto d’ora, si mise al passo, nonostante tutti gli sforzi dell’infelice Vladimir.
A poco a poco gli alberi si fecero più radi, e Vladimir uscì dal bosco; Zadrino non si vedeva. Doveva essere vicina la mezzanotte. Le lacrime gli sgorgarono dagli occhi; proseguì a casaccio. La tormenta si era calmata, le nubi si erano aperte; davanti a lui si estendeva una pianura coperta da un bianco tappeto ondulato. La notte era abbastanza chiara. Egli scorse poco lontano un villaggetto costruito da quattro o cinque casupole. Vladimir si avviò a quella volta. Alla prima casupola, saltò giù dalla slitta, corse a una finestra e cominciò a picchiare. Dopo qualche minuto l’imposta di legno si alzò, e un vecchio sporse la sua barba bianca.
“Che cosa vuoi?”
“E’ lontano Zadrino?”
“Se è lontano Zadrino?”
“Sì, sì… E’ lontano?”
“Non molto: ci sarà una decina di miglia…”
A questa risposta, Vladimir si afferrò per i capelli e rimase immobile, come un uomo condannato a morte.
“E tu di dove sei?” proseguì il vecchio.
Vladimir non era in condizione d’animo di rispondere.
<<non potresti, vecchio», disse egli procurarmi dei cavalli che mi portino a Zadrino?»
<<ma che cavalli vuoi che abbiamo?» rispose il contadino.
<<non potrei avere almeno una guida? Pagherò tutto quello che vorrà».
<<aspetta>>, disse il vecchio, riabbassando l’imposta <<ti manderò mio figlio. Ti accompagnerà lui».
Vladimir cominciò ad aspettare. Non era trascorso un minuto, ed egli _ riprese a bussare. L’imposta si alzò e ricomparve la barba bianca.
<<che cosa vuoi?»
<<ma che fa tuo figlio?»
<<viene subito: si mette le scarpe. Hai freddo? Entra a scaldarti...»
<<grazie; manda presto tuo figlio...»
La porta cigolò; uscì un giovanotto con un grosso bastone in mano e andò innanzi, ora indicando ora cercando la strada sepolta da cumuli di neve.
<<che ora e?» gli domandò Vladimir.
<<presto sarà giorno» rispose il giovane contadino. Vladimir non diceva nemmeno più una parola.
Cantavano i galli, ed era già chiaro, quando raggiunse - finalmente - Zadrino. La chiesa era chiusa. Vladimir andò nel cortile del prete. Ma nel cortile la sua trojka non c’era. Quale notizia lo attendeva!
Ma torniamo ai buoni proprietari di Nenaradovo e vediamo che cosa accade da loro.
Nulla.
l due vecchi si svegliarono ed entrarono in salotto. Gavrila Gavrilovic in berretto da notte e giacca di flanella, e Praskovja Petrovna in veste da camera ovattata. Fu portato il samovar, e Gavrila Gavrilovic mandò una ragazzina a informarsi da Marja Gavrilovna come stesse e come avesse riposato. La ragazzina tornò dicendo che la signorina aveva riposato male, ma che ora si sentiva meglio e che sarebbe subito scesa in salotto. Infatti la porta si aprì e Marja Gavrilovna si avvicinò per salutare il babbo e la mamma.
<<come va la tua testa, Masa?» chiese Gavrila Gavrilovic.
<<meglio, babbo» rispose la fanciulla”.
<<senza dubbio ieri ti hanno fatto male le esalazioni del carbone>> disse Praskovja Petrovna.
<<può darsi, mammina>> rispose Masa.
La giornata trascorse felicemente, ma durante la notte Masa si sentì male.
Si mandò in città a prendere un medico. Egli giunse verso sera e trovò l’ammalata in delirio. Si manifestò una febbre violenta, e la povera inferma fu per due settimane sull’orlo della tomba.
Nessuno in casa sapeva del suo progetto di fuga. Le lettere scritte alla vigilia erano state bruciate; la sua cameriera non aveva detto nulla a nessuno, temendo l’ira dei padroni. Il prete, il baffuto geometra e il piccolo ulano mantennero il silenzio, e a ragion veduta. Il cocchiere Tereska non rivelò mai nulla di superfluo, neppure in stato di ubriachezza. In tal modo il segreto fu mantenuto da più di una mezza dozzina di congiurati. Ma fu la stessa Marja Gavrilovna a rivelarlo durante il suo incessante delirio. Tuttavia le sue parole erano così sconnesse che la madre, la quale non si allontanava dal suo letto, riuscì a capire soltanto che la figlia era perdutamente innamorata di Vladimir Nikolaevic e che, probabilmente, l’amore era la causa della sua malattia. Ella si consigliò con il marito, con alcune vicine e finalmente, in pieno accordo, decisero che quello era evidentemente il destino di Maria Gavrilovna, che quello che è scritto è inevitabile, che la povertà non è vizio e che si deve vivere non con la ricchezza ma con la persona, e altre sentenze del genere. Le sentenze morali sono straordinariamente utili nei casi in cui da soli possiamo trovare ben poco a nostra giustificazione.
Frattanto la signorina cominciava a rimettersi. Da un pezzo Vladimir non si faceva vedere in casa di Gavrila Gavrilovic. Egli era spaventato dalle solite accoglienze. Fu deciso di mandarlo a chiamare e di comunicargli l’inattesa felicità: il consenso alle nozze. Ma quale non fu lo stupore dei proprietari di Nenaradovo allorché in risposta al loro invito ricevettero da lui una lettera semifolle! Egli dichiarava che non avrebbe mai più messo piede nella loro casa e pregava di dimenticare lo sventurato per il quale la morte rimaneva l’unica speranza! Dopo qualche giorno, essi vennero a sapere che Vladimir era partito per raggiungere l’esercito.
Questo accadeva nel 1812.
Per un bel pezzo non osarono comunicarlo alla convalescente Masa. Essa non menzionava mai Vladimir. Alcuni mesi più tardi, avendo trovato il nome di lui fra quelli di coloro che si erano distinti ed erano stati gravemente feriti sotto Borodino cadde priva di sensi e si temette che le tornasse la febbre. Grazie a Dio, lo svenimento non ebbe conseguenze.
Un altro dolore venne ad affliggere Masa: Gavrila Gavrilovic morì, lasciandola erede di tutta la tenuta. Ma l’eredità non le diede alcun conforto: ella condivideva sinceramente il dolore della povera Praskovja Petrovna, giurandole che non si sarebbe mai separata da lei; tutt’e due lasciarono Nenaradovo, luogo di tristi ricordi, e andarono ad abitare nella tenuta di ***.
Numerosi pretendenti ronzavano anche qui attorno alla graziosa e ricca fanciulla; ma essa non dava a nessuno la minima speranza. Talvolta la madre cercava di persuaderla a scegliersi un compagno: Marja Gavrilovna scuoteva il capo e si faceva pensierosa. Vladimir non esisteva più: egli era morto a Mosca, alla vigilia dell’entrata dei francesi. La sua memoria sembrava sacra per Masa; per lo meno, ella serbava tutto quanto poteva ricordarglielo: libri da lui letti un giorno, i suoi disegni, la musica e i versi da lui copiati per lei. I vicini, venuti a conoscenza di tutto ciò, si stupivano della sua costanza e attendevano con curiosità l’eroe che doveva finalmente trionfare della triste fedeltà di quella Artemisia verginale.
Intanto la guerra si era vittoriosamente conclusa. Il nostri reggimenti tornavano. Il popolo accorreva a incontrarli. La musica suonava le canzoni della conquista: Vive Henri-Quatre, valzer tirolesi e arie dall’opera Gioconda. Gli ufficiali, partiti per la guerra quasi adolescenti, ritornavano uomini fatti nel clima di guerra, coperti di decorazioni. I soldati discorrevano allegramente fra loro, introducendo di continuo nelle conversazioni parole tedesche e francesi. Tempo indimenticabile! Tempo di gloria e di entusiasmo! Come palpitava un cuore russo alla parola <<patria!» Com’erano dolci le lacrime dell’incontro! Con quale concordia univamo i sentimenti di fierezza nazionale e di amore per il sovrano! E che momento era quello per lui!
Le donne, le donne russe, furono allora impareggiabili. La loro abituale freddezza era scomparsa. Il loro entusiasmo era davvero inebriante quando, accogliendo i vincitori, esse gridavano: urrà! e lanciavano in aria le loro cuffiette!
Quale degli ufficiali di quel tempo non confesserà di essere debitore alla donna russa della migliore e più preziosa ricompensa?
In quell’epoca splendida, Marja Gavrilovna viveva con la madre nel governatorato di *** e non vide come le due capitali festeggiassero il ritorno delle truppe. Ma nei distretti e nei villaggi l’entusiasmo generale era forse ancora più forte. La comparsa in quei luoghi di un ufficiale era per lui un autentico trionfo.
Abbiamo già detto che, nonostante la sua freddezza, Marja Gavrilovna era, come prima, corteggiata da numerosi pretendenti. Ma tutti dovettero ritirarsi allorché comparve nel suo castello un ufficiale ferito, il colonnello degli ussari Burmin, con la decorazione di San Giorgio all’occhiello e con un <<pallore interessante>>, come dicevano le signorine del posto. Era un uomo sui ventisei anni. Era venuto in licenza nella sua tenuta che si trovava vicino al villaggio di Marja Gavrilovna. Marja Gavrilovna gli rivolgeva una particolare attenzione. In presenza di lui, la sua solita pensosità si animava. Non si poteva dire che civettasse, ma il poeta, notando il suo modo di comportarsi, avrebbe detto:
Se amor non è, che è dunque?
Burmin era, effettivamente, un giovane molto simpatico. Possedeva proprio quell’intelligenza che piace alle donne: l’intelligenza del decoro e dell’osservazione, senza alcuna pretesa e spensieratamente ironica. Il suo contegno davanti a Marja Gaviilovna era semplice e disinvolto; ma, qualsiasi cosa essa dicesse o facesse, l’anima e gli sguardi di lui la seguivano. Egli pareva di temperamento tranquillo e modesto, la voce pubblica assicurava che era stato un terribile scapestrato, ma ciò non lo danneggiava nell’opinione di Marja Gavrilovna, la quale (come, in genere, tutte le giovani donne) perdonava con piacere le monellerie che rivelavano l’audacia e la focosità di un carattere.
Ma soprattutto... più della sua tenerezza, più del piacevole conversare, più dell’interessante pallore, più del braccio fasciato il silenzio del giovane ussaro suscitava la curiosità e l’immaginazione della fanciulla. Non poteva non riconoscere di piacergli molto; probabilmente anche lui, intelligente ed esperto com’era, aveva già potuto notare che ella lo distingueva dagli altri; come mai, dunque, non l’aveva ancora veduto ai suoi piedi e non aveva ancora udito la sua dichiarazione? Che cosa lo tratteneva? La timidezza, inseparabile dall’amore vero, la fierezza o la civetteria di un astuto seduttore? Ciò era per lei un enigma. Dopo averci riflettuto su, ella decise che la timidezza ne era l’unica causa, e si propose di incoraggiarlo con una maggiore sollecitudine e, secondo le circostanze, anche con una certa tenerezza. Preparò la soluzione più inaspettata e attese con impazienza il momento di una romantica spiegazione. Un segreto. Qualunque esso sia, è sempre penoso per un cuore femminile. Le operazione strategiche di lei ebbero il successo desiderato: per lo meno, Burmin si era fatto così pensoso e i suoi occhi neri si posavano con tale ardore su Marja Gavrilovna che il minuto decisivo pareva dovesse essere prossimo. I vicini parlavano delle nozze come di un fatto ormai deciso, e la buona Praskovja Petrovna si rallegrava al pensiero che la figlia avesse finalmente trovato un degno fidanzato.
La vecchietta sedeva un giorno tutta sola nel salotto, disponendo le carte per un solitario, allorché Burmin entrò nella stanza e chiese subito notizie di Marja Gavrilovna.
<<e’ in giardino;>> rispose la vecchietta <<andate da lei, io vi aspetterò qui».
Burmin uscì, e la vecchietta si fece il segno della croce pensando: <<chi sa che la faccenda non si concluda oggi stesso!>>

Burmin trovò Marja Gavrilovna presso lo stagno, sotto un salice, con un libro in mano, vestita di bianco come una vera eroina da romanzo. Dopo le prime domande, Marja Gavrilovna lasciò a bella posta cadere la conversazione, accrescendo in tal modo l’imbarazzo reciproco, dal quale non era possibile liberarsi se non con una chiara e decisa spiegazione. E così accadde; Burmin, avvertendo la difficoltà della propria situazione, dichiarò che da lungo tempo cercava l’occasione per aprirle il suo cuore e chiese un minuto di attenzione. Marja Gavrilovna chiuse il libro e abbassò gli occhi in segno di assenso.
<<io vi amo,>> disse Burmin <<vi amo appassionatamente...>> Marja Gavrilovna arrossì e piegò il capo ancora più basso <<ho agito incautamente cedendo a una dolce consuetudine, alla consuetudine di vedervi e di ascoltarvi tutti i giorni...>> Marja Gavrilovna ricordò la prima lettera di Saint Preux <<ora è troppo tardi per oppormi al mio destino: il ricordo di voi, la vostra dolce, impareggiabile immagine resteranno d’ora innanzi il tormento e la consolazione della mia vita; ma mi resta ancora da compiere un penoso dovere, quello di svelarvi un segreto tremendo e di porre fra noi un’insormontabile barriera...»
<<essa è sempre esistita;» lo interruppe con vivacità Marja Gavrilovna “Io non potrei mai essere vostra moglie...»
<<lo so;» le rispose egli a voce sommessa <<so che un giorno avete amato ma la morte e tre anni di pianto ...Buona, cara Marja Gavrilovna! Non cercate di togliermi l’ultimo conforto: il pensiero che avreste acconsentito a darmi la felicità se...»
<<tacete, per amor di Dio, tacete!Voi mi straziate!»
<<sì, lo so, lo sento che voi sareste mia, ma io sono la creatura più infelice della terra... Sono ammogliato!»
Marja Gavrilovna lo guardò con stupore.
<<sono ammogliato,>> proseguì Burmin <<sono ammogliato da quattro anni, e non so chi sia mia moglie, dove si trovi e se io debba mai vederla!»
<<che cosa dite?» esclamò Maria Gavrilovna <<com’e strano! Continuate; • in seguito vi dirò... ma continuate, fatemi la grazia!>>
<<all’inizio del l812» disse Burmin <<mi affrettavo verso Vilna, dove si trovava il nostro reggimento. Giunto una sera tardi a una stazione di posta, ordinai di attaccare al più presto i cavalli quando, all’improvviso, si scatenò una violenta tempesta, e il maestro delle poste e il cocchiere mi consigliarono di aspettare. Io diedi loro ascolto, ma un’inspiegabile inquietudine s’impadronì di me: avevo l’impressione che qualcuno mi spingesse. Frattanto la tormenta non si placava; perdetti la pazienza, ordinai di attaccare e partii in mezzo alla bufera. Al postiglione venne in mente di passare per il fiume, il che doveva allungare la strada di quasi tre miglia. Le rive erano coperte di neve; il postiglione oltrepassò il punto in cui si doveva uscire sulla strada e cosi ci trovammo in una località sconosciuta. La tormenta non si calmava; a un certo momento scorsi un lumicino e ordinai di andare a quella volta. Arrivammo in un villaggio; in una chiesa di legno c’era luce. La chiesa era aperta e dietro il muro di cinta si trovavano alcune slitte; sul sagrato camminavano delle persone.
"Qui, qui!"gridarono alcune voci.
Ordinai al postiglione di avvicinarsi.
"Di grazia, dove ti sei trattenuto?"mi chiese qualcuno."La sposa è svenuta, il Prete non sa che cosa fare... Noi eravamo già pronti a tornare indietro. Entra presto..."
Scesi in silenzio dalla slitta ed entrai nella chiesa debolmente illuminata da due o tre candele. Una fanciulla stava seduta su una panca, in un angolo buio della chiesa; un’altra le strofinava le tempie.
"Grazie a Dio", disse questa "siete finalmente arrivato! Per poco non avete fatto morire la signorina..."
Il vecchio prete si avvicinò con la domanda: "Ordinate di cominciare?"
"Cominciate, cominciate, batiuska" risposi distrattamente.
Sollevarono la fanciulla. Mi parve graziosa... Un’incomprensibile, imperdonabile sventatezza... mi misi accanto a lei davanti al leggio; il prete aveva fretta; tre uomini e la cameriera sostenevano la sposa e si occupavano soltanto di lei. Ci sposarono.
"Baciatevi!" ci fu detto. Mia moglie volse verso di me il suo viso pallidissimo. Volevo baciarla... ma essa gridò: "Ah, non è lui, non è lui!” e cadde priva di sensi. I testimoni mi fissarono con occhi atterriti. Mi voltai, uscii dalla chiesa senza trovare alcun impedimento, mi gettai nella slitta e ordinai: "Avanti!”»
<<mio Dio!» gridò Marja Gavrilovna <<e non sapete che cosa sia accaduto della vostra povera moglie?»
<<non lo so» rispose Burmin <<e non so come si chiami il villaggio dove mi sono sposato; non ricordo da quale stazione ero partito. A quell’epoca davo così poca importanza alla mia delittuosa birichinata che, poco lontano dalla chiesa, mi addormentai e mi svegliai il mattino successivo, già alla terza stazione. Il servo che era allora con me è morto in guerra, cosicché non ho più speranza di ritrovare colei che ho così crudelmente beffata e che, altrettanto crudelmente, è ormai vendicata».
<<mio Dio, mio Dio!>> esclamò Marja Gavrilovna, afferrandogli una mano <<allora eravate voi! E non mi riconoscete?>>
Burmin impallidì e si gettò ai piedi della fanciulla.

(da: I racconti di Belkin, trad. A. Polledro, Bur 1993)
 
Top
0 replies since 17/3/2014, 21:15   90 views
  Share